Il fatto che la maggior parte delle vittime siano state uccise durante il loro lavoro deve far riflettere sotto vari motivi,partendo dal presupposto che dei capannoni costruiti a norma non dovrebbero subire danni così rilevanti accartocciandosi su se stessi dato anche i recenti anni di costruzione.
Si è parlato soprattutto dei danni al patrimonio artistico,enormi e condivisibili visto che riguardano la memoria di un posto,mettendo in secondo piano le case distrutte e quelle inagibili,argomenti presi in considerazione dopo la distruzione di torri e chiese e solo quando si è parlato dell'intervento della protezione civile.
Il secondo articolo parla del problema della costruzione di grande opere,e qui non sapevo che nella zona colpita dovrebbe trovar sede un impianto di stoccaggio di gas dalle dimensioni e dalle capacità immense,che l'Italia mai ha visto prima,e che questa idea sostenuta dal senatore Giovanardi in primis ha un comitato di resistenza che non vuole veder nascere questo progetto.
Un'opera grandiosa ma solo nei numeri e nella periocolosità e dannosità e non certo per la sua magnificenza e utilità,ma che fin'ora non ha avuto riscontro nella cronaca come la Tav o il ponte sullo stretto di Messina,lavori costosi e fondamentalmente inutili.
Ora che si dovranno stanziare milioni di Euro per le popolazioni colpite certi soldi servirebbero davvero in questi casi e non per arricchire politici e mafiosi che come maiali si azzuffano nello stesso trogolo e che affamano la gente che ha bisogno di aiuti per poter sopravvivere.
Monumenti del lavoro quei capannoni ammazza operai.
Che crollino torri e chiese medioevali, è solo terremoto. Doloroso ma comprensibile. Che dei capannoni industriali nati ieri uccidano, è colpa umana
Partiamo dai loro nomi: Nicola Cavicchi, Leonardo Ansaloni, Gerardo Cesaro e Naouch Tarik. Morti sul lavoro. Per terremoto o per altro? Le cronache dall'Emilia disastrata giustamente inseguono l'insieme, la dimensione ancora indefinita delle distruzioni, le migliaia di persone coinvolte, la paure che persistono, le soluzioni che andranno trovate. Quei quattro morti in fabbrica sono al momento l'orrendo dettaglio di una catastrofe che qui ha scelto di colpire più le cose che le persone. Per fortuna. Ma proprio per questo, anche per questo, quei quattro morti su sette vittime, diventano una cifra enorme. Incomprensibile, ingiustificabile. Partiamo dall'attenta biografia che ne fa Andrea Pasqualetto sul Corriere della Sera.
Anzi, cerchiamo di vivere quell'ultima alba che a loro è sfuggita mentre erano intenti a scaricare lastre di alluminio, erano alle prese con i forni delle ceramiche, a controllare il polistirolo. Turnisti dalle 20 alle 6 del mattino -il più duro- sotto i capannoni che rimbombano e traballano già per il movimento continuo dei macchinari. Tanto da nascondere persino la prima scossa, quella dell'una di notte. «Non l'abbiamo sentita, c'era il rumore delle presse», ha detto Ghulam Murtaza, della Tecopress. Niente lavoro in nero, assunti, regolari. Dei fortunati -si ritenevano loro- anche se lavoravano di notte, anche il sabato notte. Alle quattro di mattina sotto capannoni moderni costruiti molti secoli dopo quelle torri medioevali sbriciolate.
Il primo ricordo va a Naouch Tarik. Primo perché aveva solo 29 anni, secondo perché era arrivato qui, nella prospera bassa padana, nel 1994 in Italia da Beni Mellal, Marocco, con papà Mustafà e mamma Fatiha. Sfuggito alla miseria per costruirsi un futuro. Operaio da sei anni della Ursa di Bondeno, una fabbrica di polistirolo, "Ringraziando Allah", pensava lui. Raccontano che Naouch era uscito con gli altri perché tremava tutto. Ma lui, l'altra notte sostituiva il capoturno, era il responsabile anche per quel gas che andava chiuso. Rientra nel capannone traballante e viene travolto dal crollo. Naouch viveva in una grande casa nelle campagne di Bevilacqua. Naouch aveva chiesto da poco la cittadinanza per ricongiungersi con Widad, la moglie, adesso vedova a 18 anni.
Gerardo Cesaro, 55 anni, di Molinella, sposato con due figli, era l'uomo del muletto, l'operaio più esperto, una vita nella Tecopress di Dosso, fabbrica di lamierati per macchine. L'ultima, drammatica corsa di Gerardo Cesaro, la racconta l'operatore pachistano delle presse, Ghulam Murtaza. «A un tratto si è mosso tutto, una cosa forte, molto forte, mi sono detto è finita e siamo scappati fuori. Gerardo era sul muletto. Era indietro. Appena siamo passati dalla porta è venuto giù tutto. Lui era vicino all'uscita ma non è riuscito a evitare le lamiere che hanno distrutto tutto». Quella notte, che sarebbe finita alle sei, lavoravano in dieci. Fra questi anche il nigeriano Casmir Mbanoske, che i sui colleghi temevano fosse a sua volta rimasto travolto dal crollo.
Nicola Cavicchi, di anni ne aveva solo 35. Perito elettrotecnico, ferrarese di San Martino, Nicola era stato assunto come manutentore. Solitamente alla «Ceramica Sant'Agostino» gli toccava il turno di giorno. Ma venerdì e sabato a Nicola ha fatto un piacere al collega che non poteva andare al lavoro di notte. L'hanno trovato sotto una trave del reparto altoforni, crollato con la scossa delle 4 del mattino. Il suo pallino -raccontano i colleghi- era il calcio. Accanito tifoso del Milan, ha giocato fino allo scorso anno come difensore di fascia del San Carlo, una squadra dilettantistica locale. Altra passione, il mare. Ricorda il fratello «Andava ai Lidi Ferraresi il fine settimana. Venerdì scorso, dopo aver accettato la sostituzione, ha guardato le previsioni e ha detto, non mi perdo un granché».
Anche Leonardo Ansaloni, 51 anni, lavorava alla Ceramica Sant'Agostino che, con i suoi 380 addetti, rappresenta il colosso industriale di questo piccolo centro fra i campi di grano del Ferrarese. Originario di Bondeno, Leonardo viveva a Sant'Agostino con la moglie Gloria e i loro due figli di 8 e 18 anni. Lavoro pesante il suo, conduttore dei forni ceramici, cioè il "cuoco" delle lastre da pavimento e rivestimento che l'azienda produce e distribuisce in mezzo mondo. A differenza di Cavicchi, per il quale i primi soccorritori hanno capito subito che non c'erano speranze di salvezza, Ansaloni è rimasto aggrappato alla vita per un po'. Testimone Giovanni Grossi, che si trovava con loro nell'ala vecchia dello stabilimento. Dov'era il nuovo, abbiamo visto, non è andata meglio.
Anzi, cerchiamo di vivere quell'ultima alba che a loro è sfuggita mentre erano intenti a scaricare lastre di alluminio, erano alle prese con i forni delle ceramiche, a controllare il polistirolo. Turnisti dalle 20 alle 6 del mattino -il più duro- sotto i capannoni che rimbombano e traballano già per il movimento continuo dei macchinari. Tanto da nascondere persino la prima scossa, quella dell'una di notte. «Non l'abbiamo sentita, c'era il rumore delle presse», ha detto Ghulam Murtaza, della Tecopress. Niente lavoro in nero, assunti, regolari. Dei fortunati -si ritenevano loro- anche se lavoravano di notte, anche il sabato notte. Alle quattro di mattina sotto capannoni moderni costruiti molti secoli dopo quelle torri medioevali sbriciolate.
Il primo ricordo va a Naouch Tarik. Primo perché aveva solo 29 anni, secondo perché era arrivato qui, nella prospera bassa padana, nel 1994 in Italia da Beni Mellal, Marocco, con papà Mustafà e mamma Fatiha. Sfuggito alla miseria per costruirsi un futuro. Operaio da sei anni della Ursa di Bondeno, una fabbrica di polistirolo, "Ringraziando Allah", pensava lui. Raccontano che Naouch era uscito con gli altri perché tremava tutto. Ma lui, l'altra notte sostituiva il capoturno, era il responsabile anche per quel gas che andava chiuso. Rientra nel capannone traballante e viene travolto dal crollo. Naouch viveva in una grande casa nelle campagne di Bevilacqua. Naouch aveva chiesto da poco la cittadinanza per ricongiungersi con Widad, la moglie, adesso vedova a 18 anni.
Gerardo Cesaro, 55 anni, di Molinella, sposato con due figli, era l'uomo del muletto, l'operaio più esperto, una vita nella Tecopress di Dosso, fabbrica di lamierati per macchine. L'ultima, drammatica corsa di Gerardo Cesaro, la racconta l'operatore pachistano delle presse, Ghulam Murtaza. «A un tratto si è mosso tutto, una cosa forte, molto forte, mi sono detto è finita e siamo scappati fuori. Gerardo era sul muletto. Era indietro. Appena siamo passati dalla porta è venuto giù tutto. Lui era vicino all'uscita ma non è riuscito a evitare le lamiere che hanno distrutto tutto». Quella notte, che sarebbe finita alle sei, lavoravano in dieci. Fra questi anche il nigeriano Casmir Mbanoske, che i sui colleghi temevano fosse a sua volta rimasto travolto dal crollo.
Nicola Cavicchi, di anni ne aveva solo 35. Perito elettrotecnico, ferrarese di San Martino, Nicola era stato assunto come manutentore. Solitamente alla «Ceramica Sant'Agostino» gli toccava il turno di giorno. Ma venerdì e sabato a Nicola ha fatto un piacere al collega che non poteva andare al lavoro di notte. L'hanno trovato sotto una trave del reparto altoforni, crollato con la scossa delle 4 del mattino. Il suo pallino -raccontano i colleghi- era il calcio. Accanito tifoso del Milan, ha giocato fino allo scorso anno come difensore di fascia del San Carlo, una squadra dilettantistica locale. Altra passione, il mare. Ricorda il fratello «Andava ai Lidi Ferraresi il fine settimana. Venerdì scorso, dopo aver accettato la sostituzione, ha guardato le previsioni e ha detto, non mi perdo un granché».
Anche Leonardo Ansaloni, 51 anni, lavorava alla Ceramica Sant'Agostino che, con i suoi 380 addetti, rappresenta il colosso industriale di questo piccolo centro fra i campi di grano del Ferrarese. Originario di Bondeno, Leonardo viveva a Sant'Agostino con la moglie Gloria e i loro due figli di 8 e 18 anni. Lavoro pesante il suo, conduttore dei forni ceramici, cioè il "cuoco" delle lastre da pavimento e rivestimento che l'azienda produce e distribuisce in mezzo mondo. A differenza di Cavicchi, per il quale i primi soccorritori hanno capito subito che non c'erano speranze di salvezza, Ansaloni è rimasto aggrappato alla vita per un po'. Testimone Giovanni Grossi, che si trovava con loro nell'ala vecchia dello stabilimento. Dov'era il nuovo, abbiamo visto, non è andata meglio.
tratto da http://www.globalist.it
Sin dalle prime ore, seguendo la diretta dalle 4 del mattino sul web e le
news, è emersa la predominanza di interesse da parte dei media per i
beni culturali dei paesi colpiti, chiese, castelli, torri;
successivamente si è pensato ai luoghi di produzione e solo alla fine si sono
considerate le persone colpite.
Dopo due giorni, “lo stato” si è presentato in quelle terre ed è stato contestato fortemente da molti cittadini colpiti dal sisma, sentitesi presi in giro da quella norma che prevede la dismissione del pagamento dei danni dovuti a calamità naturale.
Leggi anche l'editoriale
Si è, invece, completamente trascurato di menzionare i danni ingenti subiti dalle costruzioni ad uso abitativo. E in particolare, nessuno ha citato il maestoso progetto che la Ers, supportata da alti esponenti politici nazionali tra cui il senatore Giovanardi originario di questa provincia, vuole fare in quell’area: un deposito di gas.
Si tace sull’argomento, ma la discussione, portata avanti nel territorio prima del terremoto dai comitati sorti appunto per contrastare quell’opera, è stata ampia, aspra e ha sviluppato una forte resistenza contro la costruzione del ‘mostro’.
Ma cosa prevede questo progetto?
300 milioni per 19 pozzi in quasi 11 ettari: uno stoccaggio da 3,2 miliardi di metri cubi di metano in acquifero, un sistema mai realizzato in Italia, a 2.550-2.800 metri di profondità.
L’importanza delle lotte che i comitati locali portano avanti contro la realizzazione del deposito di gas, viene amplificata quando capita un evento di questo tipo, poiché porta alla luce l’ottusità di chi mette davanti a tutto il profitto e non la vita delle persone. Se, per assurdo, quel deposito fosse stato realizzato, si sarebbe trovato proprio sotto un'area abitata da 80mila persone: un enorme ordigno silente che il sisma stesso avrebbe potuto far esplodere.
Tutto ciò è un’ennesima dimostrazione di quanto lotte popolari come quella della Val Susa, siano fondamentali per impedire la costruzione di grandi opere, tanto inutili quanto dannose, specialmente in un paese che non è in grado di dare risposte ai bisogni reali della sua gente. I comitati che portano avanti tali battaglie vengono contrastati con violenza dallo Stato e sono tacciati strumentalmente di ostacolare il progresso. La storia italiana è tempestata di eventi disastrosi esacerbati, se non causati, dalla priorità data al profitto piuttosto che alla salvaguardia pubblica. La tragedia del Vajont costituisce un esempio fondamentale.
Nonostante tutto le dichiarazioni rilasciate in queste ore post terremoto da parte sia della Ers che di Giovanardi, ci fanno capire in che direzione vogliono andare, cercando di smorzare le polemiche e continuando a rivendicare la bontà di quell'opera e del non rischio anche in caso di terremoti come quello avvenuto domenica scorsa, senza andare a fare nuove verifiche geologiche subito dopo il sisma.
E’ possibile che questo terremoto faccia comprendere il potenziale devastante che avrebbe un deposito di gas in un’area a rischio sismico e che contribuisca indirettamente a bloccare la costruzione di quell’opera. Tuttavia, pensiamo che dovrebbe essere la coscienza politica delle popolazioni e non la ‘spettacolarità’ dei disastri ad impedire che il profitto di pochi prevalga sul bene collettivo.
Vogliamo, inoltre, riportare alcune testimonianze di compagn* che vivono nelle terre colpite dal terremoto, che si sono aggirat* per i campi messi in piedi dalla protezione civile:
“La situazione è drammatica, più di quanto si pensi. La tendopoli è stata terminata nella giornata di lunedì, con difficoltà nell’assegnazione e risulta del tutto insufficiente a coprire le richieste di alloggio da parte della popolazione terremotata. La protezione civile agisce in totale collaborazione con la celere e il clima generale è piuttosto teso. Ci sono almeno 1500 sfollati di varie etnie e già questo crea attriti a causa dei ‘diritti di precedenza’. Purtroppo, per svolgere attività all'interno dei campi (soprattutto nella tendopoli) la Protezione civile tende ad ostacolare la presenza di aiuti esterni in quanto considera costoro una possibile fonte di problemi logistici.”
Ascolta l'intervista a Simone su Radio Onda d'Urto
Questa testimonianza è avvallata anche dalla dichiarazioni di oggi del premier Monti, il quale ha dato massima libertà alla Protezione Civile facendo riferimento al provvedimento di riforma della Protezione Civile, spiegando che sta funzionando bene nell'emergenza del terremoto in Emilia. E proprio secondo il nuovo regolamento, durante lo stato di emergenza, le ordinanze emanate nei prossimi 20 giorni saranno immediatamente efficaci. In questa fase il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, agirà con massima flessibilità e libertà, senza bisogno di acquisire parere concertati o visti preventivi. Successivamente le ordinanze dovranno invece ricevere il concerto del ministero dell'Economia e delle Finanze, "limitatamente ai profili finanziari”.
Vorremmo concludere con un pensiero rivolto agli ennesimi morti sul lavoro. Tre operai hanno perso la vita durante il sisma a causa del crollo dei capannoni all’interno dei quali stavano svolgendo i loro turni di lavoro. Ci sembra inaccettabile che strutture industriali, molte delle quali di recente costruzione, crollino con questa estrema facilità. Ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di ‘morti bianche’, di cui nessuno verrà ritenuto responsabile, nemmeno gli individui che hanno permesso la realizzazione di edifici ‘formalmente’ antisismici e che antisismici evidentemente non erano. Il profitto continua ad uccidere.
Dopo due giorni, “lo stato” si è presentato in quelle terre ed è stato contestato fortemente da molti cittadini colpiti dal sisma, sentitesi presi in giro da quella norma che prevede la dismissione del pagamento dei danni dovuti a calamità naturale.
Leggi anche l'editoriale
Si è, invece, completamente trascurato di menzionare i danni ingenti subiti dalle costruzioni ad uso abitativo. E in particolare, nessuno ha citato il maestoso progetto che la Ers, supportata da alti esponenti politici nazionali tra cui il senatore Giovanardi originario di questa provincia, vuole fare in quell’area: un deposito di gas.
Si tace sull’argomento, ma la discussione, portata avanti nel territorio prima del terremoto dai comitati sorti appunto per contrastare quell’opera, è stata ampia, aspra e ha sviluppato una forte resistenza contro la costruzione del ‘mostro’.
Ma cosa prevede questo progetto?
300 milioni per 19 pozzi in quasi 11 ettari: uno stoccaggio da 3,2 miliardi di metri cubi di metano in acquifero, un sistema mai realizzato in Italia, a 2.550-2.800 metri di profondità.
L’importanza delle lotte che i comitati locali portano avanti contro la realizzazione del deposito di gas, viene amplificata quando capita un evento di questo tipo, poiché porta alla luce l’ottusità di chi mette davanti a tutto il profitto e non la vita delle persone. Se, per assurdo, quel deposito fosse stato realizzato, si sarebbe trovato proprio sotto un'area abitata da 80mila persone: un enorme ordigno silente che il sisma stesso avrebbe potuto far esplodere.
Tutto ciò è un’ennesima dimostrazione di quanto lotte popolari come quella della Val Susa, siano fondamentali per impedire la costruzione di grandi opere, tanto inutili quanto dannose, specialmente in un paese che non è in grado di dare risposte ai bisogni reali della sua gente. I comitati che portano avanti tali battaglie vengono contrastati con violenza dallo Stato e sono tacciati strumentalmente di ostacolare il progresso. La storia italiana è tempestata di eventi disastrosi esacerbati, se non causati, dalla priorità data al profitto piuttosto che alla salvaguardia pubblica. La tragedia del Vajont costituisce un esempio fondamentale.
Nonostante tutto le dichiarazioni rilasciate in queste ore post terremoto da parte sia della Ers che di Giovanardi, ci fanno capire in che direzione vogliono andare, cercando di smorzare le polemiche e continuando a rivendicare la bontà di quell'opera e del non rischio anche in caso di terremoti come quello avvenuto domenica scorsa, senza andare a fare nuove verifiche geologiche subito dopo il sisma.
E’ possibile che questo terremoto faccia comprendere il potenziale devastante che avrebbe un deposito di gas in un’area a rischio sismico e che contribuisca indirettamente a bloccare la costruzione di quell’opera. Tuttavia, pensiamo che dovrebbe essere la coscienza politica delle popolazioni e non la ‘spettacolarità’ dei disastri ad impedire che il profitto di pochi prevalga sul bene collettivo.
Vogliamo, inoltre, riportare alcune testimonianze di compagn* che vivono nelle terre colpite dal terremoto, che si sono aggirat* per i campi messi in piedi dalla protezione civile:
“La situazione è drammatica, più di quanto si pensi. La tendopoli è stata terminata nella giornata di lunedì, con difficoltà nell’assegnazione e risulta del tutto insufficiente a coprire le richieste di alloggio da parte della popolazione terremotata. La protezione civile agisce in totale collaborazione con la celere e il clima generale è piuttosto teso. Ci sono almeno 1500 sfollati di varie etnie e già questo crea attriti a causa dei ‘diritti di precedenza’. Purtroppo, per svolgere attività all'interno dei campi (soprattutto nella tendopoli) la Protezione civile tende ad ostacolare la presenza di aiuti esterni in quanto considera costoro una possibile fonte di problemi logistici.”
Ascolta l'intervista a Simone su Radio Onda d'Urto
Questa testimonianza è avvallata anche dalla dichiarazioni di oggi del premier Monti, il quale ha dato massima libertà alla Protezione Civile facendo riferimento al provvedimento di riforma della Protezione Civile, spiegando che sta funzionando bene nell'emergenza del terremoto in Emilia. E proprio secondo il nuovo regolamento, durante lo stato di emergenza, le ordinanze emanate nei prossimi 20 giorni saranno immediatamente efficaci. In questa fase il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, agirà con massima flessibilità e libertà, senza bisogno di acquisire parere concertati o visti preventivi. Successivamente le ordinanze dovranno invece ricevere il concerto del ministero dell'Economia e delle Finanze, "limitatamente ai profili finanziari”.
Vorremmo concludere con un pensiero rivolto agli ennesimi morti sul lavoro. Tre operai hanno perso la vita durante il sisma a causa del crollo dei capannoni all’interno dei quali stavano svolgendo i loro turni di lavoro. Ci sembra inaccettabile che strutture industriali, molte delle quali di recente costruzione, crollino con questa estrema facilità. Ci troviamo di fronte all’ennesimo caso di ‘morti bianche’, di cui nessuno verrà ritenuto responsabile, nemmeno gli individui che hanno permesso la realizzazione di edifici ‘formalmente’ antisismici e che antisismici evidentemente non erano. Il profitto continua ad uccidere.
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