martedì 5 maggio 2020

LA REGIONE LOMBARDIA COMINCIA A FAR PARLARE GLI AVVOCATI


Coronavirus, lieve aumento dei ricoveri in Lombardia
Non è il primo e nemmeno l'ultimo post riguardante il massacro lombardo all'interno di un paese che è tra i principali tra i colpiti dal coronavirus,forse a livello europeo verremo superati in queste ore dalla Gran Bretagna in questo triste primato.
L'unanime condanna dei medici della Lombardia hanno fin da subito espresso le loro forti perplessità sfociate in vere e proprie accuse verso la dirigenza regionale(vedi:madn fontana-rifarebbe-tuttosalvini orgoglioso del governo lombardo e link relativi)dove il motto"prevenire è meglio che curare"è stato disatteso ed è frutto di una gestione locale della sanità da sciacalli,peggio ancora di quella nazionale con investimenti pressoché in gran quantità solamente per i privati,lasciando quella pubblica con le pezze al culo.
Il primo articolo(contropiano il-massacro-in-lombardia-colpa-dei-medici-dice-la-lega )parla proprio di questo e del governo regionale che mette le mani avanti e fa parlare gli avvocati:ci sono già indagini in corso soprattutto per le rsa ma guai in vista anche verso le Ast,quella di Bergamo è la prima sotto accusa,mentre Fontana,Gallera & co. ribadiscono la piena fiducia e supporto al"modello Lombardia"puntando il dito contro i medici.
Il secondo articolo invece è della metà dello scorso mese(cremaonline Un contagio ogni 40Gallera,dove sbagliamo )parla della provincia di Cremona che ha il tasso di contagiati rispetto alla popolazione più alto d'Italia(stando al 14 aprile)con interrogativi posti proprio all'assessore Gallera in un territorio tra i più devastati assieme a Bergamo,Brescia,Lodi e l'emiliana Piacenza.

Il massacro in Lombardia? Colpa dei medici (dice la Lega…).

di  Redazione Contropiano - Annalisa Cretella * 
Ci deve pur essere un motivo che spieghi perché i medici lombardi siano così severi con la Regione Lombardia (ossia con la Lega e in generale la destra che la dirige da quasi 30 anni). E probabilmente l’altissimo prezzo – in salute e vite spezzate – pagato dai medici di quella regione, e ancor più dalla popolazione, ha un suo discreto peso.

Anche perché, sul piano scientifico e organizzativo, nessuno più dei medici lombardi conosce davvero gli abissi di luridume ben nascosti sotto gli specchietti per le allodole sulle “eccellenze” della sanità regionale. Che è il risultato di una strategia di privatizzazione di lungo periodo, in cui è stata privilegiata l’ospedalizzazione rispetto alla prevenzione, sulla base di un ragionamento economicamente banale e sanitariamente devastante: la prevenzione costa, l’ospedalizzazione rende.

Avete presente l’antico proverbio “prevenire è meglio che curare”? L’esatto opposto…

A quel punto bastava – com’è stato fatto – dirottare sempre più risorse verso gli ospedali privati, creando “concorrenza” fasulla con quelli pubblici, nel mentre si smantellava la rete dei medici di base (gli unici che si possano accorgere che qualcosa non va a livello territoriale prima che esploda un problema irrisolvibile).

Il coronavirus si è incaricato di dimostrare che questa era una follia e che quella classe dirigente – amministratori servili e imprenditori avidi – è responsabile della strage verificatasi nella regione con più morti e contagiati al mondo. Quanto basta per definirla, sinteticamente, criminale. Senza nemmeno ricordare i salti mortali fatti per evitare che fossero dichiarate “zona rossa” la Val Seriana e altre aree ristrette.

I medici di base si erano espressi in modo molto chiaro, già quasi due mesi fa, denunciando la “caporetto” di un sistema sanitario che i Fontana e i Gallera continuavano a “narrare” come il paradiso.

E lo stesso avevano fatto subito dopo i chirurghi, a dimostrazione del fatto che il bubbone era troppo evidente per continuare a tenerlo sotto il tappeto.

Poi sono partite, tardive, le inchieste della magistratura sulla strage nelle case di riposo – non solo lombarde, ma in primo luogo lombarde – visto che addirittura una delibera della Giunta aveva “chiesto” a quelle strutture (spesso con un servizio medico limitato alle “cure palliative”) di ospitare un po’ di contagiati da Covid-19. Come accendere un cerino in un deposito di benzina…

A quel punto deve essere diventato chiaro anche ai più imboscati tra i servi che il gioco si faceva pericoloso. La velocità con cui Fontana e Gallera avevano scaricato sull’Ats regionale (Agenzia di tutela della salute) la responsabilità di aver suggerito quella delibera ha convinto i vertici di questa struttura a correre ai ripari.

Cercandosi un avvocato.

Siccome però la prassi dello scaricabarile è la regola più antica delle amministrazioni vigliacche, anche ma non solo di quelle “in quota Lega”, la ricerca della consulenza legale ha avuto di mira due obiettivi: gettare la croce sui medici (!) e difendere il “modello Lombardia”.

La consulenza è stata infatti affidata “all’avvocato Angelo Capelli del foro di Bergamo“. Ossia uno tra gli autori della riforma del sistema sanitario della Lombardia legaiola. Chi più di lui, insomma, è indicato per cercare di salvare capra, cavoli e anche se stesso?

Questa intervista realizzata dall’Agenzia Agi alla segretaria della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) lombardi, Paola Pedrini, chiarisce senza ombra di dubbio quale sia la “cultura amministrativa” di certa gente.

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L’Ats Bergamo ha paura di aver sbagliato qualcosa. Mette le mani avanti e va dall’avvocato *

“Assurda” se non “bizzarra” per Paola Pedrini, segretario lombardo della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) la richiesta di una consulenza legale da parte dell’Agenzia di tutela della salute (Ats) di Bergamo, per accertare se ci siano state ‘responsabilità’ da parte dei medici di base nella gestione dell’emergenza “con particolare riferimento alla disponibilità e utilizzo dei dispositivi di protezione individuale“.


“E’ significativo come gesto – spiega – perché in realtà vuol dire che un po’ di paura l’agenzia ce l’ha, sta mettendo le mani avanti“.

“A Bergamo abbiamo il maggior numero di medici che si sono infettati o che sono morti: su 700 medici in provincia, 150 si sono ammalati e 6 sono deceduti. Quindi – aggiunge Pedrini – vedere che si cerca una consulenza legale per eventualmente cercare di girare la colpa sul medico stesso, mi sembra assurdo, ancora più che demoralizzante“.

E anche la “scelta dell’avvocato è stata infelice per noi“.

La consulenza, come si legge nella delibera firmata dal Direttore generale Massimo Giupponi, è stata affidata “all’avvocato Angelo Capelli del foro di Bergamo”. “Capelli è stato tra gli autori della riforma del sistema sanitario regionale che ai medici di famiglia non era proprio piaciuta – ricorda Pedrini -. Dunque, anche la scelta dell’avvocato è significativa, non è un avvocato qualunque per la sanità lombarda e soprattutto per Bergamo“.

La consulenza è ampia e riguarda anche come è stata gestita l’emergenza sanitaria nell’ospedale di Alzano Lombardo e nelle Rsa. Ma per i medici di base cosa si vuole accertare?

“Sui medici di famiglia – spiega – posso immaginare che l’Ats si chieda se effettivamente doveva fornirci i dispositivi di protezione perché non siamo suoi dipendenti, siamo liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario nazionale, sia noi che i pediatri di famiglia. Ma è una mia supposizione. Il punto è che in situazioni di emergenza la risposta è ‘sì’, sono l’Ats e la Regione che devono creare quanto meno un canale preferenziale per fornire dpi. Inoltre nel piano pandemico c’è proprio scritto che la fornitura dei dispositivi di protezione va fatta anche ai medici di famiglia“.

Dunque la ‘mossa’ dell’Ats non vi preoccupa?

 “Siamo assolutamente tranquilli” assicura Pedrini.

Che ricorda anche che “fin dai primi casi di coronavirus i medici hanno cercato di approvvigionarsi di mascherine ma erano esaurite. Abbiamo provato anche come associazione a fare degli acquisti per i medici di famiglia, ma l’altro problema che è insorto è che questi ordini venivano bloccati, fermi 8 giorni e più, in dogana dalla Protezione Civile” perché tutti i dpi dovevano essere destinati alle strutture ospedaliere.

“Quello che ci fa ancora più male – aggiunge – è che ci aspettavamo che in un momento del genere, soprattutto a Bergamo dove la situazione è una delle peggiori, magari quei soldi potevano essere ben spesi per un consulente scientifico e non per un consulente legale“.

Ce ne sarebbe ancora bisogno?

“Certo, l’emergenza non è passata, i casi si sono ridotti ma – avverte – l’equilibrio è veramente precario, non siamo ancora pronti a superare le criticità che ci sono state nella Fase 1. I tamponi sono ancora insufficienti, le indagini epidemiologiche fatte sui contatti dei pazienti sospetti sono assolutamente insufficienti. Siamo ancora sul chi va là“.

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Provincia di Cremona. Casorati a Gallera: ‘un contagio ogni 40. Dove stiamo sbagliando?’

“Egregio assessore, in questa serata di Pasquetta, dopo aver letto i dati diffusi da Regione Lombardia, che registrava in provincia di Cremona 224 casi positivi non sono riuscito a non inviarle queste mie considerazioni”. Si apre con queste parole la lettera di Aldo Casorati, “come sindaco eletto nel Consiglio di rappresentanza della Ats Valpadana”, all’assessore Giulio Gallera. 

Provincia più contagiata d'Italia.

“In una provincia di 358.955 abitanti abbiamo 4.945 contagi precisamente 1 ogni 73 abitanti. Registriamo il triste primato di Provincia più contagiata d'Italia. Bergamo 1/107-Brescia 1/115- Mantova 1/161- Lodi 1/90. Considerando che molti cittadini, in questo periodo epidemico sono stati curati a domicilio dai medici di medicina generale, come lei ben sa con strumenti di protezione molto scarsi o nulli, (si stima un numero pari ai ricoverati) e nella grandissima parte sono guariti senza aver fatto il tampone. Da questa considerazione si può dedurre che quel dato di 1 contagiato ogni 73 abitanti non è reale con una sottostima di circa il 50%. Potremmo stimare Assessore una persona contagiata ogni 40 persone? Se queste mie considerazioni sono realistiche e lei avrà più elementi per valutarle, la situazione nella nostra Provincia è veramente preoccupante”. 

Analisi della situazione.

“Detto questo – prosegue Casorati - tutti ci poniamo tante domande: dove stiamo sbagliando? Nell’informazione? Nel controllo dei sintomatici? Nell’individuazione dei contatti? Nella nostra provincia non ci sono grandi agglomerati abitativi ma una miriade di piccoli paesi. Tutti concordiamo sulla necessità di fare al più presto una analisi approfondita della situazione, trovando spiegazioni per porre rimedi. In altre realtà dopo la grande fiammata si è notata un calo notevolissimo mentre da noi questo non succede. Come in tutto il territorio Lombardo, anche da noi è sentita con grande preoccupazione la situazione nelle Rsa (ospiti e personale). Sopratutto nel Cremonese vi è una importante e numerosa realtà. La conoscenza di questi dati potrebbe aiutarci a capire questa forte incidenza di contagiati?”

Usca per 160 mila abitanti.

Come sindaci del Distretto di Crema a cui appartengo, siamo da parecchio tempo attenti, collaborativi e molto preoccupati per questa situazione. In data 20 marzo unitamente ai rappresentanti dell’Ordine dei medici abbiamo inviato una lettera al direttore generale dell’Ats, nella quale chiedevamo un incontro. Siamo riusciti ad incontrarci per via telematica il giorno 8 Aprile. In data 6 aprile è stata attivata anche nel Distretto Cremasco l’Usca ma si tratta di una sola unità su 160.000 abitanti e anche negli altri territori della nostra Ats il rapporto Usca/abitanti è lo stesso. Con questo tasso epidemico non ritiene che si dovrebbe fare molto di più coinvolgendo maggiormente i medici di base che a mio parere hanno svolto un grandissimo lavoro curando i malati a domicilio”.

Riapertura graduale.

Secondo Casorati “un’altra buona iniziativa è l’apertura fatta in sicurezza di questi reparti post Covid soprattutto nelle strutture destinate alla riabilitazione. Una operazione lodevole per dare assistenza competente e preparata a questi malati guariti o in fase di guarigione. So che sul nostro territorio sono già disponibili in fase graduale 150 posti. Questa soluzione, può dare la possibilità di programmare una riapertura graduale di reparti nel nostro Ospedale che è stato pressoché totalmente trasformato in Covid. La soluzione che di andare a farsi operare/curare negli ospedali milanesi non può essere accettata. Un programma di riapertura graduale ed in sicurezza deve essere un obbiettivo delle dirigenze Asst, un chiaro segnale di fiducia che l’autorità sanitaria può trasmettere alla cittadinanza dimostrando la capacità, ed io sono convinto dopo i grandi sforzi fatti che sia realmente così, di avere sotto controllo l’epidemia”.

Una videoconferenza.

In chiusura, Casorati chiede che venga posta “attenzione al territorio creando una rete sempre più completa e sinergica dotandola anche di supporti informatici. Come vede, nessuna voglia di polemizzare, solo riflessioni e grande preoccupazione per i numeri e per le nostre Comunità unita alla disponibilità alla massima collaborazione. Tutto quanto premesso, le chiedo di potermi confrontare con lei unitamente agli altri due Sindaci rappresentanti nel distretto Cremasco, al più presto in una video conferenza”

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