lunedì 25 maggio 2020

TOGHE ALLA SBARRA


Giustizia a strisce: La legge è uguale per tutti?
Da sempre quando si parla di giustizia in Italia si avrà una parte soddisfatta e l'altra no,anche in casi di lapalissiana colpevolezza o innocenza lo scontro è sempre in agguato,la parte lesa che darà del corrotto e/o dell'incapace  al giudice che ha sentenziato,e l'alta moralità e l'etica al di sopra di tutto e di tutti dei magistrati è una leggenda a cui non crede più nessuno.
La politicizzazione di queste alte cariche statali,toghe rosse,nere,gialle e verdi o semplicemente attente a chi offe di più come ad un'asta,è una cosa certa e le intercettazioni che per fortuna esistono per tutti fanno scoperchiare il vaso di Pandora sulle scelte e le opinioni che queste persone hanno,in fondo uomini e donne come tutti,e molti di loro talmente rispettosi al dovere da essere stai ammazzati.
Negli articoli di Contropiano e Infoaut(crolla-pure-il-mito-della-magistratura-finalmente e il-caso-palamara-o-di-come-si-scopre-l-acqua-calda )parlano di ovvietà come quella che ci siano preferenze anche se non ci dovrebbero essere,il sistema capitalistico su cui è fondata la società corrompe ed avvelena pure l'Anm,il Csm ed le persone che nominano giudici e magistrati,sia che siano scelte interne al mondo togato che politiche.
Il fatto che ora se ne riparli con certa veemenza è dato dal fatto che il giudice Palamara sia invischiato in affari proprio non trasparenti,e le intercettazioni a sfavore di Salvini(quella merda di Salvini,cit.)ha fatto levare gli scudi del centrodestra a protezione del bullo milanese e i suoi prossimi appuntamenti in tribunale,oggi rimandati ad ottobre per il caso del presunto sequestro dei migranti(vedi:madn salvini-non-andra-in-galera-comunque ).
Pochi giorni fa invece il collega Capristo,procuratore capo di Taranto,aveva portato alla luce una situazione simile alla cupola mafiosa dove il vertice era lui,dove chi era contro era"un comunista di merda"(cit.)e che ora è indagato.
Ma c'è una cosa che accomuna le toghe di qualunque pensiero,è l'accanimento contro la lotta sociale,dal Tav ad altre vertenze che riguardano l'ambiente(e svariati milioni di Euro),l'avversione contro gli anarchici e tutte le singole persone o i gruppi che tentano di parlare a nome degli oppressi e degli ultimi,denunciando il sistema corrotto del capitalismo dove chi finisce in carcere sono quelli che non si possono permettere di comprare le sentenze,pur avendo ragioni da vendere,perché le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici(cit.).

Crolla pure il mito della magistratura. Finalmente…

di  Dante Barontini 
Chiunque abbia affrontato un processo, in vita sua, sa che qualsiasi sentimento può esser provato tranne che “avere fiducia nella magistratura”. Quando capiti in mano a un giudice la prima cosa che ti chiedi è “chi è? Come la pensa? A chi dà conto di solito?”.

Se ciò accade anche ad imputati “qualsiasi”, di peso zero nella scala sociale, a maggior ragione la domanda si impone quando a finire nel “registro degli indagati” è qualcuno che conta. In quel caso la sua prima domanda diventa “per incarico di chi, questo stronzo mi indaga?”

Non parliamo poi di quando le indagini della magistratura riguardano altri magistrati. Lì si va direttamente nella guerra politica tra correnti, individui, consorterie e fratellanze (solo i militari, forse, hanno più frequentazioni dei magistrati quanto a logge massoniche…).

L’inchiesta perugina che ha puntato su Luca Palamara – ex presidente dell’Anm, ex componente togato del Csm, ex sostituto Procuratore a Roma (uno dei tanti che si è dilettato con il “caso Moro”) – scoperchia un verminaio piuttosto fetido. Che ha certamente per protagonista un “pezzo grosso” tra le toghe, ma che richiede qualche ragionamento sull’intera casta di appartenenza.

Per quanto uno possa esser bravo nel suo mestiere, infatti, è singolare la serie di incarichi accumulati in pochi anni da un 51enne in un mondo dove il potere, di solito, è solidamente in mano agli ultra-sessantenni.

Le intercettazioni tra lui, i colleghi, i politici, i giornalisti e persino gli attori (Raul Bova che chiede “protezione” contro la condanna per evasione fiscale…), sono da sole un testo da commedia dell’arte.

Ma soprattutto rivelano che la famosa “indipendenza della magistratura” esiste solo nelle parole della Costituzione, oltre che nei libri sulla “tripartizione dei poteri in democrazia”. Ma nei fatti è l’esatto contrario…

Non nel senso banale che i giudici siano “servi del capitale” (viviamo in un assetto capitalistico, ovvio che istituzionalmente non possano esser altro). Ma in quello assai più concreto per cui ogni magistrato è altamente consapevole di disporre di un potere fortissimo (decide sulla libertà e il successo di chi capita a tiro) e lo usa per motivazioni che nulla hanno a che fare con le istituzioni della Repubblica.

La carriera personale al primo posto, come confessa – sconfortato – il presidente dimissionario dell’Anm, Luca Poniz. Sottolineando come non ci sia nei fatti troppa distinzione tra “membri togati” (ossia magistrati di carriera eletti dai colleghi) e “membri laici” (di nomina politica) nel Consiglio Superiore della Magistratura, cosiddetto “organo di autogoverno della magistratura” presieduto formalmente dal Presidente della Repubblica.

“Si discute molto dei togati, ma non ci si preoccupa che negli anni la componente togata ha espresso candidati molto più vicini alla politica di quanto fosse in passato”. Traduzione semplice, ma utile: significa che le differenze sono ormai solo nei titoli universitari e nel ruolo ufficialmente ricoperto, non nel concreto operare quotidiano.

Poi, certo, ci sono sempre le eccezioni, e tutti si nascondono velocemente dietro le statue erette a Falcone e Borsellino, per poter continuare a fare i propri “magheggi”.

Establishment è del resto definizione flessibile, che abbraccia chiunque abbia un ruolo rilevante negli assetti di governance di un Paese, indipendentemente dal ruolo momentaneamente esercitato. Il passaggio da un ruolo all’altro (dalla magistratura alla politica, o alle strutture commissariali o ai vertici aziendali) è la norma, non il caso raro.

E la frequentazione continua, di tutti con tutti, è la condizione sine qua non per restare a galla, avanzare, rintuzzare i concorrenti più pericolosi, arricchirsi. Sembra un quadro di “Cafonal”, ma è molto peggio…

Le intercettazioni smentiscono che il “far politica” attraverso inchieste e sentenze sia una prerogativa delle “toghe rosse”. Le differenze tra correnti sono infatti inessenziali, e lo prova lo stesso Palamara. Il quale, mentre concerta con Flavio Lotti (ricordate? Il braccio destro di Matteo Renzi che a volte prendeva deleghe ai servizi segreti, in altre il ministero dello sport e – tutti i giorni – brigava per le nomine in magistratura), contemporaneamente briga con magistrati che per realizzare le proprie ambizioni “sentono la Lega”.

E’ la fogna normale della “classe dirigente” di questo disgraziato Paese. Quella melma che rende molto problematico qualsiasi progetto di radicale cambiamento sociale, perché ha maciullato competenze, etica, “professionalità”, rigore morale, senso del bene pubblico e quant’altro è indispensabile per ricostruire un assetto funzionante per gli interessi collettivi.

Di questo non porta la responsabilità solo “il capitalismo” – che c’è ovunque. Accontentarsi di questa “spiegazione” lascia impotenti di fronte a una struttura (e una cultura) del Potere che affonda nello Stato sabaudo, nelle gerarchie vaticane, nei residui borbonici, nella “modernizzazione fascista” e nella “mancata epurazione” repubblicana.

Un inguacchio che fa funzionare male anche lo stesso capitalismo (a pezzi oggi per la crisi sistemica mondiale) e che minaccia di sopravvivere e condizionare qualsiasi sviluppo futuro.

Per decenni, di recente, siamo stati bombardati con il mito della magistratura e delle polizie, come se questi corpi separati fossero per ragioni incomprensibili immuni dal “contagio”.

Finalmente crolla. E forse si può cominciare a ragionare guardando la realtà e cercando le soluzioni. Senza più affidarsi a “santi” che sono solo un travestimento degli stessi demoni.

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Il "caso Palamara" o di come si scopre l'acqua calda.

Fin dalle scuole medie ci viene venduta la storiella della "separazione dei poteri" come garanzia dello Stato di diritto.

Una storiella edificante, ma che trova ben poche verifiche storiche. L'opinione pubblica si turba quando periodicamente emergono scandali che riguardano le contiguità tra magistratura e politica, ma bisognerebbe smetterla di stupirsi. Il caso Palamara è semmai la dimostrazione del livello di disgregazione a cui sono arrivate le istituzioni democratiche, neanche in grado di mantenere nelle segrete stanze le lotte di potere e le spartizioni che avvengono da sempre al chiaro di luna.

Che la magistratura in Italia rivesta un ruolo politico, e un ruolo di lotta politica, è un mistero solo per chi, come molti a sinistra, continua a farsi abbagliare dai miti costruiti ad hoc dalle narrazioni semplicistiche della "guerra alla mafia". Una guerra alla mafia che, un po' come la "war on drugs" statunitense per quanto riguarda il mito nixoniano, fa parte dell'epica fondativa della Seconda Repubblica, ma che nei giorni in cui, annualmente, si torna a parlare della "trattativa Stato - Mafia" mostra tutta la corda a chi vuole aprire gli occhi.

Ma torniamo a noi, il caso Palamara non fa che evidenziare come la magistratura sia il braccio armato dello Stato, quest'ultimo inteso alla maniera di Marx, come "comitato d'affari della borghesia". Un buon "comitato d'affari" dunque ha bisogno di spartirsi il territorio per non pestarsi i piedi, ha bisogno che nessuno sia scontento della sua fetta e che tutti collaborino a impedire che altri, non seduti in quel comitato, ribaltino il tavolo. Il fatto che i panni sporchi vengano messi in piazza via intercettazioni e indagini vuol dire solo che qualcuno è rimasto scontento in queste spartizioni o che le suddette spartizioni non rappresentano più l'equilibrio datosi nel tempo nel quadro politico più generale.

Un altro scandalo recente in magistratura ci dà la percezione di cosa stiamo parlando: il caso Capristo, il procuratore capo di Taranto finito ai domiciliari per tentata induzione, truffa e falso, che, secondo i giornali, ha tentato di condizionare le indagini della procura di Trani (procura che guidava prima del suo arrivo a Taranto). Sempre secondo i giornali Capristo avrebbe messo in piedi una vera e propria gestione para mafiosa della procura di Taranto, con contatti importanti come quello con la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Capristo nelle intercettazioni definiva chi si oppone a questo sistema di potere "comunista di merda", dunque si può comprendere facilmente da che orientamenti politici fosse viziato il lavoro della magistratura di Taranto.

Chiunque abbia partecipato a delle lotte che mettano seriamente in discussione gli interessi di questo o quel gruppo di potere sa bene cosa significhino queste asserzioni. E infatti l'unico fronte comune che sembra unire le magistrature da nord a sud, di quasi ogni colore politico, è la repressione delle lotte sociali. Senza andare con la memoria ai tempi andati basta osservare le vicende che riguardano la persecuzione del movimento No Tav e degli altri movimenti ambientali.

Certo, non è che non esista una soggettività politica dei singoli magistrati. Non è che orientamenti e modi di interpretare il diritto non vengano determinati anche dal vissuto individuale dei singoli, ma nel suo complesso l'organo svolge delle funzioni che molto spesso hanno ben poco a che vedere con il "fare giustizia" e lo "scoprire la verità".

Dunque che volino pure gli stracci in pubblico durante la videochat dell'Anm (questi tempi strani ci permettono di derubricare il motto di Blade Runner: "Ho visto cose che voi umani…"), questo modello di amministrazione è corrotto, marcio, ingiusto ed è irriformabile. Ed è un bene che sempre più gente scopra l'acqua calda.

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