venerdì 6 agosto 2010

ROYAL RUMBLE(DEI ROI)

Il titolo del post odierno evidenzia il fatto di come abbia abbinato una rissa reale di quelle da wrestling a quelle che avvengono spesso nelle aule di Montecitorio però stando bene a differenziare il termine"royal"non come reale,magnifica ma nel senso suino del termine(per chi non è di Crema"roi"è il maiale in dialetto).
Anche durante il dibattito per la mozione di sfiducia all'indagato Caliendo ci sono stati momenti di delirio da bar di ubriachi solo che i protagonisti in questione si pigliano centinaia di migliaia di Euro dei nostri contributi per fare questi teatrini.
Mettessero così tanta animosità e passione al lavoro l'Italia forse andrebbe meglio,ma da idioti che sono,almeno la maggior parte,esibiscono pugni e attributi solo quando cercano la fisicità da combattimento...perché in fondo parlano e blaterano di dialogo,rispetto e moralità ma sono sempre le solite teste di cazzo che incontri per strada!
L'articolo di Mario Ajello è tratto dal sito del"Messaggero.it"dove disapprovo però il titolo che vuole mettere sullo stesso campo Montecitorio e una curva da stadio mettendo la pulce nell'orecchio che tutti gli ultras siano dei tèca béga(litigiosi).

Insulti, risse e cori da stadio: Montecitorio come una curva.

ROMA (5 agosto) - L'Aula di Montecitorio al suo peggio. E, per di più, in diretta televisiva. Chi grida «Silvio! Silvio!», osannando con cori da stadio il proprio leader maximo e mostrando il muso duro agli avversari. Chi risponde (democrat e dipietristi, in faccia al premier e in posa neo-resistenziale un po’ monotona) «Duce! Duce!». E visto l’andazzo, i leghisti inneggiano a Bossi il quale s’alza la manica della camicia, mostra i muscoli e fa un ruggito da caverna valligiana. Doveva essere una giornata di guerra fredda, e di odio solamente tattico, specie fra finiani e berluscones? È stato invece un pomeriggio da ultimi giorni di Pompei.

O, come minimo, da Grand Guignol. In cui nessuno sa più che fine farà il governo ieri diventato di minoranza, se andrà avanti la legislatura e che cosa accadrà alla ripresa dei lavori della Camera l’8 settembre viste le crepe che si sono spalancate davanti agli occhi di tutti (compreso il pubblico da casa). Ci sarà la fuga del Re (Silvio)? La morte della patria (berlusconiana)? Un armistizio? Nel caos, sragionano tutti. «Se andiamo sotto la cifra di 313 voti», spiega l’ex finiano Landolfi in Transatlantico, «Berlusconi salga sul Colle e ne parli con Napolitano». «Ah, sì?», replicano ironici gli ammutinati di Fini: «Peccato che Napolitano stia a Stromboli. Silvio lo raggiungerà laggiù a nuoto? O visto che il Quirinale è sguarnito ci si piazza lui, così organizza qualche bella festa?». Questo il livello.

Oppure, siamo al gusto per l’archeologia (il discorso di Cicchitto, tutto «giustizialismo» e «garantismo», pareva scritto nel ’92, ai tempi di Mani Pulite) e allo sghignazzo plateale. Sempre il capogruppo pidiellino proclama che fra i diritti ormai negati, in questa sorta di stato di polizia chiamato Italia, c’è anche la «libertà sessuale». E la sinistra gli ride in faccia. Sguaiatamente. Intanto il finiano Bocchino, davanti a tutti, ci sta provando - politicamente - con la pidiellina Moroni. La vuole portare, e ci riuscirà, nella pattuglia dei ”gianfranchisti” ma la sgargiante fidanzata di Sandrone Bondi (la più esagitata nei coretti pro-Cav) cerca invano di trattenere la collega nel fronte dei lealisti di Re Silvio.

Ma occhio al settore destro dell’Aula. «Che cosa sta succedendo laggiù?», chiede Fini dal banco della presidenza. Succede che l’ex braccio destro di Fini, e a suo tempo responsabile dell’organizzazione di An, il mastodontico Marco Martinelli, ormai berlusconiano, soffre così tanto perchè il suo amico Raisi sta con Gianfranco, e non più col Cavaliere, al punto da rubargli la scheda del voto. E la tira in faccia (colpendolo nell’occhio destro la cui pupilla diventa subito rossa) a un altro finiano, Di Biagio. Il quale reagisce. E Marinelli: «Ti faccio un culo a tarallo!» (pare abbia detto così). I due si accapigliano. E spintonandosi vanno fuori dall’Aula, dove continua la rissa.

Il corpulento presidente della provincia di Frosinone, Iannarilli, si mette in mezzo. «Mi sono buttato su Martinelli», racconterà più tardi, «ma c’ho messo un po’ a fermare i due pugili». L’arrivo di una decina di commessi sede la rissa. Il clima è quello che è. Qualcuno grida ai finiani, ancora seduti ai banchi del Pdl, che devono sloggiare: «Sedetevi fra i comunisti, quello è il posto vostro!». Commenta uno dei nuovi big ”gianfranchisti”, Giorgio Conte, che s’è rotto il braccio destro e lo porta appeso al collo: «Devo votare con il sinistro. Sono diventato un bolscevico?».

Poi D’Alema incrocia il leghista Giorgetti, e alludendo alle grida pro-Silvio gli dice: «Mancava soltanto l’eia eia alalà!». Giorgetti ride: «Hai ragione». E D’Alema: «Ma sai poi che cosa è successo dopo?». «Sì, Piazzale Loreto». «Ecco», conclude il comandante Max, «cerca di toglierti in tempo».

S’aggira in Transatlantico anche un Tremonti preoccupatissimo per la piega che sta prendendo il quadro politico. Evidenziata in maniera clamorosa pure da un piccolo particolare. Quando Berlusconi arriva in Aula, nè lui guarda Fini nè Fini guarda lui, anche se siedono a mezzo metro di distanza. E non era mai accaduto, nella storia parlamentare, che presidente del Consiglio e presidente della Camera non si salutassero e ostentassero così provocatoriamente il proprio vicendevole astio sia personale sia politico. Quanto manca all’8 settembre?

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