giovedì 18 febbraio 2010

BRIGATA DI SOLIDARIETA' ATTIVA

Post odierno in risposta a chi ultimamente ha detto che chi in Italia fà viene crocifisso,riferimento esplicito a Bertolaso e la"sua"protezione civile,che guai ha fatto parecchio per aiutare persone in difficoltà(nello specifico oggi parlo del terremoto che ha colpito l'Abruzzo)ma come si può dedurre dall'articolo sotto hanno preferito dare priorità a zone più sotto ai riflettori piuttosto che paesini che sono stati raggiunti dopo parecchi giorni in quanto non poi così visibili mediaticamente.
L'intervista della redazione di"Senza Soste"ad alcuni esponenti delle Brigate di Solidarietà Attiva proposta oggi racconta la coesione tra compagni di città differenti unitisi all'indomani della disastro naturale(ma in cui l'uomo con le sue inosservanze e negligenze ha posto il suo zampino)e su come siano stati visti dalle forze dell'ordine(con sospetto),dalla protezione civile(con invidia)e dagli stessi abitanti delle zone colpite(prima con diffidenza e poi con rispetto).

Intervista con le Brigate di Solidarietà Attiva

Nelle ore immediatamente successive al terremoto che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009, una rete di compagni di tutta Italia ha promosso un’intensa attività di solidarietà concreta con le popolazioni colpite dal sisma. In poco tempo hanno organizzatoraccolta e distribuzione aiuti arrivando in molti luoghi anche prima della Protezione Civile. Soltanto nell’area di Pescara hanno attivato 10 depositi di raccolta e 8 furgoni che facevano una spola quotidiana con i luoghi colpiti dal terremoto.
Un’esperienza durata 6 mesi che ha coivolto più di 700 volontari accorsi da tutta Italia con l’allestimento di 3 cucine e la gestione di oltre 1000 pasti al giorno.
Insomma, una bella realtà cresciuta dal basso e che dopo la fine dell’esperienza del terremoto abruzzese ha deciso di costituirsi in un’associazione di solidarietà che opera in ambiti solidali, emergenziali ma anche a sostegno delle lotte sociali.
Le BSA hanno strutture associative in Lazio, Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Puglia, Abruzzo e Campania. Noi li abbiamo incontrati a Livorno il 23 gennaio scorso a un pranzo di autofinanziamento nella palazzina di via dei Mulini dove hanno sede il Csa Godzilla e il CP 1921, alla vigilia della partita Livorno-Napoli dove le BSA hanno fatto una raccolta fondi per Haiti.

Come siete nati? Avevate già contatti tra di voi?

Siamo nati nell’emergenza del terremoto abruzzese, molti di noi si conoscevano già per una comune militanza in Rifondazione Comunista che ci ha fornito la maggior parte delle strutture, ma in quell’occasione moltissimi compagni e volontari si sono uniti a noi.
Com’è stato il vostro intervento subito dopo il terremoto?

Siamo andati subito in Piazza d’Armi nel campo più grande dell’Aquila ma lì c’era la Protezione Civile che voleva la gestione esclusiva del campo e vedeva malissimo tutti coloro che volevano fare un intervento orizzontale con la popolazione come noi. Volevano solo volontari ai loro ordini in un rapporto quasi militare con la popolazione.
Allora siamo andati a Tempera (4 km dall’Aquila) dove la Protezione Civile è arrivata dopo di noi. La strada era crollata e per arrivare lì c’era da fare un giro larghissimo. Quando siamo arrivati la gente era lì senza più niente in una situazione grave sotto tutti i punti di vista.
Abbiamo montato un campo con cucina, mensa, bagni, docce, ludoteca e biblioteca con internet e sportello informativo. La questione della comunicazione era importante nel rapporto con le persone, cosa del tutto trascurata dalla Protezione Civile. Abbiamo messo insieme ingegneri e architetti per spiegare agli abitanti di Tempera cosa avrebbe fatto la Protezione Civile.
Poi con due furgoncini giravamo fra i paesi a portare i beni di prima necessità. Facevamo le assemblee di campo per capire cosa serviva e procurarlo a tutti in modo diretto (per avere anche un bagno schiuma con la Protezione Civile c’era una lunga trafila burocratica) e poi andavamo sulle strade a distribuire quello che avevamo raccolto con lo “Spaccio popolare Giuseppe Di Vittorio”. Un carrozziere ci ha messo a disposizione uno spazio per lo spaccio gratuito sulla Statale.
Che differenza c’era dunque fra il vostro campo e gli altri?

Le persone con cui parlavamo ci raccontavano di campi troppo militarizzati dove non potevano entrare nemmeno i parenti. Anche la gestione mediatica era militarizzata, non potevano avere accesso giornalisti e cameraman se non un paio (uno de Il Tempo) decisi dalla Protezione Civile. Noi tutte le mattine compravamo tutti i giornali per dare a tutti la possibilità di fare una rassegna stampa ampia sulla situazione.
Quando è arrivata la Protezione Civile?

Dopo un po’ di giorni. Ci guardavano malissimo perché vedevano che il campo funzionava ma aveva un sistema di gestione molto diverso dal loro e molto apprezzato dalla popolazione. Comunque ci hanno chiesto di andare via e di andare a Camarda dove loro non erano ancora arrivati. Siamo andati lì e si è montato una cucina da campo in una notte con gli attrezzi degli abitanti stessi. La cosa più bella è che quando andavamo via la gente continuava ad usare il nostro metodo con le assemblee e con tutti che davano una mano a fare tutto. La Protezione Civile invece voleva che facessero tutto i volontari e che la popolazione ricevesse solo un “servizio” senza collaborare. A noi sembrava automatico che nella gestione delle loro quotidianità anche più intima la gente avesse voce in capitolo più di Berlusconi e Bertolaso.
Avete mai avuto problemi con le istituzioni?

Avevamo sempre Nas e Carabinieri alle calcagna, pronti a trovare qualcosa che non andava. Con noi c’erano militanti politici, ultras, ex carcerati e come primo impatto qualcuno era diffidente. Alcuni anziani del paese pensavano che quelli con i tatuaggi avessero una malattia. Dopo poco però si sono messi a lavorare con noi.
Quand’è che avete capito che era nata un’esperienza riproducibile anche in altre situazioni?

Infine siamo andati ad Aranio dove la popolazione si era già attrezzata con le strutture della sagra locale. Siamo stati là per 6 mesi ma nel frattempo abbiamo cercato di strutturarci come gruppo ed a pensare cosa fare anche dopo. Ad esempio a Ferragosto siamo andati as Melfi con gli operai della Lasme (186 licenziati) a fare il pranzo di Ferragosto. Ma in ogni territorio cerchiamo di intervenire a fianco degli operai visto che abbiamo un’impostazione di classe. Abbiamo infatti sostenuto nel periodo natalizio la lotta dei lavoratori ex Eutelia aiutando nella cucina nel periodo di occupazione. In toscana abbiamo sostenuto i lavoratori della Answer (call center di Pistoia) con l’iniziativa “Arancia Metalmeccanica” con una raccolta fondi e beni di prima necessità. In Toscana siamo andati anche a spalare nei giorni di alluvione del Serchio. Insomma, ci diamo da fare in parecchi campi.
Per tutte le iniziative e la produzione politica visitate il sito www.diariodallabruzzo.it
Anche a Livorno ci sono referenti delle BSA?

Sì, le BSA sono fondate a livello territoriale i “briganti” locali portano avanti le iniziative di intervento e diffusione sui territori. Siamo venuti qui in questo caso per fare una raccolta fondi per Haiti da consegnare al progetto internazionale guidato dai medici cubani e poi per un progetto nel sud Italia (sempre da definire) di sostegno agli immigrati sfruttati nel lavoro neri dei campi.
Come ha risposto Livorno nell’emergenza del terremoto?

Bene come sempre a livello popolare, meno a livello istituzionale. Siamo andati a chiedere l’amuchina da portare in Abruzzo al presidente delle Farmacie Comunali. Nonostante abbia dato garanzie e spiegato chi eravamo mi ha risposto che loro facevano tutto con la Protezione Civile.
Per il futuro abbiamo in mente di fare iniziative nelle scuole. Ci preme in particolare sottolineare la differenza fra solidarietà attiva e solidarietà passiva. La nostra è un solidarietàattiva, che non si ferma solamente alla donazione di un prodotto ma anche alla partecipazione di un metodo e ad un approccio di autorganizzazione.

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