L'ormai ex ministro della giustizia Alberto Ruiz-Gallardon ha rassegnato le dimissioni nelle mani del premier Rajoy dopo che il suo criticatissimo decreto di legge di chiaro stampo medievale contro l'aborto in terra di Spagna è stato affossato per l'ennesima volta.
Facendo riferimento all'articolo preso da Senza Soste e anche da qui(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/search?q=spagna+aborto )si può dimostrare chiaramente che il lavoro infame di questo personaggio del partito popolare già presidente della comunità madrilena ed ex sindaco di Madrid era stato incentrato su un fondamentale odio verso le donne in salsa clericomachista che ha provocato numerose prese di posizione non solo dai movimenti femministi ma di tutte le persone con un cervello abitanti nei confini iberici.
Come si può leggere nelle prime righe del contributo Gallardon è un ricettacolo di abomini politici sociali ed amministrativi che ne hanno segnato la pluridecennale carriera,e a dirla così com'è non avrebbe certo sfigurato nel Parlamento italiano di oggi.
Spagna, hanno vinto le donne .
di Justa Montero* - tratto da http://www.communianet.org
L’ex ministro della giustizia non si è stancato di ripetere che il disegno di legge di “tutela della vita del nascituro e dei diritti della donna incinta” era il progetto più importante della sua carriera. Ciò che però non si poteva immaginare era il senso che avrebbe acquisito tale affermazione, dal momento che questo progetto ha posto fine alla sua carriera politica.
Una carriera lunga trent’anni, segnata da disastri delle dimensioni dell’astronomico debito che dovranno pagare i cittadini madrilegni per la sua amministrazione (1), dai suoi continui insuccessi olimpici (2), dal taglio alle libertà personali perpetrato con la “ley mordaza” (3) o dall’aver reso la giustizia un lusso per la maggioranza della popolazione. E come ciliegina sulla torta, la sua misoginia ed il suo disprezzo per le donne.
Conviene però non dimenticare che è stato l’intero esecutivo ad approvare, nel dicembre 2013, il disegno di legge sostenuto da Gallardón, così come ad accompagnare congiuntamente il processo durato quasi tre anni, da quando l’ex ministro annunciò le sue intenzioni. In questo lasso di tempo molte donne hanno vissuto una situazione di preoccupazione e timore, a fronte dell’incertezza di ciò che sarebbe potuto accadergli se avessero dovuto abortire; l’indignazione femminista è andata aumentando davanti a tale offensiva patriarcale e man mano che Gallardón concretizzava la sua proposta di legge, fino ad arrivare all’estremo di voler stabilire in quali casi di malformazioni del feto una donna avrebbe potuto abortire e in quali no.
Il totale insuccesso di questo disegno dimostra fino a che punto il Governo e coloro che lo hanno appoggiato, la Conferenza Episcopale in testa, sono lontani dalla società reale, dalla realtà delle donne e dei loro diversi progetti di vita e dalle molteplici forme di pensare e vivere la maternità e la sessualità. Dei cambi profondi ai quali non siamo disposte a rinunciare.
Per questo il tentativo dell'ex ministro di riportarci in dietro ad una situazione del secolo passato, era una battaglia persa in partenza, ma la sua superbia ed il suo profondo conservatorismo patriarcale non gli hanno fatto sospettare che un tale errore l'avrebbe pagato a caro prezzo, ad un prezzo tanto alto come lo scompiglio che oggi è visibile tra le sue fila.
Un prezzo ancora più caro lo pagherà il Governo se cercherà di utilizzare le donne come moneta di scambio per accontentare un settore ultraconservatore impegnato in una perenne crociata contro i diritti sessuali e riproduttivi delle donne o, cambiando un po' la visuale, strumentalizzando il nostro corpo ed i nostri diritti per risalire i sondaggi in prossimità delle elezioni.
La cerimonia di addio di Gallardón ha avuto come contraltare i festeggiamenti di migliaia di donne in tutti gli angoli dello Stato spagnolo e il suo aspetto depresso e sconfitto era l'altra faccia della medaglia dell'allegria di coloro che avevano avuto fiducia nel trionfo delle ragioni femministe e nella mobilitazione. Perché il ritiro del disegno di legge è una prima vittoria del movimento femminista, che ha dato impulso ad un profondo cambiamento nella nostra società, un vittoria che è il risultato delle mobilitazioni che si sono frapposte costantemente, alcune volte in modo più visibile, altre volte meno, altre ancora con grandi manifestazioni, con azioni provocatorie, con “escraches” (4), sit-in, occupazioni di centri di salute, di chiese, disturbando anche le sedute del Parlamento, con centinaia di iniziative da parte dei diversi gruppi femministi.
Una mobilitazione accompagnata da altre mobilitazioni, tra le quali quella degli operatori sanitari, in definitiva un'importante mobilitazione cittadina. E sempre con l'intento di spiegare che quando reclamiamo “Aborto libero, sono le donne a decidere”, si esige la sovranità sui nostri corpi, che è l'ultima cosa che si può strappare ad una persona e che quando difendiamo il nostro diritto a decidere, affermiamo la nostra condizione di soggetti di diritto, una rivendicazione femminista di giustizia sociale e democrazia reale.
Domenica 28 settembre, giornata internazionale per la depenalizzazione dell'aborto, in molte città ci saranno manifestazioni convocate dal movimento femminista. Sarà un'occasione magnifica per ritrovarci tutte e tutti e festeggiare, per dimostrare che “sì, se puede”.
E' stato possibile con Gallardón e sarà possibile con il Governo bloccare alcuni dei piani che il presidente Rajoy si è affrettato ad anticipare: nuove tagli alla capacità decisionale delle donne giovani e un “piano di protezione per la famiglia”, essendo chiaro che si tratta della “sua” famiglia radioattiva (per il suo carattere nucleare). Tutto ciò se non decidono di accelerare la decisione della Corte Costituzionale sul ricorso presentato contro la legge attualmente in vigore. Una legge che effettivamente richiede modificazioni, ma in una direzione radicalmente opposta a quanto proposto dal Governo, per ottenere che l'aborto venga escluso dal codice penale e si normalizzi come prestazione sanitaria pubblica.
Domenica prossima, doppiamente festiva, sarà anche l'occasione per rivendicare i diritti sessuali e riproduttivi, tra gli altri il diritto delle lesbiche ad accedere alla riproduzione assistita, perché tutte le donne migranti abbiano la tesserà della previdenza sociale, perché torni l'educazione sessuale nelle scuole, perché si rispetti l'autonomia e l'identità sessuale di tutte le persone.
La storia dà ragione alla nostra determinazione nel non cedere davanti a niente e a nessuno nella difesa del diritto a decidere sulla nostra vita e a rivendicare i diritti per tutte, però tutte, tutte, tutte le donne.
Una carriera lunga trent’anni, segnata da disastri delle dimensioni dell’astronomico debito che dovranno pagare i cittadini madrilegni per la sua amministrazione (1), dai suoi continui insuccessi olimpici (2), dal taglio alle libertà personali perpetrato con la “ley mordaza” (3) o dall’aver reso la giustizia un lusso per la maggioranza della popolazione. E come ciliegina sulla torta, la sua misoginia ed il suo disprezzo per le donne.
Conviene però non dimenticare che è stato l’intero esecutivo ad approvare, nel dicembre 2013, il disegno di legge sostenuto da Gallardón, così come ad accompagnare congiuntamente il processo durato quasi tre anni, da quando l’ex ministro annunciò le sue intenzioni. In questo lasso di tempo molte donne hanno vissuto una situazione di preoccupazione e timore, a fronte dell’incertezza di ciò che sarebbe potuto accadergli se avessero dovuto abortire; l’indignazione femminista è andata aumentando davanti a tale offensiva patriarcale e man mano che Gallardón concretizzava la sua proposta di legge, fino ad arrivare all’estremo di voler stabilire in quali casi di malformazioni del feto una donna avrebbe potuto abortire e in quali no.
Il totale insuccesso di questo disegno dimostra fino a che punto il Governo e coloro che lo hanno appoggiato, la Conferenza Episcopale in testa, sono lontani dalla società reale, dalla realtà delle donne e dei loro diversi progetti di vita e dalle molteplici forme di pensare e vivere la maternità e la sessualità. Dei cambi profondi ai quali non siamo disposte a rinunciare.
Per questo il tentativo dell'ex ministro di riportarci in dietro ad una situazione del secolo passato, era una battaglia persa in partenza, ma la sua superbia ed il suo profondo conservatorismo patriarcale non gli hanno fatto sospettare che un tale errore l'avrebbe pagato a caro prezzo, ad un prezzo tanto alto come lo scompiglio che oggi è visibile tra le sue fila.
Un prezzo ancora più caro lo pagherà il Governo se cercherà di utilizzare le donne come moneta di scambio per accontentare un settore ultraconservatore impegnato in una perenne crociata contro i diritti sessuali e riproduttivi delle donne o, cambiando un po' la visuale, strumentalizzando il nostro corpo ed i nostri diritti per risalire i sondaggi in prossimità delle elezioni.
La cerimonia di addio di Gallardón ha avuto come contraltare i festeggiamenti di migliaia di donne in tutti gli angoli dello Stato spagnolo e il suo aspetto depresso e sconfitto era l'altra faccia della medaglia dell'allegria di coloro che avevano avuto fiducia nel trionfo delle ragioni femministe e nella mobilitazione. Perché il ritiro del disegno di legge è una prima vittoria del movimento femminista, che ha dato impulso ad un profondo cambiamento nella nostra società, un vittoria che è il risultato delle mobilitazioni che si sono frapposte costantemente, alcune volte in modo più visibile, altre volte meno, altre ancora con grandi manifestazioni, con azioni provocatorie, con “escraches” (4), sit-in, occupazioni di centri di salute, di chiese, disturbando anche le sedute del Parlamento, con centinaia di iniziative da parte dei diversi gruppi femministi.
Una mobilitazione accompagnata da altre mobilitazioni, tra le quali quella degli operatori sanitari, in definitiva un'importante mobilitazione cittadina. E sempre con l'intento di spiegare che quando reclamiamo “Aborto libero, sono le donne a decidere”, si esige la sovranità sui nostri corpi, che è l'ultima cosa che si può strappare ad una persona e che quando difendiamo il nostro diritto a decidere, affermiamo la nostra condizione di soggetti di diritto, una rivendicazione femminista di giustizia sociale e democrazia reale.
Domenica 28 settembre, giornata internazionale per la depenalizzazione dell'aborto, in molte città ci saranno manifestazioni convocate dal movimento femminista. Sarà un'occasione magnifica per ritrovarci tutte e tutti e festeggiare, per dimostrare che “sì, se puede”.
E' stato possibile con Gallardón e sarà possibile con il Governo bloccare alcuni dei piani che il presidente Rajoy si è affrettato ad anticipare: nuove tagli alla capacità decisionale delle donne giovani e un “piano di protezione per la famiglia”, essendo chiaro che si tratta della “sua” famiglia radioattiva (per il suo carattere nucleare). Tutto ciò se non decidono di accelerare la decisione della Corte Costituzionale sul ricorso presentato contro la legge attualmente in vigore. Una legge che effettivamente richiede modificazioni, ma in una direzione radicalmente opposta a quanto proposto dal Governo, per ottenere che l'aborto venga escluso dal codice penale e si normalizzi come prestazione sanitaria pubblica.
Domenica prossima, doppiamente festiva, sarà anche l'occasione per rivendicare i diritti sessuali e riproduttivi, tra gli altri il diritto delle lesbiche ad accedere alla riproduzione assistita, perché tutte le donne migranti abbiano la tesserà della previdenza sociale, perché torni l'educazione sessuale nelle scuole, perché si rispetti l'autonomia e l'identità sessuale di tutte le persone.
La storia dà ragione alla nostra determinazione nel non cedere davanti a niente e a nessuno nella difesa del diritto a decidere sulla nostra vita e a rivendicare i diritti per tutte, però tutte, tutte, tutte le donne.
* Da Publico.es Traduzione di Marco Pettenella
Note:
(1) Alberto Ruiz Gallardón Jiménez tra il 1995 ed il 2011 è stato prima presidente della provincia di Madrid e poi sindaco della capitale [N.d.t.]
(2) Più volte ha cercato di far assegnare i giochi olimpici a Madrid [N.d.t.]
(3) http://www.communianet.org/content/il-codice-gallard%C3%B3n-trasforma-ne...
(4) Nome latinoamericano dato a quelle manifestazioni nelle quali un gruppo di attivisti si dirige
(1) Alberto Ruiz Gallardón Jiménez tra il 1995 ed il 2011 è stato prima presidente della provincia di Madrid e poi sindaco della capitale [N.d.t.]
(2) Più volte ha cercato di far assegnare i giochi olimpici a Madrid [N.d.t.]
(3) http://www.communianet.org/content/il-codice-gallard%C3%B3n-trasforma-ne...
(4) Nome latinoamericano dato a quelle manifestazioni nelle quali un gruppo di attivisti si dirige
26 settembre 2014
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