mercoledì 9 ottobre 2013

LA STRAGE DEL VAJONT CINQUANT'ANNI DOPO

Oggi ricorre il cinquantesimo anniversario della strage del Vajont,che provocò più di duemila vittime tra i paesi limitrofi alla diga e tutt'ora quella tragedia provocata dalla voglia di trarre profitti dell'uomo è rimasta impunita come tutte le stragi di Stato.
Brevemente il progetto della diga del Vajont nacque nel 1943 in epoca fascista ma solo nel 1957,con il permesso successivo della Repubblica italiana e con un piano rivisto in grandezza di dimensioni,si diede inizio ai lavori di costruzione per fermare il corso del torrente Vajont per ricavarvi energia idroelettrica.
Tra il 1959 ed il 1960 la più grande diga ad arco di tutto il mondo è pronta e comincia a formarsi il bacino d'acqua:la Sade,l'impresa che già dal 1943 aveva in mano tutta l'opera,sa che il monte Toc che fa da spalla ad una sponda del lago artificiale è a rischio di frane e tiene nascosto il tutto sperando che queste siano dilatate nel tempo e di piccola entità.
Nel dicembre del 1962 l'intero branco dell'energia elettrica viene nazionalizzata con l'istituzione dell'Enel,e la Sade avendo fretta di concludere il progetto forza il collaudo finale per poter vendere la diga allo Stato:il 9 ottobre dell'anno successivo accadde quello che purtroppo la cronaca ancora oggi ci ricorda a distanza di tanto tempo quando interi paesi e famiglie vennero spazzate via dalla forza della natura aiutata in maniera determinante dall'uomo.
L'articolo è preso da Senza Soste.

Vajont 9 ottobre 1963. Il vero responsabile è ancora a piede libero.
Già dal giorno dopo la tragedia si è cercato di oscurare la verità dei fatti. Tutta la stampa padronale si mobilita a mo' di scudo protettivo verso la gerarchia responsabile del disastro, dalle pagine dei giornali uscivano articoli sulla catastrofe naturale, sulla malignità della natura, su eventi che non si potevano prevedere, dove nessuno ha colpa. Giorgio Bocca scriveva sulla forza della natura che l'uomo non poteva dominare. Dino Buzzati esalta la tenuta della diga e sintetizza scrivendo che “un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui.” Il settimanale della Democrazia Cristiana La Discussione scrive: “Quella notte nella valle del Vajont si è compiuto un misterioso disegno d'amore”.
Oggi, nel cinquantesimo anniversario, ancora ci si ricorda di quella notte, i media trasmettono servizi con immagini e testimonianze, luoghi comuni e sentimento di unità nazionale, in ogni occasione eludendo la domanda del perché. O al massimo i perché vengono spiegati ancora con totali falsità (la più in voga ora il ritardo della geologia). O ancora le ultime rivelazioni-scoop da fotoromanzo della figlia di un notaio, il quale avrebbe assistito a conversazioni in cui si rivelava che la frana sarebbe stata provocata deliberatamente. Oltre ad aggiungere falsità si rilancia il revisionismo. Si vogliono celare le vere responsabilità e tutte le dinamiche dei fatti, nascondere le vere ragioni di quelle duemila morti nella notte del 9 ottobre 1963 nella valle del Vajont e a Longarone. Si sa, la verità è rivoluzionaria. La storia del Vajont è una storia esemplare in cui vengono alla luce le dinamiche basilari che ancor'oggi si ricalcano in altri contesti. Una storia dove ad ogni passo si riesce a seguire il filo conduttore dell'interesse economico di pochi che scavalca l'interesse delle masse popolari e la vita di innocenti.
Non è lo scopo di questo breve articolo entrare nei dettagli della storia dei fatti (recuperiamo invitando alla lettura del libro di Tina Merlin “Sulla pelle viva, Come si costruisce una catastrofe”), ma una semplicemente enunciazione può inizialmente far aprire gli occhi. A partire dalle modalità losche della concessione dei lavori; all'esproprio delle terre dei contadini; alla violenza sugli oppositori; alla complicità tra impresa costruttrice e stato; alla prostituzione di settori accademici; alla noncuranza della storia della valle; agli avvertimenti contemporanei alla costruzione della diga, come frane e crolli nei paesi circostanti e come la prima frana del Vajont nel 1960; all'imboscamento di studi scientifici che segnalavano elevati pericoli; al depistaggio riguardo segnali di scosse di terremoto e slittamenti della montagna; agli studi e ai lavori per provare ad aggirare un problema non più risolvibile (galleria di by-pass); ai lavori della diga pagati dai contribuenti due volte (prima attraverso finanziamenti dello stato e poi con l'indennizzo per la nazionalizzazione).. e ancor dopo la tragedia l'opera di falsificazione da parte di SADE, stato, e dei loro servi; l'elemosina verso i superstiti trattati come numeri; la speculazione di professionisti sui diritti dei superstiti; la speculazione con la “legge Vajont” (n. 357/1964) in cui venivano facilmente elargiti miliardi di lire ad imprese estranee al disastro per dare inizio allo sviluppo in quel nord-est ancora in ritardo.
Allora, come sempre, l'opera è spacciata come necessaria. Mentre in realtà la necessità è solo per un sistema barbaro. Ora grazie alla tarda riscoperta delle dinamiche dei fatti, all'opera di Marco Paolini, e anche grazie al film del regista Martinelli, alla riscoperta quindi del grande lavoro di denuncia fatto al tempo da Tina Merlin, molte persone riescono a capire che con il Vajont, usando le parole di Mauro Corona, “il 9 ottobre alle 22.45 duemila persone entrano nel nulla per ambizioni e interessi altrui”. Ma non tutti riescono ancora a scovare e capire la causa primaria.
Il Vajont non è l'esempio della vergogna della scienza e della tecnica, come alcuni ancora dicono, ma dell'uso che l'uomo piegato al profitto ne fa. Non per una malvagità naturale dell'uomo, che non esiste, ma come membro piegato ad una gerarchia di comando che domina sulla maggioranza della popolazione. Ogni problema tecnico si riduce ad un problema economico di premio che si ottiene riducendo i costi ed alzando i ricavi. E' il profitto il vero responsabile, e neanche il profitto selvaggio, semplicemente il profitto. Per cui lascia il tempo che trova andare a scovare le responsabilità personali, che certo ci sono, ma che sono tutte condotte alla grande responsabilità di morte di questa legge, alla responsabilità del sistema capitalistico.
E poco contano mere denunce, se non si fanno scendere in campo forze reali di mobilitazione e di lotta tenace contro questi meccanismi e contro questo sistema. Infatti, il lavoro svolto al tempo da parte del PCI (che di comunista aveva ben poco, un partito già corroso dal riformismo), l'unica forza che appoggiava le ragioni degli oppositori alla costruzione della diga, fu arrendevole, cioè si limitò a iniziative istituzionali (interpellanze, inchieste e ricorsi alla magistratura) ed ad una marcia per la sicurezza, quando anche un inviato speciale sul luogo del disastro disse “che a fronte di tale situazione e documentazione, i comunisti avessero dovuto fare la rivoluzione”. Il PCI, fuso nel sistema borghese, subì addirittura l'attacco lanciato da Montanelli che li definiva come sciacalli del Vajont. Il PCI rinunciò alla battaglia politica sul Vajont (scegliendo piuttosto un'azione umanitaria verso i superstiti), e rivendicò questa scelta. Tutta la storia e la filosofia del Vajont ovviamente non resta confinata a sé stessa, ma rilancia oggigiorno inevitabilmente ad altri casi. Casi in cui viene riproposto l'interesse del capitalismo contrapposto all'interesse delle masse popolari: terremoto de L'Aquila, TAV Torino-Lione, ILVA di Taranto, ponte sullo Stretto di Messina, Mose, Muos, sono solo alcuni esempi.
Ogni giorno il sistema capitalismo, tra crisi, guerre e disastri, mostra la sua decadenza. E' necessario prendere atto dell'anti-storicità di questo sistema di sfruttamento e barbarie, e quindi prendere parte attiva per il cambiamento e l'alternativa: per un governo dei lavoratori, per il socialismo)
ELDER RAMBALDI
PCL  BELLUNO

Nessun commento: