sabato 19 novembre 2011

DON VERZE',CIELLE,DEBITI E CAMORRA AL SAN RAFFAELE

Gli attacchi alla setta di Comunione e Liberazione che talvolta partono da questo blog hanno trovato l'ennesimo riscontro in settimana con l'arresto,le denunce e le perquisizioni nei confronti di vari rappresentanti della holding San Raffaele di Milano,creatura di Don Verzè che al pari di un altro Don,
Berlusconi,hanno in comune l'appellativo che si usa sia con i preti che con i mafiosi.
L'arresto del faccendiere Daccò,la perquisizione delle abitazioni del capoccia Verzè e di altri loschi individui sono frutto di una lunga indaginE degli inquirenti nata non solo dopo la morte di Mario Cal,ex braccio destro del prete diabolico,ma che comunque dopo il suicidio del suddetto hanno avuto una svolta decisiva.
Negli articoli proposti,il primo tratto da"Repubblica"con un'impronta di cronaca e il secondo tratto da
"L'espresso"che da un taglio più d'indagine visto che parla apertamente d'infiltrazioni camorristiche,raccontano dei debiti milionari che l'ospedale San Raffaele ha raggiunto nel corso degli ultimi anni e che nemmeno la banca vaticana dello Ior e le enormi sovvenzioni statali e regionali(solo la Lombardia fornisce 450mila Euro all'anno)hanno saputo essere d'aiuto.
E per forza,tra conti gonfiati per i fornitori e gli appalti per avere privilegi per entrambe le parti,conti esteri,mani in pasta in attività in tutto il mondo,aerei e yacht privati(a Don Verzè non piacevano tanto i controlli ai check in)e cupole,staute e abbellimenti vari per l'ospedale stesso i debiti ammontano a quasi 1 miliardo e 400mila Euro.
I nomi degli indagati e di chi comunque sa qualcosa affondano le radici proprio in CL che oltre a dissacrare il nome della chiesa fa addirittura concorrenza a camorra e 'ndrangheta(quando non collaborano assieme al compimento ed alla buona riuscita dei loro affari),e diciamocelo bene che questi sforzi economici  e criminali non c'entrano nulla con la salute delle persone o con la salvezza delle loro anime.

IL CASO

Blitz della finanza al San Raffaele.
anche don Verzè fra i sei indagati.
La perquisizione nell'ambito dell'inchiesta per la bancarotta del gruppo ospedaliero milanese.
Ieri sera il fermo del faccendiere Piero Daccò. Sono coinvolti anche i costruttori Zammarchi.

Fiumi di denaro "sottratti" alla Fondazione San Raffaele-Monte Tabor, oberata da un miliardo e mezzo di passivo e ammessa da poco al concordato preventivo, per poi finire su conti esteri o prendere altre vie. Non solo tramite bonifici, ma anche, è il sospetto, in contanti. Denaro che sarebbe uscito dalle casse del gruppo ospedaliero grazie a un giro di contratti strapagati e consegnato, si ipotizza anche in buste, dall'ex vicepresidente Mario Cal, morto suicida lo scorso luglio, a Piero Daccò, il consulente in rapporti d'affari con l'ente, che è stato fermato a Milano.

E' questa la ricostruzione dei pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, titolari dell'inchiesta per bancarotta aggravata che ha portato al fermo di Daccò e la guardia di finanza a effettuare una raffica di perquisizioni: fra queste anche lo studio e la 'cascina' dove vive don Luigi Verzè, il fondatore del San Raffaele, anche lui indagato, l'ufficio e l'abitazione della sua segretaria particolare e due yacht riconducibili al mediatore d'affari vicino al governatore lombardo Roberto Formigoni.

Una storia di sperperi e sprechi Il cupolone da 50 milioni di euro

A mettere inquirenti e investigatori sulle tracce di Daccò sono state le 25mila e-mail degli ultimi dieci anni ritrovate nel computer di Cal, il cui nome ricorreva spesso insieme a quelli (moltissimi) di fornitori, medici, professionisti e qualche politico. Da qui decine e decine di interrogatori di dipendenti del gruppo che hanno condotto a una conclusione: il mediatore di affari e consulente della Fondazione, nonché titolare di parecchie società sparse in vari Paesi, era una presenza costante negli uffici di Cal. Quasi come un "amministratore ombra". Lui, per esempio, a differenza di quasi tutti gli altri, poteva vedere l'ex braccio operativo di don Verzè senza prendere alcun appuntamento. Il suo nome, nelle agende dell'allora vicepresidente, negli ultimi tre anni è segnato quasi tutte le settimane.
A lui, come hanno testimoniato in molti, sarebbero state consegnate da Cal (o da altri al suo posto) buste con denaro. Consegne di contanti in nero su cui sono in corso accertamenti per capire come venissero usati e dove andassero a finire: si ipotizza comunque che in parte fossero stati veicolati in società estere riconducibili allo stesso Daccò per conto del San Raffaele. Tant'è che, come riporta il decreto di fermo, per i pm sussistono elementi per affermare che anche don Verzè era a conoscenza delle meccanismo legato alle sovraffatturazioni. Per la Procura si tratta di "gravi indizi" che, uniti ai tre episodi descritti nel dettaglio nel provvedimento di fermo, assieme al pericolo di fuga (la sua famiglia vive nel lodigiano, lui risiede a Londra e lavora in Svizzera), hanno spalancato le porte del carcere di Opera a Daccò. Ora i pm stanno preparando la richiesta di convalida del fermo e di custodia cautelare in carcere che domani finirà sulla scrivania del gip Vincenzo Tutinelli. Per dopodomani è atteso l'interrogatorio davanti al giudice.

A finire sotto inchiesta per concorso in bancarotta aggravata sono anche l'ex direttore amministrativo Mario Valsecchi, i costruttori-fornitori Pierino e Gianluca Zammarchi e Andrea Bezzicheri, loro socio nella Metodo. Lo si legge nel decreto di perquisizione in cui sono sintetizzate le tre operazioni contestate a vario titolo ai sei indagati, con cui sarebbero stati versati a Daccò circa 3 milioni e mezzo di euro: la prima riguarda il compito affidato al consulente di una ricerca sul mercato di un aereo Bombardier, mai trovato e retribuito con due milioni di euro (un contratto normale prevede un compenso di 20-30mila euro); la seconda 510mila euro finiti a Daccò, quale beneficiario della Harmann Holding con sede in Austria, e pagati dalla Fondazione per gestire contenziosi legali nei Paesi del terzo mondo; l'ultima, che risale al 23 e 24 dicembre 2008, riguarda il versamento di un milione di euro, tramite Metodo srl, all'austriaca M.T.B. riferibile sempre a Daccò, "con la fittizia e apparente causale di anticipo sull'acquisto di un immobile in Cile".

Operazioni che, come ha spiegato l'avvocato Giampiero Biancollella, il difensore del mediatore, "saremo in grado di chiarire". Così come "se sono state consegnate delle buste vi sarà analoga concreta spiegazione". Il legale, che definisce "pura follia ritenere che il suo cliente sia stato una sorta di amministratore ombra", esclude che avesse intenzione di recarsi in Israele " per sottrarsi alla giustizia".
(16 novembre 2011)
San Raffaele,odore di camorra.
di Paolo Biondani e Luca Piana

Dietro lo spaventoso buco di don Verzè ci sarebbero gli appalti milionari a un'impresa che obbediva alla criminalità organizzata. E' la pista seguita dagli inquirenti che indagano sul suicidio di Mario Cal
(18 agosto 2011)
Leggi San Raffaele, lo yacht e Formigoni
Piero Daccò, appena arrestato nell'indagine sul crac di don Verzè, è uomo vicino a Comunione e Liberazione. E su uno dei suoi panfili (perquisiti ieri) è stato ospite anche il governatore della Lombardia (16 novembre 2011)

Dietro i maxi-appalti edilizi del San Raffaele c'è una trama segreta da film di mafia. La storia drammatica di un'insospettabile azienda lombarda che per trent'anni viene strangolata da continui ricatti della camorra. Attentati. Assunzioni di mafiosi imposte con la paura. Prestiti in odore di usura. Visite intimidatorie nei cantieri finanziati dal grande ospedale privato. E la misteriosa gambizzazione di un politico che faceva da prestanome agli imprenditori taglieggiati.

I rapporti con il mondo degli appaltatori e fornitori, dall'edilizia all'energia, sono una delle direttrici di fondo delle inchieste giudiziarie che puntano a far luce sulla montagna di debiti che rischia di far fallire il grande polo ospedaliero fondato a Milano da don Luigi Verzè. E sulle cause dell'improvviso suicidio di Mario Cal, il manager che da anni era il braccio esecutivo del prete veronese. Indagini delicate. La prima ipotesi di reato è infatti l'induzione al suicidio: pressioni esterne che potrebbero aver spinto Cal a spararsi, la mattina di lunedì 18 luglio, proprio vicino all'ufficio di don Verzè. Oltre ai magistrati, anche Enrico Bondi, consulente dei nuovi amministratori scelti dal Vaticano, sta lavorando per rispondere a molte domande: quanti debiti ha accumulato don Verzè? E dove sono finiti i soldi?

Alcune decine di milioni di euro sono arrivati in misteriose società estere, con sedi in paradisi fiscali e bancari: il "Corriere della Sera" parla di finanziamenti a protettori politici e il "Sole 24 Ore" di affari con faccendieri condannati. In ogni caso, secondo testimonianze interne al San Raffaele raccolte da "l'Espresso", "il grosso del debito è nato in Italia". La società di revisione Deloitte ha certificato 948 milioni di scoperto con banche e fornitori. Aggiungendo altre voci, come leasing, garanzie e crediti dubbi, il passivo totale sale a 1 miliardo e 379 milioni. Ma il conto finale è destinato ad aggravarsi, visto che molte società collegate non hanno trasmesso alla Deloitte i dati richiesti.

In queste prime settimane di indagini la Guardia di Finanza sta passando al setaccio soprattutto l'archivio privato di Mario Cal: faldoni che il manager suicida custodiva in Brianza, ritrovati grazie a un dipendente fidato che ora è sotto choc. Il tribunale fallimentare ha rinviato al 15 settembre la decisione sul piano di salvataggio, altrimenti sarà il crac. Le entrate sono conosciute: il San Raffaele di Milano incassava 450 milioni l'anno solo dalla Regione Lombardia. Il mistero sono le uscite. Seguendo indicazioni filtrate dall'ospedale, "l'Espresso" ha ricostruito i rapporti con alcuni grandi fornitori. Scoprendo un intreccio di affari e trame di mafia che a Milano sembravano impensabili.

La storia segreta degli appalti del San Raffaele si apre quando la polizia inizia a indagare sulla gambizzazione di un politico. E' il 25 gennaio 2000 quando, nel centro di Milano, Emilio Santomauro, consigliere comunale di An e vicepresidente della commissione urbanistica, viene ferito da due colpi di pistola. L'attentatore resta senza nome. La polizia scopre solo che il politico ha appena chiuso una burrascosa relazione con Sonia Guida, figlia di Vincenzo (detto Enzo) e nipote di Nunzio Guida. Il padre della ragazza, arrestato nel '96, e lo zio, morto in Brasile da latitante, erano i capi della camorra a Milano fin dagli anni Ottanta: entrambi sono stati condannati per mafia con sentenza definitiva.

Fino al settembre 2006 il politico gambizzato figura come titolare del 50 per cento della Diodoro Costruzioni, ma le intercettazioni dimostrano che non è lui a comandare. Il vero dominus è Pierino Zammarchi, un imprenditore di origine bresciana che controlla una trentina di società. Negli stessi anni, dal 2001 al 2006, il fatturato dell'azienda edile schizza da zero a oltre 66 milioni di euro, grazie a un rapporto con l'ospedale di don Verzè che sembra quasi monopolistico: il San Raffaele affida i più ricchi appalti edilizi sempre alla Diodoro, che a sua volta lavora soprattutto per il sacerdote. Proprio in quegli anni il gruppo Diodoro stipendia, oltre alla figlia, anche la convivente e lo stesso boss Enzo Guida. Che nel marzo 2006, appena viene scarcerato, ottiene un posto di dirigente in una società controllata (Sten srl) per 4 mila euro netti al mese. La Diodoro gli ristruttura anche due case a Milano, senza chiedergli un soldo. I legami con il clan Guida sono tanto stretti che la procura arriva a inquisire gli imprenditori per il reato di intestazione fittizia di beni mafiosi: il politico Santomauro, che intanto è passato all'Udc, e l'imprenditore Zammarchi, secondo l'accusa, sarebbero prestanome della camorra.

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