martedì 4 maggio 2021

IN COLOMBIA AMMAZZANO

Da una settimana la Colombia è scossa da uno sciopero che ha già provocato decine di morti e che il mondo fa fatica a sapere delle disumane violenze compiute dalla polizia e dall'esercito del presidente Duque,l'ennesimo fantoccio al comando messo dagli Usa,e in tutte le città le manifestazioni di protesta sono bagnate dal sangue dei manifestanti.
Solamente on line ci si può districare per avere notizie,riporto un articolo(www.dinamopress.it )però già datata che spiega le ragioni del Paro Nacional indetto da più parti della società colombiana,dai sindacati agli studenti arrivando agli indigeni,in un clima già di tensione ma senza la guerra che si sta combattendo nelle strade e nelle piazze(vedi per la situazione a Cali :comitatocarlosfonseca.noblogs.org ).
Più che altro sono dei video a farci capire la situazione insostenibile in un paese provato più degli altri in Sud America(Brasile escluso)e che vorrebbe aumentare l'iva anche sugli alimentari di base mentre ovviamente le multinazionali e il settore finanziario non verrebbero toccati.
A gettare benzina sul fuoco le tensioni al confine con il Venezuela dove i soliti interessi legati al narcotraffico e al paramilitarismo tanto cari ai presidenti colombiani di estrema destra anche se accusano Farc e Caracas del contrario,traggono profitti enormi ovviamente prendendosi le briciole di quello che intasca lo zio Sam.
La solidarietà con i manifestanti colombiani è totale sperando che le violenze poliziesche smettano nell'immediato e che la protesta porti alla vittoria,che vuol dire dare un minimo di respiro in uno Stato duramente provato dalla pandemia e da presidenti al soldo degli Usa.

Proteste e scontri in Colombia contro la riforma fiscale.

Da due giorni mobilitazioni in tutto il paese contro la proposta di legge del presidente Ivan Duque. Se approvata, comporterà l’aumento dei prezzi dei generi alimentari in un paese già gravemente colpito dalla crisi pandemica e dalla violenza di Stato e dei gruppi armati 

di Alioscia Castronovo e Milos Skakal  

Pubblicato il 30 aprile 2021

Negli ultimi due giorni sono tornati ad inondare le strade colombiane cortei, blocchi stradali, azioni e manifestazioni del Paro Nacional lanciato dalle principali organizzazioni sindacali con l’adesione di movimenti studenteschi, popoli indigeni e altri settori sociali colpiti dalla crisi. Migliaia di persone sono scese nelle piazze diversi mesi dopo le grandi mobilitazioni del 2019 e del settembre 2020 in piena crisi pandemica. Proprio in queste settimane il paese sta attraversando uno dei peggiori momenti dallo scoppio della pandemia e mentre la sanità, da sempre privatizzata, si trova nuovamente sull’orlo del collasso, dopo mesi di coprifuoco i contagi stanno di nuovo aumentando vertiginosamente (19mila i contagi di ieri, con oltre 500 morti).

Nonostante la Colombia sia uno dei paesi più poveri e duramente colpiti dalla crisi economica e pandemica in America Latina, il governo di estrema destra Ivan Duque, legato a doppio filo con l’ex presidente Alvaro Uribe (accusato di legami con il paramilitarismo e il narcotraffico), è intenzionato a portare avanti una riforma fiscale che colpirà in maniera durissima le classi meno abbienti.

Il progetto di legge, presentato dal governo ma non ancora arrivato in discussione al Senato e al Congresso, vuole portate l’Iva al 19% su tutti i prodotti, anche su quelli alimentari di base, e aumentare le accise sulla benzina, senza toccare minimamente i settori finanziari e le grandi imprese che mantengono i loro vantaggi fiscali.

Intanto, le conseguenze della riforma sarebbero aumenti generalizzati dei costi dei servizi, luce, gas, acqua e dei prezzi degli alimenti, a fronte di una crisi economica conclamata. Ad essere colpite, in particolare, le economie popolari, informali, indigene e contadine, ma anche le classi popolari urbane delle grandi città. I ristori per la piccola e media imprenditoria e gli aiuti alle famiglie sono stati irrisori e molti settori, come quello dello spettacolo, non hanno ricevuto nessun tipo di sussidio. Intanto, sono state annunciate dal Presidente nei giorni precedenti della riforma fiscale spese per 14 miliardi di pesos per armamenti, dotazioni militari, uniformi e aerei da bombardamento.

Aumenta la violenza

Nel 2021 la violenza continua ad aumentare in tutto il paese: nei primi tre mesi dell’anno, 27.435  persone sono state sfollate a causa della violenza armata tra gruppi militari, paramilitari, dissidenze della guerriglia e narcotraffico; intanto, è arrivato a 271 il numero di ex guerriglieri assassinati dopo aver firmato la pace. Secondo Indepaz, inoltre, in questo inizio 2021 sono stati 31 i massacri con 116 vittime. La violenza dello spossessamento, dell’accumulazione e del narcotraffico non si ferma.

Nella città di Cali i collettivi femministi hanno denunciato che negli scorsi mesi ignoti hanno sequestrato almeno sette donne, ma nonostante le numerose denunce le forze dell’ordine non hanno preso sul serio i fatti accaduti.

Anche nella regione indigena del Cauca il conflitto per il controllo del territorio tra gruppi illegali armati continua a mietere vittime: una settimana fa, il 20 aprile, una delle leader del movimento indigeno caucano, Sandra Liliana Perez, è stata assassinata mentre procedeva all’eradicazione delle colture di coca.

Il Consiglio regionale indigeno del Cauca, di cui Perez faceva parte, ha convocato immediatamente la Minga hacia adentro, una mobilitazione indigena popolare finalizzata al controllo territoriale e alla lotta contro gli interessi del narcotraffico. Lo scorso 23 aprile la Minga è stata attaccata da ignoti nella zona di Caldono: almeno 31 persone sono rimaste ferite da colpi di arma da fuoco.

Mentre la violenza armata contro la popolazione non viene contrastata dalle forze dell’ordine, l’occupazione pacifica degli studenti dell’Universidad del Valle, sempre a Cali, è stata duramente sgomberata dalla polizia e da reparti di squadre speciali dell’esercito con il beneplacito della governatrice del Dipartimento e dal rettore dell’ateneo. Per cinque giorni l’università è stata presa in ostaggio dalla polizia in assetto antisommossa, intervenuta durante la conferenza stampa che gli studenti e i movimenti sociali stavano tenendo all’interno dell’ateneo. Sia l’altro ieri che ieri, durante lo sciopero, vi sono stati duri scontri tra studenti e polizia proprio attorno al campus universitario.

Viva el Paro Nacional!

In tutto il paese le manifestazioni che si sono susseguite ora dopo ora, ben oltre il coprifuoco decretato a Cali con l’obiettivo di disperdere la manifestazione, hanno sorpreso per la grande affluenza, in epoca di profonda crisi economica e sanitaria. A pochi giorni dal primo maggio, sindacati e movimenti sociali sono scesi in piazza in primo luogo, ci racconta al telefono un attivista da Cali, per esprimere rabbia e indignazione accumulate in questi mesi.

Il 28 aprile, il primo giorno di sciopero, è iniziato nella capitale con due concentramenti presso l’Università Distrital e il Parque Nacional con due cortei poi confluiti alla centralissima Plaza Bolivar, piena come non accadeva da tempo.

Ma fin dalla mattina in tutta Bogotá vi sono stati interruzioni del traffico stradale e mobilitazioni, con blocchi di ponti e strade dalla periferia sud di Usme fino ai distretti popolari di Suba a nord. Alla fine del corteo, nella piazza antistante il palazzo presidenziale, cariche e violenze della polizia hanno provato a disperdere la manifestazione e fino a notte inoltrata vi sono state dure repressioni e scontri. Nella notte però non si sono fatti attendere i cacerolazos dalle case e dai balconi che in tutti i quartieri hanno segnalato il sostegno popolare allo sciopero e l’opposizione di massa alla riforma fiscale e alle politiche di privatizzazione portate avanti dal governo con questa riforma.

A Cali, una delle principali città del paese nella regione del Valle del Cauca, si sono tenute le repressioni più forti, con l’imposizione del coprifuoco e la militarizzazione della città, annunciata oggi dal ministro della Sicurezza a fronte delle grandi manifestazioni di questi giorni.

La giornata di protesta è cominciata alle prime luci dell’alba: decine di indigeni Misak hanno abbattuto la statua del fondatore della città, Sebastián de Belalcázar, colonizzatore spagnolo responsabile del massacro e dell’oppressione dei popoli che vivevano nel sud-occidente colombiano da ben prima dell’arrivo dei conquistadores.

Contemporaneamente, le e i manifestanti si riunivano in cinque diversi punti della città bloccando tutte le principali vie di accesso alla metropoli, bloccata per due giorni la Panamericana e soprattutto chiudendo l’unica arteria che collega il porto di Buenaventura, sull’oceano Pacifico, con il resto del paese.

Il governo ha annunciato che sospenderà l’invio di vaccini nella città di Cali e nel dipartimento Valle del Cauca, epicentri della protesta di questi giorni. Una dichiarazione vergognosa che ha scatenato ancora più indignazione nel paese.

«È brutalità pura, non dissimulano più nulla, emerge chiaramente come per loro sia il popolo il nemico, questo è ciò che mostra chiaramente il governo» racconta ancora un attivista di Cali, «nelle strade ci sono lavoratori, donne, indigeni, neri, giovani, che si stanno organizzando spinti dall’indignazione e dalla fame, e la solidarietà emerge nelle strade perché tutti sentiamo dolore per quello che stiamo vivendo in questo paese. Domani torneremo ancora in piazza».

A Popayán, capoluogo del Dipartimento del Cauca, una delle regioni ancora pesantemente colpite dal conflitto armato, il corteo composto prevalentemente dal movimento indigeno che si apprestava ad entrare in città è stato attaccato diverse volte dai reparti antisommossa dell’Esmad.

Secondo il bollettino emesso dalla Commissione di garanzia per i diritti umani del coordinamento per lo sciopero nel Dipartimento del Cauca, due giornalisti, due osservatori per i diritti umani e 19 manifestanti sono stati feriti dalle forze dell’ordine, mentre durante la giornata almeno quattro persone sono state arrestate. Un altro fatto rilevante riguarda il movimento dei Senza tetto, che durante la mobilitazione ha occupato dei terreni nei sobborghi della città: nella notte, sotto una pioggia battente, la mobilitazione ha subito vari tentativi di sgombero da parte della polizia, portati avanti anche a colpi di arma da fuoco. Alla fine, più di duemila famiglie hanno dovuto abbandonare l’occupazione, senza trovare un posto dove ripararsi. Nella notte, proteste del personale sanitario dell’Ospedale Universitario in lotta contro il governo e contro la repressione della polizia.

A Pasto, nell’estremo sud del paese, un grande corteo ha attraversato le strade della città con canti e balli. La partecipazione, molto importante, ha visto il protagonismo delle giovani generazioni e le caratteristiche della mobilitazione assomigliavano molto a un carnevale. Purtroppo anche lì la polizia ha attaccato le e i manifestanti e alla fine della giornata sono state riportate numerose testimonianze di persone ferite dal lancio di cartucce di gas lacrimogeni.

Secono la rete Defender la Libertad durante le manifestazioni del 28 aprile, 49 persone sono rimaste ferite, 73 arrestate nelle città di Bogotá, Cali, Yopal, Neiva, Ibagué, Pasto, Villavicencio y Barranquilla. Ci sono state 14 perquisizioni, 10 aggressioni contro organizzazioni che promuovono la difesa dei diritti umani e del diritto a manifestare e 78 denunce contro la polizia per gli abusi e le violenze compiute durante la repressione contro le manifestazioni di massa che hanno attraversato decine di città ed in particolare la capitale del paese. Secondo diverse fonti nella giornata vi sarebbero state tre persone uccise a Cali e una a Neiva; sono in corso accertamenti per comprendere in quali dinamiche siano avvenute queste morti, ma alcuni video mostrano chiaramente poliziotti sparare colpi di arma da fuoco sulla folla.

Dopo la prima giornata, il comitato organizzatore dello sciopero ha rilanciato la protesta: anche ieri si sono ripetute proteste e blocchi stradali, ma anche saccheggi nei supermercati, scontri con le forze dell’ordine, barricate sulle strade, sulle autostrade e sui ponti che connettono città e regioni del paese.

Sui cartelli appaiono scritte come «Vogliamo vivere, non sopravvivere» oppure «Bisogna cacciare i delinquenti dal governo» per sottolineare che di fronte all’incapacità dello Stato di gestire la crisi economica ogni protesta è legittima. «Chi ha dato l’ordine di sparare e uccidere?» si legge su molti cartelli, così come «Non dimentichiamo i 6402 falsi positivi [giovani dei quartieri poveri sequestrati dalle forze militari e uccisi, poi presentati come guerriglieri caduti in battaglia]» fino a «Ci stanno uccidendo e non è il Covid!».

Molti striscioni denunciano anche il ruolo dell’esercito riguardo alla violenza che continua a imperversare nel paese: è ancora vivo il trauma suscitato dall’uccisione di 14 minorenni durante un bombardamento dell’aviazione militare contro un campamento guerrigliero, avvenuto all’incirca un anno fa nella regione del Caqueta, così come la durissima repressione che ha portato a 14 giovani assassinati dalla polizia lo scorso settembre.

Intanto la contestazione si estende, diversi presidi e azioni di solidarietà si sono tenuti in varie città latinoamericane ed europee. Nel paese, intanto, si stanno costruendo nuovi spazi di organizzazione politica ed elettorale verso le prossime elezioni, con l’obiettivo di aprire nuovi processi politici capaci di raccogliere il dissenso diffuso rispetto alle politiche neoliberiste e di guerra dell’estrema destra filo-statunitense al governo.

Nuova ondata di proteste?

In questo clima che attraversa il paese, questa nuova ondata di mobilitazioni del Paro Nacional ha spiazzato i media e il governo, segnalando la forte opposizione sociale grazie alla presenza moltitudinaria nelle strade ma anche con un forte sostegno popolare come emerso dai cacerolazos in tante città. Mentre il Senato e il Congresso non hanno ancora iniziato la discussione della riforma, la protesta continua, segno il limite della sopportazione popolare è stato oltrepassato dal governo e dal potere economico nel paese.

Domani a Cali le comunità territoriali lanceranno cucine e mense popolari nei punti di blocco, musica e punti di solidarietà, occupando la città e rilanciando la lotta.

«Questa è la minga, mutualismo, aiuto reciproco, musica, riprenderci il territorio. Stanno massacrando chi ha firmato la pace, vogliono tornare alla guerra. La protesta comincia per la riforma fiscale, ma non si tratta solo di questo, è molto più di questo. Siamo stanchi, diciamo basta Duque, basta Uribe, basta paramilitari al governo», ci racconta ancora da Cali un attivista che preferisce rimanere anonimo, con la voce emozionata, mentre si ascolta un cacerolazo di protesta sullo sfondo, dalle case e dai quartieri.

Contro la riforma fiscale neoliberista, l’aumento del costo della vita, il saccheggio e le privatizzazioni che il governo intende portare avanti per garantire l’accumulazione delle oligarchie e delle multinazionali, una nuova ondata di proteste si è scatenata.

In un paese che soffre la fame, la pandemia di Covid e l’inadeguatezza delle strutture sanitarie, mentre senza sosta prosegue e si intensifica la violenza militare e paramilitare, sono le mobilitazioni popolari a riportare l’indignazione e la dignità nelle strade e nelle piazze, in piena crisi e ad un anno dalle prossime elezioni presidenziali.

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