Il reality del vaccino per non parlare dei 70mila morti.
di Alessandro Avvisato
Lo show del vaccino ha preso la mano ai maghi (piuttosto scarsi) della comunicazione installati al governo. Un giorno ci diranno di chi è stata l’idea di far resocontare passo passo il viaggio di un furgone tipo gelataio dal Belgio fino a Roma.
Sembrava la processione del santo patrono, con i cronisti emozionati che dicevano “sta passando la frontiera”, “sta percorrendo l‘autostrada del Sole”, ecc. Per fortuna si sono astenuti dal dare in diretta le fermate all’autogrill per rifare il pieno e per le necessità fisiologiche dell’autista…
Tutto questo per appena 9.750 dosi del prodotto Pfizer, di cui la Germania aveva “trattenuto” nello stesso giorno 150.000 fialette. Spiegando nella pratica quale sia lo “spirito europeo” che pervade le istituzioni di Bruxelles e i rapporti (di forza) tra i vari Stati.
Comprensibile che questo primo, limitato, lotto servisse soprattutto a scopo simbolico, per segnalare l’avvio della fase operativa che sperabilmente ci dovrebbe portare fuori – ne giro di otto-nove mesi – dalla fase peggiore.
Ma a nessuno può sfuggire l’assurdo di far viaggiare quel piccolo carico su un furgone per 1.500 chilometri per poi redistribuirlo tra le varie regioni italiani con aerei.
Lo spettacolo, è evidente, serve al governo per sotterrare almeno temporaneamente le enormi responsabilità di tutta la classe dirigente italiana (e occidentale, bisogna dire) nella gestione stragista delle pandemia. Oltre 70.000 morti, finora, di cui nessun vuol prendersi la responsabilità e che logicamente aumenteranno di molto da qui al completamento del programma vaccinale.
Parliamo da sempre di “classe dirigente” e non solo di “classe politica”, perché le responsabilità vanno riconosciute soprattutto a Confindustria – che ha imposto fin dall’inizio che le fabbriche (tutte) continuassero a lavorare – e alle varie associazioni di commercianti, esercenti, discotecari, ecc, che hanno preteso valanghe di eccezioni a ogni tentativo di limitare la diffusione del virus.
A questo “blocco sociale imprenditoriale” governo e Regioni hanno steso il tappeto rosso davanti ai piedi, assecondando ogni desiderio fin quando i posti letto in terapia intensiva non segnalavano l’allarme rosso. Solo allora, più volte, il governo ha riproposto brevi lockdown senza peraltro organizzare mai l’unica misura sanitaria efficace: una campagna di tamponi di massa per individuare e isolare quanti più positivi possibile.
Il risultato – in Italia come in Europa e a maggior ragione negli Usa o in altri “paradisi” del neoliberismo – è sotto gli occhi di tutti: oltre 80 milioni di contagiati, quasi 1,8 milioni di morti, economia a pezzi.
Scorrendo le classifiche del disastro, non si può non notare come il “civile e democratico Occidente” sia un campione inarrivabile nel disprezzo della vita dei propri cittadini. E come invece Paesi anche molto più poveri abbiano fin qui protetto la popolazione con efficacia.
Non solo la Cina o Cuba, di cui parliamo spesso. Il Vietnam, per esempio, con i suoi quasi 100 milioni di abitanti, registra 1441 contagiati e appena 35 morti. Tutto dipende insomma da cosa fai quando scopri i primi contagiati: o blocchi tutto intorno ai focolai oppure lasci perdere per “non fermare l’economia”.
Ovvio che dopo un simile disastro, quella del vaccino sia al tempo stesso una soluzione concreta e una formidabile occasione di propaganda spicciola. Tener distinti e presenti questi due aspetti è importante per restare sempre con i pedi attaccati per terra. Perché va certamente denunciata l’operazione “vaccino show”, ma bisogna anche pretendere che la campagna di vaccinazione proceda spedita.
Tenendo presente che uno degli effetti terribilmente negativi del “reality vaccino” può essere quello di “comunicare” a una parte della popolazione, giustamente esasperata dai continui stop & go che distruggono la vita oltre che parecchie attività commerciali, un prematuro senso di “è finita, riprendiamo a vivere come se niente fosse”.
Paradossalmente, inoltre, proprio il fatto che si veda quanto è sfacciata l’operazione propagandistica rischia di essere il miglior incentivo per i (pochi) negazionisti rimasti su piazza. E forse anche loro sono tornati molto utili ad una classe dirigente immonda.
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