Fino ad ora in questo blog avevo parlato di ricatti in ambito lavorativo solo ed esclusivamente citando la Fiat,ma quello che sta decidendo in queste ore con la multinazionale Electrolux che vede impiegati nelle proprie fabbriche in Italia più di cinquemilasettecento dipendenti,assume un possibile e pericoloso precedente per quanto riguarda le politiche sociali ed economiche nel mondo del lavoro.
Infatti l'azienda minaccia di andare in Polonia se i lavoratori non si taglino lo stipendio di una percentuale che fa riferimento ad una somma che per ora non si è ancora ben capito di quale entità,si va da un minimo di 150 Euro ad un massimo di 700 Euro,e comunque con la chiusura quasi certa di un intero stabilimento.
L'articolo di Senza Soste,con al termine altri link interessanti,ci fa capire come negli ultimi anni si siano persi non solo i diritti maturati a fatica in più di un decennio di lotta,ma che ci sia la beffa ulteriore di vedere sindacati allo sbando che non riescono per nulla a tutelare chi lavora riuscendo a perdere garanzie e diritti anche nei casi dove alla meno peggio si potrebbe mantenere lo stato attuale delle cose.
Electrolux testa d'ariete contro i salari in Italia. Tagli, ricatti e minacce di andare in Polonia
I padroni lavorano assieme come un branco di lupi attorno al gregge. Scomparsi - o molto diminuiti di numero e forza - i cani pastore del movimento operaio, i padroni colpiscono uniti pur marciando divisi.
Per un trentennio hanno lavorato ai fianchi, erodendo pezzo dopo pezzo le conquiste strappate nel “decennio rosso” degli anni '70. Hanno potuto contare sulla complicità progressivamente più ampia dei sindacati “classici”, poi Marchionne ha aperto il fuoco sul diritto di rappresentanza e di contrattazione, vietando l'agibilità nelle sue fabbriche a tutte quelle sigle – persino la Fiom, ancora parte importante della Cgil – che non obbedivano rapidamente ai sui diktat.
Quel “modello Pomigliano” che doveva “restare un'eccezione unica” - “la Campania è terra difficile”, si sa, “tra camorra e pelandroni” - è ormai diventato “Testo Unico” propostoa ddirittura da Cgil-Cisl-Uil come fosse una legge.
Ora parte l'attacco finale: direttamente al salario.
Il compito di aprire il varco nella diga se l'è assunto la svedese Electrolux, cui è stata regalata qualche anno fa l'”italianissima” Zanussi. I proprietari, adducendo come motivazione il perdurare della crisi, che ha colipo anche e soprattutto gli elettrodomestici (si è tornati a riparare anche l'irreparabile, pur di risparmiare qualcosa) hanno presentato un piano per “salvare” i quattro stabilimenti italiani a rischio chiusura.
Le condizioni sono di quelle segnano un salto di epoca: secondo i primi calcoli prudenziali (i padroni non parlano mai di “salario netto”, ma sempre di molte voci correlate e reciprocamente dipendenti), fatti nientemeno che dai sindacati “complici, è stato proposto un taglio dei salari che in media porta gli attuali 1400 euro al mese a poco più della metà. 700-800 euro al mese, orario di sei ore al giorno. Come stare in cassa integrazione, ma lavorando.
I padroni ovviamente minimizzano, diramando una nota pelosa: «Di fronte al rimbalzare di numeri ed evidenze che possono fuorviare la serenità del confronto e generare inutili allarmi, Electrolux intende riassumere alcune delle ipotesi di lavoro che oggi sono state proposte ai rappresentanti dei lavoratori. La proposta tutta da discutere del costo dell’ora lavorata prevede una riduzione di 3 euro. In termini di salario netto questo equivale a circa 8% di riduzione ovvero a meno 130 euro mese.
Lo scarto tra i due calcoli sarebbe troppo clamoroso. Senonché bisogna guardare i dettagli: Electrolux parla di “salario orario”, ma è chiaro che se si taglia anche l'orario il crollo dello stipendio mensile assume le dimensioni clamorose del dimezzamento. In più bisogna tener conto che gli stabilimenti sono tutto posizionati tra Veneto, Friuli e Forl'; un territorio dove la frammentazione produttiva e abitativa fa sì che quasi tutti i lavoratori, di qualsiasi azienda, debbono percorrere quotidianamente decine di chilometri. Defalcando quindi anche le spese per carburante e autostrada, dello stipendio resta ben poco...
Nel corso dell’incontro l'azienda ha chiesto inoltre di per un triennio degli incrementi del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli scatti di anzianità, naturalmente per “raffreddare l’effetto inflattivo del costo del lavoro, responsabile del continuo accrescere del gap competitivo con i paesi dell’est Europa”.
Non basta. Di primo acchitto l'azienda ipotizzava anche un taglio dell’80% ai 2700 euro di premio aziendali, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e permessi sindacali (-50%) e lo stop agli scatti di anzianità.
Ma anche questo non sarebbe sufficiente a salvare l'occupazione, nemmeno se resa “semigratuita”. La sopravvivenza degli stabilimenti varrebbe soltanto per tre di essi, ma con ulteriori esuberi per Susegana (331), Forlì (160), Solaro (182). Porcia è invece condannata alla chiusura, a meno di un'accettazione piena della proposta-capestro e alla posibilità – non certezza – che in aprile l'azienda decida di sviluppare e produrre lì il nuovo modello di lavatrice (Pilot One).
Tutto questo massacro salariale, secondo il padrone svedese, potrebbe però produrre una riduzione di “soli” 3-5 euro medi, in un costo del lavoro – comprensivo di tasse e contributi previdenziali – calcolato in 24 euro l'ora.
Il “concorrente” diretto dell'operaio italiano, secondo Electrolux, è infatti il polacco, che si accontenta – come costo del lavoro complessivo – di soli 7 euro l'ora. Se i dipendenti italiani non accettano, la Polonia sarà felice di ospitare anche quest'altra azienda. Cncorrenza globale tra lavoratori poveri, il salario tende irreversibilmente verso il punto più basso a parità di altre condizioni (la Polonia confina con la Germania, la rete infrastrutturale è in sviluppo continuo grazie ai capitali tedeschi, non esiste un vero “gap” tecnologico tra la produzione del “bianco” tra i due paesi).
L'obiettivo economico è ridurre il costro di produzione di 30 euro al “pezzo”, ma tutto questo disastro appena descritto ne eliminerebbe soltano 7,5 (per quanto si dica, infatti, nelle grandi imprese il costro del lavoro è una voce frazionale dei costi complessivi (ferro, alluminio, componenti elettroniche, energia, trasporto, vernici, ecc). Quindi l'azienda si attende clamorose iniziative del governo o degli enti locali per “diradare” la selva dei costi (per quanto in loro potere, a cominciare dalle tariffe elettriche) o concedere robusti "incentivi".
La prima risposta, quella del ministro dello sviluppo, Flavio Zanonato, è semplicemente agghiacciante e chiarisce bene cosa il governo pensi in materia di salario per tutti i lavoratori di questo paese. «I prodotti italiani nel campo dell’elettrodomestico sono di buona qualità ma risentono dei costi produttivi, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, che sono al di sopra di quelli che offrono i nostri concorrenti. E’ necessario dunque ridurre i costi di produzione, in Italia c’è un problema legato all’esigenza di ridurre il costo del lavoro».
Se vogliamo finire tutti sul lastrico a mendicare, basta tenersi governanti con questa testa.
Per chi ancora nutrisse illusioni sul Pd in questioni di lavoro, ecco un twit illuminante dell'"onorevole" Serra, collega di partito di Zanonato:
Quest'anno ricorre il quarantaduesimo anniversario della strage voluta dal governo britannico avvenuta a Derry in Irlanda del Nord il 30 gennaio del 1972,dove tredici persone morirono ammazzate dai soldati paracadutisti inglesi(un'altra vittima morirà per le ferite riportate dopo qualche mese)che spararono addosso a dei manifestanti durante un corteo indetto per la tutela dei diritti civili.
Essendo stato un paio di volte a Derry,l'ultima volta però nel 2000,la città trasuda la passione e la rabbia di un popolo che mal sopporta(è un'eufemismo)l'invasione di Londra nel proprio tessuto sociale,e un frutto di tale infiltrazione è data per l'appunto anche dal nome britannico imposto alla città che sarebbe Londonderry.
L'articolo preso dal sito"The five demands"che si occupa di informazione socio-politica del Nord Irlanda(http://thefivedemands.org/2014/01/30/anniversario-bloody-sunday-bandiere-dei-para-a-derry/ )pone un articolo dove è evidenziato il fatto che alla vigilia della data siano state affisse per la città da centinaia di bandiere Union Jack e da bandiere con lo stemma dei parà assassini,con tutti i gruppi repubblicani che hanno protestato con quelli unionisti per questa provocazione,l'ennesima che la popolazione irlandese deve affrontare.
Da vedere assolutamente il film"Bloody sunday"del 2002 di Paul Greenglass che racconta i fatti accaduti quella domenica di sangue in una maniera veritiera,una pellicola che però ti mette addosso un disagio ed una rabbia difficili da cancellare.
ANNIVERSARIO BLOODY SUNDAY, BANDIERE DEI PARÀ A DERRY
Anche quest'anno,nel giorno della vigilia del 42° anniversario della Bloody Sunday,Derry è stata invasa di bandiere del Reggimento Paracadutisti,responsabile del massacro.
A Derry l’offesa non è stata risparmiata nemmeno quest’anno: ad essere cosparsa di bandiere dei parà è stata soprattutto l’area di Newbuildings.
A denunciare la provocazione i gruppi Repubblicani di ogni fronte: da parte di tutti l’appello è ai politici unionisti perché agiscano senza esitazione e rimuovano le bandiere.
“Chi ha eretto quelle bandiere lo ha palesemente fatto con l’intento di provocare una reazione da parte della comunità nazionalista”, ha dichiarato Michael McCrossan, presidente dell’Ógra Sinn Féin di Derry. “Adesso tocca ai politici unionisti mostrare una leadership forte per aiutare a stemperare le tensioni”.
Domani, 30 gennaio 2014, segnerà il 42°anniversario dalla strage passata alla storia come Bloody Sunday: il Reggimento Paracadutisti aprì il fuoco su una manifestazione pacifica contro l’internamento, uccidendo tredici persone sul colpo. delle quali sette sotto i vent’anni. Una quattordicesima vittima morì dopo qualche mese per le ferite riportate.
Nonostante nel 2011 il Governo britannico abbia riconosciuto che le vittime erano innocenti e che le azioni furono “ingiustificate ed ingiustificabili”, nessuno dei soldati responsabili è stato mai processato.
L’annuale marcia di commemorazione – la March for Justice nella quale i familiari ogni anno richiedono giustizia – si terrà il 2 febbraio. Il corteo lascerà i Creggan Shops alle 14:30.
Il 29 gennaio del 1995 moriva assassinato da un tifoso milanista con un colpo di coltello al cuore il giovane compagno Vincenzo Spagnolo,ultrà genoano che è stato vittima di un vero e proprio agguato da parte di pseudo ultras armati durante uno scontro avvenuto nei pressi del Marassi.
Ancora oggi ci sono stati momenti di raccoglimento e di commemorazione da parte dei familiari,dei compagni e degli amici di Vincenzo(chiamato Claudio dagli amici o semplicemente"Spagna")che hanno reso omaggio all'uomo,all'ultrà e al compagno che militava nel Centro Sociale Zapata,dove un paio di volte molti anni addietro ho potuto partecipare a dei concerti organizzati proprio in suo onore.
Un saluto a te e a tutti i compagni genoani e genovesi,perché e proprio vero che vivere nel cuore di chi resta non è morire:hasta siempre Spagna!
Articolo preso dal sito ufficiale del Genoa Calcio.
Famigliari, amici, tifosi. Il papà Cosimo. Il vicepresidente Gianni Blondet. Come ogni anno, il 29 gennaio, sul piazzale antistante lo stadio, si è tenuta la commemorazione di Vincenzo Claudio Spagnolo. Vicino alla targa che ricorda la sua uccisione: “per mano assassina antisportiva”. Correva l’anno 1995, prima della gara con il Milan. Oggi è stato il giorno del raccoglimento. E l’occasione per stringersi intorno ai suoi cari, che in questi anni hanno dato lezioni di saggezza e umanità, coraggio e dignità, senza la pretesa di imporre le loro parole improntate al buon senso. Con il desiderio di condividerle con quanti hanno avuto orecchie per ascoltare e cogliere i loro messaggi di pace. Sul luogo della commemorazione il Genoa ha deposto un mazzo di fiori. Altre iniziative sono in programma per la prossima gara interna. Vivere nel cuore di chi resta non è morire. Ciao Spagna.
Ci risiamo,e puntuale come la morte ecco che una folta delegazione di parlamentari italiani si sono fatti un viaggetto a spese nostre per andare a trovare i due marò che vivono la loro prigionia dorata nell'ambasciata italiana a Nuova Delhi con tutti gli agi ed i lussi di cui si circondano solitamente i rappresentanti italiani all'estero.L'articolo preso da Repubblica.it parla della scampagnata asiatica fatta per portare il saluto e l'affetto degli italiani(!?),il mio no di certo,ai due assassini fascisti pizzicati due anni orsono al largo delle coste del Kerala.
Qui sotto si parla di una nuova verità saltata fuori ultimamente da uno dei due militi,Latorre,che parla di colpi intimidatori sparati in acqua e del delitto dei pescatori indiani avvenuto all'interno del porto di Kochi e non al largo come da sempre detto e creduto.
Ognuno ha il potere di esprimere la propria linea difensiva,ma questa ennesima spiegazione dei fatti contestati agli italiani è l'ennesimo tentativo di tornare in patria da eroi senza poter essere giudicati com'è giusto che sia dalle autorità indiane,che ultimamente stanno incartandosi sulle loro procedure di giustizia con il rischio di vedere volare via i due imputati per vizi di forma.
Marò, Latorre ai cronisti: "Dite la verità".
Così il fuciliere della Marina militare italiana durante un incontro all'ambasciata italiana a New Delhi. Riparte, intanto, la nostra delegazione parlamentare.
NEW DELHI - "Scrivete la verità" perché altrimenti è un male. E' l'appello lanciato dal fuciliere di Marina, Massimiliano Latorre, parlando con i cronisti all'ambasciata italiana a New Delhi. "Ci sono due inchieste aperte. Non posso essere io a chiarire le cose", ha aggiunto. Il marò, trattenuto in India dal febbraio 2012 assieme al suo collega Salvatore Girone, in una conversazione con i giornalisti che hanno accompagnato la delegazione di parlamentari italiani in missione a New Delhi ha invitato poi "a riascoltare l'intervista al comandante in seconda della petroliera Enrica Lexie Noviello" per avere un quadro più chiaro sulla loro complicata vicenda. Raggiunto al telefono nel marzo scorso, il comandante Noviello aveva definito "un'invenzione" la morte dei pescatori indiani. Secondo la sua ricostruzione, infatti, i due marò avrebbero sì sparato ma dei colpi di avvertimento in acqua, secondo le procedure previste. Lo scontro a fuoco ci sarebbe effettivamente stato ma all'interno del porto di Kochi e senza il coinvolgimento dell'Enrica Lexie, bensì tra la guardia costiera locale e l'imbarcazione sospetta che stava tentando l'approccio alla nave su cui si trovavano i fucilieri della marina italiana. Latorre ha poi concluso il suo intervento con un auspicio: "Mi auguro di tornare a casa per Pasqua". Una decisione da parte della Corte indiana è
attesa entro il 3 febbraio prossimo. Intanto si è conclusa la missione italiana che ha portato in India una maxi-delegazione parlamentare per dare sostegno morale ai due marò ma soprattutto per fare pressione sul governo locale. Tra loro Pierferdinando Casini, Cicchitto, Gasparri e il 'cinquestelle' Orellana.
Vorrei proporre per oggi,Giornata della Memoria dell'Olocausto ebraico,un'intervista presa da"Il Fatto Quotidiano"che riporta un lavoro del giornalista Enzo Biagi che fece nel 1982 con Primo Levi,antifascista partigiano ed ebreo.
Parole attuali e pesanti dette quasi due decenni prima di questa data istituzionalizzata dalla Repubblica italiana,che ha voluto porre un giorno simbolo per ricordare lo sterminio di milioni di ebrei,ma anche di rom,omosessuali,oppositori del regime,testimoni di Geova,comunisti e malati irrecuperabili.
Solo un paio di parole invece sulle teste di maiale recapitate a Roma presso punti strategici che rappresentano la comunità ebraica e su cui bisognerebbe solo fare un accenno visto la totale ignoranza e povertà umana che queste che non sono nemmeno bestie perché sarebbe un'offesa anche per le bestie stesse,degni rappresentanti dell'estrema destra che evidentemente prova paura e un senso d'inferiorità universale.
Tralasciando tutto quello che poi è accaduto e che sta vicino al mondo ebraico,perché temi come la Palestina e l'antisemitismo confuso con l'antisionismo meritano discorsi a parte,l'idea covata da decenni,ancor prima della seconda guerra mondiale di una nazione e di un popolo al di sopra di tutto e di tutto è antica,vergognosa ed irrazionale,e come detto prima dettata dalla paura.
E l'Italia,complice del delitto di massa perpetrato nel tempo più grande della storia,che con le sue leggi razziali ha contribuito alla Shoah rastrellando ebrei ed oppositori del fascismo ammazzandoli sul posto o mettendoli sui treni della morte,ancora non ha superato del tutto quella fase nata alla fine degli anni trenta,visto che ancora in troppi non solo non conoscono la storia,ma anche conoscendola magari anche a spanne nega che tutto questo sia mai accaduto e comunque ha nostalgia di quello che è successo.
Oltre all'articolo qui sotto propongo la visione di un film documentario dei registi francesi Eyal Sivan e Rony Brauman"Uno specialista-Adolf Eichmann,ritratto di un criminale moderno"che altro non è che il processo tenuto a Gerusalemme contro colui che ha pianificato lo sterminio ebraico:dalla sua bocca escono parole a volte lucide e altre confuse di un criminale che ha fatto della banalità del male il suo lavoro come se fosse quello di un qualsiasi impiegato.
Enzo Biagi intervista Primo Levi: “Come nascono i lager? Facendo finta di nulla”
L'incontro tra il partigiano antifascista torinese e il giornalista andò in onda su Raiuno l'8 giugno 1982 nel programma "Questo secolo". Lo scrittore raccontò la sua vita dal capoluogo piemontese al campo di concentramento polacco di Auschwitz e ritorno: "Non credemmo a quanto dicevano gli inglesi sullo sterminio degli ebrei. Eravamo stupidi e anestetizzati: abbiamo chiuso gli occhi e in tanti hanno pagato"
Levi come ricorda la promulgazione delle leggi razziali?Non è stata una sorpresa quello che è avvenuto nell’estate del ’38. Era luglio quando uscì Il manifesto della razza, dove era scritto che gli ebrei non appartenevano alla razza italiana. Tutto questo era già nell’aria da tempo, erano già accaduti fatti antisemiti, ma nessuno si immaginava a quali conseguenze avrebbero portato le leggi razziali. Io allora ero molto giovane, ricordo che si sperò che fosse un’eresia del fascismo, fatta per accontentare Hitler. Poi si è visto che non era così. Non ci fu sorpresa, delusione sì, con grande paura sin dall’inizio mitigata dal falso istinto di conservazione: “Qui certe cose sono impossibili”. Cioè negare il pericolo. Che cosa cambiò per lei da quel momento?Abbastanza poco, perché una disposizione delle leggi razziali permetteva che gli studenti ebrei, già iscritti all’università, finissero il corso. Con noi c’erano studenti polacchi, cecoslovacchi, ungheresi, perfino tedeschi che, essendo già iscritti al primo anno, hanno potuto laurearsi. È esattamente quello che è accaduto al sottoscritto. Lei si sentiva ebreo?Mi sentivo ebreo al venti per cento perché appartenevo a una famiglia ebrea. I miei genitori non erano praticanti, andavano in sinagoga una o due volte all’anno più per ragioni sociali che religiose, per accontentare i nonni, io mai. Quanto al resto dell’ebraismo, cioè all’appartenenza a una certa cultura, da noi non era molto sentita, in famiglia si parlava sempre l’italiano, vestivamo come gli altri italiani, avevamo lo stesso aspetto fisico, eravamo perfettamente integrati, eravamo indistinguibili.
C’era una vita delle comunità ebraiche?Sì anche perché le comunità erano numerose, molto più di ora. Una vita religiosa, naturalmente, una vita sociale e assistenziale, per quello che era possibile, fatta da un orfanotrofio, una scuola, una casa di riposo per gli anziani e per i malati. Tutto questo aggregava gli ebrei e costituiva la comunità. Per me non era molto importante. Quando Mussolini entrò in guerra, lei come la prese?Con un po’ di paura, ma senza rendermi conto, come del resto molti miei coetanei. Non avevamo un’educazione politica. Il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, cioè privandoci della sensibilità. C’era la convinzione che la guerra l’Italia l’avrebbe vinta velocemente e in modo indolore. Ma quando abbiamo cominciato a vedere come erano messe le truppe che andavano al fronte occidentale, abbiamo capito che finiva male.
Sapevate quello che stava accadendo in Germania?Abbastanza poco, anche per la stupidità, che è intrinseca nell’uomo che è in pericolo. La maggior parte delle persone quando sono in pericolo invece di provvedere, ignorano, chiudono gli occhi, come hanno fatto tanti ebrei italiani, nonostante certe notizie che arrivavano da studenti profughi, che venivano dall’Ungheria, dalla Polonia: raccontavano cose spaventose. Era uscito allora un libro bianco, fatto dagli inglesi, girava clandestinamente, su cosa stava accadendo in Germania, sulle atrocità tedesche, lo tradussi io. Avevo vent’anni e pensavo che, quando si è in guerra, si è portati a ingigantire le atrocità dell’avversario. Ci siamo costruiti intorno una falsa difesa, abbiamo chiuso gli occhi e in tanti hanno pagato per questo. Come ha vissuto quel tempo fino alla caduta del fascismo?Abbastanza tranquillo, studiando, andando in montagna. Avevo un vago presentimento che l’andare in montagna mi sarebbe servito. È stato un allenamento alla fatica, alla fame e al freddo. E quando è arrivato l’8 settembre?Io stavo a Milano, lavoravo regolarmente per una ditta svizzera, ritornai a Torino e raggiunsi i miei che erano sfollati in collina per decidere il da farsi. La situazione con l’avvento della Repubblica sociale peggiorò?Sì, certo, peggiorò quando il Duce, nel dicembre ’43, disse esplicitamente, attraverso un manifesto, che tutti gli ebrei dovevano presentarsi per essere internati nei campi di concentramento. Cosa fece?Nel dicembre ’43 ero già in montagna: da sfollato diventai partigiano in Val d’Aosta. Fui arrestato nel marzo del ’44 e poi deportato. Lei è stato deportato perché era partigiano o perché era ebreo?Mi hanno catturato perché ero partigiano, che fossi ebreo, stupidamente, l’ho detto io. Ma i fascisti che mi hanno catturato lo sospettavano già, perché qualcuno glielo aveva detto, nella valle ero abbastanza conosciuto. Mi hanno detto: “Se sei ebreo ti mandiamo a Carpi, nel campo di concentramento di Fossoli, se sei partigiano ti mettiamo al muro”. Decisi di dire che ero ebreo, sarebbe venuto fuori lo stesso, avevo dei documenti falsi che erano mal fatti. Che cos’è un lager?Lager in tedesco vuol dire almeno otto cose diverse, compreso i cuscinetti a sfera. Lager vuol dire giaciglio,vuoldireaccampamento,vuoldireluogo in cui si riposa, vuol dire magazzino, ma nella terminologia attuale lager significa solo campo di concentramento, è il campo di distruzione. Lei ricorda il viaggio verso Auschwitz?Lo ricordo come il momento peggiore. Ero in un vagone con cinquanta persone, c’erano anche bambini e un neonato che avrebbe dovuto prendere il latte, ma la madre non ne aveva più, perché non si poteva bere, non c’era acqua. Eravamo tutti pigiati. Fu atroce. Abbiamo percepito la volontà precisa, malvagia, maligna, che volevano farci del male. Avrebbero potuto darci un po’ d’acqua, non gli costava niente. Questo non è accaduto per tutti i cinque giorni di viaggio. Era un atto persecutorio. Volevano farci soffrire il più possibile. Come ricorda la vita ad Auschwitz?L’ho descritta in Se questo è un uomo. La notte, sotto i fari, era qualcosa di irreale. Era uno sbarco in un mondo imprevisto in cui tutti urlavano. I tedeschi creavano il fracasso a scopo intimidatorio. Questo l’ho capito dopo, serviva a far soffrire, a spaventare per troncare l’eventuale resistenza, anche quella passiva. Siamo stati privati di tutto, dei bagagli prima, degli abiti poi, delle famiglie subito. Esistono lager tedeschi e russi. C’è qualche differenza?Per mia fortuna non ho visto i lager russi, se non in condizioni molto diverse, cioè in transito durante il viaggio di ritorno, che ho raccontato nel libro La tregua. Non posso fare un confronto. Ma per quello che ho letto non si possono lodare quelli russi: hanno avuto un numero di vittime paragonabile a quelle dei lager tedeschi, ma per conto mio una differenza c’era, ed è fondamentale: in quelli tedeschi si cercava la morte, era lo scopo principale, erano stati costruiti per sterminare un popolo, quelli russi sterminavano ugualmente ma lo scopo era diverso, era quello di stroncare una resistenza politica, un avversario politico. Che cosa l’ha aiutata a resistere nel campo di concentramento?Principalmente la fortuna. Non c’era una regola precisa, visibile, che faceva sopravvivere il più colto o il più ignorante, il più religioso o il più incredulo. Prima di tutto la fortuna, poi a molta distanza la salute e proseguendo ancora, la mia curiosità verso il mondo intero, che mi ha permesso di non cadere nell’atrofia, nell’indifferenza. Perdere l’interesse per il mondo era mortale, voleva dire cadere, voleva dire rassegnarsi alla morte. Come ha vissuto ad Auschwitz?Ero nel campo centrale, quello più grande, eravamo in dieci-dodici mila prigionieri. Il campo era incorporato nell’industria chimica, per me è stato provvidenziale perché io sono laureato in Chimica. Ero non Primo Levi ma il chimico n. 4517, questo mi ha permesso di lavorare negli ultimi due mesi, quelli più freddi, dentro a un laboratorio. Questo mi ha aiutato a sopravvivere. C’erano due allarmi al giorno: quando suonava la prima sirena, dovevo portare tutta l’apparecchiatura in cantina, poi, quando suonava quella di cessato allarme, dovevo riportare di nuovo tutto su. Lei ha scritto che sopravvivevano più facilmente quelli che avevano fede.Sì, questa è una constatazione che ho fatto e che in molti mi hanno confermato. Qualunque fede religiosa, cattolica, ebraica o protestante, o fede politica. È il percepire se stessi non più come individui ma come membri di un gruppo: “Anche se muoio io qualcosa sopravvive e la mia sofferenza non è vana”. Io, questo fattore di sopravvivenza non lo avevo. È vero che cadevano più facilmente i più robusti?È vero. È anche spiegabile fisiologicamente: un uomo di quaranta-cinquanta chili mangia la metà di un uomo di novanta, ha bisogno di metà calorie, e siccome le calorie erano sempre quelle, ed erano molto poche, un uomo robusto rischiava di più la vita. Quando sono entrato nel lager pesavo 49 chili, ero molto magro, non ero malato. Molti contadini ebrei ungheresi, pur essendo dei colossi, morivano di fame in sei o sette giorni. Che cosa mancava di più: la facoltà di decidere?In primo luogo il cibo. Questa era l’ossessione di tutti. Quando uno aveva mangiato un pezzo di pane allora venivano a galla le altre mancanze, il freddo, la mancanza di contatti umani, la lontananza da casa… La nostalgia, pesava di più?Pesava soltanto quando i bisogni elementari erano soddisfatti. La nostalgia è un dolore umano, un dolore al di sopra della cintola, diciamo, che riguarda l’essere pensante, che gli animali non conoscono. La vita del lager era animalesca e le sofferenze che prevalevano erano quelle delle bestie. Poi venivamo picchiati, quasi tutti i giorni, a qualsiasi ora. Anche un asino soffre per le botte, per la fame, per il gelo e quando, nei rari momenti, in cui capitava che le sofferenze primarie, accadeva molto di rado, erano per un momento soddisfatte, allora affiorava la nostalgia della famiglia perduta. La paura della morte era relegata in secondo ordine. Ho raccontato nei miei libri la storia di un compagno di prigionia condannato alla camera gas. Sapeva che per usanza, a chi stava per morire, davano una seconda razione di zuppa, siccome avevano dimenticato di dargliela, ha protestato: “Ma signor capo baracca io vado nella camera a gas quindi devo avere un’altra porzione di minestra”. Lei ha raccontato che nei lager si verificavano pochi suicidi: la disperazione non arrivava che raramente alla autodistruzione.Sì, è vero, ed è stato poi studiato da sociologi, psicologi e filosofi. Il suicidio era raro nei campi, le ragioni erano molte, una per me è la più credibile: gli animali non si suicidano e noi eravamo animali intenti per la maggior parte del tempo a far passare la fame. Il calcolo che quel vivere era peggiore della morte era al di là della nostra portata. Quando ha saputo dell’esistenza dei forni?Per gradi, ma la parola crematorio è una delle prime che ho imparato appena arrivato nel campo, ma non gli ho dato molta importanza perché non ero lucido, eravamo tutti molto depressi. Crematorio, gas, sono parole che sono entrate subito nelle nostra testa, raccontate da chi aveva più esperienza. Sapevamo dell’esistenza degli impianti con i forni a tre o quattro chilometri da noi. Io mi sono esattamente comportato come allora quando ho saputo delle leggi razziali: credendoci e poi dimenticando. Questo per necessità, le reazioni d’ira erano impossibili, era meglio calare il sipario e non occuparsene. Poi arrivarono i russi e fu la libertà. Come ricorda quel giorno?Il giorno della liberazione non è stato un giorno lieto perché per noi è avvenuto in mezzo ai cadaveri. Per nostra fortuna i tedeschi erano scappati senza mitragliarci, come hanno fatto in altri lager. I sani sono stati ri-deportati. Da noi sono rimasti solo gli ammalati e io ero ammalato. Siamo stati abbandonati, per dieci giorni, a noi stessi, al gelo, abbiamo mangiato solo quelle poche patate che trovavamo in giro. Eravamo in ottocento, in quei dieci giorni seicento sono morti di fame e freddo, quindi, i russi mi hanno trovato vivo in mezzo a tanti morti. Questa esperienza ha cambiato la sua visione del mondo?Penso di sì, anche se non ho ben chiara quale sarebbe stata la mia visione del mondo se non fossi stato deportato, se non fossi ebreo, se non fossi italiano e così via. Questa esperienza mi ha insegnato molte cose, è stata la mia seconda università, quella vera. Il lager mi ha maturato, non durante ma dopo, pensando a tutto quello che ho vissuto. Ho capito che non esiste né la felicità, né l’infelicità perfetta. Ho imparato che non bisogna mai nascondersi per non guardare in faccia la realtà e sempre bisogna trovare la forza per pensare. Grazie, Levi.Biagi, grazie a lei.
Da Il Fatto Quotidiano del 26 gennaio 2014
Mentre il congresso di Sel sta per concludersi ecco un ordine del giorno che dalle parti della sinistra lo si stava aspettando in quanto si apre uno spiraglio che Sel possa correre in chiave europea con la lista della Sinistra Europea di Tsipras e non con quella del Partito Socialista Europeo di Schulz.
L'articolo preso direttamente dal sito di Sinistra Ecologia e Libertà parla di alcuni punti che sono non solo condivisibili ma anche nelle stesse posizioni e proposte uscite dal congresso straordinario che Rifondazione Comunista ha dettato nella propria agenda dopo tale simposio di qualche settimana fa.
Per le prossime elezioni politiche europee,ma anche in ambito nazionale lo si deve pensare ma è anche maggiormente difficile,la sinistra deve presentarsi unita e non fare come Sel che all'ultimo turno ha preferito allearsi col Pd che di sinistra non ha nulla a che spartire soprattutto negli ultimi tempi con Renzi che è più vicino al centro destra che altro.
L'Odg approvato su Europa e elezioni ed elezioni politiche:aprire un confronto con Tsipras per una lista comune.
L’Europa si trova oggi di fronte ad un bivio. Il combinato disposto degli effetti devastanti delle politiche di austerità economica e finanziaria imposte dalla Troika, e del progressivo deterioramento della democrazia reale rappresentato dall’approccio intergovernativo e dall’arresto del processo di costruzione dell’Europa politica e federale, rischiano di far precipitare l’intero continente in una stagione di ulteriore esclusione sociale, e di avanzata delle forze nazionaliste e xenofobe.
Si prevede che allo stato attuale nel 2020 almeno 150 milioni di europei saranno in condizioni di povertà ed esclusione. E’ a loro che dobbiamo dare una risposta, radicando la nostra proposta sulle condizioni di vita materiali imposte dalla crisi, e fornendo soluzioni concrete e ricostruire così le basi per un progetto europeo di dignità, giustizia, solidarietà, ecologia.
Solo riconoscendo il nesso stretto tra politiche liberiste e crisi della democrazia reale, sarà possibile mettere in campo una proposta per l’AltraEuropa che dia speranza, e restituisca un insostenibile debito sociale accumulato dall’Unione Europea nei confronti dei suoi cittadini e cittadine. Il bivio che abbiamo di fronte rischia di portare o al ritorno al nazionalismo o ad un ulteriore consolidamento delle prescrizioni di aggiustamento strutturale, che continueranno ad aumentare le diseguaglianze, e la crisi sociale ed ambientale.
E’ evidente ormai che le motivazioni economiche delle politiche di austerità sono basate su presupposti infondati e sono solo frutto di una scelta politica chiara, quella di favorire gli interessi del mercato e della finanza, e costruire le premesse per il suo corollario politico, i governi di larghe intese.
Ed è quindi una scelta politica che siamo chiamati a prendere.
Una scelta per un progetto di AltraEuropa che fornisca risposte chiare e praticabili per affrontare con determinazione le diseguaglianze e la povertà, che pratichi attraverso il contrasto alle politiche macroeconomiche del Fiscal Compact, in Italia come a livello europeo, una possibile alternativa.
• Alternativa fondata su un patto di stabilità sociale ed un social compact, per il rilancio dell’occupazione ed un reddito minimo europeo;
• Per un Green New Deal e la conversione ecologica dell’economia e dei processi produttivi, la tutela dell’ambiente ed i beni comuni, la giustizia ambientale e climatica;
• Per i diritti umani, civili, diritti dei migranti e di cittadinanza;
• Per la riforma della Banca Centrale Europea da sottoporre al controllo democratico e del Parlamento Europeo, affinché diventi prestatore di ultima istanza e emetta eurobond per il finanziamento delle politiche sociali, ambientali e di lotta all’esclusione sociale;
• Per la giustizia fiscale, attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie e politiche di contrasto ai paradisi fiscali e di fughe di capitali;
• Per un’unione bancaria che preveda la separazione tra banche di risparmio e banche di investimento;
• Per un processo costituente versi gli Stati Uniti d’Europa.
• Per un’Europa attore globale di giustizia e pace, che sostenga il disarmo, la prevenzione diplomatica e nonviolenta dei conflitti e rigetti accordi di liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti quali il progetto di Trattato per la liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti tra Unione Europea e Stati Uniti. Che guardi al Mediterraneo come luogo di relazioni giuste tra i popoli, e non un muro impenetrabile, un cimitero nel quale scompaiono migliaia e migliaia di migranti.
Questa è la scelta politica che dobbiamo fare. La scelta alla quale ci invita Alexis Tsipras – liberando la sua candidatura da ogni recinto identitario – con il suo sostegno all’appello lanciato in Italia da un gruppo di autorevoli personalità e con la lettera inviata al nostro congresso.
Riconosciamo il ruolo che può svolgere come punto di riferimento di una svolta della socialdemocrazia europea Martin Schulz che rilancia da sinistra il progetto di Unione in discontinuità con la lunga stagione del liberismo. Schulz può accompagnare il socialismo europeo a voltar pagina.
Pur guardando al Partito del Socialismo Europeo – al cui congresso di fine febbraio parteciperemo – come prospettiva e spazio di confronto, non possiamo rimanere indifferenti al compito al quale anche noi veniamo chiamati. Interloquiremo con PSE, Sinistra Europea e Verdi Europei. Proveremo a contribuire alla costruzione di una proposta per l’AltraEuropa che sia praticabile, e concreta nel nostro paese. Una proposta che deve coinvolgere quelle realtà sociali, politiche e di movimento, ambientaliste, di sinistra che nelle loro pratiche, iniziative e proposte già costruiscono l’AltraEuropa.
Per questa ragione oggi facciamo nostro lo spirito della candidatura di Alexis Tspiras per un’AltraEuropa, ed il senso di mettersi a disposizione per la possibile costruzione di una proposta di sinistra ed ambientalista per le prossime elezioni europee.
Il Secondo Congresso di Sinistra Ecologia Libertà impegna pertanto i dirigenti nazionali
• ad aprire immediatamente un confronto ed interlocuzione con tutti quei soggetti che oggi in Italia si prefiggono l’obiettivo di un’AltraEuropa ed in sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras, al fine di verificare, con serietà, le condizioni e le possibilità per partecipare ad un percorso comune;
• a riferire degli esiti di tali consultazioni alla prossima Assemblea Nazionale, al fine di definire le modalità ed i criteri per la partecipazione di Sinistra Ecologia Libertà alle elezioni europee.
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Ieri a Vienna si sono verificati scontri consistenti tra la polizia schierata a difesa di nazifascisti provenienti da tutta Europa presso la Hofburg(residenza imperiale importante per la storia del nazismo)e migliaia di antifascisti e gruppi legati alla sinistra.
Non conosco bene la situazione austriaca ma a naso direi che i ben ventimila agenti presenti a difesa della roccaforte nazi dove il partito dell'estrema destra Fpoe(partito per la libertà,nomignolo molto simile sia di nome che di fatto quello appena estinto da noi)ha organizzato una tradizionale serata danzante,mi sembrano una cifra enorme e spropositata.
Notte di scontri a Vienna:i fascisti ballano,gli antifascisti in piazza.
Ieri sera vari gruppi di sinistra e antifascisti si erano dati appuntamento a pochi passi dalla Hofburg, la antica residenza imperiale nella capitale austriaca dove Adolf Hitler proclamò l'Anschluss con la Germania nel 1938, per contestare la tradizionale serata danzante organizzata dal partito di estrema destra Fpoe (Partito per la Libertà), che anche quest’anno poteva contare con la partecipazione di fascisti provenienti da tutto il continente europeo.
Due anni fa al ballo promosso dal partito guidato da Heinz Christian Strache, che attualmente gode del 20% dei voti e rappresenta la terza forza politica del paese, aveva partecipato anche la leader dell'estrema destra francese Marie Le Pen.
Nonostante il forte dispiegamento di polizia a difesa dell’iniziativa dei fascisti austriaci - circa 20 mila gli agenti dispiegati - i manifestanti antirazzisti sono arrivati in quasi 10 mila da tutta l’Austria. Quando i cordoni di polizia hanno impedito con la forza ai dimostranti arrivati in corteo di avvicinarsi troppo all’Hofburg ne sono nati violenti scontri con vetrine rotte, cassonetti utilizzati come barricate, auto incendiate e banche attaccate. La polizia, che aveva occupato quasi tutto il centro storico della capitale austriaca imponendo la chiusura di negozi e locali pubblici e stabilendo una vera e propria “zona rossa” interdetta, ha tentato di disperdere la manifestazione utilizzando gas lacrimogeni, spray urticanti ed ha caricato più volte i gruppi di dimostranti. Dure le critiche rivolte da alcuni media ai responsabili dell’ordine pubblico perchè anche ai giornalisti, tranne che in casi eccezionali, era vietato entrare nella zona blindata.
Al termine degli scontri, durati per alcune ore, si segnalano una ventina tra feriti e contusi e quindici manifestanti sono stati arrestati dalla polizia.
L'articolo preso da Infoaut è dell'inizio di Gennaio e parla di una notizia che ha accomunato vicende giudiziarie legate all'uso improprio di armi dalle forze dell'ordine ai danni di civili,e nulla cambia se si tratti di controlli personali,posti di blocco o presunti incidenti.
Nell'agosto del 2011 a Tottenham Mark Duggan venne ucciso con un colpo di pistola sparato al petto da un poliziotto durante un controllo mentre era in auto e da subito l'assassino aveva parlato di legittima difesa in quanto la vittima aveva impugnato una pistola,probabilmente messa ad arte ma a qualche metro di distanza dal cadavere.
Ebbene la corte reale di giustizia britannica ha sì affermato che Duggan al momento dell'uccisione non avesse con se nessun'arma,ma ha anche assolto l'agente giustificando il suo comportamento,in pratica un non senso con l'ulteriore beffa che nessuno sia stato indagato per l'arma posta sulla scena del crimine.
La famiglia in un comunicato ha affermato che proseguirà la sua lotta per la verità provando vergogna al posto del giudice che forse ha agito in questo modo perché la vittima fosse di colore e non sia stata tutelata nemmeno da morta.
Londra,assolti i poliziotti che uccisero Mark Duggan.
L'omicidio di Mark Duggan, il ragazzo di colore ucciso dalla polizia
nell'agosto del 2011, fu 'legittimo': è questa l'agghiacciante sentenza che è
stata resa ieri dalla Royal Court of Justice di Londra chiamata ad esprimersi
sull’operato degli agenti coinvolti nel caso.
L'omicidio del ventinovenne fu la miccia che fece esplodere i
riots dell'estate 2011, che da Tottenham - il quartiere dove Duggan venne
ucciso - si allargarono poi al resto delle periferie della city e ad
altre città inglesi.
Il verdetto pronunciato ieri arriva a conclusione del processo iniziato lo
scorso settembre con l'obiettivo di giudicare se il comportamento del poliziotto
che sparò a Duggan sia stato legittimo o meno. Il 4 settembre del 2011 Duggan
venne infatti fermato da una pattuglia mentre si trovava a bordo di un'auto a
Tottenham, a nord della capitale, e fu colpito a morte da un proiettile che lo
raggiunse al petto; successivamente gli agenti dichiararono che al momento del
fermo il ragazzo impugnava una pistola e di aver quindi sparato per legittima
difesa ma l'arma in questione fu ritrovata a distanza di alcuni metri dal corpo
di Duggan, facendo subito sorgere il dubbio che la polizia l'avesse piazzata lì
ad arte per giustificare l'omicidio.
In seguito l'agente che aprì il fuoco cambiò più volte versione dei fatti,
mentre contro il ragazzo ucciso si scatenò il solito accanimento mediatico che
lo accusò di essere uno spacciatore o di far parte di una gang, come se questo
potesse in qualche modo giustificare la sua uccisione.
Paradossalmente, nel verdetto emesso ieri la Royal Court of Justice ha
ammesso che al momento della morte Duggan non avesse con sé nessun tipo di arma
ma ha riconosciuto come legittimo il comportamento del poliziotto assassino. Al
momento della lettura della sentenza all'interno dell'aula è esplosa la rabbia
dei familiari e degli amici del ragazzo, che hanno gridato 'La vita di un nero
non vale niente'.
Sir Bernard Hogan-Howe - capo della polizia londinese - in seguito alla
sentenza ha chiesto di incontrare i familiari di Duggan, i quali hanno però
rifiutato fermamente affermando di voler continuare la propria battaglia per la
verità, affinché la morte del giovane venga riconosciuta per quel che è: un
omicidio vero e proprio che a distanza di più di due anni non può trovare
giustizia in un verdetto infame come quello pronunciato ieri che ancora una
volta mette gli assassini in divisa al riparo da ogni conseguenza.
La scelta della squadra cilena di serie A del Deportivo Palestino di far stampare sulla propria maglia i gioco l'immagine stilizzata della mappa della Palestina storica con lo sfondo dei colori rosso verde e nero ha fatto arrabbiare molto la comunità ebraica cilena e anche Israele stesso che ha asserito di utilizzare lo sport per fomentare la menzogna e l'odio.
Nulla di tutto questo hanno replicato i dirigenti del club nato nel 1920 da una delle comunità palestinesi al di fuori dal Medio Oriente più grandi e datate,che rivendicano i confini dello Stato palestinese come quelli prima del 1947,anno in cui Israele è stato creato e ha di fatto invaso e violentato l'antico territorio della Palestina.
L'articolo di Infoaut parla brevemente della cronaca di questa diatriba creata ipocritamente dagli israeliani cileni seguiti dai sionisti di tutto il mondo e della lenta ma continua campagna di boicottaggio di Israele che avviene da parecchi anni ovunque.
La maglia che non piace a Israele.
Ha
fatto il giro del mondo la scelta di una squadra della massima serie cilena, il
Deportivo Palestino, di indossare sulle nuove maglie per la stagione 2014, al
posto del numero uno, un’immagine stilizzata della Palestina. Sulla divisa
bianco, rosso, nero e verde -i colori della bandiera dello stato palestinese- è
stato posto un simbolo che rappresenta la forma del territorio inteso fino al
1947, ovvero prima del piano di spartizione dell’Onu e della progressiva
occupazione illegale dei territori da parte di Israele.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Il
presidente della comunità ebraica cilena, Gerardo Gorodischer, ha chiesto che
venga vietato l'utilizzo delle maglie e ha preteso le scuse da parte della
squadra per «aver utilizzato lo sport al fine della menzogna e dell'odio».
Si è scomodato perfino il Centro Simon
Wiesenthal, organizzazione statunitense che prende il nome dal famoso cacciatore
di nazisti, che ha chiesto alla Fifa e alla Federcalcio cilena di sanzionare il
Deportivo Palestino, colpevole di “fomentare istinti terroristici”.
Neanche la risposta del club si è fatta
attendere, mandando una missiva in cui ricorda come il Cile nel 2011 abbia
riconosciuto l’indipendenza dello Stato Palestinese e come «i simboli
palestinesi esistono in Cile da 28 anni prima che avvenisse la spartizione dei
territori medio-orientali».
Il Deportivo Palestino venne fondato nel 1920 da
immigrati palestinesi a Osorno che ora, con oltre 300mila persone, è da
considerarsi la più grande comunità al di fuori del Medio Oriente tra immigrati
di prima, seconda e terza generazione.
Il club risponde così all'ipocrisia di tale
indignazione rivendicando la sua storia gloriosa e l'immagine sulle maglie
precisando: "Per noi, la Palestina libera sarà sempre la Palestina storica,
niente di meno."
Un gesto, quello del club cileno, che si unisce
alle azioni di boicottaggio che si stanno susseguendo in tutto il mondo contro
Israele. Di poche settimane fa è infatti la notizia che il fondo pensionistico
olandese PGGM, tra i più grandi in Olanda, con un capitale investito di circa
150 miliardi di euro, ha ritirato i suoi investimenti da cinque delle maggiori
banche di Israele.
Alcuni l'hanno chiamata Pastrocchium,altri Pregiudicatellum,alcuni che ci credono proprio Italicum,ma quello che è giusto sottolineare è che la proposta della nuova legge elettorale partorita analmente da Renzi e Berlusconi è sostanzialmente una grande cagata.
Parlando a sproposito di democrazia,Renzi ha candidamente dichiarato che tutti i così detti partitini che con il nuovo sbarramento comunque comprenderebbero forse tutti a parte le due grandi coalizioni del centrodestra e del centro con una spruzzatina di sinistra verrebbero a divenire extraparlamentari in quanto la soglia di sbarramento si alzerà notevolmente.
E di tutti questi"partitini"che rappresentano milioni di elettori italiani che cosa ne pensa il neoducetto fiorentino?"Che si arrangino"la sua risposta.
L'articolo preso da"Il fatto quotidiano"parla dell'Italicum e delle reazioni negative di giuristi e di costituzionalisti(Giovanni Sartori parla senza mezzi termini di pasticcio alla terza potenza)e di altri rappresentanti politici di varie fazioni che se non dovessero entrare in una delle due coalizioni sopra citate sarebbero eliminate dalla vita politica nazionale.
Vorrei concludere con una provocazione per il Pd e Forza Italia:a parte il fatto che entrambi i partiti sono allo sbando,attualmente soprattutto il primo,sarebbe bello che molti di coloro che votano queste parti potessero eleggere qualcuno delle liste se non proprio affini almeno con una certa parentela xon la loro:in questo caso magari ci sarebbe un ballottaggio con due tra il Nuovo centro destra,Sel o Rifondazione Comunista,Lega(che però a carattere nazionale latita ed è per questo che anche lei ripudia questo nuovo progetto)e Movimento 5 stelle.
Legge elettorale, i costituzionalisti contro l’Italicum: “Chiamatelo Pastrocchium”
Giovanni Sartori, che già battezzò il "Porcellum", boccia il sistema elettorale dei leader di Pd e Forza Italia. "Trasforma minoranza in maggioranza". De Siervo: "Preferenze non sarebbero un problema".
Non ci sono solo la sinistra del Pd, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica, Sel e gli altri piccoli a protestare e a giurare battaglia in Parlamento per modificare l’Italicum prodotto dell’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e approvato anche dalla direzione nazionale del Pd. Ci sono molti costituzionalisti, da Giovanni Sartori a Michele Ainis passando per i presidenti emeriti della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, Ugo De Siervo e Antonio Baldassarre. Orientamenti diversi, linguaggi diversi, ma tutti hanno un notevole numero di dubbi su diversi aspetti del sistema elettorale proposto dal segretario del Pd. Il padre dei nomi Mattarellum e Porcellum, Sartori, ha un’etichetta anche per il cosiddetto Italicum: “Lo chiamerei Pastrocchium” spiega a Agorà, su Rai Tre.
Il ragionamento di Sartori, intervistato dal Messaggero, parte da un punto: “Trasforma la minoranza in una maggioranza: si ripete, seppur in maniera più blanda lo concedo, la truffa di prima. Un meccanismo demenziale, come diceva il mio amico Giovanni Spadolini“. Il riferimento è alla soglia per accedere al premio di maggioranza: se una coalizione arriva al 35% si prende il 53 per cento dei seggi, altrimenti si va al ballottaggio. In controluce è evidente che si vede il sorriso del Cavaliere: sembra una regola scritta da lui stesso. E d’altra parte Roberto D’Alimonte, il “tecnico” scelto da Renzi per elaborare una proposta e che in questi giorni ha lavorato con Denis Verdini per realizzare l’opzione finale, sul Sole 24 Ore scrive apertamente: “Fino all’ultimo non era previsto che ci fosse un doppio turno. Berlusconi lo ha accettato perché la soglia per far scattare il premio è bassa. Con il 35% il centrodestra ha la possibilità di vincere le elezioni in un turno solo senza quindi dover rischiare una sconfitta al ballottaggio per via della pigrizia dei suoi elettori”. Sartori: “Pasticcio su pasticcio su pasticcio”In definitiva, dice Sartori, è “un pasticcio su un pasticcio su un pasticcio: la riforma disegnata da Renzi e Berlusconi la chiamerei Pastrocchium. E’ tutta sbagliata. E’ una legge elettorale assurda, controproducente e che non rimedia a nessun problema, ma probabilmente aggrava quelli che già ci sono”.
In un paio di casi i costituzionalisti parlano di “aggiramento” dei precetti della sentenza della Consulta. Uno è Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte, sentito dall’AdnKronos: “Formalmente rispetta la Consulta, ma se si guarda allo spirito della sentenza della Corte potrebbe tradirlo, o essere un aggiramento”. La questione controversa, anche per Baldassarre, è la soglia del 35% per accedere al premio di maggioranza. “La Consulta – spiega – ha messo la questione sotto il profilo della ragionevolezza, che è abbastanza elastico, ma il 35% è una percentuale un po’ bassa, perché in sostanza segnala una distanza dalla maggioranza di circa 15 punti, che sono tanti. Personalmente sarei dell’avviso di fissarlo intorno al 45%”. Esiste poi, per Baldassarre, “il rischio che crei situazione di non totale governabilità. Ainis: “Sarà difficile illudere la Consulte oltre che gli italiani” Michele Ainis sul Corriere della Sera da una parte approva il doppio turno e una soglia di sbarramento altina (5%) per l’ingresso in Parlamento. Ma dall’altra sottolinea che il premio previsto dalla bozza Renzi parte dal 18%: “Mica poco – scrive il costituzionalista – fanno quattro volte i seggi della Lega, recati in dono a chi vince la lotteria delle elezioni. Crepi l’avarizia, ma in questo caso rischia di crepare pure la giustizia”. E poi c’è l’aspetto controverso della rappresentanza e dello strumento delle preferenze. “La Consulta ha acceso il verde del semaforo quando i bloccati (i nomi nei listini, ndr) siano pochi, rendendosi così riconoscibili davanti agli elettori. Quanto pochi? Secondo la scuola pitagorica il numero perfetto è 3; qui invece sono quasi il doppio. Un po’ troppi per fissarne a mente i connotati” rileva Ainis. L’ultimo punto è quella che chiama la “frontiera impercettibile, dove la quantità diventa qualità. Vale per il premio di maggioranza, perché il 40% dei consensi sarebbe di gran lunga più accettabile rispetto al 35%. E vale per le liste bloccate, che si sbloccherebberoaumentando i 120 collegi elettorali. In caso contrario, il prestigiatore rischia di trasformarsi in un illusionista. Ma gli sarà difficile illudere di nuovo la Consulta, oltre che gli italiani”. De Siervo: “Le preferenze? In collegi così piccoli nessun rischio”
Anche per il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, intervistato dalla Stampa, c’è una soglia troppo bassa (35%) per un premio troppo elevato (18-20%). In più non risolve niente sulla governabilità: “Si fa riferimento ad agglomerati di liste. C’è una solidarietà politica forte tra questi gruppi di liste oppure sono solo un’aggregazione per lucrare il premio? Se fosse così non garantirebbero l’obiettivo della governabilità”. Un altro presidente emerito della Consulta Ugo De Siervo parla di soglia troppo bassa per accedere al premio: “Sarà accettato politicamente dai partiti battuti ma che hanno quantitativamente conquistato magari più del 60% che il primo partito disponga della maggioranza assoluta alla Camera?” dichiara a Repubblica. E sulle preferenze lascia la porta spalancata: “Secondo la Corte se ne potrebbe fare a meno, ma forse dare una preferenza in collegi piccoli non espone il sistema politico ai rischi che spesso vengono rappresentati, tipo gruppi di pressione o grossi mezzi finanziari per la ricerca delle preferenze. Tutto questo, in un piccolo collegio, non dovrebbe verificarsi”. E le primarie non possono essere la soluzione: “Forse qualcosa di analogo andrebbe garantito anche agli elettori che non votano per il Pd”.
Oggi sono passati novantatré anni da quando a Livorno presso il teatro Goldoni nacque il Partito Comunista Italiano dopo la scissione dal Partito Socialista,e fino al 1991 mantenne intatto il proprio nome e dopo la rottura di quell'anno si formarono il Pds e il partito della Rifondazione Comunista.
Sono passati tanti anni da quella data ed è superfluo raccontare quello che è accaduto in Italia e nel mondo da quel giorno,ma come detto nell'articolo preso da Senza Soste il 21 Gennaio"è un’occasione per ribadire e rivendicare la nostra linea politica di assoluta rottura con l'attuale sistema economico neo-liberista,che ha generato la crisi economica e che governa il mondo".
Quindi avanti con le nostre idee anche se i detrattori e gli oppositori sono sempre pronti dietro l'angolo a fare lo sgambetto che secondo loro sarà decisivo a farci cadere senza più farci risalire,ma sarà dura cari nemici.
Oltre al commento l'articolo parla anche della due giorni di festa e di lotta che Livorno come da tradizione propone per commemorare al meglio la nascita del Pci nel weekend a venire...una lunga marcia inizia sempre con un piccolo passo!
24-25 gennaio: corteo e due giorni al CP1921 per festeggiare la nascita del Partito Comunista d’Italia
UNA LUNGA MARCIA INIZIA SEMPRE CON UN PICCOLO PASSO
VENERDÌ 24 GENNAIO presso il Centro Politico 1921, Via dei Mulini, 29 h. 18,00 presentazione libro "NOI SAREMO TUTTO - Nuova composizione di classe, conflitto e organizzazione" con la partecipazione dei compagni della rete Noi Saremo Tutto, del Collettivo Militant - Roma, e l'autore Paolo Cassetta h. 20,00 CENA POPOLARE
A seguire DJ-SET SABATO 25 GENNAIO h. 15,30 CORTEO per commemorare la nascita del Partito Comunista d'Italia. RITROVO di fronte il Teatro Goldoni
h. 20,00 CENA POPOLARE al Centro Politico 1921, Via dei Mulini 29
A seguire CONCERTO con MALASUERTE FI*SUD KENTO & MAD SIMON from KALAFRO
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APPELLO DELLA DUE GIORNI UNA LUNGA MARCIA INIZIA SEMPRE CON UN PICCOLO PASSO Due giorni al Centro Politico 1921 per festeggiare la nascita del Partito Comunista d’Italia
Il 21 gennaio del 1921 nasceva a Livorno il Partito Comunista d’Italia, dopo la scissione del Partito Socialista, il quale aveva ormai adottato una linea moderata, parlamentare e di compromesso con il capitalismo. C’era stato il biennio rosso, c’erano state le rivolte contadine, le fabbriche venivano occupate dagli operai che chiedevano diritti sul lavoro, maggiori salari e altre rivendicazioni verso padroni sordi e interessati solamente al profitto. C’era la crisi, l’aumento dei prezzi, il problema dei reduci e i soldati si rifiutarono di andare a combattere in Albania. Il governo non sapeva dare risposte. Poteva realizzarsi una rivoluzione in senso socialista, era il momento di trasformare l’occupazione delle fabbriche e tutto il malcontento generale in un moto rivoluzionario, che potesse non solo portare migliori condizioni di lavoro, ma che potesse trasformare l’intera società. Questa spinta non ci fu, il Partito Socialista e i sindacati rinunciarono al tentativo, dando la colpa all’immaturità delle masse, mentre invece immatura era la maggior parte dei dirigenti che scelsero la via parlamentare e non vollero lottare. Il tutto si concluse con alcune vittorie in ambito di aumento dei salari e diritti sindacali, ma niente fu in confronto alla repressione subita, il compromesso con confindustria, il patto di pacificazione. Inoltre, negli anni a venire, venne spianata la strada al fascismo che ben si saldò con gli interessi dei padroni, schiacciando ogni forma di rivendicazione da parte dei lavoratori e ogni spinta rivoluzionaria per il cambiamento della società stessa.
E così quel 21 gennaio del 1921 si consumò la scissione, con a capo il gruppo degli ordinovisti di Antonio Gramsci, e subito dopo nacque il Partito Comunista d’Italia, partito rivoluzionario, che oltre a portare avanti la lotta di classe e le rivendicazioni dei lavoratori, si prefiggeva di arrivare ad un cambiamento radicale della società tramite un’insurrezione, per la creazione di uno stato socialista basato su un sistema economico-sociale senza privilegi, sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale. La mancata rivoluzione del 1919/1920 poneva la necessità di creare una avanguardia in grado di realizzare una rivoluzione. E questa avanguardia era il Partito Comunista d’Italia.
Il 21 gennaio non è una ricorrenza o una data da commemorare, il 21 gennaio è un’occasione per ribadire e rivendicare la nostra linea politica di assoluta rottura con l’attuale sistema economico neo-liberista, che ha generato la crisi economica e che governa il mondo. Il capitalismo cresce, si realizza e raggiunge l’apice attraverso l’impoverimento della maggior parte dei cittadini, attraverso meccanismi di sfruttamento e disuguaglianze sociali. Ogni legge, ogni scelta dei governi, viene dettata dai forti interessi internazionali, dalle banche, dalla speculazione finanziaria, che poco hanno a che vedere con il lavoro garantito, l’emancipazione, l’eguaglianza, la giustizia sociale e i diritti, alla base invece di una società comunista. La crisi economica è il prezzo più alto da pagare al capitale, e il momento più alto dello sfruttamento, è l’apice della sua forza distruttrice. È la dimostrazione concreta che la lotta di classe in questi anni è andata avanti, ma portata dall’alto, dalle borghesie imperialiste di tutto il mondo contro di noi.
Il 21 gennaio è anche l’occasione per rimarcare la necessità di un’organizzazione comunista forte, di classe, che torni ad agire in contro-tendenza rispetto al pensiero unico liberale che predomina come imperante, e che è ritenuta l’unica via per governare il mondo. Un’organizzazione comunista che ricrei le condizioni per un movimento di classe, una ricompattazione del mondo del lavoro e una ricomposizione reale di tutti quei segmenti sociali che compongono il proletariato; un’organizzazione che sia in grado di rimettere in discussione le scelte dei governi e della borghesia in maniera conflittuale, in modo da poter raggiungere un cambiamento radicale vero, che dia risposta alla crisi economica attuale, alla povertà, alla mancanza di lavoro. Insomma, un’organizzazione che torni a spingere la storia.
È per questi motivi che continuiamo a festeggiare il 21 gennaio. Per ribadire la nostra lunga marcia, legittimata sempre di più dai disastri del capitalismo, iniziata in Italia con quel piccolo passo. Alla luce di quello che succede oggi nel mondo, è innegabile il ruolo che ha avuto la scienza comunista – il materialismo storico – nel prevedere le “barbarie” generate il capitalismo.
Invitiamo perciò tutti coloro che condividono questa analisi e questo percorso a partecipare alla due giorni di iniziative di socialità, discussione e approfondimento e al corteo del 25 gennaio.
Oggi più di ieri, comunisti. Centro Politico 1921 – Livorno
Oggi è morto il maestro Claudio Abbado dopo una lunga malattia che ne aveva ultimamente centellinato le apparizioni sia come direttore d'orchestra che televisive:un uomo che ha saputo far parlare bene di se per il suo lavoro e per il suo carattere che l'ha sempre fatto avvicinare ai più poveri e agli umili.
Quando è stato direttore alla Scala di Milano era balzato agli onori della cronaca per i suoi concerti a tariffa enormemente ribassata in favore degli studenti e degli operai in quanto secondo lui la cultura e la sua fruizione dovevano essere di tutti e per tutti.
Etichettato come comunista soprattutto come aggettivo spregiativo dai propri detrattori e soprattutto dopo la nomina a senatore a vita dallo scorso agosto,Abbado non si è mai schierato politicamente anche se la propria ideologia attenta ai bisogni degli ultimi e di forte generosità l'ha come per dire sputtanato nel senso buono del termine.
L'articolo di Repubblica on line traccia alcuni passi della sua lunga ed importante carriera che ha reso anche l'Italia più grande agli occhi del mondo(http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2014/01/20/news/claudio_abbado-75604884/ ).
E' morto Claudio Abbado,il rivoluzionario del podio.
Il maestro si è spento a Bologna, aveva 80 anni. La camera ardente nella Basilica di Santo Stefano a Bologna. La direzione dei Wiener Philharmoniker e della Scala, i "Concerti per studenti e lavoratori", la guida della London Symphony Orchestra. Da un anno era senatore a vita
ROMA - È morto nella sua casa di Bologna il maestro e senatore a vita Claudio Abbado. Malato da tempo, aveva 80 anni. Nato a Milano il 26 giugno 1933 e figlio di un insegnante di violino, nel 1955 si era diplomato in pianoforte e direzione d'orchestra presso il Conservatorio di Milano. Il primo grande riconoscimento arrivò già nel 1958, quando conquistò il primo posto al concorso Koussevitsky a Tanglewood, nel Massachussets: grazie a quel premio debuttò negli Stati Uniti con la New York Philarmonic. L'anno dopo debuttò a Trieste come direttore sinfonico, mentre l'esordio alla Scala arrivò nel 1960. La camera ardente sarà a Bologna, nella Basilica di Santo Stefano, dalle 14 di martedì alle 24 di mercoledì. Per commemorare il maestro, lunedì prossimo alle 18 Daniel Barenboim dirigerà l'orchestra della Scala nella marcia funebre dell'Eroica di Beethoven a sala vuota e con le porte del teatro aperte; si tratta di una tradizione del teatro per ricordare i suoi ex direttori musicali. L'ultima fu eseguita in questa forma per Carlo Maria Giulini nel 2005. L'esecuzione - sotto la bacchetta di Barenboim che è l'attuale direttore musicale del teatro - sarà diffusa nella piazza.
Servizio di Leonetta Bentivoglio. Con interviste esclusive ai musicisti dell'Orchestra Mozart Tra i primi a ricordarne la grandezza il Presidente Giorgio Napolitano: "La scomparsa di Claudio Abbado è motivo di forte commozione e dolore per me personalmente e di profondo cordoglio per l'italia e per la cultura. Egli ha affrontato fino all'ultimo con straordinaria forza di volontà gli assalti del male che già lo aveva duramente colpito numerosi anni fa e che si era da qualche mese ripresentato nelle forme più aggressive e fatali. Rendo omaggio - non solo da amico e ammiratore di antica data, ma da rappresentante della collettività nazionale e delle istituzioni repubblicane - all'uomo che ha onorato in europa e nel mondo la grande tradizione musicale del nostro paese, contribuendo in pari tempo con il suo eccezionale talento e la sua profonda sensibilità civile all'apertura di nuove strade per un più ricco sviluppo dei rapporti tra cultura e società. Di qui le motivazioni per il riconoscimento tributatogli con la nomina di senatore a vita".
"Il mio soggiorno in Venezuela, dove la musica ha una valenza sociale enorme, e dove sono nate centinaia di orchestre giovanili, mi ha riconfermato che la musica salva davvero i ragazzi dalla criminalità, dalla prostituzione e dalla droga. Li ho visti, facendo musica insieme trovano se stessi". Claudio Abbado credeva davvero nella funzione terapeutica della musica. Era una mente aperta, per molti aspetti un innovatore in un mondo difficile e diffidente come quello della musica classica. Era, a modo suo, un sognatore. Decise di impugnare la bacchetta, a sette anni, quando si arrampicò fino al loggione per vedere i gesti del direttore d'orchestra Antonio Guarnieri.
La sua ascesa è stata inarrestabile. Nel 1963 si aggiudicò il premio Mitropoulos della New York Philarmonic e fu invitato da Herbert Von Karajan a dirigere i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo. Nel 1968 il debutto al Covent Garden di Londra e quello alla Metropolitan Opera House di New York. C'era lui sul podio della Scala la sera del 7 dicembre 1968, quella della famosa contestazione a colpi di uova marce. Nel periodo della sua direzione, durata fino al 1986, Abbado contribuì a un profondo rinnovamento nella programmazione e nelle scelte artistiche del teatro milanese, sganciandosi da una logica puramente filologica e recuperando autori e opere per lungo tempo dimenticati. Queste sue idee, lontane dalle tradizionali logiche del suo ambiente, lo resero oggetto di aspre critiche, senza però scalfire le sue convinzioni.
Sempre sotto la sua direzione, nel 1972, furono inaugurati i Concerti per studenti e lavoratori, testimonianza della profonda volontà di Abbado di avvicinare alla lirica e alla classica anche le classi meno abbienti. Nel 1971 divenne direttore principale del Wiener Philharmoniker, mentre dal 1979 al 1987 fu direttore musicale della London Symphony Orchestra. La sua avventura artistica è proseguita poi alla Staatsoper di Vienna (dal 1986 al 1991), mentre dal 1989 al 2002 ha diretto i Berliner Philharmoniker. Alla fine del suo ultimo concerto con i Berliner, il pubblico lanciò quattromila fiori e lo salutò con trenta minuti di applausi. Dal 2004 è stato direttore musicale e artistico dell'Orchestra Mozart di Bologna.
Tifoso del Milan, di cui cercava sempre di seguire le partite anche quando era in tour, ha incantato le platee di tutto il mondo. Come ha scritto il critico e storico dell'arte Marco Vallora, "basta leggere il suo gesto per capire che non vuole essere divo. Sta facendo musica tra amici, vuole non esibirsi, ma scoprire ogni volta qualcosa di nuovo". Sempre critico nei confronti dei governi che hanno tagliato fondi alla cultura, nel 2008 fu protagonista di un aspro scontro con l'allora ministro Sandro Bondi, che definì "una pura dimostrazione di ignoranza". Il 30 agosto del 2013 era stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, insieme a Renzo Piano, Elena Cattaneo e Carlo Rubbia, come "personalità da considerarsi portatrici di curricula e di doti davvero eccezionali, come attesta il prestigio mondiale di cui sono circondati".