Preso dal sito http://ki.noblogs.org/?p=4716 il pezzo è la conferma della fine e dell'arretratezza del neoliberalismo e del capitalismo che hanno portato l'intera collettività sull'orlo del baratro economico e sociale,escludendo naturalmente i pochi super ricchi,imprenditori e banchieri,che aiutati dagli interventi dei vari governi non risentono della crisi che hanno creato e che bensì hanno visto le loro pance aumentare sempre più a dismisura.
La nostra rovina economica è libertà per i super-ricchi.
di George Monbiot – The Guardian
Il modello è morto, lunga vita al modello. I programmi d’austerità stanno prolungando la crisi che dovevano risolvere, tuttavia i governi si rifiutano di abbandonarli. La Gran Bretagna offre un esempio efficace. I tagli, prometteva la coalizione, sarebbero stati dolorosi ma avrebbero funzionato. Sono dolorosi, altroché, e ci hanno spinto in una doppia recessione.
Il risultato era stato ampiamente previsto. Se si taglia la spesa governativa e il reddito dei poveri durante una crisi economica, è probabile che la si renda peggiore. Ma la settimana scorsa David Cameron ha insistito a dire che “andremo avanti e completeremo il lavoro”, mentre il cancelliere ha sostenuto che il governo ha “un piano credibile e ci stiamo attenendo ad esso.”
Sorgono due domande. La prima è familiare: perché la reazione del pubblico a quest’attacco alla vita pubblica e al benessere pubblico è stata così tiepida? Dove sono le massicce e prolungate proteste che ci saremmo potuti aspettare? Ma l’altra domanda è ugualmente sconcertante: dov’è l’élite economica?
Certamente la classe imprenditoriale e i super-ricchi – gli unici che il governo ascolta – possono vedere che queste politiche stanno distruggendo i mercati da cui dipende la loro ricchezza. Certamente sono in grado di capire che questo capitalismo da terra bruciata sta fallendo persino nei suoi stessi termini.
Per capire quest’enigma dovremmo in primo luogo capire che quel che è presentato come un programma economico è, di fatto, un programma politico. E’ l’attuazione di una dottrina: una dottrina chiamata neoliberalismo. Come ogni credo, esiste nella sua forma pura soltanto nei cieli; quando riportata sulla terra si trasforma in qualcosa di diverso.
I neoliberali affermano che abbiamo maggiori vantaggi massimizzando la libertà del mercato e minimizzando il ruolo dello stato. Il libero mercato, lasciato a sé stesso, produrrà efficienza, scelta e prosperità. Il ruolo del governo dovrebbe essere limitato alla difesa, a proteggere la proprietà, a impedire monopoli e a rimuovere le barriere alle attività economiche. Tutti gli altri compiti sarebbe meglio fossero affidati alle imprese private. La ricerca di una purezza da anno zero del mercato è stata abbastanza pericolosa nella teoria: distorta dalle sporche realtà della vita sulla terra è devastante per il benessere sia del popolo sia del pianeta.
Come dimostra Colin Crouch in ‘The Strange Non-Death of Neoliberalism’ [La strana non-morte del neoliberalismo] lo stato e il mercato non sono, come insistono i neoliberali, in perpetuo conflitto. Si sono invece uniti a difesa delle richieste delle mega-imprese.
Quando lo stato taglia i regolamenti e le provvidenze sociali, il mondo degli affari si arricchisce. Esso usa la sua ricchezza per calpestare la stessa dottrina che l’ha arricchito. Mediante finanziamenti alle campagne elettorali, facendo rete e mediante attività di lobby, le grandi imprese arruolano lo stato perché si faccia campione dei loro interessi. In Gran Bretagna le imprese hanno esercitato pressioni per programmi di privatizzazione che sostituissero i monopoli pubblici con quelli privati. Hanno anche persuaso il governo a creare piani ibridi (come l’iniziativa della finanza privata) che garantiscano finanziamenti statali alle imprese. Negli stati uniti le mega-imprese hanno convinto il Congresso a rimuovere i regolamenti chiave che disciplinavano i revisori e le banche. Ciò ha portato prima agli scandali Enron e WorldCom, e poi alla crisi finanziaria.
Le grandi imprese hanno usato il loro potere per convincere lo stato a lasciarle continuare a scaricare i loro costi ambientali sul resto di noi. Hanno indebolito le leggi antitrust. Hanno escluso nuovi ingressi sul mercato (mediante i loro investimenti pubblicitari e le loro reti di distribuzione) e sono diventate grandi abbastanza da impedire la propria uscita anche quando falliscono (si vedano i salvataggi delle banche). Questi sono i risultati delle politiche neoliberali che Cameron sta applicando, ma che sono in grave contrasto con le previsioni fatte dai neoliberali su come dovrebbero comportarsi i liberi mercati.
Soprattutto, il programma neoliberale ha precluso le scelte politiche. Se il mercato, come insiste la dottrina, è l’unico valido fattore decisivo per stabilire come si evolvono le società e il mercato è dominato dalle mega-imprese, allora quello che la società riceve è quello che vuole la grande industria. Si può costatare questa squallida realtà nel discorso di Cameron della scorsa settimana. “Abbiamo ascoltato quello che vogliono le imprese e stiamo provvedendo. Le imprese hanno detto: ‘Vogliano trattamenti fiscali competitivi’, e dunque stiamo creando il regime fiscale per le imprese più competitivo in tutto il G20 e le aliquote fiscali a carico delle imprese più basse del G7 …” E il resto di noi? Non abbiamo voce in capitolo?
L’ipotesi neoliberale è stata smentita in modo spettacolare. Lungi dall’autoregolarsi, i mercati non vincolati sono stati salvati dal crollo solo dall’intervento del governo e da massicce iniezioni di denaro pubblico. Lungi dal produrre la prosperità universale, i tagli governativi ci hanno spinto ancor più profondamente nella crisi. E tuttavia questa stessa crisi è ora usata come scusa per applicare la dottrina ancor più ferocemente di prima.
E dunque dov’è l’élite economica? A contare i soldi che ha accumulato in paradisi fiscali non regolamentati. Trent’anni di neoliberalismo hanno consentito ai super-ricchi di distaccarsi dalle vite degli altri in misura tale che la crisi economica li tocca a malapena. Si può considerare ciò come un altro fallimento del mercato. Anche se sono toccati, i ricchi sono indubbiamente pronti a pagare un prezzo economico per i vantaggi politici – libertà dalle restrizioni della democrazia – che la dottrina offre.
Un programma che prometteva libertà e scelta ha invece prodotto qualcosa che assomiglia a un capitalismo totalitario, in cui nessuno può dissentire dalla volontà del mercato e in cui il mercato è diventato un eufemismo per la grande impresa. Offre libertà, poco ma sicuro, ma solo a quelli che stanno al vertice.
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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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