Questo è il primo fine settimana ufficiale dove la gente può viaggiare in Italia andando al mare o in montagna abbastanza liberamente,mantenendo sempre il distanziamento sociale e le norme di contenimento le cui obbligatorietà variano da regione a regione.
E si possono fare uscite e aperitivi,quelli già da qualche tempo,per rivedere amici e non congiunti dir si voglia anche in zone di confine regionale dopo tre mesi,situazioni paradossali che si sono avute soprattutto a ridosso di province divise territorialmente da poche centinaia di metri.
L'articolo di Infoaut(giovani-e-movida-il-cortocircuito-del-consumo )parla del termine"movida",il ritrovarsi in locali soprattutto per bere e socializzare,una delle situazioni più piacevoli per i giovani ma anche per quelli più in su con l'età,anche se le limitazioni non fanno apprezzare al meglio questi momenti di ritrovato stare assieme.
Tutto questo movimento crea problemi alle norme vigenti sia per i proprietari dei vari pub,bar e ristoranti che per i singoli cittadini,e l'ottica del contributo va nella direzione,parlando prevalentemente delle grandi città,di un progetto a monte di urbanizzazione creato per concentrare tutti questi locali in zone diciamo più facilmente gestibili e controllabili,di certo non per questo tipo di emergenza.
Il giro della movida è parecchio importante per l'economia italiana,nonché per la socialità dei ragazzi soprattutto dopo un lungo periodo di letargia collettiva,e continuare a colpevolizzare e militarizzare questi luoghi è il cane che si mangia la coda,con il fine del libero mercato organizzato male con progettazioni dove si sono visti nascere locali dietro locali e l'ordine pubblico ora ha subìto il contraccolpo contrario con un ordine pubblico difficile da gestire,con la voglia dei giovani d'incontrarsi,le necessità dei proprietari e le regole da rispettare,un bel cocktail,non solo da bere.
Giovani e movida: il cortocircuito del consumo.
Nell'Italia del coronavirus politici e giornaletti sono sempre a caccia del nuovo capro espiatorio su cui addossare la colpa dei propri fallimenti. Dai migranti, ai runner, ai pensatori su spiagge solitarie, e naturalmente, come da tradizione i giovani.
Ormai si parla solo di questo, di quanto sono irresponsabili i giovani ad accalcarsi la sera in giro per le piazze dei quartieri deputati alla movida. Intendiamoci, non è che qui si vogliano difendere i comportamenti nichilisti e le eccessive leggerezze, ma come al solito si riduce il problema a una questione "culturale" senza approfondire oltre, senza analizzare i modelli di socialità e consumo che questo sistema propone ai giovani.
Quando parliamo di movida parliamo di un'industria che in alcune città rappresenta una significativa fetta dell'economia. Un'industria che si basa quasi completamente sul consumo a prezzi più o meno accessibili e che nel tempo è andata a sostituire o ad integrare altre industrie, o modelli, del divertimento. Le città che hanno adottato questo modello (qui l'esempio di Torino) lo hanno fatto consapevolmente, consce che con l'aumento dei prezzi di altre attività, con la privatizzazione di alcune forme del divertimento, si sarebbe aperto un mercato enorme in cui sarebbe stato possibile drenare risorse da giovani e famiglie dentro i circuiti di un'economia che consuma il territorio, spesso sfrutta i lavoratori e, lo abbiamo ripetuto fino alla nausea, consuma i giovani che consumano. Il lievitare dei costi di altre forme di intrattenimento e socialità è stato insieme prologo e conseguenza di queste scelte strategiche di investimento fatte dall'alto. La movida raramente nasce spontanea, ma è decisa a tavolino tramite liberalizzazioni delle licenze, piani urbanistici, investimenti sui territori.
Ma, come in altri settori dell'economia, l'approdo del coronavirus in Europa ha sconvolto questo mercato. La necessità di un distanziamento sociale efficace (anche qui a causa delle incapacità di governo del fenomeno da parte delle istituzioni) mette in crisi questa logica del consumo di massa. Eppure sono state le istituzioni stesse, sotto pressione dei comparti imprenditoriali, a scegliere di riaprire le attività che afferiscono al settore della movida, con misure e norme pressoché ridicole. Nessuno sugli scranni del governo si è posto il problema di proporre un modello di socialità alternativa a basso prezzo ai giovani al tempo del coronavirus. Nessuno nelle singole città si è interrogato su come riformare il settore in maniera sicura e magari con un'offerta culturale e sociale di maggiore qualità. Perché nessuno ha preso provvedimenti di questo genere, magari assorbendo i lavoratori di questo comparto rimasti senza reddito? A parte il disinteresse totale che questo governo sta dimostrando per i giovani (avete presente i commenti degli universitari sul video di Conte durante le conferenze stampa?), proporre delle alternative del genere avrebbe voluto dire porre questo settore fuori dal mercato. Nessun privato si sarebbe adeguato a delle proposte del genere, e sui giornaloni si sarebbe scatenata subito la polemica.
Eccoci quindi al cortocircuito, mentre le istituzioni spingono a una ripresa del consumo as usual, allo stesso tempo si accaniscono sui consumatori "irresponsabili" e pensano di risolvere il problema con il solito combinato disposto di ordine pubblico, multe, militarizzazione e colpevolizzazione.
E' il giochino del libero mercato che si è fulminato, in tutte le sue articolazioni. Questo sistema non è in grado di prendersi cura delle persone che ci vivono, non è in grado di rispondere ai bisogni della maggioranza della popolazione. E attenzione, la socialità, la socializzazione con altri giovani, l'arricchimento culturale ed emozionale che ne deriva, è un modo per curarsi della vita e della salute psicofisica delle nuove generazioni, specialmente dopo tre mesi di isolamento.
Nel frattempo lo Stato paternalista ci regala un'altra delle sue esibizioni dell'assurdo con le frecce tricolore che sfrecciano sulle città maggiormente colpite dal virus. Naturalmente anche in questo caso vengono a formarsi assembramenti per osservare lo spettacolo, ma mirabilmente la colpa, ancora una volta, non è di chi ha organizzato la pantomima, ma di chi ha assistito. Non sarebbe stato meglio fare altro?
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