martedì 2 giugno 2020

2 GIUGNO.PERCHE' I FASCISTI IN PIAZZA?

I divieti stringenti in materia di assembramento non sono uguali per tutti,la polizia complice già sabato ha visto il comportamento molto accondiscendente verso quelli vestiti d'arancio,nostalgici fascisti più folkloristici che altro ma altrettanto farneticanti e pericolosi(vedi:contropiano militanti-di-potere-al-popolo-denunciati-pappalardo-e-fascisti-indisturbati )e lo stesso si è visto oggi con il trio Salvini-Meloni-Tajani che sono scesi in piazza pieni di tricolori a ribadire il loro nazionalismo e sovranismo.
Inveendo contro il governo Conte,molto di più ce l'hanno con il premier,ovviamente senza il rispetto delle distanze e mascherine un poco alla cazzo,con il razzista verde che fino a qualche stagione fa diceva sulla Festa della Repubblica"non c'è un cazzo da festeggiare"ora da bravo approfittatore e pur di fare vedere che c'è purtroppo per tutti va in piazza per pura propaganda.
Vabbeh Tajani conta di legno e la Meloni è quel che è,una piccola nostalgica che però sa adattarsi e si barcamena in alleanze che ogni tanto si dimentica di avere,frutto del patriottismo estremo rifugio di canaglie come chi la vota.
L'articolo proposto(torino.repubblica.it/cronaca )è un'intervista all'ex partigiano e docente universitario Gastone Cottino che giustamente vede questo impossessarsi del 2 giugno da parte dei fascisti,più per propaganda che per vero spirito di attaccamento alla Repubblica,anzi sono loro quelli dell'uomo forte,nostalgici del dvce e gli sconfitti senza diritto di replica di questa data,insomma vanno in piazza per ribadire il proprio funerale storico e politico.

Cottino: "Un fatto gravissimo che il 2 giugno in piazza vadano i fascisti. E che gli italiani lo consentano".
Intervista a un grande intellettuale, ex partigiano e docente universitario,

di Mariachiara Giacosa
«Il 2 giugno è una festa che non scalda il cuore degli Italiani: per noi la Repubblica è un fatto assodato, tanto che in piazza in Italia oggi vanno i fascisti e chi accetta una logica fascista, che oggi si declina nel razzismo e nell'intolleranza strisciante in Italia, e in generale in Europa. E' una vergogna». Con i suoi 95 anni non ha timore a dire quel che pensa Gastone Cottino, oggi diviso tra la sua casa di Torino e quella della famiglia materna a Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese, dove si è rifugiato dopo le settimane trascorse in città per la quarantena imposta dall'epidemia di coronavirus. Una gioventù da partigiano, vissuta come “talpa” nella Prefettura di Torino, sede del capo politico del Partito fascista, dove Cottino viveva e lavorava con documenti falsi nelle vesti di un ex combattente sardo, viaggiatore di commercio per conto di un imprenditore canavesano. Da qui ha diretto la campagna per l'insurrezione e l'occupazione del municipio il 26 aprile del 1945. Nel dopoguerra, ruppe con il partito Liberale per poi militare nella sinistra e avviare la carriera accademica. E' stato prima docente di diritto commerciale e poi preside della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino della quale è professore emerito dal 2000.

Professore qual è lo stato di salute della Repubblica in Italia?

«Credo sia seriamente in discussione e insidiata dal montante fascismo che si respira nel nostro Paese, ma non solo. E' un fatto gravissimo, e indigna che in piazza il 2 giugno vadano i fascisti e che gli italiani lo consentano. In parte dipende anche dal fatto che non sia mai stata vissuta come una festa identitaria, nonostante il grande valore fondativo del 2 giugno del 1946 nella storia d'Italia».

Perché secondo lei?

«Un po' credo sia dovuto al calendario: il 2 giugno è vicino al 25 aprile che resta la festa dell'antifascismo su cui si riconosce la stragrande maggioranza degli italiani, e al Primo maggio che, anche nei momenti più difficili, è stato e resta il momento fondante dell'orgoglio operaio. La Repubblica è considerata un fatto normale, non c'è lo spirito anche un po' artefatto del 14 luglio francese. Poi c'è la scelta di celebrarla con una parata militare, che io personalmente non condivido, perché non risponde allo spirito che animò la scelta fatta dagli italiani 74 anni fa».

Cosa ricorda di quel periodo?

«C'era un conflitto durissimo, nei partiti, tra i partiti, ma persino nei rapporti personali. Si ruppero delle amicizie in quelle settimane. Tra monarchia e repubblica era davvero un dilemma morale tra il mondo che voleva cambiare pagina e chi invece voleva tornare al Medioevo. La monarchia ci aveva portato a più riprese in situazioni illiberali, ci aveva messo nelle braccia del fascismo, fino alla vergogna della firma posta dal re alle leggi razziali del 1938. Avevamo la sensazione che la scelta fosse tra progresso e conservazione e che quello fosse il punto da cui sarebbe passata o non passata la nuova Italia. In noi c'era lo spirito egualitario e libero che aveva animato le formazioni partigiane e che si sarebbe poi tradotto nello straordinario impegno dell'assemblea costituente».

Nonostante la forza dell'antifascismo e la voglia di cambiamento il risultato del referendum non fu travolgente

«Furono giornate tesissime: il voto fu contestato, per presunte irregolarità del ministro degli interni Romita, il Re di maggio sembrava non volesse andarsene e noi dopo l'entusiasmo iniziale siamo rimasti appesi al filo della decisione di Cassazione, che salvò il risultato, ma fu un momento drammatico. Il contrasto tra repubblicani e monarchici era radicale: chi voleva la monarchia impersonava la fedeltà a interessi che la Resistenza prima e la Costituzione poi, puntavano a mettere in discussione».

La frattura ideologica ebbe conseguenze negli anni successivi?

«Malgrado la repubblica, l'Italia ha conosciuto rigurgiti di quel conservatorismo. C'è stata la rimozione del fascismo, gli anni di Scelba con i processi ai partigiani. Più volte nella nostra storia quell'istanza ha alzato la testa. Ma il fascismo è stato sconfitto dalla storia e anche ciò a cui assistiamo ora è perdente».

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