Comunque è sempre preoccupante e non è da sottovalutare la loro presenza aiutata come sempre dalle forze del disordine e da chi ha permesso loro di prendere possesso di luoghi pubblici,ma la sensazione che le loro schermaglie anche interne unite al quasi sgombero della fogna di Cacca Povnd siano frutto di una lotta al potere e al denaro,"al chi ce l'ha più lungo"della compagna nera(vedi anche:madn sara-la-volta-buona? ).
Nel primo articolo(left.it )il resoconto di questi ultimi giorni e degli avvenimenti accaduti nella sfera neofascista parlamentare e non e soprattutto a Roma,mentre nel secondo l'inchiesta che porta il nome del titolo odierno del post con la vicenda di un ex legionario fascista che dopo solo pochi mesi di prigione è già ai domiciliari.
Tale Pasquale Nucera,'ndranghetista,è stato beccato con un vero e proprio arsenale sia in Italia che in Francia per ricostituire una milizia neofascista,rappresentante di Fogna Nuova e implicato in progetti criminali come chiarito dall'indagine che ha interessato tutta Italia,ma di questo i paladini dalla destra non hanno aperto bocca.
Per la destra italiana è stata proprio una settimana nera.
di Pino Casamassima
Prima il flop del raduno di Salvini e Meloni il 2 giugno, poi lo sgombero di CasaPound, infine i cuori neri che si menano tra loro a Circo Massimo (dove dovevano essere migliaia invece erano solo qualche centinaio). Mala tempora currunt, per la galassia che va dalla Lega a Forza nuova
Non ci sono più i bei tempi di una volta. Quelli in cui la destra neofascista marciava sfidando divieti prefettizi e promettendo mazzate ai compagni. Prendi quell’aprile di Milano. In rete, basta digitare “Giovedì nero”, che subito dopo il crac finanziario di Wall Street del 24 ottobre 1929, salta fuori il crac neofascista del 12 aprile 1973.
Quel giorno, a Milano, ci rimise la pelle il 22enne agente Antonio Marino. I feriti furono 35 (26 delle forze dell’ordine), 64 i fermi, 11 gli arresti. Fra gli oratori della manifestazione di estrema destra, oltre al condottiero neofascista Ciccio Franco, quello della rivolta del 1970 a Reggio Calabria dei Boia chi molla, anche il capelluto e mefistofelico segretario generale del Fronte della Gioventù, ossia il sempre esuberante Ignazio La Russa, figlio del senatore missino Antonino. All’epoca, colui che diventerà il ministro della Difesa del IV governo Berlusconi, fu perfino immortalato da Marco Bellocchio in un suo film (Sbatti il mostro in prima pagina) mentre aizzava la piazza contro il pericolo comunista.
Altri tempi. Tempi segnati dal furore del piombo e delle stragi. Oggi, per fortuna, le esibizioni delle destre radicali (si scrive così ma si legge neofasciste) si svolgono su una cifra macchiettistica. Oggi, la destra radicale (si scrive così ma si legge neofascista) incassa i permessi prefettizi. E in mancanza di forze dell’ordine o di compagni con cui fare a mazzate, lo fa da sé, in una sorta di orgia onanistica della violenza: battendosi cioè fra sé e sé. Per meglio dire: fra sé contro sé.
I Ragazzi d’Italia (si scrive così ma si legge neofascisti con sede a Brescia), ultras di fede calcistica (del Varese, dell’Inter, del Cesena e del Verona, della Lazio e della Roma) e Forza Nuova, si sono contrastati in una sorta di rivendicazione di primogenitura cesarista, con tanto di diritto o meno a parlare, come parlare, quando parlare. È successo infatti che l’annunciata adunata nera al Circo Massimo sia finita a schifìo, per dirla con Nino Manfredi.
Al comune grido di «Innalziamo il tricolore! Italia libera! Lotta per la giustizia sociale! Stiamo arrivando!» s’era organizzata l’ennesima marcetta romana, dopo quella del 2 giugno scorso col gotha della destra italica che aveva visto uniti (si per dire) Meloni, Salvini, Tajani. Nell’occasione, il papeetiano – in totale crisi d’astinenza da selfie – s’era finalmente sfogato, rigorosamente senza mascherina.
Esaltato da tutte quelle dimostrazioni d’affetto, per quegli slogan così commoventi, l’ex titolare dell’Interno s’era poi sentito titolato ad andare a Napoli a deporre un fiore e a offrire una di quelle preci che non risparmia nemmeno agli studi televisivi, sul luogo dove il poliziotto Pasquale Apicella era rimasto ucciso nello scontro fra la sua volante e il furgoncino dei rapinatori che avevano tentato una rapina in banca. Fiori e preghierine a mani giunte da chierico fedelmente ripresi da telecamere e telefonini a miglior vantaggio di tg e social, che tuttavia non sono bastati a non farlo cacciare via in malo modo dai napoletani per la poco nobile speculazione sulla morte di quell’agente (come testimoniato da diversi video).
Non un fiore né una Salve Regina, ma nemmeno mezzo vocalizzo da parte dell’ex invocatore dei «pieni poteri» per quelle forze dell’ordine bersagliate al Circo Massimo dalla violenza nera dei suddetti contendenti esibitisi in una curiosa interpretazione della dialettica hegeliana. Alla tesi di Simone Carabella (Curva Sud Roma, fra i suoi titoli): «Coi giornalisti io parlo quanno me pare»; seguiva l’antitesi di Giuliano Castellino (Fn): «No, tu nu’ parli»; con la sintesi: ‘na pizza ‘n faccia. Il tutto sotto le trionfanti note wagneriane della cavalcata delle valchirie. A Casa (Pound) ridono ancora. (E ce n’hanno bisogno d’una ventata d’allegria, poveretti, ché «c’è poco da ride’» – per dirla alla Verdone – dopo il dispiacere di quel provvedimento di sgombro).
Insomma, per le destre, mala tempora currunt (sed peiora parantur?): dalla marcetta della destra parlamentare nel giorno della festa della Repubblica (italiana, non sociale) non c’è pace per i cuori neri. La sfiga s’è accanita prima contro il triumvirato Meloni-Salvini (sì, vabbé, c’era pure Tajani), mortificandolo con un clamoroso flop, poi contro le tartarughe poundiane con tanto di sgombero (come non bastasse l’affronto di un anno fa della rimozione del nome in rigorosi caratteri romani ripresi dal fascismo), poi contro i cuori neri convenuti al Circo Massimo in una ennesima rappresentazione barbina urbi et orbi.
L’epilogo dei giorni neri è stato infatti il peggiore che si potesse immaginare, segnato com’è stato non dalla comunicazione di un preciso e dettagliato programma antagonista alle politiche governative, ma dalle papine. Non dalla forza della ragione, ma dalle ragioni della forza (in ciò, bisogna tuttavia riconoscerne la coerenza). Incipit è stato il contrasto/contatto fra Simone Carabella e Giuliano Castellino (poi le forze dell’ordine e i giornalisti sono stati, coerentemente, presi a sassate).
Per i meno edotti della raffinata galassia neofascista romana, ricordiamo i tratti specifici dei due cuori neri che invece di battere all’unisono si sono battuti fra loro. Simone Carabella è noto per i suoi tuffi nel Tevere a ogni capodanno, per la sua attività anticomunista sui social, per quella antimigranti per strada, per le sue dotte argomentazioni NoVax, e altre opere meritorie di siffatta natura che non potevano sfuggire a Giorgia Meloni: con un pedigree così blasonato, la capa dei fratellini non poteva che candidarlo – almeno – alle elezioni regionali del Lazio. L’altro, Giuliano Castellino, è dirigente romano di Fn, oltre a essere noto per molteplici contrasti con le forze dell’ordine costatigli alcune condanne (su di lui pende l’accusa per un’aggressione ai giornalisti dell’Espresso a gennaio 2019, per cui il Pm ha chiesto una condanna a sei anni, nonché per truffa in un altro procedimento, perché avrebbe sottratto 1,3 milioni di euro al Sistema sanitario nazionale insieme all’imprenditore Giorgio Mosca, ndr).
Le tifoserie dei due opposti estremismi nonostante il medesimo cromatismo politico, sono quindi entrate in azione pro domo proprio leader, e quando si sono accorti della cazzata, cioè che si stavano menando fra loro, hanno rivolto l’aggressione – manco a dirlo – verso i giornalisti nonostante le loro – giuste – vibranti proteste da Shel Shapiro («Che colpa abbiamo noi?»). Nel frattempo, la polizia s’era incazzata. E aveva cominciato a vibrare i manganelli, dopo essere stata presa pure lei a sassate e bottigliate.
A mezzo migliaio di chilometri stradali, ma ad anni luce di distanza politica, si svolgeva a Milano una manifestazione antigovernativa organizzata da alcuni sindacati di base unitamente a sigle della sinistra antagonista, che coinvolgeva 5mila persone. Una protesta sfilata in via Larga, cioè non a caso sotto il naso di Assolombarda, e conclusasi in piazza del Duomo, dove, oltre a fare la conta di quelle che per loro erano le politiche troppo filo confindustriali del governo Conte, venivano rilanciate le richieste di maggior tutela del lavoro sul fronte della sicurezza, visto che di lavoro si continua a morire. Il tutto, pacificamente.
Due diverse interpretazioni del dissenso, insomma, anche se in linea con le diverse genesi e le ancor più diverse palingenesi. Genesi e palingenesi che segnaliamo – laddove ce ne fosse bisogno – alla ministra Lamorgese semmai volesse emulare tal suo collega Paolo Emilio Taviani, che proprio in quel 1973 dalle effervescenze neofasciste summenzionate, sciolse Ordine Nuovo per il suo palese richiamo al fascismo (lo stesso di CasaPound, Forza nuova e similaria, insomma).
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di Federico Rucco
Dopo sette mesi di carcere è stato messo agli arresti domiciliari. La notizia non è di quelle che fanno clamore nelle cronache, eppure il protagonista, tal Pasquale Nucera, è forse l’esempio più indicativo di cosa intendiamo quando parliamo della “rete degli uomini neri”.
Pasquale Nucera ha 65 anni, è diventato il referente di Forza Nuova nel Ponente della Liguria. E’ un ex legionario (“ex capitano della Legione Straniera” dice di se stesso) ed è stato indagato e arrestato a dicembre del 2019 per detenzione illegale di armi comuni da sparo.
Nucera lunedì scorso è stato messo agli arresti domiciliari nella sua casa in Liguria, dopo essere finito dentro a novembre nell’ambito dell’indagine “Ombre Nere”, condotta dalla Procura Distrettuale di Caltanissetta, relativa a un gruppo di persone appartenenti a una rete eversiva di estrema destra, diffusa in numerose province italiane grazie a una rete di contatti via web.
In Liguria, una delle cellule dell’organizzazione è stata identificata e disarticolata. Nella perquisizione compiuta nell’abitazione di Nucera, a Dolceacqua (Imperia) a fine novembre del 2019, erano state trovate, oltre a numerose armi bianche e a materiale propagandistico di estrema destra, due fucili ad aria compressa (di cui uno non denunciato), un fucile Flobert, varie repliche ad aria compressa di pistole e un ’silenziatore’ nonché numerose munizioni.
Nucera risultava inoltre aver nascosto in un’altra abitazione, ma in Francia – a Tenda, in Avenue de France – un vero e proprio arsenale di armi da fuoco (nove fucili e cinque pistole) sequestrate dalla polizia francese.
“Sono un ufficiale, congedato capitano della Legione straniera”. Così descriveva se stesso Pasquale Nucera, negli interrogatori fiume che lo avevano reso prima ‘ndranghetista di Montebello Ionico (Reggio Calabria) e poi ex collaboratore di giustizia, con una storia che attraversa gli anni neri delle Stragi e del progetto delle Leghe del Sud, con missioni da mercenario in Africa e nei Balcani.
E’ indicativo che l’indagine su questa “rete di uomini neri” sia partita dalla procura di Caltanissetta, in Sicilia, per poi estendersi al Nord.
L’inchiesta, durata due anni, era partita dal monitoraggio di un militante neofascista della provincia di Enna autore di un aggressione. Seguendo i suoi contatti, gli inquirenti sono risaliti a una rete più estesa, persone residenti in Lombardia, Veneto, Toscana e Piemonte tenute insieme da «fanatismo ideologico» e intenzionate a «costituire un movimento d’ispirazione apertamente filonazista, xenofoba e antisemita denominato ‘Partito nazionalsocialista italiano dei lavoratori’». Con tanto di dichiarazione programmatica: 25 pagine di delirio neonazista e suprematista.
Nell’operazione Ombre Nere che lo portò all’arresto alla fine del novembre scorso, Nucera veniva definito come il reclutatore di mercenari e uomini per fare il “lavoro sporco” dove serviva, all’estero ma anche in Italia.
Secondo i magistrati di Caltanissetta, Nucera si proponeva come addestratore per formare ‘milizie’ di chiara matrice filonazista, xenofoba e antisemita e magari anche per provocazioni spicciole. “Lanciamo una molotov contro l’Anpi, la facciamo tirare da un marocchino, così depistiamo”, diceva al telefono senza sapere di essere intercettato dagli investigatori.
Sul suo profilo social si faceva chiamare Yavres Leon e tra foto in mimetica, svastiche e inni al fascismo e Mussolini, sbandierava gli scatti con Roberto Fiore, leader di Forza Nuova.
Per età e curriculum Pasquale Nucera è una sorta di caso da studio per comprendere e conoscere che cosa sia stata – e forse e tuttora – la rete degli uomini neri che ha agito nel nostro paese.
Adesso andrà ai domiciliari. C’è da sperare che non faccia come un altro boss fascista con caratteristiche analoghe, Emanuele Macchi di Cellere. Beccato con una enorme partita di cocaina da Santo Domingo, era finito poco dopo agli arresti domiciliari a Ostia (di chiunque altro avrebbero buttato le chiavi della cella, ndr) dai quali fuggì piuttosto facilmente. Venne ribeccato in Francia.
Ma su casi di “lassismo giudiziario” come questi non sentiremo mai starnazzare Salvini o la Meloni.
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