venerdì 28 giugno 2019

AFFIDAMENTI HORROR

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Le ultime leggi in materia di affidamento dei minori volute dal penultimo esecutivo e che hanno peggiorato in maniera decisa proprio le vittime di abusi o di chi vive in condizioni di grave disagio e povertà,ha avuto esempio lampante nell'orripilante caso di Bibbiena dove decine di persone,dal sindaco ad assistenti sociali,avvocati,educatori e dirigenti comunali,sono state indagate,alcune arrestate ai domiciliari,per aver tolto minorenni ad alcune famiglie per lucro.
Infatti le indagini sono partite lo scorso anno per il numero spropositato di affidi in una zona relativamente tranquilla e benestante,ed infatti è emerso che decine di bambini sono stati tolti dai loro genitori in maniera a dir poco frettolosa e senza le dovute ricerche per essere affidati come merce a compiacenti famiglie ed essere presi in cura presso una onlus(Hansel e Gretel)che ha guadagnato migliaia di Euro grazie alla compiacenza di parecchia gente che ha unto gli ingranaggi di questo sporco affare.
Nell'articolo(contropiano scheletri-nellarmadio-nella-provincia-emiliana )sono segnalati pure di abusi sessuali avvenuti proprio nelle famiglie affidatarie e una coercizione verso i minori più piccoli distorcendone la realtà inventando finte violenze con metodi di una cattiveria e pericolosità estrema.

Scheletri nell’armadio nella provincia emiliana.

di  Federico Rucco 
L’intero settore dell’affidamento dei minori a Reggio Emilia è finito sotto accusa nell’ambito dell’inchiesta “Angeli e Demoni” . Sedici persone legate alla rete dei servizi sociali della Val D’Enza sono state sottoposte a misure cautelari e 26 sono iscritte nel registro degli indagati.

 Sei persone sono finite agli arresti domiciliari, tra queste il sindaco Pd di Bibbiano Andrea Carletti, una responsabile del servizio sociale, una coordinatrice del medesimo servizio, una assistente sociale e due psicoterapeuti della onlus Hansel & Gretel di Moncalieri (Torino).

Sono scattate anche otto misure cautelari interdittive, che prevedono il divieto temporaneo di esercitare attività professionali, a carico di dirigenti comunali, operatori socio-sanitari, educatori.

Ci sono poi due misure coercitive con il divieto di avvicinamento ad un minore a carico di una coppia affidataria accusata di maltrattamenti.

I reati contestati sono frode processuale, depistaggio, abuso d’ufficio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione, peculato d’uso.

L’accusa contro gli operatori è di aver allontanato d’urgenza i bambini dai genitori, per poi mantenerli in affido e sottoporli ad un circuito di cure private a pagamento della Onlus “Hansel e Gretel”. Un giro d’affari per centinaia di migliaia di euro. Si calcola che in Italia gli affidamenti di minori siano circa 14.000 all’anno.

L’Onlus, secondo la ricostruzione degli inquirenti era diventata affidataria dell’intero servizio di psicoterapia voluto dall’istituzione comunale con tanto di convegni e corsi di formazione, tanto da essere diventato un modello.

Alcuni funzionari comunali “hanno ottenuto incarichi di docenza retribuiti nell’ambito di master e corsi di formazione tenuti sempre dalla onlus”. Il sistema si era via via sviluppato e consolidato portando all’apertura di un Centro Specialistico Regionale per il trattamento dei traumi infantili derivanti da abusi sessuali e maltrattamenti.

In questo centro veniva garantita l’assistenza legale ai minori attraverso la scelta di un legale da parte dei servizi sociali. Anche l’avvocato in questione adesso risulta indagato per “concorso in abuso d’ufficio”. Il tutto avveniva tramite gare d’appalto, ritenute fraudolente dai magistrati, e  gestite dalla dirigente del servizio, al fine di favorirlo. “Quello che veniva spacciato per un modello istituzionale da emulare sul tema della tutela dei minori abusati altro non era che un illecito business ai danni di decine e decine di minori sottratti alle rispettive famiglie”, hanno dichiarato gli inquirenti presentando l’indagine avviata.

Questa era iniziata alla fine dell’estate 2018 insospettita dalla escalation di denunce all’autorità giudiziaria, da parte dei servizi sociali coinvolti, per ipotesi di reati di abusi sessuali e violenze a danni di minori commessi da parte dei genitori. L’analisi dei fascicoli però giungeva alla totale infondatezza di quanto segnalato.

Secondo l’autore di un libro inchiesta, Pablo Trincia, alcuni dei personaggi coinvolti in questa indagini sono gli stessi dell’inchiesta “Veleno” su un giro di pedofilia nel modenese alla fine degli anni Novanta. In un post, l’autore dell’inchiesta afferma che: “Se quello che sostiene la Procura di Reggio Emilia è vero, chiediamoci che fine faranno questi bambini della Val d’Enza allontanati 3/4 anni fa. Torneranno dalle loro famiglie? Oppure, come nel caso #Veleno, il Tribunale dei Minori di Bologna impedirà comunque qualsiasi contatto? È questa la domanda centrale”.

Il gip del tribunale di Reggio Emilia nell’ordinanza scrive che: “Ad avviso del Pm le condotte degli indagati avrebbero provocato anche lesioni personali di natura psichica ad alcuni (almeno cinque) dei minori interessati”. Nell’ordinanza si dettaglia anche come avveniva la manipolazione: “innocenti disegni dei bambini falsificati” attraverso la mirata “aggiunta” di dettagli a carattere sessuale, abitazioni descritte falsamente come fatiscenti, stati emotivi dei piccoli artatamente relazionati, travestimenti dei terapeuti da personaggi “cattivi” delle fiabe messi in scena ai minori in rappresentazione dei genitori intenti a fargli del male, denigrazione della figura paterna e materna.

I carabinieri avrebbero poi rinvenuto nascosti in un magazzino i regali e le lettere di affetto, consegnati negli anni da parte dei genitori naturali, ma “che gli appartenenti ai servizi sociali indagati omettevano di consegnare ai piccoli”.

Emergono poi particolari che sembrano usciti da un film dell’orrore ancora più pesanti come “Due stupri in casa dei genitori affidatari” o “Uso di apparecchiature elettriche per gestione mente”.

L’inchiesta dei carabinieri ha ricostruito ore ed ore di sedute di terapia sui bambini, anche attraverso l’utilizzo di apparecchiature elettriche spacciate come strumenti in grado di garantire alla terapeuta la gestione della mente e il recupero dei ricordi.

L’ordinanza dettaglia poi i meccanismi sulla base dei quali alla fine i minori venivano tolti ai genitori naturali per essere dati in affidamento. Procedure alle quali si fa fatica a dare un giudizio perché ci conducono in una zona grigia nella quale distinguere una realtà inquietante da una lettura inquisitoria richiede competenze, conoscenze e capacità al di sopra delle nostre.

Il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di abuso d’ufficio. Secondo l’accusa era fondamentale per dare “copertura” alle attività illecite, grazie ai suoi contatti politico-amministrativi, ma anche con l’autorità giudiziaria minorile.

Sul piano politico la Giunta comunale di Bibbiano ha espresso solidarietà al sindaco: “Esprimiamo la piena solidarietà e vicinanza al nostro sindaco Andrea Carletti, che ha sempre dimostrato attenzione e cuore verso tematiche che anche noi riteniamo prioritarie: legalità, trasparenza e cura per le persone”, scrive in una nota la giunta del comune di Bibbiano, “Abbiamo assoluta certezza che Andrea – prosegue la nota  – abbia sempre operato nel rispetto delle norme. La nostra fiducia incondizionata va al lavoro della Magistratura, che ci auguriamo faccia luce sui fatti al più presto. Prima che come sindaco, conosciamo Andrea come uomo e siamo assolutamente convinti della sua estraneità ai fatti”.

Adesso saranno le indagini a dimostrare se, come negli anni Novanta nel modenese, siamo di fronte ad una casa degli orrori in versione emiliana, oppure in una zona grigia in cui buone intenzioni e lordure si incontrano e si confondono.

giovedì 27 giugno 2019

IPOCRISIA OLIMPICA


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Un paese normale e senza rischi di corruzione e problemi di mafia esulterebbe per essere riuscito a portasi a casa l'organizzazione di un'Olimpiade,la più elevata espressione mondiale dello sport,ma non essendo un paese sano sia di princìpi e nemmeno apposto con i conti,questo evento che ha visto l'assegnazione dei giochi olimpici invernali del 2026 a Milano-Cortina segna l'inizio ufficiale di una lunga serie di problemi all'italiana.
Dove la faranno da padrona gli scandali,le mazzette,i giri di amicizie che daranno posti di lavoro e di consulenza a chi non ha meriti,i certi infiltramenti delle organizzazioni criminali e le polemiche sugli sprechi e i debiti che tutto ciò comporterà.
Senza dimenticare le dichiarazioni delle persone favorevoli o meno a questi eventi,che si dimenticano in fretta dei giudizi a suo tempo per le Olimpiadi romane(madn parentopoli-romana-allasciutto-questo.giro ),vedi Salvini ma non solamente il capitone,o in periodi più recenti come nel caso della sindaca torinese Appendino(madn torino-sulle-olimpiadi ).
Il magna magna d'italico costume piomberà a piè pari nella storia ancora lunga di quest'attesa con le solite promesse d'introiti e di nuovi posti di lavoro(stile Expo,o gratuito oppure in stile schiavismo)dove saranno certamente ben poche le persone che si avvantaggeranno economicamente per questi giochi...mentre i comuni mortali ne pagheranno le conseguenze in soldoni ma avranno il piacere morale di avere avuto l'onore di potere ospitarli!
Redazionale di Contropiano:olimpiadi-invernali-e-modello-milano .

Olimpiadi invernali e Modello Milano, un altro passo verso disuguaglianza e devastazione del territorio.

di  Redazione di Milano 
Le Olimpiadi Invernali nel 2026 si terranno a Milano e Cortina. Il sindaco Sala e il governatore Fontana esultano, ed esultano anche molti cittadini sui social a quanto ci viene raccontato.

Noi invece  ci chiediamo cosa vorranno dire queste Olimpiadi nella città del Modello Milano, nella città dei progetti urbanistici faraonici e di impatto, nella città del benessere, il capoluogo di provincia più ricco di Italia, la città che con la sua provincia produce un valore aggiunto che sostanzialmente doppia quello delle altre provincie del Nord Italia, anche di quelle che costituiscono le zone del paese dove si gode di maggior benessere, come mostra una recente ricerca di Pap.

Che cosa significhino queste Olimpiadi in una città dove per vivere bene è necessario guadagnare circa il doppio di quello che i dati ci dicono essere lo stipendio minimo nazionale (1.570 euro al mese, secondo i dati dell’osservatorio Jobpricing).

In molti altri contesti abbiamo denunciato come dietro il cosiddetto Modello Milano ci sia in realtà un intreccio di interessi economici che hanno a che fare con le aree dismesse (ex scali ferroviari, ippodromi, patrimonio pubblico dismesso o in dismissione, ultimo caso è quello dell’accorpamento degli ospedali San Paolo e San Carlo), con un’urbanistica preda di interessi privati spacciati per interessi pubblici, con gli investimenti di multinazionali e fondi di investimento internazionali. Interessi che coinvolgono, peraltro, le organizzazioni criminali e la ‘ndrangheta in particolare, infiltrata nello smaltimento rifiuti, nel movimento terra e soprattutto nell’edilizia.

Le Olimpiadi invernali sono, a nostro parere, solo un tassello della trasformazione di Milano in città per ricchi e dei ricchi. In linea coi progetti City Life e Porta Nuova, queste olimpiadi produrranno nuove colate di cemento, nuove strutture faraoniche, la cui ricollocazione dopo il grande evento, sarà tutta da vedere, come l’esperienza di Expo insegna.

Il che è sostanzialmente in linea con un altro progetto molto discusso, quello del nuovo stadio, che dovrebbe rimpiazzare il vecchio Meazza, a pochi metri di distanza, caratterizzandosi come luogo di consumo e scambio di merci prima che come luogo di sport.

Nella Milano che vuole darsi un’immagine ricca e solidale queste Olimpiadi saranno un altro modo per nascondere le contraddizioni, perché il processo di gentrificazione prosegue, con il suo portato di smantellamento delle reti sociali e di solidarietà, l’espulsione dei ceti popolari dalla città e la trasformazione dei bisogni essenziali e dei servizi in merce.

In una città che sta mettendo i suoi atenei e i suoi centri di ricerca sempre più al servizio del privato, che investe nelle scienze della vita e nelle biotecnologie soprattutto in un’ottica di profitto, si pensi al recente progetto VITAE, un nuovo polo in via Serio, che mescolerà ricerca oncologica, uffici all’avanguardia, ricerca pubblica e privata, in un mix difficile da districare, quest’ennesimo evento vetrina che muoverà soldi e investimenti non supportati da una logica amministrativa realmente al servizio della cittadinanza, non porterà ricchezza e benessere per tutti, ma profitti astronomici per i soliti noti e lavoro precario per molti: non è un caso che il Sindaco abbia già annunciato : “20mila volontari sono già pronti e nessuna città ha il nostro stesso consenso popolare“, nel solco di quella prima esperienza di lavoro gratuito (“ma fa curriculum”!) che è stato Expo e che ha aperto la strada a molte distorsioni, non ultima quella Alternanza Scuola Lavoro che nelle nostre scuole troppo spesso si traduce in lavoro nero minorile.

Quello cui siamo davanti è un intreccio di interessi economici, che vorrebbe concretizzare uno degli obiettivi centrali dell’Unione Europea da Lisbona 2000 in poi: la costruzione di una società della conoscenza competitiva e inclusiva. Ma sappiamo bene che questo obiettivo non è raggiungibile, perché la competitività, la prevalenza delle logiche economiche sue quelle politiche e sociali, la messa a profitto delle dimensioni essenziali della vita umana (la casa, la salute, il lavoro) non possono andare a braccetto con una logica di reale inclusione sociale.

Coloro che solo cinque anni fa si dicevano contrari alle Olimpiadi, in una logica meramente elettoralistica, come la Lega e Salvini stesso, o come i Cinque Stelle che a Roma hanno, a nostro parere correttamente, bloccato la candidatura per le olimpiadi, oggi invece si dicono entusiasti di questa “occasione per Milano e per gli italiani”, in un’ottica che li svela per quello che sono: non amministratori pubblici, non politici al servizio di uno Stato, ma meri gestori di interessi e decisioni che si prendono altrove, nei centri del potere economico e, dal punto di vista politico, fuori dai confini nazionali.

Avremmo voluto che a Milano come a Calgary si ragionasse nei termini di ciò che è meglio per la cittadinanza tutta e infatti la città ha scelto di ritirare la propria candidatura per queste Olimpiadi dopo un referendum popolare, invece rischiamo di trovarci a fare la stessa esperienza di Montreal 2010, dove le Olimpiadi Invernali hanno provocato una devastazione urbanistica e tasse aggiuntive per i cittadini per i 16 anni successivi.

E’ chiaro infatti alle comunità montane quale è l’impatto della costruzione di enormi strutture in alta quota, utilizzate solo in concomitanza dell’evento, e poi abbandonate, insieme a distese di parcheggi e strade in ecosistemi sempre più fragili e compromessi.

L’amministrazione cittadina e regionale vogliono fare queste Olimpiadi una vetrina, la conferma del Milano come metropoli globale, che della globalizzazione capitalistica sposa tutte le scelte, noi crediamo invece che sarà necessario vigilare e denunciare quanto questa ultima operazione accrescerà ancora le disuguaglianze e le disparità che già governano questa città e questa regione.

martedì 25 giugno 2019

L'EMERGENZA ANNUNCIATA DELLA SANITA' PUBBLICA


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Il quadro della sanità pubblica italiana già al tracollo sta vivendo una situazione di grave emergenza in previsione del periodo estivo,e oltre il caso esemplare del Molise altre regioni hanno richiamato medici militari e si prospetta l'inserimento nel mondo lavorativo degli studenti universitari che devono ancora specializzarsi.
Quello descritto nell'articolo di Contropiano(ospedali-senza-medici-sanita-al-collasso )è la triste e tragica verità di un sistema sanità che nel corso degli ultimi nove anni ha subito tagli lineari per ben 28 miliardi di Euro,mentre dall'altro lato i fondi sanitari privati hanno avuto un'impennata considerevole degli introiti(madn welfare-e-pensioni-ed-assicurazioni integrative(private) ).
Così come tutto è quello che racchiude il mondo lussuoso della sanità pubblica con cliniche costruite apposta per la stretta cerchia di chi può permettersi di ammalarsi,perché adesso in Italia curarsi è diventato impossibile per milioni di persone.
Si prospettano delle soluzioni che oltre a destinare grandi quantità di denaro pubblico al servizio sanitario nazionale e togliere il numero chiuso alle università(uno dei temi di fondo rimane la carenza di medici),oltre che un utopico processo a tutte le persone che nel corso di questi anni hanno azzerato i fondi per uno dei pilastri della pubblica utilità di uno Stato democratico.

Ospedali senza medici, sanità al collasso. Una soluzione in tre mosse.

di  Stefano Porcari 
La notizia sull’assenza di medici negli ospedali del Molise è solo l’ultima vergognosa conferma.

Vedere interviste sull’emergenza sanitaria ospedaliera fatte al Ministro della Difesa piuttosto che a quello della Sanità, ci dà il segno dei tempi.

La soluzione indicata infatti è quella di precettare i medici militari per assicurare la presenza di medici in ospedali dove non ce ne sono praticamente più. I feroci tagli agli organici, i medici che vanno in pensione, quelli che muoiono (capita anche a chi cura gli altri), il numero chiuso nelle facoltà di Medicina che ha ridotto al minimo la formazione di nuovi medici, ed ecco il risultato. Con un allarme che, oltre al Molise sembra riguardare anche Lazio, Toscana, Lombardia ed altre regioni. Una emergenza annunciata. Perché?

Lo spiega la Fondazione Gimbe che ha presentato un rapporto al Senato secondo cui il sistematico definanziamento ha sottratto alla sanità pubblica circa 28 miliardi dal 2010 al 2019, con cure essenziali non garantite a tutti, sprechi e la progressiva crescita di fondi integrativi per ammortizzare la spesa privata per la salute.

Questo mix di 4 fattori sta “facendo cadere a pezzi il Servizio Sanitario Nazionale” afferma il quarto Rapporto della Fondazione Gimbe sulla Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, presentato oggi in Senato. “Nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi – precisa il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta – e, parallelamente, l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di quasi 9 miliardi”, con una differenza di 28 miliardi e “con una media annua di crescita dello 0,9%, insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+1,07%)”.

“Nessuna luce in fondo al tunnel”, visto che il DEF 2019 riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e 6,4% nel 2022, mentre per il 2019 è subordinato alle “ardite previsioni di crescita”.

In compenso su questo saccheggio della sanità pubblica è prosperato il comparto delle assicurazioni sanitarie private. Qui è tutta un’altra musica. Infatti secondo l’ultimo rapporto dell’Ania il giro d’affari nel settore delle assicurazioni private sulla sanità nel 2018 è arrivato ben 2,9 miliardi di euro, cioè il 45% in più rispetto ai 2 miliardi di premi raccolti nel 2013. L’incremento delle polizze per la sanità, ha compensato i gruppi assicurativi privati del progressivo calo dei ricavi dalle polizze per la Rc Auto.

Ma le assicurazioni private, le uniche che si stanno arricchendo sul disastro della sanità pubblica, oltre a contare i soldi pretendono anche di raccontare come devono andare le cose secondo i loro desideri. Infatti l’annuale rapporto del Censis sulla spesa delle famiglie per la salute e le cure (aumentata notevolmente), viene fatto in collaborazione con la Rbm, cioè una delle volpi messe a guardia del pollaio.

Secondo una inchiesta del Il Fatto Quotidiano, la Rbm, è nata nel 2011 (guarda un po’ che casualità questa coincidenza con l’anno orribilis del welfare nel nostro paese) dopo l’acquisizione da parte del gruppo trevigiano Rb Hold di Dkv Salute dalla tedesca Munich Re, in pochi anni è passata da outsider a leader del settore con oltre 514 milioni di premi, superando le big Generali, Unisalute e Allianz. Intorno a Rb Hold, controllato e guidato dall’ex dirigente di Generali Roberto Favaretto, ruota una galassia di società attive nella gestione di fondi sanitari e strutture sanitarie convenzionate, da Previnet a Previmedical, che – stando all’ultima Relazione sulla gestione del gruppo – “gestisce quasi un miliardo di euro di spesa sanitaria ogni anno il che ne fa anche il più importante “gruppo di acquisto” di prestazioni sanitarie private in Italia”.

Per capire che ruolo si sia ritagliata Rbm nel panorama italiano basta scorrere la lista dei fondi sanitari clienti: non solo ci sono quelli dei dipendenti Alitalia, Eni, Enel, Unicredit, Poste, Rai e Confindustria, ma si cura negli ambulatori e nelle cliniche convenzionate con Rbm anche il personale di Anac, Bankitalia, Agenzia delle Entrate, Equitalia, Consob e ministero della Difesa. In più ci sono i fondi sanitari dei rappresentanti di commercio, delle imprese artigiane venete, dell’università La Sapienza e di Roma Tre. Più ovviamente le polizze individuali, promosse con insistenti campagne pubblicitarie che promettevano coperture “a un euro al giorno“.

Ciliegina sulla torta, nel 2017 Rbm si è aggiudicata per il triennio 2018-2020 anche Metasalute, il fondo sanitario dei metalmeccanici: si tratta del più grande fondo sanitario integrativo in Europa con oltre 1.700.000 assistiti dipendenti di 30mila aziende. Dopo il passaggio di Metasalute sotto l’ombrello di Rbm, i metalmeccanici hanno segnalato disservizi nei tempi di risposta del call center e di autorizzazione delle pratiche, oltre che sulle nuove procedure per ottenere il rimborso delle cure dentarie.

Nel 2018 il segretario generale Fim Cisl Maurizio Bentivogli ha scritto al cda del Fondo per verificare le condizioni per una rescissione del contratto. Oggi, secondo il sindacato, “alcuni problemi iniziali sono stati in gran parte risolti. Permangono alcuni disagi e restano alcune inefficienze da ottimizzare”. Sul fronte delle prestazioni sanitarie, “da migliorare la polizza sanitaria del Fondo che per la struttura delle prestazioni ampie è molto flessibile. Questo, se da un lato ha rappresentato un’opportunità per gli assistiti, dall’altro in molti casi ha alimentato attese non sempre legittime o applicazioni restrittive da parte del gestore“.

Una soluzione in tre mosse

Per ridare dignità e risorse al Servizio Sanitario Nazionale si possono fare delle cose, anche semplici ma in qualche modo impegnative:

Rifinanziare adeguatamente il SSN ripristinando le risorse necessarie, al di là di quello che ne pensano i tecnocrati della Commissione europea o il Patto di Stabilità europeo, nazionale, regionale. Indicare con una certa energia alle assicurazioni private che dovranno arricchirsi su altro e non sulla salute pubblica;

Abolire il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina e formare i medici necessari al paese;

Infine la soluzione più impegnativa: un maxi processo con dentro le gabbie i seguenti imputati: i ministri della salute, dell’economia e dell’università degli ultimi venti anni; i governatori delle regioni degli ultimi venti anni; i dirigenti sindacali che hanno varato negli ultimi contratti il welfare aziendale. Qualcuno dirà che il rapporto della Fondazione Gimbe parte solo dal 2011 e quindi perché allargare l’accusa agli ultimi venti anni? Perché in realtà questa operazione criminogena è iniziata negli anni Novanta sotto la spinta dei tagli e delle privatizzazioni nella sanità per rientrare nei parametri del trattato di Maastricht e dal Patto di Stabilità.

Durante il processo, nei banchi del pubblico e in quelli dell’accusa, dovrebbero sedere tutte le vittime del crollo dei livelli di assistenza sanitaria dovuti ai tagli e alle scellerate scelte fatte;  ed anche tutti coloro che hanno dovuto sborsare due volti i loro soldi (prima con le trattenute in busta paga e poi pagandosi direttamente prestazioni sanitarie che avrebbero dovute essergli garantite).

Fuori dall’aula dovremmo esserci tutti noi. Pronti ad intervenire nel caso di una condanna troppo lieve o l’assoluzione degli imputati. Un intervento popolare teso ad assicurare che la condanna venga scontata effettivamente “intramoenia”.

Nell’eventualità di un processo che facesse seriamente giustizia si partirà in corteo per recarsi all’ospedale San Giovanni di Roma onde abbattere una scritta vergognosa: “Azienda Ospedaliera San Giovanni”, e ripristinare l’insegna con su scritto solo “Ospedale”. Proprio perché hanno ridotto gli ospedali ad aziende oggi siamo di fronte agli orrori che stiamo vedendo.

sabato 22 giugno 2019

FERMIAMO QUESTO FOLLE


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La stupidità e l'arretratezza sociale e culturale di Trump va di pari passo con la gente che lo sostiene sia statunitensi e non,e le conseguenze si riflettono su tutto il mondo ed in questo determinato periodo è l'Iran,o meglio c'è un ritorno di fiamma verso Teheran,lo spauracchio ed il pretesto di muovere l'ennesimo conflitto.
Che per stessa ammissione del coglione attuale domiciliato alla Casa Bianca è stato ad un passo per essere iniziato dopo l'abbattimento di un drone Usa(contropiano la-contraerea-iraniana )in territori internazionali secondo gli Stati Uniti e nel territorio iraniano secondo i persiani.
Anche perché la minaccia trumpiana di fare tabula rasa dell'Iran oggettivamente sembra una sparata ma di quelle grosse,poiché un intervento Usa in Iran comporterebbe di certo una reazione russa e cinese,e alla faccia di Israele questo sarebbe davvero troppo e qualcuno a Washington di sicuro ha tirato le orecchie al presidente(contropiano trump-bombardo-liran-forse-no ).
Che sappiamo non essere uno che riceve strigliate ed ordini,anzi è il primo megalomane a impartire diktat e i risultati nei sui quasi quattro anni di presidenza sono sotto gli occhi di tutti con licenziamenti e revoche alle cariche più alte della nazione.
Sarà quindi l'Iran la prossima tappa dello Usa world war tour oppure l'attenzione si sposterà più vicina agli Stati Uniti direzione Caracas oppure vi sarà un'intensificazione a Damasco o qualcos'altro verso Pyongyang o più vicini ancora a casa col Messico?(vedi anche:madn tutti-i-santi-giorni-trump-attacca qualcuno )

Trump. Bombardo l’Iran, forse no. Spaccatura alla Casa Bianca.

di  Alessandro Avvisato 
Ci vorrà qualche informazione di più per capire il dietrofront di Trump rispetto alla decisione di bombardare obiettivi iraniani. Ma la notte alla Casa Bianca deve essere stata una di quelle difficili.

In realtà non è la prima volta che accade. Era successo quattro anni fa con Obama che aveva avviato insieme alla Francia i bombardamenti contro la Siria ma poi avevano fermato le macchine quando i motori erano già accesi.

Dopo il drone militare abbattuto dalla contraerea iraniana Donald Trump aveva approvato attacchi militari mirati contro l’Iran, ma poi ha avuto un ripensamento. Lo scrive il New York Times, citando alcune fonti fra alti funzionari coinvolti o informati sulle decisioni. Secondo le fonti, verso le sette di sera, ufficiali militari e diplomatici erano in attesa dell’attacco dopo un intenso dibattito dentro l’amministrazione alla Casa Bianca.

La Casa Bianca si è spaccata sul possibile attacco. Secondo indiscrezioni, il segretario di stato Mike Pompeo, il consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton e il direttore della Cia Gian Haspel erano a favore di un attacco. A essere scettici erano invece i funzionari del Pentagono, convinti che una tale azione avrebbe causato un’escalation mettendo a rischio le forze statunitensi nell’area.

I leader del Congresso erano stati informati dei piani dell’amministrazione nel corso della riunione tenutasi giovedì nel pomeriggio nella Situation Room della Casa Bianca.

Le fonti hanno riferito che il presidente aveva inizialmente approvato attacchi contro alcuni obiettivi iraniani, come radar e batterie di missili. L’operazione era in corso nelle sue fasi iniziali quando è stata annullata, ha detto un alto funzionario. Gli aerei erano già in aria e le navi erano già in posizione, ma nessun missile è stato lanciato.

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La contraerea iraniana abbatte drone militare statunitense.

di  Alessandro Avvisato 
L’Iran questa mattina ha abbattuto un drone militare degli Stati Uniti: entrambi gli Stati hanno confermato l’abbattimento ma con versioni completamente diverse sulla cruciale questione se l’aereo avesse violato o meno lo spazio aereo iraniano.

Funzionari iraniani hanno detto che il drone era sullo spazio aereo dell’Iran (collocazione probabile visto che i droni servono proprio alla spionaggio aereo sui territori nemici, ndr). Gli Usa ovviamente lo negano. Entrambi confermano che l’abbattimento del drone si è verificato alle 4:05 ora iraniana oggi, o alle 7:35 di mercoledì a Washington.

Il drone “è stato abbattuto da un sistema missilistico terra-aria iraniano mentre operava nello spazio aereo internazionale sullo Stretto di Hormuz”, ha detto il Comando Centrale degli Stati Uniti in una nota. “Questo è stato un attacco non provocato a un bene di sorveglianza degli Stati Uniti nello spazio aereo internazionale”. Due funzionari statunitensi hanno detto che si trattava di un drone MIT-4C Triton della marina statunitense che è stato abbattuto da un missile terra-aria iraniano.

Un attacco iraniano su un aereo americano – anche se si tratta un drone senza pilota – aggiunge un altro potenziale fattore di infiammabilità alla crescente lista di scontri recenti tra Iran e Stati Uniti scrive il New York Times.

Al Jazeera riferisce invece di una nota del Ministero degli Esteri iraniano secondo cui “E ‘stato abbattuto quando è entrato nello spazio aereo iraniano vicino al distretto di Kouhmobarak nel sud”. Il ministero degli Esteri iraniano ha condannato la presunta intrusione nel suo spazio aereo, avvertendo delle conseguenze di tali misure “provocatorie”.

Il comandante delle Guardie della Rivoluzione Iraniana ha detto che l’abbattimento del drone ha inviato “un chiaro messaggio” agli Stati Uniti. Il generale Hossein Salami ha anche detto che l’Iran “non ha alcuna intenzione di guerra con nessun paese, ma siamo pronti per la guerra”. “I confini sono la nostra linea rossa”, ha detto Salami a una folla nella città occidentale di Sanandaj. “Ogni nemico che viola i confini sarà annientato”.

Il nuovo incidente arriva pochi giorni dopo che i funzionari americani hanno accusato l’Iran di recenti attacchi a due petroliere che si sono verificati anche nei pressi dello Stretto di Hormuz, la via d’accesso vitale per gran parte del petrolio del mondo, un’accusa che l’Iran ha negato.

E’ ormai evidente che ci troviamo di fronte ad una escalation contro l’Iran fortemente voluta da quella che viene definita la “Banda delle 4 B”, una escalation di cui appare quasi superfluo sottolineare la gravità e le possibili conseguenze, sia nella regione che nelle relazioni internazionali.

venerdì 21 giugno 2019

SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO PER I 5 DI TORINO


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Per ora nulla i concreto,ma la decisione della respinta alla richiesta di sorveglianza speciale per i cinque combattenti torinesi accusati non si sappia come di terrorismo,o meglio avere la possibilità di organizzare una rivoluzione in Italia grazie al passato di miliziani in Siria a fianco del popolo curdo(questa l'insolita ed assurda richiesta della pm Pedrotta)dev'essere presa come un buon segnale.
Perché sia la Digos che la Procura hanno ricevuto una prima batosta dal Tribunale di Torino anche per la risonanza mediatica che ha avuto la morte di Orso(madn laccanimento-verso-i-combattenti solidali con i curdi )che ha fatto aprire gli occhi alle persone in quanto i combattenti in Siria per la liberazione del Rojava dai tagliagola dell'Isis è la lotta contro questi folli animati dal loro delirio suprematista dettato da motivi religiosi(leggasi economici e di potere).
L'articolo di Contropiano(i-cinque-ex-combattenti-in-rojava )parla con la voce dei diretti interessati che per ora possono tirare un respiro di sollievo per la sospensione del giudizio col loro ringraziamento a tutti quelli che con la loro solidarietà e lavoro hanno contribuito a questo primo successo.

I cinque ex combattenti in Rojava. Sulla richiesta della Sorveglianza Speciale.

di  Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero, Maria Edgarda Marcucci 
Il tribunale di Torino ha respinto a richiesta di sorveglianza speciale per due anni per Davide Grasso, 39 anni e Fabrizio Maniero, 43 anni, combattenti in Siria al fianco dello Ypg e Ypj, contro l’Isis. Per Paolo Andolina, 28 anni, Jacopo Bindi 33 anni e Maria Edgarda Marcucci, 27 anni, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Torino ha chiesto maggiori approfondimenti prima di prendere una decisione. Per loro dunque il giudizio è al momento sospeso.

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Stamattina, venerdì 21 giugno, alle ore 11.00, presso il caffé Basaglia di via Mantova 34 a Torino, avrà luogo una conferenza stampa in cui risponderemo alle domande dei giornalisti sulla decisione del Tribunale di Torino, comunicata oggi, circa la sorveglianza speciale a ex volontari torinesi anti-Isis, civili e militari, nella Federazione democratica della Siria dl nord.

La decisione del Tribunale di Torino è una vittoria delle Ypg-Ypj. Afferma esplicitamente che nessuna correlazione è possibile (per tutti noi cinque, e quindi per nessun altro) tra l’aver combattuto nelle forze curdo-arabe che hanno sconfitto l’Isis e l’applicazione di restrizioni della libertà previste dalle cosiddette “misure di prevenzione”.

Il nostro primo obiettivo è stato la protezione della memoria delle migliaia di cadute e caduti nella lotta contro l’Isis e contro l’invasione turca in Siria attraverso la reputazione internazionale delle Ypg e della rivoluzione sociale, politica e culturale che esse difendono nella Siria del nord.

Riteniamo di aver raggiunto questo risultato. Resteremo vigili su qualunque tentativo di infangare la memoria dei nostri caduti e la reputazione mondiale delle forze rivoluzionarie.

Inviamo il nostro saluto solidale a Luisi Caria, combattente sardo Ypg, in attesa della decisione da parte del Tribunale di Cagliari.

Il vero responsabile di questa vittoria è Lorenzo Orsetti. Cadendo sul campo di battaglia il 18 marzo contro i miliziani dell’Isis con la stessa uniforme che alcuni di noi hanno indossato, ha indirettamente acceso su questa vicenda riflettori che, altrimenti, avrebbero continuato ad essere spenti.

Saremo a Firenze questa domenica (23 giugno) per la veglia funebre all’Sms di Rifredi (h 10.00 – 20.00) e domenica 24 per la cerimonia funebre alle Porte Sante di San Miniato (h 10.00).

Ci stringiamo alla famiglia di Lorenzo, che ringraziamo per la solidarietà. Invitiamo tutte e tutti ad essere presenti.

Questa vittoria è stata possibile anche grazie al sostegno dell’opinione pubblica italiana e dei tanti che ci hanno testimoniato privatamente e pubblicamente la loro vicinanza, che ringraziamo.

Fondamentale è stato l’apporto dei nostri tre avvocati, che ringraziamo di tutto cuore per il loro lavoro: Lea Fattizzo, Claudio Novaro e Frediano Sanneris.

Un secondo risultato importante (sempre per tutti e cinque) è l’affermazione del tribunale che non è ammissibile applicare la sorveglianza speciale per via di idee politiche espresse in interviste, status sui social o sui libri, come invece avevano sostenuto incredibilmente la Digos con i suoi incartamenti e la procura con il suo intervento in aula.

La nostra campagna e la nostra difesa hanno ottenuto il risultato di difendere efficacemente, almeno in parte, la libertà di dissenso intellettuale e di espressione critica in questo paese.

Questa doppia sconfitta di Digos e procura non rende meno preoccupanti le scomposte iniziative intraprese nei nostri confronti e nei confronti di molti altri in questi anni. Pone anzi in generale, crediamo, la necessità di una discussione sugli effetti dell’estrema politicizzazione di questura e procura a seguito del dissenso dimostrato in questi anni dalla popolazione della Val Susa nei confronti del progetto “Tav”.

Non tutto è oro quel che luccica. Resta quanto mai problematica, da parte del tribunale, l’affermazione secondo cui le nostre condotte in Italia, del tutto irrelate con le Ypg e con la Siria, avrebbero potuto o potrebbero motivare una sorveglianza speciale che limiti le nostre libertà e i nostri diritti civili senza accuse, senza reato e senza processo, per il tramite della sorveglianza speciale.

Questo viene affermato dai giudici sospendendo la posizione di tre di noi – Eddi, Jacopo e Paolo – per cui si chiede l’acquisizione di ulteriori elementi su fatti che nulla hanno a che fare con la nostra comune militanza in Siria.

Questi elementi riguardano episodi politici per cui né Eddi, né Jacopo, né Paolo sono mai stati condannati. Un presidio a Torino, nell’autunno 2018, in cui Eddi e Jacopo hanno chiesto del tutto pacificamente, assieme a decine di altri giovani, che il proprietario di un locale corrispondesse a un ragazzo gli stipendi arretrati come cameriere; e un presidio del capodanno 2017 di centinaia di persone (tra cui Paolo) che hanno espresso vicinanza ai detenuti del carcere delle Vallette.

Questo futuro strascico ci sembra espressione di una volontà di confondere le idee, di voler dare un intempestivo contentino o un colpo al cerchio e un colpo alla botte – con l’effetto di rendere questa vicenda, già grave, sempre più simile a una farsa.

L’udienza per Eddi, Paolo e Jak è stata fissata per il 15 ottobre il cui si discuterà dei nuovi accertamenti richiesti. Non ci sentiamo di escludere che questi continui rinvii siano anche motivati dalla speranza che sulla vicenda scenda l’attenzione il più possibile.

Restiamo uniti contro qualsiasi tentativo di limitare la libertà di dissenso, nostra e altrui, nel nostro paese, e chiediamo che l’obbrobrio giuridico e politico delle “misure di prevenzione” introdotte da Mussolini sia finalmente e per sempre espunto dall’ordinamento italiano.

Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero, Maria Edgarda Marcucci

mercoledì 19 giugno 2019

SILENZIO SUI LAVORATORI IN LOTTA


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Pressoché nel silenzio negli ultimi mesi soprattutto nel nord Italia nella zona del piacentino e del cremonese ci sono stati scioperi che non hanno avuto eco a livello nazionale,e se per quello nemmeno locale a parte per gettare fango sui lavoratori in lotta per la difesa del posto del lavoro,ed il caso ultimo successo la scorsa settimana a Soresina(Cr)è quello descritto e riportato nell'articolo sottostante di Contropiano(cremona-caricati-dalla-polizia-i-facchini-della-finiper ).
Licenziamenti in blocco di gente,quasi tutti di origine straniera anche se lavorano nella stessa ditta da anche vent'anni,come nel caso dei facchini della Finiper,che lavorano in stato di semischiavitù con paghe da fame e senza alcun diritto,appoggiato dai sindacati come Si Cobas e Usb perché quelli confederali qui non si fanno vedere né sentire perché non ci sono telecamere e telegiornali(vedi:madn il-nuovo-caporalatocol-permesso-dei sindacati ).
Sono 170 i licenziati a Soresina,altri in tutta la zona della pianura padana,soprattutto in azienda che trasformano la carne,e come macellai i celerini sempre dalla parte del padrone in silenzio massacrano ovunque,nonostante la presenza delle famiglie a fianco dei lavoratori che voglio lavoro e dignità.

Cremona. Caricati dalla polizia i facchini della Finiper.

di  Redazione Contropiano 
Polizia e carabinieri hanno caricato con violenza i 170 facchini licenziati da Finiper, che con le loro famiglie protestavano questa mattina a Soresina, davanti alla sede della società. Ci sono feriti.

Dopo aver sottoscritto un accordo alla Prefettura di Cremona, la Finiper – proprietaria dei supermercati IPER con un fatturato di 2 miliardi e una quota di mercato della grande distribuzione pari al 20,5 % – si era rimangiato tutto e aveva sbattuto i 170 facchini in mezzo alla strada.

Questa mattina i lavoratori avevano dato vita a una nuova mobilitazione insieme all’Unione Sindacale di Base, minacciati dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa nonostante la presenza di tanti bambini, figli dei facchini licenziati.

Finiper ha preso a pretesto il cambio di sede del magazzino con il tentativo di non confermare gli attuali livelli occupazionali. Come sempre i padroni vogliono fare profitto sulla pelle delle persone.

Nei giorni scorsi i facchini avevano attuato iniziative nei vari supermercati IPER -riscuotendo la solidarietà degli altri lavoratori e dei clienti – come ad esempio riempire i carrelli e lasciarli alle casse belli carichi.

martedì 18 giugno 2019

LECCACULISMO MADE IN ITALY


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Il cane Salvini,senza offesa per i quadrupedi,è negli States a caccia di facile propaganda visto che l'altro canide Trump ha pensieri neofascionazisti come il pirla milanese,e fa il lecchino in tutti i posti che sta visitando cominciando da Washington.
Per ora ha parlato con Pence e Pompeo,forse magari incontrerà il suo idolo d'oltreoceano ma già dei primi discorsi si parla della vicinanza della lotta all'immigrazione,l'amore per la Nato,il voler combattere terroristi che gli Usa stessi hanno creato o che vogliono fare credere che siano davvero delinquenti(vedi Iran,Corea del Nord,Venezuela,etc.).
L'articolo di Infoaut(salvini-goes-to-amerika )parla dei temi degli incontri,delle numerose mangiate che il ministro del tutto farà a sbafo,e di come l'idillio di questi due stronzi che purtroppo hanno talmente tanti rincoglioniti che li votano sia nato già da molto tempo(madn trump-salvini ).

Salvini goes to Amerika.

Il Capitone in questi giorni è sbarcato negli States. Il viaggio a lungo preparato si articolerà in diversi incontri di livello, quello con il vicepresidente Mike Pence, con il Segretario di Stato Mike Pompeo e con alcuni think tanks del sovranismo a stelle e strisce (magari ci potrebbe scappare anche un selfie con Trump, ma è prematuro dirlo).

Il tour era stato lungamente preparato dai colonnelli leghisti, in particolare dal sottosegretario agli esteri Guglielmo Picchi e da Giancarlo Giorgetti, ultrà filoatlantista, che già in marzo era volato negli USA. Un viaggio che avviene dopo il cappotto leghista alle europee e l'innalzamento della tensione con l'UE, nonché a cavallo con altri dossier internazionali importanti. Salvini vuole definitivamente accreditarsi come interlocutore privilegiato dell'amministrazione Trump a livello italiano, ma anche a livello europeo. Vuole mostrarsi come uomo forte del governo e possibile futuro premier nel caso in cui gli alleati e il partito di Mattarella (Conte, Tria e Moavero) non si allineino al dettato leghista.

Sono almeno tre i livelli su cui si svolgeranno gli incontri.

In primo luogo, entrambi gli interlocutori hanno interesse che l'Italia si muova come cuneo nella disarticolazione dell'Unione Europea per come la conosciamo, o che per lo meno forzi le politiche di austerity e controllo del debito. Il Capitone perché necessita di ulteriore liquidità e flessibilità per portare avanti il suo programma elettorale, vuole usare gli USA come strumento di pressione verso i tedeschi per una ricontrattazione (e non di più, la base produttiva della Lega non vedrebbe di buon occhio una rottura definitiva degli assetti europei), gli states perché così potrebbero continuare la strategia di accerchiamento dello scomodo alleato germanico e procedere con lo scarico della crisi sulle coste orientali dell'atlantico. Dunque bisogna tastare il terreno, vedere quanta copertura garantiscono gli americani per fare da Cavallo di Troia e dall'altro lato quanto Salvini sia affidabile malgrado il suo lascivo innamoramento per Putin risalente a solo pochi anni fa.

In questo quadro la questione minibot – i titoli di stadio di piccolo taglio emessi per saldare i debiti della pubblica amministrazione – sembra una dimostrazione di intenti belligeranti messa lì sul tavolo. La misura è semplicemente un escamotage per produrre nuova liquidità indipendentemente dalla BCE. Il sottotesto però della promozione di una politica del genere è duplice, perché da un lato confliggerebbe con la sovranità monetaria europea e dall'altro potrebbe essere moneta alternativa già pronta in caso di frantumazione dell'area Euro. Trump e i suoi si staranno sfregando le mani all'idea, sempre che non l'abbiano caldeggiata anticipatamente! Un keynesismo finanziario sotto l'ala protettrice degli Yankee sarebbe la conquista a cui mirano i leghisti.

Un secondo punto, col doppio intento di ostacolare ulteriormente la politica estera europea e continuare la distribuzione di caos controllato, è un avvio di dialogo sulle strategie in Medioriente. Con la guerra all'Iran che si approssima (vedi incidenti delle petroliere in Oman) Trump è in cerca di alleati che forzino la strategia diplomatica delle cancellerie continentali. Neanche a dirlo, da smemorato qual è, Salvini, scordandosi le sue vecchie posizioni filorusse e morbide con l'Iran, negli ultimi giorni si è sperticato a dichiarare: “Questo è un Paese che crede di poter cancellare un altro Paese (Israele) dalla faccia della terra. Questo non può essere qualcuno con cui abbiamo un dialogo" e ad affermare che l'accordo sul nucleare andrebbe riconsiderato. E' chiaro per chi suona la campana? Un altro dossier che riguarda il Medioriente è quello che riguarda la Siria dove gli Stati Uniti vorrebbero continuare il disimpegno iniziato nell'ultimo anno, ma contenendo comunque l'iniziativa turca e l'influenza iraniana e libanese nel teatro di guerra. A questo fine ha chiesto uno sforzo agli alleati a una gestione più condivisa del conflitto proponendo l'invio di truppe (per addestramento!) da parte di Francia, Gran Bretagna e Italia, oltre che dai paesi che dovrebbero comporre la nuova NATO araba promossa dagli americani vivacemente nei confronti dell'Arabia Saudita. In cambio dell'impegno di truppe italiane sul suolo siriano il pentagono si impegnerebbe ad intervenire diplomaticamente nello scenario libico ponendosi a garanzia degli interessi nostrani.

Questi dossier insieme alla posizione sul Venezuela (la Lega dall'inizio ha sostenuto Guaidò) sarebbero dei bocconi molto indigesti per gli alleati di governo cinquestelle. Ma soprattutto a ricomprendere tutte queste questioni strategiche vi è la guerra commerciale con la Cina: gli USA hanno visto come fumo negli occhi l'accordo siglato dal governo italiano per gli investimenti cinesi e la Belt and Road Initiative. Salvini si è mantenuto defilato dai momenti pubblici che riguardavano l'accordo e ha spesso mostrato una certa freddezza verso l'iniziativa promossa invece con entusiasmo dai grillini.

Insomma Salvini si candida e candida il nostro paese ad essere una pedina nello scacchiere globale della strategia statunitense con sempre minore autonomia di manovra (alla faccia del "sovranismo"). Niente garantisce che una volta usata l'Italia non sarà lasciata alle sue sorti nel caos nella migliore tradizione USA. Sedotti e abbandonati. Nel frattempo si prepara lo scenario per una nuova guerra, questa volta in Iran, che inevitabilmente riverserà ancora più caos di ritorno su un'Europa sempre più fragile e scomposta. Una questione che riguarda da vicino "la sinistra" o ciò che ne resta. Sorgerà una seria proposta di opposizione al conflitto o ci sarà la gara a candidarsi come utili idioti?

lunedì 17 giugno 2019

CSM...COME SIAMO MESSI(MALE)


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In una nazione che vede i pilastri sui quali dovrebbero basarsi le fiducie e le aspettative di ciascun cittadino al di la del proprio credo politico o dello stipendio percepito venire distrutti,ecco che la giustizia,la tanto amata frase da barzelletta"La legge è uguale per tutti",crolla assieme all'organo che dovrebbe vigilare sul lavoro dei magistrati.
Lo scandalo Csm riguardo le nomine di varie procure italiane e le dimissioni a raffica dei suoi componenti perché questi nomi sono stati pilotati da politici(piddini tra i quali il viscido Lotti:madn tutti-in-campo-con-lotti )è una bolla esplosa non senza avvisaglie visto che ultimamente la magistratura è stata spesso sotto la lente visto denunce e arresti di giudici accomodanti per non dire corrotti.
Gli articoli di Left(fiducia )e Contropiano(cera-una-volta-il-terzo-potere ),quest'ultimo che da ampio respiro mondiale sulla corruttibilità dei giudici non per sminuire lo scandalo italiano o prenderlo sottogamba ma per"consolarci"e dire che tutto il mondo è paese,sono in realtà atti d'accusa gravi verso il mondo della giustizia e contro i principali attori che dovrebbero essere al di sopra di tutto e di tutti,soprattutto riguardo le ideologie politiche.

Fiducia.

di Giulio Cavalli
Lo scandalo Csm – Lotti  (possiamo dirlo, che è poi lo scandalo di una certa magistratura) continua imperterrito a riempire i giornali, con stralci di conversazione che fanno accapponare la pelle e svelano un Paese in cui la commistione tra politica e magistratura è molto peggio di come si poteva pessimisticamente pensare. Però ci sono alcuni punti che vanno definiti, per cercare di capirsi, almeno per essere d’accordo su un quadro generale: al di là delle responsabilità che verranno eventualmente definite in fase giudiziaria c’è, di fondo, un’inopportunità da parte di tutti gli attori che può essere già discussa e giudicata.

Il fatto che Lotti si sia autosospeso (e, poteva, il segretario Zingaretti magari compiere un’azione piuttosto che rimanere nella sua solita linea di galleggiamento) non può mettere in ombra il comportamento dell’organo superiore della magistratura, quello che dovrebbe essere di garanzia per i cittadini, e non può nemmeno non farci riflettere sul fatto che evidentemente alcuni magistrati ritengono l’uso della giustizia una scimitarra da poter brandire contro questo o quello come se fosse un bene proprio.

Che la giustizia è uguale per tutti stona molto con lo stile stesso delle conversazioni, di persone che dovrebbero avere la misura e applicarla e invece sembrano una tavolata di amici intenta a brigare lo sgambetto a qualcuno. E l’argomento è terribilmente serio perché in un Paese che sta via via perdendo fiducia nella politica e che già da tempo (almeno in parte) ha messo in discussione la magistratura è ovvio che il cittadino semplice non trovi appigli a cui appoggiarsi. E il deterioramento democratico non è mai una buona notizia, di qualsiasi parte politica ognuno di noi sia.

Buon lunedì.

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C’era una volta il “terzo potere”.

di  Dante Barontini 
C’è un filo che attraversa il mondo occidentale e che sembra prescindere dalle differenze di potenza del paese, dalle condizioni dell’economia, dallo stato di salute del sistema politico. E che proprio per questo, dunque, indica una crisi comune.

La magistratura ha perso ovunque la sua aura di “terzietà” rispetto agli altri due poteri classici nello schema della democrazia da Montesquieu in poi: l’esecutivo e il legislativo (il Parlamento).

Possiamo parlare dell’Italia, con il Consiglio superiore della magistratura – organo di autogoverno del “terzo potere” – sconvolto dallo “scandalo Palamara”, con un magistrato ex presidente del sindacato delle toghe – l’Associazione nazionale magistrati – intercettato mentre briga insieme a due parlamentari del Pd (il braccio destro di Mattero Renzi, Luca Lotti, e l’ex magistrato Cosimo Rossi) per decidere il nuovo capo della Procura di Roma. Dove, ma dev’essere solo una “coincidenza”, lo stesso Lotti risulta indagato nell’inchiesta sulla Consip, la centrale unica d’acquisto della pubblica amministrazione. Dev’essere davvero divertente poter scegliere il proprio giudice…

Ne è seguita una raffica di dimissioni di consiglieri del Csm – l’ultima ieri, di Gianluigi Morlini – che avevano votato per la nomina del “candidato” di Palamara, sbarrando la strada a Lo Voi. Ossia al magistrato dell’antimafia che proprio ieri ha ha fatto arrestare, tra gli altri, Gianluigi Arata (responsabile settore energia della Lega) e Vito Nicastri, imprenditore dell’eolico accusato di essere un prestanome o socio d’affari del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Questa inchiesta ha costretto alle dimissioni l’ex sottosegretario leghi Armando Siri, che aveva presentato un emendamento scritto da Arata su richiesta di Nicastri, per facilitargli alcuni affari.

Possiamo parlare della Spagna, dove alcuni leader indipendentisti catalani – deputati regolarmente eletti come l’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont, Jordi Sánchez, Jordi Cuixart, Oriol Junqueras e altri – sono in carcere o in esilio, sotto processo per aver organizzato e vinto un referendum sull’indipendenza. Sia ricordato sommessamente: sono i primi prigionieri europei nel XXI Secolo arrestati e processati per reati esclusivamente politici. Ossia senza alcun uso della violenza, anzi: per aver esercitato prerogative istituzionali. E tutta l’Unione Europea, sempre sollecita ad idignarsi per la compressione delle libertà politiche fuori dai propri confini, significativamente tace.

Possiamo parlare della Germania, dove numerosi omicidi compiuti da neonazisti, coperti negli anni dalla polizia, non hanno mai trovato un magistrato pronto ad aprire un fascicolo (mentre se ne trovano a decine disposti a mettere sotto processo gli ambientalisti che difendono la foresta di Anbach, destinata ad essere spianata per estrarre lignite).

Possiamo parlare della Francia, dove il ministro della giustizia di Macron è arrivato a muovere i magistrati – in quel paese i rappresentanti dell’accusa dipendono dal governo – per perquisire abitazione ed uffici del leader della principale forza di opposizione parlamentare, Jean-Luc Mélénchon, della France Insoumise.

Stiamo parlando in questi giorni del Brasile, dove il team di procuratori di Lava Jato (una sorta di “mani pulite” carioca) ha per anni lavorato insieme al giudice Sergio Moro (teoricamente “imparziale”, secondo le regole del sistema accusatorio) all’unico scopo di impedire la candidatura di Luis Inacio Lula da Silva alle elezioni presidenziali, arrivando a costruire “prove” che loro stessi – nelle chat ora pubblicate da The Interceptor – definivano inconsistenti.

Potremmo andare avanti a lungo, elencando paesi e fatti meno noti, ma sarebbe una inutile perdita di tempo. Il fatto è che ovunque la magistratura ha perso anche l’apparenza di un potere statuale separato dagli altri e in grado di controllarli.

Come per la moglie di Cesare, l’apparenza vale anche più della sostanza, perché in un sistema formale di regole il rispetto della formalità è la sostanza.

Che significa, tutto questo?

Che il sistema democratico occidentale non è più in grado neanche di fingere di essere quel che dice. Il potere è di chi comanda – economicamente, in primo luogo – e non sopporta né controlli né opposizione.

Lo stesso processo di concentrazione del capitale ha come corrispettivo politico e militare la concentrazione dei poteri e l’eliminazione delle discrasie, sia reali e potenziali. In più, il passaggio dalla “globalizzazione” alla “competizione” tra macroaree economiche (Usa, Ue, Russia, Cina, ecc), ha eroso anche il potere politico degli Stati non dominanti.

Un fenomeno che conosciamo direttamente, qui in Europa, in seguito al progressivo “trasferimento di sovranità verso l’Unione Europa”. Ma se il potere politico viene eroso, non si può certo pensare che quello giudiziario resti come era – o avrebbe dovuto essere – nello schema delle democrazie “nazionali”.

E se una magistratura nazionale al servizio di una potenza regionale superiore appare “normale” nell’America Latina che gli Usa hanno ripreso a considerare il proprio “cortile di casa”, per altre zone del mondo questo processo è solo agli inizi, ma neanche tanto. La stessa “mani pulite” (1992 e successivi), suggeriscono gli storici, è servita a demolire un sistema politico e partitico ormai inadeguato a reggere la torsione derivante da due fenomeni di enorme impatto: la fine del “mondo diviso in due” (con la caduta dell’Unione Sovietica) e la nascita dell’”Europa di Maastricht” (1992 e successivi).

Fanno perciò quasi tenerezza coloro che si stracciano le vesti sui danni fatti dagli scandali di una magistratura scopertamente politicizzata – Pd e Lega, curiosamente, sembrano ora condividere gli stessi “nemici” che preoccupavano prima soprattutto Berlusconi – sulla “cultura della legalità”. Non esiste alcuna sfera “pura” del diritto, tanto meno un potere indipendente che fa le pulci agli altri due per riportarli al rispetto di “regole e leggi”.

Nel capitalismo occidentale in manifesta crisi di egemonia globale, assistiamo a una veloce messa da parte di una serie di “orpelli costituzionali”, destinati ormai a far parte integrante della retorica democratica, ma senza più alcun riscontro nella realtà quotidiana.

Il problema è chi detiene il potere: se “il popolo” (e in che modo) o “i mercati”. In questo modo.

venerdì 14 giugno 2019

NUOVA LEGA VECCHIA MAFIA


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In un paio di giorni l'Italia è sempre più un paese dove manifestare è sempre più difficile,pericoloso e passibile di galera e uno Stato dove la mafia può non solo continuare ma addirittura aumentare i propri introiti,vedi il decreto sbloccacantieri e la possibilità di subappaltare(vedi anche:madn un-governo-braccetto-con-la-malavita per quanto riguarda i tappeti rossi stesi dal governo ai mafiosi).
Gli articoli di Contropiano(mafia-e-manganello-le-due-facce-della-lega e salvini-provi-a-convincere-i-gabbiani-firmato-ue )parlano del decreto sicurezza bis che porta alla fase successiva un lavoro cominciato da Minniti e che come quello del rappresentante piddino valica la soglia di molti diritti visto che ci sono stati richiami ufficiali da molte parti anche in sede europea.
Proprio quell'Europa,soprattutto è scritto nel secondo contributo,che continua ad avvertire l'Italia che i conti non vanno bene e che le proposte del governo(flat tax)non coprono le spese preventivate oltre che ovviamente ad accontentare i ricchi che pagheranno meno tasse.
Interventi politici ed economici che ricadranno drammaticamente sulle spalle di milioni di persone mentre ancora ci dicono che i problemi sono l'immigrazione e ancora l'immigrazione,uno stratagemma che per ora ha funzionato bene per i leghisti(senza dimenticarci i grillini complici di queste decisioni)ma che potrebbe girarsi indietro con effetti devastanti per questi boriosi razzisti ignoranti.

Mafia e manganello, le due facce della Lega.

di  Claudio Avvisato 
Due notizie in poche ore che sembrano arrivare da universi agli antipodi. Eppure riguardano lo stesso partito – al governo – e lo stesso leader, Matteo Salvini.

La prima notizia, di ieri pomeriggio, è l’approvazione definitiva del cosiddetto “decreto sicurezza bis”, un dispositivo paranazista che ha dovuto cancellare parecchi dettagli rispetto alla prima versione per non rischiare di sbattere contro le eccezioni di costituzionalità già al primo esame del Presidente della Repubblica (peraltro, su questo tema, assolutamente “conciliante”).

La seconda, di stamattina, è l’arresto di Paolo Arata, ex consulente della Lega per l’energia ed ex deputato di Fi, e del figlio Francesco. Sono accusati di corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni. Sarebbero soci occulti dell’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri, ritenuto dai magistrati tra i finanziatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro.

Strano insieme, la Lega. Riesce a tener dentro le pulsioni peggiori travestite da “legge e ordine” e quel “partito degli affari” che collega senza soluzione di continuità imprese normali e prestanome mafiosi, lobbisti improvvisati e politici di sottobosco.

Ma andiamo con ordine.

Il decreto sicurezza, al primo articolo, “risolve” il rebus che ha tormentato il governo in questo primo anno: di chi è la competenza ad aprire o chiudere i porti a navi che hanno salvato naufraghi in mare? Vittoria totale di Salvini, perché tale potere viene attribuito al ministro dell’interno (si salvano le navi militari – per evitare il ripetersi del “caso Diciotti” – e “navi in servizio governativo non commerciale”; insomma, morte alle Ong).

L’articolo 2 inasprisce le pene pecuniarie per i comandanti di navi che “non ottemperino agli ordini” del ministro stesso.

Il 4 “potenzia le operazioni di agenti sotto copertura” allo scopo si “contrastare l’immigrazione clandestine”; il che, nel contesto “culturale” del decreto, significa mandare agenti infiltrati nelle organizzazioni umanitarie che ancora si sforzano di raccogliere migranti in mare.

Ma è l’articolo 6 il vero cuore del provvedimento. Vale la pena di riportarlo per intero, visto che diventa una modifica del codice penale: “Articolo 5-bis. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato e fuori dai casi di cui agli articoli 6-bis e 6-ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”.

La traduzione è semplice: potete manifestare solo se ve lo permettiamo e se non fate nulla per farvi vedere (incriminare per l’uso di fumogeni – totalmente innocui – è davvero indicativo). In ogni caso, se vi carichiamo, non dovete disporre di nessun articolo di abbigliamento in grado di ridurre i danni derivanti dalle nostre manganellate (emblematico il caso del giornalista Origone, pestato a Genova, cui sono arrivate le scuse ma solo perché “purtroppo non era distinguibile da un manifestante”).

Guerra alle occupazioni, abitative e non, con la modifica del codice penale prevista dall’articolo 7: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni.”

E via indurendo, sugli stadi e altri temi di cui ci occuperemo dettagliatamente in altra occasione.

Tutta questa furia repressiva contro i più deboli (migranti, senza casa, opposizione politica) convive allegramente con il massimo del “garantismo” nei riguardi dei forti. Ricordate come Salvini e glia altri boss leghisti avevano difeso i loro sottosegretari Siri e Rixi?

Bene. L’operazione antimafia di stanotte va a colpire un ingorgo di interessi affaristici e mafiosi che hanno proprio nella Lega – come prima in Forza Italia, prima ancora della Democrazia Cristiana e alleati vari, e anteguerra nel regime fascista – il referente politico primario.

Come riferiscono le agenzie, l’arresto di Arata e figlio è stato disposto dal gip di Palermo Guglielmo Nicastro su richiesta della Dda guidata da Francesco Lo Voi (il magistrato candidato alla carica di capo della Procura di Roma contro cui si erano mosse le “longa manus” di Renzi, Luca Lotti e Cosimo Ferri, nel recentissimo “caso Palamara”).

Gli Arata sono indagati da mesi per un giro di mazzette alla Regione siciliana che coinvolge anche Nicastri, tornato in cella già ad aprile perché dai domiciliari continuava a fare affari illegali.

In questo business c’erano anche gli Arata che, secondo i pm, di Nicastri sarebbero soci. Oltre che nei confronti dei due Arata il giudice ha disposto l’arresto per Nicastri, la cui la misura è stata notificata in carcere in quanto già detenuto, e per il figlio Manlio, indagati pure loro per corruzione, auto riciclaggio e intestazione fittizia. Ai domiciliari è finito invece l’ex funzionario regionale dell’Assessorato all’Energia Alberto Tinnirello, accusato di corruzione.

Una tranche dell’inchiesta nei mesi scorsi finì a Roma perché alcune intercettazioni avrebbero svelato il pagamento di una mazzetta, da parte di Arata, all’ex sottosegretario alle Infrastrutture leghista Armando Siri. In cambio del denaro Siri avrebbe presentato un emendamento al Def, poi mai approvato, sugli incentivi connessi al mini-eolico, settore in cui l’ex consulente del Carroccio aveva investito.

Un vero ircocervo di tipo nuovo, la Lega di Salvini. Da un lato il manganello della polizia, dall’altra la “frequentazione” con interessi palesemente mafiosi, intermediati da un “responsabile energia” del partito, dunque un dirigente su base fiduciaria elevatissima, non uno che passava di lì per caso.

Il ministro dell’interno può anche dire che lui non ne sapeva nulla, ed anche il segretario della Lega. Certo che avere un ministro di polizia che non si accorge di promuovere – come segretario di partito – interessi criminali non è proprio un indicatore di efficienza…

Resta il fatto che le due notizie hanno anche un altro aspetto su cui riflettere.

La “stretta repressiva” contro i deboli trova tutti d’accordo (dettaglio più, dettaglio meno), soprattutto er quanto riguarda gli oppositori politici e sociali. E quindi non c’è alcuna resistenza sul piano legislativo e costituzionale (vedremo se qualche tribunale solleverà eccezioni, ma intanto questo orrore diventa legge…).

Ma il carrozzone leghista viene nuovamente investito da un’inchiesta da cui non è pensabile uscire politicamente indenni. Nell’immagine, nei rapporti clientelari e territoriali, ecc.

Se dovessimo dirla nei termini “politichesi”, questa inchiesta è un mini-siluro sulla corazzata legista, che nel frattempo viene avallata pienamente nella sua riscrittura reazionaria della “Costituzione materiale” di questo paese.

Il sospetto? E’ che questo regime reazionario in costruzione vada benissimo a chiunque – dall’Unione Europea agli Usa, dagli imprenditori locali a quelli multinazionali – stia ragionando su come “lavorarsi” il paese. Sul chi debba essere invece il “dittatore del futuro”, la partita è ancora aperta.

Al punto da far apparire Salvini per uno che lavora conto terzi.

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“Salvini, provi a convincere i gabbiani”, firmato UE.

di  Dante Barontini   
L’uomo che parla ai gabbiani è anche il più popolare d’Italia, stando ai voti raccolti alla europee. Ma ciò non ne fa l’uomo più potente d’Italia, per lo meno stando ai rapporti dentro il governo e anche stando alle reazioni degli stessi gabbiani.

E se un vicepremier lascia un vertice di governo per andarsene a blaterare in solitudine sul tetto del Viminale – mostrando involontariamente anche qualche timore verso gli agguerriti pennuti – forse è bene vedere nell’episodio un indicatore di difficoltà, invece che di potenza.

Al vertice di Palazzo Chigi il boss leghista si era presentato con la sicumera che si addice a chi ha una solida maggioranza nel paese, anche se non nel Parlamento (lì, bene o male, comandano ancora i grillini…). Flat tax sul piatto, per esaudire il desiderio sfrenato della sua vera base sociale – gli imprenditori di piccola taglia e di mezza tacca – che non vede l’ora di poter non pagare le tasse senza doversi svenare in spese per commercialisti e, soprattutto, senza più temere di trovarsi la Guardia di Finanza fuori la porta con un mandato in mano.

Gli evasori fiscali tipici, insomma.

Che siano questi i suoi veri e fedeli sponsor lo si può vedere da uno degli indubbi successi riportati da Salvini, il cosiddetto “sbloccacantieri”.

L’affidamento dei lavori in subappalto – vero paradiso per le mafie interessate ai lavori pubblici (grandi e piccole opere) – non può ora superare il 40% dell’importo complessivo del contratto di lavori. Apparentemente si tratta di un “cedimento” rispetto al 50% previsto dal testo originario del decreto, ma comunque è più del 30% previsto dal Codice degli appalti (di cui non a caso aveva chiesto la sospensione per due anni).

Della stessa natura è la sospensione fino al 20 dicembre 2020 (un anno e mezzo, non poco) l’obbligo per i Comuni non capoluogo di fare gare attraverso le stazioni appaltanti. Le amministrazioni che hanno qualche disponibilità da spendere – spesso del Nord e molto spesso leghiste – possono quindi darsi da fare senza troppi controlli preventivi (tutto lavoro per la magistratura, dopo…).

Coerente con questo approccio anche il congelamento per due anni del divieto del ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori. E quindi via libera alle grandi manovre per cui chi presenta un progetto poi non è detto che sia anche il responsabile dei lavori (e le mafie ringraziano, ancora una volta).

Tra i 40 e i 150 mila euro è previsto un affidamento diretto previa consultazione di tre operatori. Tra i 150 mila e i 350 si prevede una procedura negoziata con la consultazione di almeno 10 operatori, che diventano 15 fino a un milione. Consultazione, non gara. Si può tranquillante gestire un appalto a te, un altro a quell’altro, entro un piccolo ventaglio di “imprenditori amici”.


Salvati anche i gestori autostradali – in concessione su un bene di proprietà pubblica – la cui cessazione anticipata dovrà eventualmente essere vagliata dalla Corte dei conti, in modo da escludere la “colpa grave” del dirigente.

Nominati anche i commissari straordinari per il completamento del Mose e per il Gran Sasso. Ma in generale si prevede che per gli interventi infrastrutturali ritenuti “prioritari” il governo possa nominare uno o più commissari straordinari che potranno agire in deroga alle legge in materia di contratti pubblici. E quando di deroga, può accadere di tutto…

Piccolo cabotaggio, insomma, indubbiamente favorevole per il sottobosco imprenditoriale.

Ma quando si passa alla grande dimensione, alle misure che – eventualmente – dovrebbero essere approvate dalla Commissione Europea, tipo la flat tax che richiede coperture miliardarie sui conti pubblici, ecco che basta un Tria o un Conte a sbattergli la porta in faccia. Ossia quello che è avvenuto nel “vertice” di giovedì mattina.

Abbiamo dunque questo apparente paradosso rivelatore: il massiccio consenso elettorale può servire per “aggiustare” affari minori, ma è completamente inutile ai fini della decisione sulle politiche di bilancio, industriali, economiche, fiscali, di un paese.

Non è una cosa che ci sorprende, visto quel che andiamo scrivendo da anni su ruolo e natura dell’Unione Europea. Ma dovrebbe far pensare, come minimo, quanti ancora si illudono che si potrebbe “cambiare” la Ue conquistando la maggioranza in un paese (senza neanche prendere in considerazione l’ipotesi di quelli che vorrebbero “cambiarla” con un consenso elettorale da frazione marginale).

Come scrive l’economista Marco Veronese Passarella, “In un’economia con i conti esteri in ordine, i mercati finanziari giocano al ricatto solo se qualcuno ha consegnato loro le chiavi della banca centrale. Il che, d’altra parte, vuol dire che, una volta consegnate le chiavi, rompere il ricatto diviene un’impresa disperata. A neoliberisti & friends va dato atto che, mentre sul piano positivo ci azzeccano poco o nulla, la loro capacità di plasmare le istituzioni sulla base dei propri sistemi normativi è sorprendente.” 

E infatti l’Eurogruppo – un ente non previsto neppure dai trattati, ma che decide tutto in materia economica continentale – non molla la presa di un  millimetro. “L’Eurogruppo ha ascoltato le proposte della Commissione Ue sull’Italia e sostiene la richiesta di prendere le misure necessarie per rispettare le regole di bilancio“, ha detto il presidente Mario Centeno. Subito ringraziato dal commissario agli affari economici uscente, Pierre Moscovici: “c’è un chiaro sostegno per la nostra analisi e il nostro approccio, ora continuiamo con il lavoro preparatorio che può portare alla procedura, restando pronti a valutare ogni elemento che l’Italia può portare“.

Se persino un banale propagandista con il 34% è, alla fine fine, costretto a salire su tetto e farsi spaventare dai gabbiani, forse è il caso di cominciare a ragionare di cambiamento in termini un po’ meno “fantasiosi” o di piccolo cabotaggio…

giovedì 13 giugno 2019

LA VERITA' SU LULA


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Ebbene lo si sapeva che l'ex Presidente brasiliano Lula ora incarcerato non aveva fatto nulla di quanto era stato accusato,ed il turbinio di menzogne che è stato orchestrato magistralmente dagli Usa e che hanno visto Bolsonaro vincere le elezioni lo scorso anno è saltato fuori con prove schiaccianti ed inconfutabili.
L'arresto di Lula(madn il-popolo-brasiliano-dalla-parte-di-lula )per corruzione si è rivelata una congiura che ha visto pubblici ministeri,giudici,politici e giornalisti in combutta per favorire Bolsonaro e nonostante questo il sostituto Haddad alle presidenziali,sempre del Partito dei Lavoratori come Lula(e non dimentichiamoci l'impeachment di Dilma Rousseff)aveva ancora un certo margine di successo,impedito dalle menzogne ripetute da una campagna massiccia e dissacrante ordita da giudici fuori controllo e da giornalisti fantoccio.
L'articolo di Left(breve-storia-di-un-golpe-suave )parla di questa trama complicata ma che grazie ai protagonisti in negativi hanno portato all'elezione di Bolsonaro e di una distruzione dei diritti in Brasile associate ad una vera e propria epurazione dei comunisti nella pubblica amministrazione(madn la-fascistizzazione-del-brasile )in una virata decisa verso la destra dittatoriale made in Usa che purtroppo a cadenza quasi annuale colpisce il centro ed il sud America.

Breve storia di un golpe suave,così la destra brasiliana si è liberata di Lula.

di Giuliano Granato
È il settembre 2018. Meno di un anno fa. Siamo nel Brasile di Temer, arrivato alla presidenza del Paese dopo l’impeachment di Dilma Rousseff, la presidentessa eletta nelle file del PT, il Partido des Trabalhadores. Siamo nel Brasile in cui Lula, che di quel PT è stato fondatore e che per ben due volte ha rivestito la carica di presidente (dal 2002 al 2010), è in carcere con l’accusa di corruzione. E siamo nel Brasile che corre veloce verso nuove elezioni presidenziali.

Per mesi i sondaggi hanno dato Lula vincente. Poi l’arresto, ma nei sondaggi è sempre lui primo, a distanza abissale dai rivali. Arriva però l’interdizione: Lula non può essere candidato. Il PT sceglie allora Haddad, ex sindaco di Sao Paulo, ma lo spazio politico diventa terreno di conquista per l’ormai noto Bolsonaro, politico di vecchia data che tuttavia riesce ad accreditarsi come “nuovo” e le cui sortite tutt’altro che politically correct (contro donne, “comunisti”, movimenti LGBTQI, indigeni, e chi più ne ha più ne metta) suscitano più consensi che riprovazione.

È in questa cornice che un giudice della Corte suprema di giustizia, il cui nome agli appassionati di calcio farà venire alla mente un centravanti polacco del Bayern Monaco, prende una decisione che lì per lì non fa troppo notizia: Lewandowski, questo il nome del giudice, autorizza Mônica Bergamo, famosa giornalista del principale quotidiano brasiliano, Folha, a intervistare Lula. In carcere.

Quest’intervista, autorizzata a settembre, però “non s’ha da fare”. Almeno non subito. E infatti sarà realizzata solo un mese fa, a maggio. A elezioni concluse, con Bolsonaro eletto alla presidenza del gigante latinoamericano e Lula fuori dai giochi. Definitivamente, almeno così sembra.

Eppure, dietro questa apparente non-notizia, la notizia c’è. Eccome se c’è. La decisione del giudice Lewandowski, infatti, ha suscitato un putiferio in alcuni ambienti giudiziari. È quello che emerge in maniera cristallina dalle rivelazioni pubblicate domenica 9 giugno dal The Intercept. Il sito di giornalismo ha avuto a disposizione, grazie ad una fonte anonima, le chat private di alcuni dei giudici accusatori di Lula. Esce un quadro che avvalora la tesi di chi sostiene che l’incarceramento di Lula abbia una ragione prettamente politica: eliminare dai giochi quello che sarebbe divenuto sicuramente presidente del Brasile, così da spianare la strada a Bolsonaro. Un “golpe suave”, come si dice in una regione, l’America Latina, che ci sta tristemente abituando a questo golpe del XXI secolo. Non più carri armati nelle strade, ma giudici nella aule di tribunali. Così – è l’accusa di tanti – si fanno e si disfano governi. E il Brasile non farebbe eccezione.

Torniamo alle trascrizioni del The Intercept. I giudici alla notizia della possibile intervista a Lula entrano in stato di agitazione febbrile. Si confrontano tra di loro lungamente, cercando di studiare una strategia che impedisca l’intervista. Sono indignati, parlano di “circo” (giudice Laura Tessler), lanciano accuse di “mafiosi” (giudice Athayde Ribeiro Costa). Convengono che un appello contro la decisione di Lewandowski avrebbe zero possibilità ed esporrebbe i giudici all’accusa di voler impedire che Lula parli per motivi essenzialmente politici. Studiano allora il da farsi…

Nel frattempo, su un’altra chat, Deltan Dallagnol, a capo della task force del processo Lava Jato contro Lula, parla con un altro giudice, che non lavora al caso Lula. Esprimono preoccupazione per una possibile elezione di Haddad, il candidato del PT che ha sostituito l’incandidabile Lula. “Sono molto preoccupata del possibile ritorno del PT e ho spesso pregato Dio affinché illumini il nostro popolo e ci dia un miracolo che ci salvi”, afferma Carol. “Sono con te, Carol! Prega dunque. Ne abbiamo bisogno come paese.”, così risponde Dallagnol.

Rispostandoci sull’altra chat, quella degli accusatori di Lula, Januàrio Paludio, suggerisce un “Piano B”, considerata l’impossibilità di bloccare l’intervista: “dare a tutti [i giornalisti] la possibilità di intervistare [Lula] nello stesso giorno. Sarà caotico, riducendo così la possibilità che l’intervista sia diretta”.

La tensione è alle stelle. I messaggi si accavallano, l’ansia e la paura si sentono. Si raggiunge il climax. E poi, come in ogni tragedia che si rispetti, arriva il deus ex machina: si fa largo la voce che un partito della destra brasiliana, il Partido Novo, che concorreva alle elezioni presidenziali, abbia impugnato la decisione del giudice. Ciò permetterebbe di dilazionare i tempi dell’intervista, evitando che le parole di Lula possano spingere Haddad alla presidenza. La voce diventa notizia. E a quel punto è giubilo tra i giudici. Esultano. Sono felici. È arrivato qualcuno che gli ha tolto le castagne dal fuoco. È arrivato qualcuno che ha il loro stesso obiettivo: eliminare Lula dall’agone politico. Non perché sia un criminale, ma perché bisogna impedire a tutti i costi che il PT ritorni al governo del paese. Motivazioni politiche espresse da giudici che si sono sempre professati apolitici. Giudici che affermavano che l’unica preoccupazione era la lotta alla corruzione e che, invece, stando alle chat, hanno fatto di tutto per impedire la vittoria di colui che ritenevano un nemico politico.

Potremmo fermarci qui. Ma no. Dai documenti pubblicati dal The Intercept emerge molto altro.

In gioco, infatti, dopo una delle parti in campo, l’accusa, entra anche l’arbitro: Sergio Moro. Moro è oggi il Super-Ministro della Giustizia del governo Bolsonaro. Una strana coincidenza che colui che ha eliminato dalla scena politica brasiliana Lula, il principale rivale di Bolsonaro, sia poi arrivato a ricoprire una carica tanto importante e dotata di enormi poteri, per decisione dello stesso Bolsonaro.

L’attuale presidente brasiliano, in effetti, dovrebbe essere estremamente riconoscente a Moro. Quest’ultimo – l’arbitro del processo Lava Jato in cui era imputato Lula – offriva consigli all’accusa. Così emerge dalle chat pubblicate dal The Intercept. A Dallagnol, ad esempio, suggeriva di “invertire l’ordine delle due fasi pianificate [mandato d’arresto e interrogatori]”. In risposta a un comunicato del PT sul processo Lava Jato, chiede, sempre a Dallagnol: “Cosa pensi del folle comunicato del PT? Dobbiamo controbattere?”, utilizzando un “noi” che fa venir meno la separazione che secondo il sistema giudiziario brasiliano dovrebbe esserci tra accusa e giudice. In altre conversazioni Moro fornisce a Dallagnol informazioni importanti ai fini di impostare la strategia dell’accusa. Informazioni confidenziali che minano ancora una volta la sua terzietà. Eppure, in ogni dichiarazione pubblica Moro aveva allontanato da sé qualsiasi accusa e sospetto, dicendosi anzi indignato per il fatto che qualcuno potesse mettere in dubbio la sua imparzialità.

Le rivelazioni del The Intercept fanno crollare un castello di carta costruito – nemmeno tanto sapientemente – in questi ultimi anni. L’ombra che cala sull’intero sistema brasiliano – in primis sul pilastro giudiziario – è inquietante. Le chat tra giudici ci raccontano di un Paese in cui la magistratura agisce per obiettivi politici e non per affermare verità e giustizia. Le parole che cominciano a essere diffuse in mezzo mondo sono destinate ad alzare un polverone. Per il popolo brasiliano, per l’amore della verità e della trasparenza, è un bene che questi particolari siano emersi. Ma anche per l’opinione pubblica internazionale. La consapevolezza è il primo passo per trasformare ciò che è marcio e darsi una possibilità per il futuro. È questa la sfida più grande che attende chi, dentro e fuori il Brasile, non si arrende a che le nostre vite vengano governate dalla bugia e dall’inganno.

sabato 8 giugno 2019

L'ALLEANZA TRA RUSSIA E CINA SEMPRE PIU' SALDA MENTRE TRUMP ARRANCA


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Mentre c'è stata la farsa della commemorazione del D Day con inglesi,francesi,americani e pure i tedeschi che sono passati per i bonaccioni di turno,russi e cinesi direttamente con Putin e Xi Jinping hanno stretto importanti accordi economici al forum di San Pietroburgo,alleanze che consolidano i rapporti tra i due paesi invisi dagli Stati Uniti.
Nell'articolo di Contropiano(trump-abbaia-cina-e-russia-fanno-sul-serio )i principali temi discussi nell'incontro bilaterale a margine del convegno dove soprattutto le telecomunicazioni con l'ingresso della tecnologia 5G,il petrolio e il gas oltre che una rivalutazione del rublo e dello yuan a scapito del dollaro,metteranno in crisi gli Usa che arrancano ad essere la prima potenza mondiale.
Un Trump frastornato che gioca ancora con i dazi ed è spaventato dalle preoccupazioni legate alla rete 5G,sta muovendo guerra su tantissimi fronti,ed è suo giocoforza attaccare tutto e tutti visto che ha ancora un fronte di amicizie,Italia compresa,sulle quali può contare ma a breve termine.
Infatti il prossimo anno ci saranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti e la posizione dello scimmiotto vacilla sempre più perdendo consensi:una situazione tra le più pericoloso perché quando la bestia si sente in trappola può avere reazioni violente ed inimmaginabili.

Trump abbaia, Cina e Russia fanno sul serio.

di  Alessandro Avvisato 
Mentre i leader occidentali si trastullavano con Trump tra Gran Bretagna e Francia per l’ anniversario dello sbarco in Normandia, i capi di Stato di Cina e Russia hanno utilizzato il contemporaneo Forum economico di San Pietroburgo per cementare alleanze e concretizzare accordi economici strategici.

Il Presidente cinese Xi Jinping ieri a Mosca ha incontrato Vladimir Putin ed oggi  sarà ospite principale al Forum economico internazionale di San Pietroburgo, un forum boicottato dagli Usa per via delle detenzione in Russia del businessman americano Bayley arrestato per frode. Trump è tornato a minacciare altri dazi contro la Cina su 300 miliardi di dollari di prodotti. “Deciderò nelle prossime due settimane”, ha detto il presidente Usa, “probabilmente dopo il summit del G20 ad Osaka”. Al summit Trump dovrebbe incontrare il leader cinese Xi Jinping: “Vedremo quel che accadrà”, ha aggiunto il presidente Usa.

Ma sul piano delle relazioni internazionali, Cina e Russia appaiono ormai allineati sulla maggior parte dei dossier più contrastanti con gli Usa – Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria – e condividono l’ostilità degli Stati Uniti. Tra Mosca e Washington le relazioni sono al punto più basso dalla fine della Guerra Fredda, mentre Pechino è alle prese con la guerra commerciale scatenata da Trump.

Tra i due giganti osteggiati dagli Usa, l’interscambio commerciale è intanto cresciuto del 25% solo nel 2018 ed è arrivato a 108 miliardi di dollari.

E’ significativo che nel primo giorno della visita di Xi Jinping in Russia, siano stati firmati una serie di accordi: prima di tutti quello tra Huawei e l’operatore telefonico russo Mts che permette al gigante delle telecomunicazioni cinesi (i cui prodotti sono considerati dagli Usa una minaccia alla sicurezza) di sviluppare la rete 5G in Russia.

Poi sono stati firmati accordi tra Alibaba, l’operatore di telefonia mobile Megafon e il gruppo internet Mail.ru per la creazione di una joint-venture dell’e-commerce, la AliExpress, che mira a diventare leader del settore in Russia; e, infine, ci sono gli accordi sui prodotti energetici come quello tra le russe Novatek e Gazprombank con la cinese Sinopec per la vendita di gas in Cina.

Ma sul piatto ci sono anche altre decisioni strategiche. La Banca centrale russa ha infatti confermato la conversione in yuan, euro e oro di buona parte dei propri assets in dollari. Russia e Cina hanno stretto accordi intergovernativi per aumentare l’uso del rublo e dello yuan nelle loro transazioni commerciali mettendo fuori gioco il dollaro. Una scelta che ha conseguenze rilevanti in un altro settore strategico: quello del petrolio. Proponendo alla Cina di rafforzare la collaborazione energetica, Mosca e Pechino, insieme, possono creare insieme nuovi parametri e influenzare i prezzi. Sul petrolio si gioca infatti una partita decisiva e non solo verso gli Stati Uniti.

Putin, all’apertura del Forum Economico di San Pietroburgo ha incontrato i direttori di alcune grandi agenzie di stampa internazionali,  ed ha fatto capire che la sintonia fin qui avuto con l’Arabia Saudita potrebbe essere al capolinea. “Abbiamo opinioni diverse riguardo ai prezzi – ha detto Putin, “a noi 60-65 dollari il barile vanno bene”, mentre i sauditi hanno intenzione di mantenere i tagli produttivi, concordati un anno fa anche con la Russia, per spingere i prezzi al rialzo. Le conseguenze si vedranno a fine giugno a Vienna, per il vertice dell’Opec, a cui dovrebbe seguire un vertice dei paesi petroliferi esteso alla Russia.

La sfida sul 5G

L’accordo tra Russia e Cina sul sistema 5G sulle comunicazioni, indica un balzo in avanti destinato a pesare. La Cina giovedi ha ufficialmente approvato i servizi commerciali 5G, segnando l’inizio di una nuova era in quanto l’applicazione della tecnologia wireless superveloce consente di connettere più cose, servizi e operatori del mercato.

Il Ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) ha concesso licenze commerciali 5G per il giovedì alla China Broadcasting Network e ai tre principali operatori di telecomunicazioni del paese: China Telecom, China Mobile e China Unicom. Secondo i primi studi, il 5G può essere circa 100 volte più veloce dell’attuale tecnologia 4G.
In Cina già oggi alcune linee della metropolitana in città come Pechino e Zhengzhou sono coperte dalla rete 5G, mentre i medici di Shanghai e Guangdong utilizzano il 5G per effettuare diagnosi e persino operazioni.
China Mobile ha annunciato di voler offrire servizi 5G in oltre 40 città entro la fine di settembre.
Le potenzialità del business sul 5G appaiono enormi. Secondo un rapporto della China Academy of Information and Communications Technology (CAICT). la commercializzazione della tecnologia potrebbe generare 10,6 trilioni di yuan (circa 1,53 trilioni di dollari USA) di valore nella produzione economica diretta.
Secondo l’agenzia Xinhua le aziende cinesi hanno il record mondiale per il numero di domande di brevetto standard 5G e rappresentano oltre il 30% del totale mondiale.
 Diverse multinazionali tra cui Nokia, Ericsson, Qualcomm e Intel sono state profondamente coinvolte nell’esperimento delle tecnologie e il 5G cinese è pronto per l’uso commerciale.