martedì 11 aprile 2017

UN MOVIMENTO SCHIAVO DEL SUO MARCHIO

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Il pasticcio che sembra del tutto personale,come tutte le vicende che ruotano attorno a Grillo ed al suo partito che ormai è diventato un marchio,un brand da copyright,che ha scatenato a Genova con la scomunica alla legittima candidata del M5 stelle Cassimatis(madn grillo-e-la-candidata-genovesee-milanese )potrebbe avere come risultato l'esclusione di quello che adesso non so se definire appunto partito,movimento o marchio alle prossime elezioni comunali di Genova.
Il tribunale infatti ha sospeso l'esclusione della candidata sindaco Marika Cassimatis e della sua lista in quanto il"fidatemi di me"del guru Grillo come preventivato non costituisce proprio nulla nella legislazione italiana.
I due articoli sotto parlano sia della cronaca di un fatto che deve per forza avere strascichi sulle percentuali di voto verso questi inetti della politica(www.senzasoste.it/caos-m5s-a-genova )che un'analisi dai toni caustici di quello che ora si apre non solo a Genova ma in tutta Italia,con un duo allo sbando(Grillo e Casaleggio Jr.)che comanda dittatorialmente un movimento-partito-brand che non riesce a capirci più nulla...da troppo tempo forse fin dal principio(left m5s-a-forza-di-forzare-la-politica ).

Caos M5S a Genova, il candidato viene “scelto” dal giudice.

di Dante Barontini,da Contropiano
L’abisso senza fondo della politichetta italiana ha prodotto l’ultimo mostriciattolo geneticamente modificato. Il giudice Roberto Braccialini ha sospeso l’esclusione della lista di Marika Cassimatis, la candidata del Movimento 5 stelle vincitrice delle Comunarie per la candidatura a sindaco di Genova, poi sfiduciata da Beppe Grillo che imposto una nuova tornata di votazioni online aperte a tutti gli iscritti in Italia.
Nell’immediato, il pasticcio è divertente. La Cassimatis è ora teoricamente il candidato dei Cinque Stelle a Genova, che però non la vogliono e potrebbero negarle l’uso del simbolo (che è poi l’unica ragione per cui dei perfetti sconosciuti al grande pubblico possono ricevere voti ed essere eletti). L’altro “ripescato” al secondo giro di “comunarie”, Luca Pirondini, potrebbe essere escluso dalla corsa alla carica di sindaco, oppure costretto a presentarsi – anche lui – senza la protezione del brand.
Il divertimento finisce qui.
A noi sembra abbastanza chiaro che una simile follia sia il prodotto di due anomalie che solo la “furberia” della classe politica di questo paese è stata capace di partorire. La prima, e più antica, è quella per cui il dettato costituzionale sulla “forma partito” non è mai stato concretizzato in leggi e regolamenti. La Costituzione recita infatti: “Articolo 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Libertà assoluta, così come per le organizzazioni sindacali, che però rinviava alla necessità di definire per legge cosa dovesse essere un partito, quali prerogative, quali verifiche democratiche interne. Il come, in sostanza, non è mai separabile dal cosa.
Com’è noto, invece, ogni partito presente sulla scena ha preferito tenersi le “mani libere”, aggirando qualsiasi ipotesi di regolamentazione che potesse limitare il dispotismo dei capi temporanei; limitandosi così ad una “autoregolamentazione” affidata a statuti interni, regole di appartenenza ed esclusione, poteri di nomina e revoca, collegi dei probiviri, ecc.
Tutto relativamente è andato bene fin quando i partiti sono stati delle organizzazioni relativamente serie, ovvero effettivamente libere associazioni di uomini e donne che condividevano idee, ideologie, programmi, interessi e dunque anche regole per stare insieme. La “seconda Repubblica” ha visto lo spappolamento – grazie anche all’ubriacatura del “sistema maggioritario” – di quelle formazioni, ridotte ad aggregati casuali di clientele legate a gruppi di interesse e capibastone in perenne lotta reciproca. Oppure a “partiti-azienda” con un capo assoluto e tanti nanerottoli starnazzanti, in competizione per un posto a corte.
La seconda “furbata” – sfruttando il vuoto legislativo – è invece tutta farina del sacco del duo Grillo-Casaleggio, che hanno inventato una forma partito-movimento che si regge sul controllo ferreo di una piattaforma informatica che rappresenta “il marchio” (l’unica cosa che conta) e forme di selezione dei “gruppi dirigenti” alquanto casuali (come si è visto con la prima seria infornata di parlamentari pentastellati e ancor più chiaramente con le sofferenze di quasi tutte le amministrazioni comunali conquistate).
Poteri del “garante” superstite e partecipazione democratica degli iscritti si sono così venuti a trovare su una rotta di collisione continua, con ovvia prevalenza del primo (il marchio è tutto, i singoli non contano nulla). Come in tutti i “vecchi partiti”, a ben vedere (non si poteva essere riconosciuti come democristiani o comunisti fuori dai relativi partiti, a insindacabile giudizio dei gruppi dirigenti); paradossalmente con qualche garanzia in più prevista dai partiti “classici”.
Alla fine della fiera, l’aspetto più assurdo – sul piano strettamente politico – è nel fatto che un giudice sia chiamato ad intervenire per decidere chi, tra i vari candidati di una “libera associazione” abbia “diritto” a rappresentare l’insieme dell’associazione; anche in contrasto con la volontà dell’associazione stessa (del suo “garante” o della maggioranza, in questo caso non fa differenza).
Come a dire che “l’associazione politica” non è più totalmente libera, ma sottoposta a un controllo esterno non regolato da nessuna legge (l’articolo 49 della Costituzione non prescrive nulla, se non la libertà). A rischio finisce lo stesso concetto di rappresentanza politica.
Non sappiamo se il giudice e i “grillini” se ne siano resi conto. Ma il problema è parecchio serio. 

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M5S: a forza di forzare la politica poi la magistratura diventa una segreteria (politica)
GIULIO CAVALLI
Leggere prima di commentare compulsivamente. Vale per tutti: per i piddini antigrillo che in queste ore sono diventati feticisti di quelle stesse Procure che tutti i giorni gli stanno decimendo il partito e, d’altra parte, i piè veloci grillini che commentano partendo dal titolo come fanno gli ultrà che scambiano strisce pedonali per bandiere.
Dunque: che una sentenza possa essere strumentalizzata come ente decisionale ultimo della candidatura a sindaco per un città come Genova mette i brividi. Gli anti-Travaglio in pratica sono diventati per un giorno dei ciucciamanette pur di attaccare il nemico senza rendersi conto della goffaggine messa in scena. Si tenta (male) di convincere una schiera di fideisti che la Cassimatis (bocciata da Grillo e il fantomatico staff) debba essere la candidata del Movimento 5 Stelle. Si racconta, insomma, che un tribunale abbia ordinato a Grillo di perdere. E c’è gente che ci crede, pure. Come se domani Emiliano vincesse le primarie del PD per sentenza (sì, ciao) e Renzi venisse condannato di essere il tesoriere del circolo di Canicattì e niente di più.
Di là invece c’è la questione grillina e la politica fatta come se fosse una partita a burraco tra amici: le regole, ahimè, oltre che scriverle bisogna rispettarle. E così le regole a caso scoreggiate da Grillo in accappatoio diventano (giustamente) contestabilissime di fronte a qualsiasi autorità giudiziaria. Per fare un esempio: se davvero (come scrive il blog di Grillo) le “comunarie” di Genova sono irregolari perché indette con meno di “24 ore di preavviso come stabilito da regolamento” allora sono nulle le liste di Padova, Piacenza e Verona. Solo per citarne qualcuno. Per fortuna non esiste un movimento politico che possa fondarsi sugli umori del proprio capo. Chiunque sia. Se la cialtronaggine impera è normale che la magistratura sembri una segreteria politica.
Facciamo i seri. Su. Politica. Seria.
Buon martedì.

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