venerdì 21 aprile 2017

IL REFERENDUM ALITALIA

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Il comunicato intimidatorio qui sopra e che porta la firma dei sindacati confederali sarebbe potuto essere scritto(e chissà se la mano non sia proprio quella)dai proprietari di Alitalia,in merito al referendum tra i lavoratori che si sta votando in questi giorni.
E che interessano circa 12000 lavoratori tra personale di volo e di terra,e stabilirà se continuare la linea di un peggioramento lavorativo in termini di retribuzioni,orari di turno e condizioni generali con un taglio di personale di 980 persone con ammortizzatori sociali più o meno decenti.
Mentre la stessa Alitalia ed i sindacati attaccati alla gonna dei padroni sono per il sì il sindacato Usb è per il no convinto a questo ennesimo ricatto e a tagli di stipendio ed esuberi che va avanti da quando la compagnia di bandiera è stata privatizzata(vedi:madn lalitalia-deve-tornare-pubblica ).
Gli articoli presi da Contropiano(alitalia-licenziamenti-tagli-al-salario-due-anni-si-ricomincia e referendum-alitalia-ora-cgilcisluilugl-minacciare-lavoratori )parlano dell'accordo firmato da Alitalia e sindacati e del voto referendario che segnerà sicuramente il futuro dei lavoratori...non mi fiderei molto personalmente salire su di un aereo con piloti e personale di volo e di terra stressati e costretti a turni massacranti.

Alitalia. Licenziamenti e tagli al salario, poi tra due anni si ricomincia…

L’agonia Alitalia durerà altri du anni, ma non c’è alcun piano industriale di rilancio. Il pre-accordo firmato al ministero del Lavoro tra governo, azienda e tutti i sindacati (tranne l’Unione Sindacale di Base) contiene tutto quello che l’azienda aveva chiesto (riduzione del personale e degli stipendi), ma in misura minore rispetto alla posizione con cui si era presentata al tavolo di trattativa.
Per chi ha una lunga esperienza di tavoli contrattuali, si tratta probabilmente del vero obiettivo che l’azienda aveva in mente fin dall’inizio. E’ quasi normale, infatti, presentarsi chiedendo 30 per ottenere i 10 a cui puntavi. I numeri sono anche quelli effettivi: Alitalia-Etihad aveva aperto i giochi chiedendo una riduzione dei salari del 30% e alla fine si è “accontentata” di poter tagliare “solo” l’8-10%.
Stesso discorso per gli esuberi tra il personale di terra con contratto a tempo indeterminato (da 1.338 a 980), ma solo grazie a una dose maggiore di ammortizzatori sociali (cassa integrazione per due anni, per cui formalmente il posto di lavoro viene mantenuto anche se non lavori più). A questo risultato contribuisce in parte anche il superamento del progetto di esternalizzazione della manutenzione e altre aree. Il resto è la solita fuffa di ogni crisi industriale (per esempio: l'attivazione di corsi di riqualificazione e formazione); comprese le “misure di incentivazione all'esodo” (dimissioni volontarie in cambio di qualche mese di stipendio).
Per il personale navigante (piloti e assistenti di volo) la situazione è di fatto identica, con un peggioramento drastico soprattutto per i nuovi assunti, che verranno trattati con il contratto CityLiner, molto meno”garantista” soprattutto sul piano normativo (orari, turni, riposi, ecc), oltre che per un salario d’accesso al di sotto di qualsiasi media europea. Prosegue anche l’applicazione dei “contratti di solidarietà” (accettati nella crisi precedente per ridurre, anche in quel caso, il numero dei licenziamenti al prezzo di una drastica riduzione di orario e salario) e vengono intanto da subito ridotti i riposi annuali (da 120 a 108, ovvero uno di meno al mese). Può sembrare una questione inessenziale, a chi vede le cose da lontano, ma qui stiamo parlando di persone che prendono un aereo per lavoro, scendono e vivono con un altro fuso orario per qualche ora o qualche giorno (per i voli intercontinentali) e poi rientrano. Il riposo, qui, è fisiologicamente indispensabile.
Ma è sul piano industriale che… non c’è un piano. Il pre-accordo parla di “necessità di aumentare i ricavi” (diavolo! Una pensata davvero originale…) e si promette qualche volo intercontinentale in più (notoriamente il “lungo raggio” garantisce margini superiori, anche perché per il momento non insidiato dalle compagnie low cost). Si promette anche una ricapitalizzazione, per circa 2 miliardi (ma solo 900 milioni, pare, garantiti dai soci; il resto dovrebbe venire da prestiti bancari), ma nessuna vera svolta strategica.
Di fatto, in questo quadro, si prova a tirare avanti un altro paio di anni (scaricando un po’ di lavoratori e tagliando i salari, chiedendo che si finanzino con soldi pubblici gli ammortizzatori sociali), per poi ritrovarsi al punto di partenza e chiedere altri tagli.
Il pre-accordo verrà ora sottoposto al referendum tra i lavoratori. Ma in queste condizioni, come si è ormai imparato, da Pomigliano ad oggi, si vota con una pistola puntata alla tempia. E c’è pure qualche presunto sindacalista che, uscendo in piena notte dal ministero, ha osato dire che “abbiamo fatto il massimo”…

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Referendum Alitalia. Ora sono Cgil Cisl Uil Ugl a minacciare i lavoratori.

di Redazione Contropiano 
Lo scandalo di Alitalia sono da un lato la proprietà (Etihad più soci italiani, fondamentalmente banche), dall’altra dei sindacati che hanno superato i confini della “complicità” chiesta a suo tempo dal ministro berlusconiano Maurizio Sacconi, per approdare infine al ruolo di “ufficio gestione del personale”.
Il messaggio – scritto! – lanciato ai lavoratori, in vista del referendum, è qualcosa di più che uno scandalo. E’ la lettera che ci si sarebbe attesi dalla proprietà, quella che intima in genere “o accetti questa minestra o ti butti dalla finestra”. Un vero esempio di come si spiegano ai lavoratori le alternative sempre presenti in ogni trattativa che si rispetti.
“Non c’è alternativa” (there is no alternative, Tina) è il messaggio del neoliberismo, fin dai tempi di Margareth Thatcher. E’ il messaggio dell’Unione Europea e della Troika, o quello di Trump ai paesi che lui stesso decide di definire “canaglia”. E’ il messaggio dei padroni, sempre uguale e sempre minaccioso.
E’ diventato il linguaggio di Cgil-Cisl-Uil-Ugl, evidentemente rimaste senza più “narrazioni” da ammannire ai lavoratori.
Come spiegava qualche giorno fa l’Usb – contro cui manifestamente questa lettera “sindacale” è stata scritta – l’alternativa c’è e si chiama “nazionalizzazione”. Certo, se uno ha fatto propri – contemporaneamente – l’orizzonte neoliberista e gli interessi aziendali, questa alternativa non la può neanche concepire. E impazzisce a sentirla nominare…
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Vertenza Alitalia, cronaca di un disastro annunciato

USB: l'alternativa a questo piano non è il fallimento ma l'intervento dello stato. 
L’esito della frenetica e drammatica trattativa sulle sorti di quello che rimane della ex compagnia di bandiera è la cronaca di un disastro annunciato.
Non poteva essere altrimenti in una trattativa basata su un piano industriale giudicato da tutti gli esperti del settore come totalmente fallimentare, sostenuto solo dai soldi pubblici degli ammortizzatori sociali e dal “bancomat” di tagli pesantissimi sul costo del lavoro, senza alcuna prospettiva seria di sviluppo e condizionato dall'ultimatum posto dagli azionisti sull’accettazione dell'accordo, pena il “presunto fallimento” dell’Azienda.
USB, insieme ad altre forze sindacali Alitalia aveva fin da subito ritenuto che una trattativa con questi presupposti non avrebbe portato che a un esito del genere. Per questo aveva aperto sin dall'inizio una vertenza che ha visito 4 scioperi e grandi momenti di mobilitazione per reclamare una soluzione politica per il futuro dell’Azienda e di tutto il settore. Occorreva mettere in discussione alla radice il piano industriale presentato e chiedere l’intervento del governo sia per un ingresso diretto nella gestione dell’azienda, sia per la regolamentazione di un settore ultra-deregolamentato.
Il “verbale di confronto” partorito ieri sera alla presenza di quasi tutto il governo e delle massime cariche di cgil, cisl, uil e ugl, avalla il piano, certifica esuberi che sono creati da cessioni di attività aziendali, taglia in modo insostenibile il costo del lavoro del personale navigante sulla scorta delle richieste aziendali e soprattutto accetta integralmente il ricatto alla base di una trattativa completamente sbagliata. Tra l'altro non sono state accolte alcune condizioni minime che USB aveva posto almeno come argine agli effetti negativi per i lavoratori, come ad esempio alcuni interventi sui diritti salariali acquisiti. Come non c'è alcuna intervento sulla ulteriore mattanza dei precari e nessuna accenno, neanche minimo, alla riforma del settore.
Le parti firmatarie affermano che questi punti rappresentino la massima mediazione possibile e lasciano la patata bollente in mano ai lavoratori in un referendum il cui tema sarà “o accetti tutto questo o l’azienda fallirà”, trasformando un momento democratico in una tagliola.
I lavoratori Alitalia, dopo decenni di sacrifici e di tagli occupazionali, non meritavano di essere messi di nuovo in una condizione del genere; era compito di tutto il sindacato, della politica e delle istituzioni fare in modo che il Piano fosse un reale progetto di rilancio.
Si poteva e si doveva fare; non è vero che l'alternativa è soltanto il fallimento. L'alternativa esiste e si chiama intervento diretto dello stato. Non averlo fatto è una scelta politica del governo e dei sindacati firmatari che USB condanna con fermezza.
I prossimo giorni saranno decisivi e USB lavorerà perché i lavoratori Alitalia possano esprimere nel modo più visibile ed efficace possibile il loro dissenso.

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