sabato 16 luglio 2016

SAREBBE STATO UN GOLPE GIUSTO SE VERO?

Comincio questo post dicendo che i golpe e tutte le prese di potere militari mi hanno fatto quasi sempre disgusto visto che c'è il rovesciamento di un ordine prestabilito con elezioni e la sovversione di una democrazia.
Memore soprattutto del Sudamerica o della Grecia,del fallito golpe Borghese e quelli africani che qualche anno fa erano all'ordine del giorno,il tentativo di quello ancora ben da delineare accaduto ieri sera in Turchia quando avevo visto le news in diretta non mi era spiaciuto affatto.
Ora che fioccano ipotesi che eludono altre:Erdogan stesso ha organizzato tutto,il mandante invece è stato l'imam Gulen rifugiato negli Usa,no è stato organizzato da Putin,invece sono stati proprio parte dei militari dell'esercito.
L'ultima ricostruzione elencata,proprio quella dei generali che volevano ristabilire la libertà,la democrazia e la laicità dello Stato turca è quella a cui voglio credere ed è quella più romantica in quanto davvero in Turchia ora la libertà e la democrazia latitano a scapito di un ex capo di governo ora presidente che mese dopo mese sta costruendo un sultanato o califfato islamico estremista a margine dell'Europa.
Perché qualcuno all'interno forse aveva capito che il doppiogioco turco nei confronti dell'Isis,i ricatti all'Ue sui confini con la Siria(da Ankara passa di tutto e di più tra armi e terroristi)che hanno fatto portare a casa milioni di Euro(madn la-lotta-allisis-e-la-retorica-del e madn erdoganlisis-e-il-kurdistan )
E le due ore e mezza in cui Erdogan non si trovava e nelle quali nessun governo al mondo aveva fatto un commento,un apprezzamento o una condanna fanno pensare che se il tentativo del golpe,ammesso che sia stato reale,fosse riuscito probabilmente il mondo ora sarebbe dalla parte dei generali dissidenti dell'esercito.
Alla fine si contano tra lealisti,golpisti e civili duecento vittime e centinaia di feriti,qualche bombardamento presso il palazzo del presidente boia e qualche carrarmato a Istanbul sul ponte sul Bosforo,all'aeroporto Ataturk e nella capitale Ankara.
Le opposizioni hanno condannato il presunto golpe curdi compresi(gli unici che da sempre combattono in prima linea Daesh),che vorrebbero un rovesciamento del sistema ma democratico,perché anche se i generali fossero saliti al potere teoricamente la loro posizione non sarebbe cambiata di molto(madn perche-la-turchia-bombarda-chi-combatte ).


La sera dell’annuncio del tentativo di colpo di stato in Turchia, quando ancora i contorni della vicenda erano piuttosto incerti, una giornalista di Russia Today, il canale russo all-news in lingua inglese, ha chiesto a una analista militare che veniva intervistata via Skype nel suo studio di Washington: “vedi legami tra quello che è accaduto in Turchia e l’attentato di Nizza?”
La risposta è stata interlocutoria ma la domanda rimane. Naturalmente non c’è alcun complotto globale, frutto di un disegno esoterico, che dispone di attentati oggi e di colpi di stato domani lungo tutta l’Europa. Lo stesso esercito turco, come si è visto nelle ore successive alla dichiarazione di colpo di stato, non è più quella entità compatta che operò tre golpe nel proprio paese tra il 1960 e il 1980. E infatti si è visto: la popolazione scesa in piazza era del partito di Erdogan e, da quello che si è potuto guardare sui media o sui social, l’isolamento sociale dei golpisti è sembrato palese. Quello che è accaduto, e che sta accadendo, non è solo l’effetto della situazione interna turca. Ma, oltre a quello, di un più generale movimento tellurico che riguarda il medio oriente e che, inevitabilmente tocca anche la Turchia.
Commentando la strage di Nizza scrivevamo che il massacro del 14 luglio era effetto di una guerra senza limiti che si dava “nel complesso in un vasto triangolo che ha come vertici la Libia come lo Yemen e il nord della Siria” e aveva come posta in gioco la ridefinizione di “confini, traffici, reti di potere politiche, quotazioni di borsa, controllo del cyberspazio che ha effetto su quelle zone”.
Ora, considerando la Turchia è interessata, più che all’information warfare, ad una tipologia di controllo del cyberspazio, quella della censura su youtube e twitter, possiamo dire che è palese che la terra di mezzo tra Europa ed Asia sta pienamente in questi processi di ridefinizione. Con le caratteristiche ibride della guerra senza limiti: l’attore statale turco non ha un comando ed una natura coerenti, e si è visto proprio con l’emergere del colpo di stato. Inoltre la Turchia vive la proliferazione di una serie attori non statali, privati, sovranazionali, ibridi che si adattano benissimo alla categorie della guerra senza limiti: quelle di poter essere armi di guerra oltre la pura dimensione del campo di battaglia. Era poi evidente che con il Medio Oriente in piena, caotica, ridefinizione anche la Turchia avrebbe subito delle metamorfosi. Gli stessi emendamenti di Erdogan alla costituzione turca, che già crearono rumors di colpo di stato nel marzo di quest’anno, fanno parte di questo processo di ridefinizione della Turchia al mondo esterno, lo costituzionalizzano. La Turchia per farsi egemone in Medio Oriente pensa, come fa da tempo, di islamizzarsi. Tenendo un legame con l’occidente che è sempre più di puro calcolo, quando questo è possibile, e sempre meno legato ad un processo di integrazione con l’Europa (dei 33 capitoli di trattativa per entrata Turchia in Ue risultato bloccati almeno più della metà mentre solo due recentemente sono stati riaperti). E, come sappiamo se l’integrazione con l’Europa deve essere la Ue, quindi il disastro liberista, è anche comprensibile come la bilancia politica turca penda verso una maggiore islamizzazione del paese.
Se il Medio Oriente è scosso, e l’Europa vacilla è evidente che la Turchia non poteva non risentirne, anche nei conflitti che riguardano l’assetto interno, proprio perché paese anello di questi due mondi. Ne è uscito fuori un tentativo di golpe che è parso isolato dalla società, quanto comprensibile nelle frizioni interne all’esercito in una situazione controversa. Altri effetti chiari: una possibile legittimazione di una nuova ondata repressiva per il partito di Erdogan, un crollo della lira turca che avrà conseguenze su altre guerre, quelle finanziarie, visto, ad esempio, che la Turchia è destinazione del 10 per cento dell’export italiano. Già, perché c’è poi l’altro conflitto che la Turchia sta perdendo: quello legato alla produzione di ricchezza, dovuto al rallentamento dell’economia. E che rende più controverse e difficili da governare le controversie interne, dalla giustizia sociale alla questione curda, come il posizionamento in Europa ed in Medio Oriente. Le scosse della guerra senza limiti –che si combatte sul campo, in borsa, con attori formali e informali anche senza coerenza o persino dialogo tra questi soggetti- sono quindi di una intensità che raggiunte la Turchia come Nizza. Con eventi diversi, non paragonabili tra loro. Ma l’origine della crisi –che sta tra la ridefinizione convulsa del Medio Oriente a quelle dei modi di produrre ricchezza- è simile. E simile la durata dei conflitti: senza fine.
Nel frattempo Nizza e la Turchia finiscono, in miriadi di immagini e testimonianze, sui social media. I soggetti che registrano di tutto in questa guerra senza limiti.
redazione, 16 luglio 2016

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Turchia:il fallito golpe,il Sultano ritorna.

di Enrico Campofreda.
Se Erdoğan abbia più nemici o sostenitori il tentato golpe di stanotte lo mostra chiaramente. I primi ci sono all’interno e all’esterno, ma c’è anche un popolo, un gran pezzo di popolo che sostiene e difende l’Atatürk islamico. Probabilmente pensando di difendere la patria e di fatto difendendo se stessi da torbide manovre di altrettanto ambigui ufficiali in divisa. Generazioni di turchi hanno conosciuto un passato fatto di coprifuoco e leggi marziali, tortura, galera, uccisioni; li ha usati lo stesso Erdoğan nei territori del sud-est dove da mesi è ripresa la campagna militare anti kurda. Li ha introdotti nelle moderne città dove apre fantasmagorici ponti sul Bosforo e chiude emittenti televisive trascinando dietro le sbarre giornalisti scomodi. Ma tutto questo stanotte sembrava in disparte, perché nelle ore che si sono succedute nell’incertezza e nella concitazione, coi carri armati in strada, spari, tivù di Stato occupata dagli elmetti, caccia che volavano minacciosi sulla capitale e sulle maggiori città, scontri armati fra militari golpisti e forze di polizia fedeli, migliaia di uomini a mani nude sono scesi per strada a vedere e fare qualcosa e sono stati al fianco del dittatore eletto nell’urna. Cittadini, dunque, capaci non solo di sostenerlo col voto, volitivi che rischiano di farsi uccidere per un capo. E’ un segnale che non cambia la natura del sultano, lo mostra come sono gli autocrati tuttora in sella.
E il pensiero non può non andare all’avversario vicino di casa che resiste da anni a una guerra civile e incivile, quel Bashar Asad presidente insanguinato, che egualmente ha un pezzo di popolo al fianco e lotta con lui e per lui. E’ il tratto tragicamente essenziale che la politica mondiale perora blaterando di democrazia mentre attua solo forzature della forza con arroccamenti, uomini unici e popoli usati e massacrati, resi profughi e vittime. Però nelle strade s’è vista gente che non temeva l’ufficiale che mitragliava in aria, sostenitori del presidente o forse anche suoi oppositori avversi però ai militari, s’è visto chi sollevava le braccia quasi fosse un imam e chi con le mani faceva il tragico simbolo dei Lupi grigi, si son visti militari tutt’altro che decisi e desiderosi di spargere sangue. Opposti in quel momento, e forse accomunati da vincoli di tradizione kemalista e islamista. Chi siano i golpisti è il busillis da sciogliere, sono stati arrestati centinaia di ribelli (oltre 1.500), segnale che nessuna Ergenekon, appare risolutiva. Il corpaccione militare, il più robusto della Nato europea-occidentale, è una lobby che non vuole perdere privilegi e voglia di contare. Negli anni scorsi i conflitti col premier ora presidente hanno creato in tanti generali e ammiragli bocconi amari difficili da ingoiare.

Eppure parecchi di loro hanno abbandonato i vincoli più stretti col passato e si sono aperti al nuovo corso del partito islamico. Una fetta delle stellette è poi vicina all’eminenza grigia dell’islamismo turco emigrato negli Usa con Fethullah Gülen e su costoro s’incentrano i sospetti del tentativo di putsch, perché Gülen ed Erdoğan, una volta sodali, da tempo si scontrano e si combattono attraverso i rispettivi baluardi economico e politico. Della notte buia di un colpo sperato più che portato resta di fatto un rafforzamento del presidente stesso, tanto che qualche dietrologo già si lancia a ipotizzare nei fatti una regia di regime, certo è che il sultano incassa sostegno su vari terreni. Politico: grazie a un popolo in strada a difenderlo, internazionale con alleati come Angela Merkel che inizialmente sembrano respingerlo (la Cancelliera in un ipotizzato volo del politico turco verso Berlino) per poi ribadire insieme a Obama la legittimità presidenziale. Tattico con avversari dei partiti repubblicano (Chp) e nazionalista (Mhp) che in Parlamento si sono pronunciati contro i golpisti. Infine di sicurezza, visto che polizia, agenti del Mıt gli son stati fedeli, contro ogni carro armato. Il pezzo della Turchia democratica, della comunità kurda che soffre per le smanie di potere erdoğaniane se le trovano accresciute. Ma non erano certo i putschisti gli amici di libertà, democrazia, giustizia, autodeterminazione dei popoli che continuano a essere i grandi prigionieri dell’attuale Turchia.

Enrico Campofreda

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