sabato 30 luglio 2016

IL FASCISMO SI CURA LEGGENDO,IL RAZZISMO SI CURA VIAGGIANDO

Prendendo spunto da un articolo trovato girovagando in rete tratto dal giornale on-line Villaggio giovane(villaggiogiovane2010 )che parla delle messe in onore di Mussolini che si tengono un po in tutta Italia per commemorare il maiale che è stato appeso a testa in giù in Piazzale Loreto nella data della sua discesa negli inferi,si parte da una frase dello scrittore e politico basco Miguel de Unamuno che dice "il fascismo si cura leggendo,il razzismo si cura viaggiando".
Frase azzeccata che racchiude in se un messaggio profondo messo con parole semplici che dice che l'ignoranza e la paura che portano ad odiare il diverso si possono combattere istruendosi e conoscendo persone e culture differenti dalla nostra.
Lo faccio alla vigilia di un viaggio in Indonesia che mi porterà a conoscere nuovi luoghi e nuove terre abitante da gente che parla una lingua diversa e che ha un modo di vivere e di pensare differente dal mio,e lo faccio come sempre cercando di assorbire il massimo da quello che verrà offerto cercando di non giudicare e apprezzando tutto quello che la natura e l'uomo ha saputo offrire in un posto molto distante dall'Italia.
Un paese che è stato dominato e conquistato da differenti imperi e nazioni,per citare solo qualcuno l'Indonesia ha subito influenze indiane,arabe,portoghesi e olandesi,per arrivare alla sovranità dopo la seconda guerra mondiale e con conflitti interni che lentamente stanno sparendo e che ne hanno segnato la storia recente con personaggi come Sukarno e Suharto su tutti che hanno contribuito nel bene e nel male a rendere questo paese un crogiolo di popolazioni,culture,religioni e lingue differenti.
Perché lo slogan nazionale indonesiano è Bhinneka Tunggal Ika,che significa Uniti nella Diversità.

IL FASCISMO SI CURA LEGGENDO, IL RAZZISMO SI CURA VIAGGIANDO di Silvia Franzoni ’90

(citazione da Miguel Unamuno, scrittore basco)
In quest’atmosfera di tensioni e pessimismo diffuso dovuti essenzialmente alla crisi economica, sociale e politica, sono molte le vicende e le notizie che passano in secondo piano, vuoi perché non fanno molto rumore, vuoi perché non interessano l’ambito nazionale, ed ecco che allora le prime avvisaglie di una decadenza di valori e di memorie storiche vengono completamente ignorate, passando inosservate. Sto parlando di un fatto accaduto non più tardi del 28 aprile. A Catania il rettore della chiesa di San Gaetano alle Grotte, Antonio Lo Curto, ha celebrato una messa in suffragio di Benito Mussolini. Oltre all’indignazione istintiva che ho provato appena letto il trafiletto presente su Facebook, sono rimasta attonita leggendo i seguenti fatti: la curia di Catania è a conoscenza che tale funzione viene annualmente eseguita, e la prima provocazione spontanea a cui viene da pensare è come sia possibile che la Chiesa taccia, con consenso, su questa indegna assurdità, mentre dal rito della messa, che dovrebbe essere l’espressione cristiana più alta dell’accoglienza dell’altro, vengono ostracizzate categorie di persone ritenute “indegne” e non cristiane, e ovviamente mi riferisco ai divorziati e agli omosessuali (che sicuramente a causa di questa esclusione forzata provano dolore, sofferenza spirituale e solitudine). Il secondo pugno allo stomaco l’ho ricevuto leggendo queste frasi, dette direttamente dal prete: << Mussolini era una brava persona, magnanimo e giusto, come Federico II di Svevia >>; << Benito ha solo commesso alcuni errori, come le leggi razziali e la guerra. Ma sono errori che tutti possiamo fare >>. Come è possibile spazzare via decenni di buia dittatura, con tutto ciò che ha comportato, dimenticandosi le atroci conseguenze che ha avuto per l’Italia e per gli italiani, e ridurre il tutto all’assioma “alcuni errori” ? Purtroppo sono convinta che questa gente non abbia risposte, perché è più semplice cadere nell’illusione e nella grossolanità che “la società in cui viviamo oggi abbia bisogno di ordine e unità che solo la dittatura di Mussolini è stata capace di costruire”, piuttosto che interrogarsi su quali siano le nuove strade sociali, culturali, politiche ed economiche da intraprendere dopo questa crisi. Proseguendo nella lettura dell’articolo scovato sul Fatto Quotidiano, si legge che la funzione è stata eseguita con rito bizantino in greco (seconda provocazione: questo prete e questa gente ha mai letto qualche documento sul Concilio Vaticano II? Sicuramente no, a dimostrazione di quanto sia facile usare ancora oggi il Cristianesimo per giustificare le proprie credenze e azioni che non derivano certo dal vangelo!) e che attorno all’altare erano state poste quattro bandiere, che secondo il prete simboleggiano le anime della Sicilia: siciliana, spagnola borbonica, tedesca e greca. Terza provocazione: perché la Chiesa tace di fronte all’uso improprio dell’altare, in cui a mio parere l’unica bandiera eventualmente ammissibile è quella piena di colori con la scritta PACE? Alla fine della funzione la gente, incluso il prete, non si è fatta certo mancare il saluto romano con il braccio alzato, a riprova che un sentimento di nostalgia dei tempi passati non è morto e sepolto con la fine della guerra e con l’avvento della Repubblica Italiana. Le istituzioni e noi cittadini italiani di questo 2012 siamo davvero pronti e vaccinati al virus dell’odio razziale, della paura che si trasforma in violenza, dell’ignoranza che si trasforma in dittatura? I rischi che questa crisi economica e sociale sta portando con sé sono come un potente virus che ci rende tutti febbricitanti e malaticci, mentre le nostre metaforiche difese immunitarie dei valori e delle leggi costituzionali vengono spazzate via, da questo vento imponente di nostalgia, per una dittatura che in passato ci ha distrutto.
A niente valgono i documentari sulla memoria, i libri di chi ha vissuto quegli anni, i racconti dei nostri nonni e bisnonni, perché quando qualcosa non si è vissuto direttamente sulla propria pelle si rimane in qualche modo “esposti al virus”, soprattutto quando sono trascorsi già sessant’anni (sembrano pochi, ma per coloro che provano sentimenti favorevoli ad un dittatore sono già troppi!). È stato chiesto al prete perché ricordare questo personaggio, e la risposta che è stata fornita è la seguente: << Ricordando lui si ricordano anche le vittime della Resistenza, i caduti della repubblica di Salò, le vittime delle foibe e della guerra in generale >>… Una mia amica giustamente ha scritto su Facebook che non si possono ricordare le vittime di una dittatura mediante il suo carnefice, e non posso che concordare con tale affermazione. Le vittime non possono essere poste sullo stesso piano di chi le ha mandate a morte, poiché il senso di giustizia umana ci permette di riconoscere alle prime onore e dignità ogni volta che le ricordiamo, mentre ai secondi possiamo solo riconoscere la codardia e la viltà di chi si nasconde dietro a giochi di forza e potere! Mi sembra giusto terminare questo articolo con le parole di una ragazza che ha vissuto gli orrori di una dittatura e che è morta sotto il giogo dell’odio, ricordando ciò che ha scritto nel suo diario e scolpendo queste frasi nella nostra coscienza e nella nostra memoria, perché il gesto del “non dimenticare mai” non sia vuoto e privo di significato: << Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possano crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s’innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci. >> (Etty Hillesum, Diario 1941-1943)

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