giovedì 30 giugno 2016
DON INZOLI,L'OTTO PER MILLE E 4 ANNI E NOVE MESI
L'errore della dicitura di Cremona scambiata con Crema è l'unico della frase scritta qui sopra,perché purtroppo Don,anzi ex Don ma ultimamente ancora Don Inzoli ha pagato ben 125 mila Euro in totale di "risarcimento danni" alle cinque vittime tra i 12 e i 16 anni caduti nelle sue sporche mani da pedofilo.
Ma questo era emerso già qualche mese fa,ed invece è notizia di ieri che Don Mercedes,elemento cardine della setta di Cielle e famoso per la bella vita che conduceva e che forse continuerà a condurre nonostante la condanna a 4 anni e nove mesi di reclusione.
Da sottolineare il fatto che il Vaticano non ha fornito nessuna prova contro il prete e non ha collaborato minimamente alle indagini che hanno visto al lavoro i procuratori ed i giudici del tribunale di Cremona.
Il sito Crema on line(cremaonline.Abusi+su+minori,+don+Mauro+Inzoli+condannato/ )fornisce la cronaca delle ultime ore ed un breve riassunto della vicenda dell'ex parroco di Santa Trinità di Crema,aggiungo anche uno dei tanti link dedicati a questo spregevole uomo di merda che ha segnato l'esistenza di decine di giovani e delle loro famiglie visto che ci sono state parecchie prescrizioni e chissà quante altre vittime(chiesa-nostra ).
Chissà che dicono gli amici della Lega,se proporranno la castrazione coatta,oppure i cattolici cremaschi bigotti amici e parenti che hanno sempre difeso Inzoli su social e sulle pagine della (dis)informazione nostrana,attaccando ed offendendo chi l'aveva vista lunga.
E' comunque una sconfitta per tutta la chiesa che predica sempre bene ma chi in fondo razzola sempre malissimo,e questa vergognosa vicenda ne è l'ennesima prova.
Cremona. Abusi nei confronti di minori, Mauro Inzoli condannato a 4 anni e 9 mesi.
"Quattro anni e nove mesi di reclusione per abuso nei confronti di minori, a piede libero, con il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori”. Questa la sentenza nei confronti di Mauro Inzoli, 66 anni. Il dispositivo è stato reso pubblico dal Gup del Tribunale di Cremona Letizia Platè alle 16 di oggi pomeriggio, dopo 3 ore di camera di consiglio. Il procuratore Roberto di Martino aveva richiesto per il prete cremasco, tenuto conto dello sconto di un terzo della pena previsto per il rito abbreviato, la condanna a 6 anni di reclusione per violenze sessuali ai danni di cinque vittime, minori all'epoca dei fatti. Il mese scorso Inzoli aveva risarcito il danno, provvedendo a versare 25 mila euro a ciascuna delle sue cinque vittime, all’epoca dei fatti minorenni, il più piccolo di 12 anni, il più grande di 16.
Sentenze e prescrizioni
L’ex parroco della Ss. Trinità di Crema, preside dell’istituto linguistico Shakespeare di Crema ed esponente di spicco del banco alimentare e di comunione e liberazione, si è avvalso della difesa dei legali milanesi Corrado Limentani e Nerio Diodà. Di Martino s’è detto soddisfatto perché nonostante il Vaticano non abbia collaborato, si è riusciti ad accertare la verità dei fatti, commessi tra il 2004 ed il 2008. Risultano prescritti per decorrenza dei termini un’altra quindicina di episodi, mentre un elevato numero di episodi, “oltre un centinaio” per Di Martino, non possono essere contestati. Dimesso allo stato laicale dalla Congregazione per la fede, Inzoli ha vinto il ricorso e la pena è stata attenuata: è rimasto sacerdote ma ha l’obbligo di celebrare la messa in privato, non può rientrare in territorio del comune di Crema ed è obbligato a “condurre una vita di preghiera e di umile riservatezza come segni di conversione e penitenza”.
Il commento del deputato Franco Bordo
“La giustizia italiana ha fatto il suo corso – ha commentato il deputato di Sinistra Italiana Franco Bordo, autore del primo esposto alla Procura nei confronti del parroco - dopo anni di silenzi, omertà e coperture, nonostante la mancata collaborazione da parte del Vaticano, in questo caso si è riusciti a ricostruire i reati legati a circa 20 episodi accertati e purtroppo forse non tutti, che hanno portato prima al risarcimento delle vittime da parte del sacerdote, poi a questa condanna. Dopo questa sentenza rimangono la vicinanza al dolore delle vittime e tanta amarezza: se i fatti fossero stati denunciati da chi di dovere e con tempestività, alcune di esse non avrebbero subito quella terribile esperienza”.
mercoledì 29 giugno 2016
LA TURCHIA TIRA LA CINGHIA E L'ISIS RISPONDE
L'attentato di ieri sera all'aeroporto internazionale di Istanbul ha mietuto per il momento una quarantina di morti e decine di feriti in quello che è apparso subito un attacco dal chiaro stampo terrorista dell'Isis anche se non ancora rivendicato e nemmeno il governo turco dal canto suo ha nemmeno accennato che questa carneficina sia stata ordita dai curdi(come di solito fanno).
L'articolo di Infoaut(istanbul-l’avvertimento-ai-padrini )parla del legame che da tempo lega l'esecutivo Erdogan nazionalista e filoislamico alle milizie del Daesh,con scambi di favori,commercio illegale di petrolio proveniente dai pozzi del Califfato,contrabbando di opere d'arte e passaggio di uomini e armi dai confini che danno sulla Siria.
Negli ultimi tempi la Turchia,incalzata dall'Ue,dagli Usa e finiti sotto embargo dai russi,ha tirato la cinghia nei confronti dei terroristi Isis che avevano già dato avvertimenti ad inizio anno sempre nella città a metà tra l'Europa e l'Asia e che ora ha dato una spinta in più di violenza e devastazione.
Da notare il rilievo dato dai mass media alla notizia,in prima pagina e visione sui notiziari,ma destinata ad essere relegata nelle retrovie d'importanza mediatica a partire da qui a pochi giorni,in fondo Istanbul non è mica Parigi o Bruxelles.
Consiglio pure quest'altro link:contropiano strage-istanbul-erdogan-sangue .
Istanbul. L’avvertimento ai padrini.
Martedì sera, alle 22 ora locale, tre persone hanno iniziato ad aprire il fuoco
all’Aeroporto Ataturk di Istanbul, prima di farsi esplodere facendo
almeno 36 morti e 147 feriti. Un attacco terribile, nel terzo
aeroporto più grande d’Europa, fa decine di vittime tra i semplici passeggeri
che si trovavano nello scalo.
La scelta degli obiettivi e le modalità lasciano
pochi dubbi sulla matrice di un attentato, tra l’altro, già
ampiamente prevedibile e previsto. Da diversi mesi le pubblicazioni dell’IS
avevano cominciato a lanciare avvertimenti ad Erdogan a causa della parziale
chiusura della frontiera tra Turchia e Siria – fino a qualche
mese fa principale passaggio per approvvigionarsi in armi, mezzi e uomini – e
delle concessioni fatte dal presidente turco agli americani, tra cui il cruciale
accordo dato agli statunitensi per accedere alla base aerea di
Incirlik, punto di partenza di numerosi strikes contro l’IS.
Per di più, l’avanzata verso Raqqa delle SDF – la coalizione a
trazione curda – sta mettendo sempre più in difficoltà uno Stato islamico che
vede letteralmente sgretolarsi la terra sotto i piedi mentre non può che
constatare che la Turchia sembra poter fare ben poco per continuare ad isolare
politicamente e militarmente i rivali dei miliziani jihadisti (le foto, apparse
qualche settimana fa, delle toppe delle YPG sulle divise americane sono un
passaggio tutt’altro che simbolico….).
Certo mancano per il momento
rivendicazioni da parte degli organi ufficiali dello Stato
islamico ma sarebbe stato sorprendente il contrario, vista la necessità di non
alienarsi completamente l’opinione pubblica turca, in particolare quella fetta
di popolazione che considera il progetto dell’IS come facente parte dello stesso
islam politico o che vede di buon occhio i massacri contro i curdi perpetrati
dai miliziani salafiti.
Dopo gli attentati di Ankara,
Erdogan è stato eletto nel novembre scorso sull’onda del
ricatto “o me o il caos”. Nel momento in cui crescono le difficoltà dell’IS e
l’appoggio turco a Daesch si fa più timido, i jihadisti sembrano moltiplicare i
messaggi ai propri padrini: “o NOI o il caos”.
Ovviamente non si tratta di una negoziato bilaterale a colpi di bombe semplicemente perché il conclamato appoggio turco allo Stato islamico non è mai stato quello di un’alleanza piana come in una partita Risiko. È nel rapporto contraddittorio di una parte degli apparati statali e militari con l’Is che vedremo un cambiamento di equilibri dopo l’attentato di martedì sera.
Ovviamente non si tratta di una negoziato bilaterale a colpi di bombe semplicemente perché il conclamato appoggio turco allo Stato islamico non è mai stato quello di un’alleanza piana come in una partita Risiko. È nel rapporto contraddittorio di una parte degli apparati statali e militari con l’Is che vedremo un cambiamento di equilibri dopo l’attentato di martedì sera.
È da capire inoltre quali effetti avrà il tragico
attacco di ieri sul contesto siriano. Erdogan prenderà la palla
al balzo per un intervento militare più deciso, nel tentativo di sparigliare le
carte in una partita caratterizzata da un pericoloso radicamento del progetto
politico curdo a ridosso del confine sud-orientale?
Presi in mezzo tra padrini e picciotti, chi continua a subire le tragiche conseguenze di questi avvertimenti sono i civili turchi...
martedì 28 giugno 2016
BUD SPENCER
E' morto all'età di ottantasei anni l'attore e sportivo napoletano di nascita e romano di adozione Carlo Pedersoli,noto a tutti con il nome di Bud Spencer che da solo o assieme al compagno di mille avventure Terence Hill è stato uno dei più grandi e famosi attori del cinema nostrano.
Il film"...altrimenti ci arrabbiamo!"credo sia stato il primo che mi ricordi di aver visto ad inizio degli anni 80 all'interno dell'ormai ex teatro dell'oratorio dei Sabbioni ai tempi del Grest,bei ricordi di momenti tra i più belli e felici della mia vita.
E credo anche per moltissime persone che abbiano più o meno la mia età,spaghetti western e scazzottate interminabili ma mai con vittime e tante risate,l'articolo di Repubblica(news/addio_a_bud_spencer )omaggia questo attore che prima è stato un nuotatore di enorme successo,il resto è cronaca...addio e chissà che sfide a birra e salsicce.
Cinema, è morto Bud Spencer, il gigante buono del cinema italiano.
Insieme a Terence Hill ha scritto momenti diversi e importanti di alcune tra le stagioni più felici della produzione italiana: dalla serie indimenticabile degli 'Spaghetti western', all'avventura comica, dal cinema di qualità come un indimenticabile protagonista per Ermanno Olmi, alle produzioni internazionali di intrattenimento
E' morto a Roma l'attore Carlo Pedersoli, meglio conosciuto come Bud Spencer. Aveva 86 anni. Lo ha annunciato il figlio Giuseppe Pedersoli: "Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata 'grazie". Era nato a Napoli il 31 ottobre del 1929.
“Quando il Padreterno mi chiamerà, voglio andare a vedere che cosa succede. Perché se non succede niente, m’incazzo. M’hai fatto alzare ogni mattina per ottantasette anni per non andare, alla fine, da nessuna parte? Io, di fronte a tante cose enormi che non comprendiamo, mi posso attaccare solo a lui. E sperare che quando mi chiamerà, mi si chiarirà tutto. Perché oggi, mi dia retta, non si capisce proprio più niente”. Era già un Carlo Pedersoli affaticato, ma sempre combattivo, spiritoso, loquace quello che ci raccontava, pochi anni fa, cosa pensava del momento in cui sarebbe stato chiamato “dall’altra parte”. Una curiosità perfino eccessiva per l’uomo che, sempre, aveva professato - e vantandosene - il “futteténn’” come filosofia di vita. Forse per via di quelle radici napoletane dalle quali non s’era mai staccato, classe 1929, mamma Rosa e papà Alessandro, rione di Santa Lucia, a scuola con il vicino di casa Luciano De Crescenzo. “Cosa ricordo di Napoli? Le bombe. Sa, c’era un po’ di guerra…. Ero cresciutello e me la ricordo bene”.
Da Napoli a Roma, dove il padre è costretto a trasferirsi per motivi di lavoro all’inizio degli anni Quaranta e dove Carlo entra in un club di nuoto, i primi sentori di quello che, per un abbondante pezzo di strada, sarebbe stato il suo destino. Ma è ancora il lavoro del padre che lo allontana dalle cose alle quali si sta legando: stavolta lontano parecchio, in Sudamerica, dove tutta la famiglia Pedersoli resterà fino alla fine degli anni Quaranta, fra il Brasile e l’Argentina. Al rientro in Italia Carlo viene tesserato dalla società sportiva Lazio Nuoto, si afferma nello stile libero e nelle staffette miste, macina campionati, entra nella storia come il primo italiano a infrangere la barriera del minuto netto, per l’esattezza 59”5 (nel 1950 a Salsomaggiore e poi a Vienna). Il nuoto ormai è il suo presente e il suo futuro, viene convocato per la Nazionale, partecipa agli Europei di Vienna, vince due medaglie ai Giochi del Mediterraneo del 1951 in Egitto.
Quel fisico gli permette di cimentarsi anche con il rugby. Torna all’università, lasciata ai tempi del trasferimento in Sudamerica, frequenta sia Giurisprudenza che Sociologia, non porta a termine nessuna delle due ma comincia ad avvicinarsi al mondo del cinema. Sono gli anni della Hollywood sul Tevere, delle grandi produzioni internazionali che scelgono Roma come quartier generale ed è con Quo vadis? che debutta sul grande schermo, anche se solo nei panni di una guardia dell’Impero romano.
Ma il 1952 è alle porte e con esso le Olimpiadi di Helsinki. Vi partecipa con i colori dell’Italia, poi insieme ad altri atleti viene inviato alla Yale University, per alcuni mesi vive in America, continua con i Giochi, da quelli del Mediterraneo a Barcellona alle Olimpiadi di Melbourne. Ma qualcosa si spezza. La dedizione allo sport, gli studi, la bella vita non gli bastano, o forse sono troppo e gli fanno perdere di vista quello che sta cercando. “Ero stanco della vita ai Parioli” dirà, prima di fare una scelta radicale. Torna in Sudamerica e si mette a lavorare alle dipendenze di un’impresa Usa impegnata nella costruzione della Panamericana, la strada di collegamento fra Panama e Buenos Aires. Poi lavora anche all’Alfa Romeo di Caracas, dove resta fino al 1960. E’ l’anno delle Olimpiadi di Roma alle quali partecipa perché lui s’è voluto allontanare dallo sport ma lo sport non l’ha mai voluto abbandonare. Né lo ha lasciato Maria, la compagna conosciuta quindici anni prima e che finalmente Carlo sposa. Diventando genero di Peppino Amato, uno dei più noti proprietari di sale cinematografiche nonché produttore, ma pure padre di Giuseppe, il primogenito, al quale seguiranno Christiana, nel 1962, Diamante nel 1972.
Fra un contratto discografico con la RCA e l’attività di produttore di documentari per la Rai, Pedersoli torna a frequentare i set. La svolta arriva con Dio perdona… io no!: è il 1967, quel set segna l'incontro con Mario Girotti, il suo futuro, inseparabile compagno. Ma data l’esterofilia in voga all’epoca, anche a loro - come a tanti altri - viene consigliato di cambiare nome: nascono Bud Spencer e Terence Hill, coppia d’oro del botteghino grazie a film come Lo chiamavano Trinità (1970), un successo di portata europea seguito da …continuavano a chiamarlo Trinità.
A Spencer/Pedersoli non serve sperimentare altri generi cinematografici. La sua partecipazione a Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento (1971) e al film drammatico, di denuncia, Torino nera diretto da Carlo Lizzani (1972) non gli danno il successo che invece ottiene in coppia con il sodale Hill/Girotti. Successo anche come solista, con la tetralogia di Piedone: Piedone lo sbirro, Piedone a Hong Kong, Piedone l’Africano e via elencando, mentre continua il sodalizio con Terence, celebrato dal trionfo ai botteghini di Più forte ragazzi (1972), Altrimenti ci arrabbiamo (1974), Porgi l’altra guancia (1974). L'invenzione del "western comico" fa centro, i due piacciono perché sono una specie di cartone animato. Grande e grosso e a far la parte del cattivo Spencer, scattante e belloccio ma senza crederci troppo Hill, i due portano sul grande schermo storie in cui la fanno da padrone le scazzottate fragorose, grottesche ma mai violente, le sparatorie con le pallottole che fischiano, film per tutti che li trasformano in idoli anche dei bambini. Perché nessuno si fa mai male davvero, nessuno muore, tutti quelli che cadono si rialzano.
Sarà la televisione a separarli consensualmente, regalando a ciascuno dei due ancora grandi soddisfazioni. Bud Spencer conquisterà il pubblico con alcune serie, da Big Man (1988) a Detective extralarge (1991-1993), Terence Hill con la fiction che gli permetterà di diventare un “eroe” degli ascolti record, soprattutto con la “saga” di Don Matteo. Nonostante tutto, Pedersoli non si monta la testa. Resta sempre con i piedi per terra, lontano dall’idea di “star”. “Per me nella vita vale sempre una parola sola: la decenza. Non devi mai credere di essere uno che può spaccare tutti, devi avere la decenza di capire che domani mattina puoi incontrare due-tre personaggi che ti fregano tutto quello che hai fatto. Succede, perché è la vita. E questo me l’ha insegnato lo sport”.
“Nella mia vita ho fatto di tutto - raccontava - ma proprio di tutto. Solo due cose non ho potuto fare: il ballerino classico e il fantino”. In compenso, dalla metà degli anni Settanta fino agli anni più recenti, parallelamente all’attività cinematografica e televisiva trovò il tempo di conseguire la licenza di pilota di elicottero, lanciare una linea di jeans, fondare una compagnia aerea, la Mistral, scrivere alcune canzoni, pubblicare la propria biografia, Altrimenti mi arrabbio: la mia vita, dilettarsi - altra sua passione - con la filosofia, mangiare (arrivò a pesare 156 chili) e mai mettersi a dieta, una battaglia durata tutta la vita.
“Nella mia vita ho fatto di tutto - raccontava - ma proprio di tutto. Solo due cose non ho potuto fare: il ballerino classico e il fantino”. In compenso, dalla metà degli anni Settanta fino agli anni più recenti, parallelamente all’attività cinematografica e televisiva trovò il tempo di conseguire la licenza di pilota di elicottero, lanciare una linea di jeans, fondare una compagnia aerea, la Mistral, scrivere alcune canzoni, pubblicare la propria biografia, Altrimenti mi arrabbio: la mia vita, dilettarsi - altra sua passione - con la filosofia, mangiare (arrivò a pesare 156 chili) e mai mettersi a dieta, una battaglia durata tutta la vita.
Fieramente di destra, candidato nel 2005 alle Regionali nel Lazio con Francesco Storace, aveva trasmesso l’interesse per la politica anche alla figlia Christiana, che si era candidata a sua volta nel 2013 alle Comunali di Roma con il Popolo delle libertà. Ma nonostante le molte esperienze, e un curriculum di circa 130 film (nel 2003 anche con Olmi in Cantando dietro i paraventi), le conquiste più importanti per Pedersoli rimasero sempre quelle sportive. “Perché il successo, in tutto il resto, è il pubblico che lo decreta. Quando invece vinci nello sport, quella è tutta roba tua, e nessuno te la può togliere”.
lunedì 27 giugno 2016
UNA SPAGNA NUOVAMENTE INGOVERNABILE?
Come accadde il 20 dicembre scorso(la-tornata-elettorale-spagnola )la Spagna è ancora presumibilmente un paese ingovernabile visto che i risultati definitivi consentiranno a Rajoy di provare a fare un esecutivo ma le sue possibilità sono remote a meno di un partito della nazione che fa vomitare solo a pensarci.
Effettivamente dopo le ultime batoste il PP e il Psoe in maniera minore hanno tenuto,anzi il Partido Popular è l'unico che ha guadagnato qualcosa mentre tutti gli altri sono in perdita e ha deluso enormemente Podemos Unidos la coalizione che ha visto unita in questa tornata pure Izquierda Unida,con percentuali comunque da far invidia in Europa e da noi in particolar modo.
Pure Ciudadanos,il partito con più feeling con il PP ha preso una mezza batosta e i voti uniti di queste due coalizioni comunque non supererebbero quelli del Psoe e di Podemos assieme(sempre che si possano alleare).
Tre fatti degni di nota,assenteismo in continua ascesa,exit pools sbagliati e di molto e come in Italia una netta bocciatura al bipartitismo:articolo preso da Senza Soste(a firma di Marco Santopadre di Contropiano)unidos-podemos-niente-sorpasso-l-ue-vuole-la-grande-coalizione .
Marco Santopadre - tratto da http://contropiano.org
Sondaggi smentiti, di nuovo ed anche nello Stato Spagnolo. Alla fine il sorpasso sui socialisti non c’è stato ed Unidos Podemos si deve accontentare del terzo posto e ridimensionare i suoi sogni di gloria.
Appena i seggi hanno chiuso, alle 20, gli exit poll davano vincitore il Partito Popolare e seconda, davanti ai socialisti, la coalizione formata da Podemos, Izquierda Unida e altri 9 movimenti statali e locali di centro-sinistra. Ma quando sono cominciati ad affluire i dati dello spoglio reale è stata una doccia fredda per i viola, passati non solo in terza posizione ma assai al di sotto delle aspettative della vigilia.
Appena i seggi hanno chiuso, alle 20, gli exit poll davano vincitore il Partito Popolare e seconda, davanti ai socialisti, la coalizione formata da Podemos, Izquierda Unida e altri 9 movimenti statali e locali di centro-sinistra. Ma quando sono cominciati ad affluire i dati dello spoglio reale è stata una doccia fredda per i viola, passati non solo in terza posizione ma assai al di sotto delle aspettative della vigilia.
La ‘Spagna profonda’ ha di nuovo premiato il Partito Popolare. Nonostante la corruzione, gli scandali – l’ultimo emerso alla vigilia del voto, rivelando che il Ministro degli Interni di Rajoy tramava con un funzionario catalano per fabbricare prove false allo scopo di incastrare i dirigenti indipendentisti di Barcellona – nonostante anni di politiche antipopolari e autoritarie la destra spagnola non solo torna a vincere le elezioni, ma addirittura si rimette una costola. Il Partido Popular riprende fiato dopo la storica debacle del 20 dicembre e passa da 123 a 137 seggi e dal 28.72 di sei mesi fa al 33.03%.
Di fatto il PP arriva in testa nella stragrande maggioranza dei collegi elettorali del paese, succhiando consensi a Ciudadanos, forza emergente della “nuova destra” liberale, liberista, nazionalista e ‘moderna’ che sperava invece di continuare la sua ascesa dopo il buon risultato del 20 dicembre. Invece la creatura politica di Albert Rivera arresta la sua corsa e “si sgonfia”, passando da 40 a 32 seggi e dal 13.93 al 13.03%. Rajoy recupera voti all’interno dell’elettorato conservatore ma anche reazionario – l’estrema destra di Vox prende solo 46 mila voti in tutto lo Stato! – in virtù di un “effetto diga” contro la prospettiva di uno sfondamento da parte dei ‘rossi’ di Unidos Podemos.
Il cui risultato, come detto, alla fine non è stato affatto entusiasmante, come gli stessi dirigenti della coalizione, nei primi commenti della serata, hanno ammesso. La coalizione passa infatti da 69 a 71 seggi e dal 20.66 al 21.1% dei voti. Un piccolo progresso, si dirà. In realtà le forze coalizzate sotto la guida di Pablo Iglesias perdono un numero consistente di consensi rispetto a sei mesi fa, quando Podemos e Izquierda Unida (Unidad Popular) erano andati al voto separatamente ottenendo rispettivamente il 20.66 e il 3.67%. Presentandosi in coalizione e confermando le ‘confluencias’ con altre piccole forze politiche statali – come Equo – e vari movimenti e coalizioni regionaliste e di sinistra locali in Catalogna, Valencia e Galizia, Iglesias e Garzòn puntavano su un effetto moltiplicatore dei voti, allettando gli elettori di sinistra e centrosinistra con la prospettiva del sorpasso sui socialisti e approfittando di una legge elettorale che premia, nella distribuzione degli eletti, le liste più consistenti.
Ma Unidos Podemos ha fallito entrambi gli obiettivi. Ha ottenuto solo 2 seggi in più rispetto alla tornata precedente (esattamente quanti ne avevano insieme Podemos e IU), piazzandosi in terza posizione in quasi tutti i collegi dello Stato Spagnolo, superata non solo dal PP ma anche dai socialisti (tranne nei Paesi Baschi e in parte della Catalogna dove UP ha vinto la competizione).
UP non è riuscita ad allargarsi a destra ed ha anche perso voti a sinistra. Durante la campagna elettorale i leader di Podemos hanno insistito nel presentarsi come gli esponenti di una ‘nuova socialdemocrazia’ tiepidamente riformista ma responsabile, nel tentativo di accreditarsi come forza di governo tra gli imprenditori e la classe media e di attrarre i voti socialisti che non sono invece arrivati indispettendo al contempo i settori più radicali dell’elettorato.
Fin dalla scorsa tornata Iglesias e i suoi hanno rinunciato alle proposte più radicali (espulso dal messaggio del movimento ogni riferimento alla lotta contro l’Unione Europea) ed hanno insistito sulla opportunità di formare una maggioranza di governo “per il cambiamento” con il Partito Socialista di Pedro Sanchez, che giustamente a sinistra viene considerato un pilastro di un sistema spagnolo a due gambe – diventate tre con Ciudadanos – liberista, ingiusto, corrotto e inamovibile. Offerta che Iglesias ha reiterato ieri sera, dopo la diffusione dei deludenti risultati, parlando di un accordo tra Unidos Podemos e Psoe come di una ‘coalizione tra forze di progresso’ che ‘hanno una idea diversa della Spagna’ rispetto a PP e C’S. Ma quale idea abbiano della Spagna i socialisti – da Gonzales a Zapatero fino al rampante Sanchez – gli elettori di sinistra lo sanno bene, e non hanno seguito la direzione di Izquierda Unida preferendo l’astensione.
Ma Unidos Podemos ha fallito entrambi gli obiettivi. Ha ottenuto solo 2 seggi in più rispetto alla tornata precedente (esattamente quanti ne avevano insieme Podemos e IU), piazzandosi in terza posizione in quasi tutti i collegi dello Stato Spagnolo, superata non solo dal PP ma anche dai socialisti (tranne nei Paesi Baschi e in parte della Catalogna dove UP ha vinto la competizione).
UP non è riuscita ad allargarsi a destra ed ha anche perso voti a sinistra. Durante la campagna elettorale i leader di Podemos hanno insistito nel presentarsi come gli esponenti di una ‘nuova socialdemocrazia’ tiepidamente riformista ma responsabile, nel tentativo di accreditarsi come forza di governo tra gli imprenditori e la classe media e di attrarre i voti socialisti che non sono invece arrivati indispettendo al contempo i settori più radicali dell’elettorato.
Fin dalla scorsa tornata Iglesias e i suoi hanno rinunciato alle proposte più radicali (espulso dal messaggio del movimento ogni riferimento alla lotta contro l’Unione Europea) ed hanno insistito sulla opportunità di formare una maggioranza di governo “per il cambiamento” con il Partito Socialista di Pedro Sanchez, che giustamente a sinistra viene considerato un pilastro di un sistema spagnolo a due gambe – diventate tre con Ciudadanos – liberista, ingiusto, corrotto e inamovibile. Offerta che Iglesias ha reiterato ieri sera, dopo la diffusione dei deludenti risultati, parlando di un accordo tra Unidos Podemos e Psoe come di una ‘coalizione tra forze di progresso’ che ‘hanno una idea diversa della Spagna’ rispetto a PP e C’S. Ma quale idea abbiano della Spagna i socialisti – da Gonzales a Zapatero fino al rampante Sanchez – gli elettori di sinistra lo sanno bene, e non hanno seguito la direzione di Izquierda Unida preferendo l’astensione.
Sono proprio i socialisti a tirare un sospiro di sollievo, perdendo sì 5 seggi – da 90 a 85 – ma guadagnando qualche decimo di punto percentuale – dal 22.01 al 22.66% – che permette al Psoe di rimanere al secondo posto.
Da notare che il non voto è passato in sei mesi dal 26.8% al 30.16%. Alle urne si sono recati solo il 69.84% degli aventi diritto (il dato non però ancora definitivo); non il crollo verticale vaticinato dai sondaggi della vigilia ma comunque un calo significativo, che mette in evidenza la crescente disillusione e disaffezione di un elettorato stanco. In un quadro del genere la ‘spinta propulsiva’ di Podemos sembra non funzionare più, incagliatasi in una sorta di recinto politico al di là del quale sembra difficile che Iglesias riuscirà ad andare.A guardare i dati assoluti, il Partito Popolare è l’unica forza politica statale a guadagnare voti, passando da 7.215.000 a 7.906.000 elettori e recuperando posizioni in importanti comunità autonome come quella Valenciana o l’Andalusia e la Galizia (qui En Marea, coalizzata con UP, perde un seggio e diventa terza sorpassata dai socialisti). Il Psoe perde 106 mila consensi, Unidos Podemos ben 1.063.000 (considerando anche i voti di Izquierda Unida del 20D), Ciudadanos 377.000.Un ottimo risultato, in Catalogna, per gli indipendentisti di sinistra moderati di Esquerra Republicana che passano da 599.000 a 629.000 voti (la sinistra indipendentista radicale della Cup, come il 20D, ha deciso di non presentare liste alle elezioni statali) a scapito del partito regionalista/indipendentista catalano di centro-destra, la Convergenza Democratica di Artur Mas e dell’attuale premier di Barcellona Carles Puigdemont, che continua la sua discesa passando da 565.000 a 482.000 voti.
Nuovo pessimo risultato per la sinistra indipendentista basca, ormai in crisi nera anche a livello elettorale: Eh Bildu subisce di nuovo “l’effetto Podemos” e passa dai 218 mila voti conquistati nella Comunità Autonoma Basca ed in Navarra sei mesi fa ad appena 184.000, conservando comunque i 2 seggi che aveva. Anche il Partito Nazionalista Basco (PNV) non brilla, calando da 6 a 5 seggi e da 301.000 a 286.000 voti.
All’apparenza la mappa del nuovo parlamento di Madrid non sembra, è vero, molto diversa da quella uscita dalle elezioni del 20 dicembre, che avevano spazzato via il vecchio bipartitismo trasformandolo in un sistema a quattro gambe. Troppe, si è detto, per garantire la governabilità.
Nessuna forza politica, neanche il riconfermato Partito Popolare, è così consistente per poter formare un governo monocolore che da tradizione. Ma sei mesi di stallo dopo le elezioni del dicembre 2015 e la crescita consistente della destra di Rajoy rappresentano un elemento di novità da non sottovalutare. Come visto, nonostante la brusca frenata Unidos Podemos continua ad insistere sulla formazione di una coalizione con i socialisti che però potrebbe contare solo su 156 seggi, quota assai lontana dalla maggioranza minima di 176 necessaria per governare. Ammesso che i socialisti siano orientati ad allearsi con i propri competitori a sinistra – Pedro Sanchez ha più volte ribadito il suo ‘no’ – e che i partiti nazionalisti baschi e catalani siano pronti a fare da stampella ad un ambiguo governo guidato da una forza centralista come il Psoe.
Nessuna forza politica, neanche il riconfermato Partito Popolare, è così consistente per poter formare un governo monocolore che da tradizione. Ma sei mesi di stallo dopo le elezioni del dicembre 2015 e la crescita consistente della destra di Rajoy rappresentano un elemento di novità da non sottovalutare. Come visto, nonostante la brusca frenata Unidos Podemos continua ad insistere sulla formazione di una coalizione con i socialisti che però potrebbe contare solo su 156 seggi, quota assai lontana dalla maggioranza minima di 176 necessaria per governare. Ammesso che i socialisti siano orientati ad allearsi con i propri competitori a sinistra – Pedro Sanchez ha più volte ribadito il suo ‘no’ – e che i partiti nazionalisti baschi e catalani siano pronti a fare da stampella ad un ambiguo governo guidato da una forza centralista come il Psoe.
Rispetto alle Cortes elette il 20D, in quelle costituite ieri una coalizione tra le due destre – PP e Ciudadanos – potrebbe contare su 169 seggi, e i due partiti potrebbero puntare ad un governo di minoranza, anche se abbastanza instabile e sottoposto al continuo ricatto di eventuali piccoli alleati regionalisti di centro-destra. I poteri forti interni e l’establishment dell’Unione Europea premono invece per una grande coalizione tra Partito Popolare e Partito Socialista – meglio ancora se rafforzato dalla nuova destra di Albert Rivera – che potrebbe assicurare a Madrid e soprattutto a Bruxelles quella stabilità necessaria per implementare i piani della Troika troppo a lungo rimandati: privatizzazioni, licenziamenti nel settore pubblico, altra austerity.
Che non si sia andati subito alla ‘grande coalizione’ già dopo la scorsa tornata elettorale Bruxelles e Francoforte lo hanno potuto accettare una volta, se lo stallo dovesse ripetersi anche dopo le elezioni di ieri le conseguenze per Madrid potrebbero farsi serie.
27 giugno 2016
domenica 26 giugno 2016
REFERENDUM E PETIZIONI
Subito dopo l'esito del voto che ha sancito la Brexit ecco che il movimento di chi voleva che la Gran Bretagna restasse nell'Ue ha cominciato una petizione per poter votare nuovamente sulla stessa questione dello scorso giovedì(vince-il-leave-in-uk ).
Il redazionale di Contropiano(gran-bretagna-petizione )parla di questo e di come paradossalmente ci sia uno spiraglio visto che le lobbies più potenti erano per il remain e quindi ci sarebbero pressioni talmente forti che potrebbero portare ad un ripensamento.
Ovvio che sarebbe l'inizio di una serie infinita di petizioni che vorrebbero ribaltare i risultati precedenti e così potrebbe essere anche nel resto non solo dell'Europa.
Immaginiamoci solo in Italia se si fosse rivotato l'indomani dei referendum sul divorzio o sull'aborto,addirittura se si sarebbe ripensato di stabilire se l'Italia potesse ritornare monarchia piuttosto che diventare Repubblica.
Il voto referendari,e a memoria per tutti quelli cui ho partecipato anche perdendo,devono essere risolutivi ed al limite ripresentabili ma a distanza di parecchi anni.
Mentre l'articolo evidenzia il fatto che in paesi come il nostro ancora non è possibile istituire consultazioni referendarie sulla modifica dei trattati internazionali,al limite si potrebbe prima organizzare un referendum per abrogare tale legge e promuoverne un'altro,si puntualizza che il famigerato trattato TTIP verrebbe firmato direttamente dalla Commissione Europea senza passare nemmeno nei vari Parlamenti dei singoli Stati(ttipe-tutto-vero e relativi links).
Gran Bretagna.Una petizione chiede di votare di nuovo per non votare mai più.
di Redazione Contropiano.
Il giorno dopo le forze che più hanno da perdere con la Brexit si vanno riorganizzando. Hanno perso per un soffio (52 a 48, all'incirca), nonostante l’assassinio della deputata laburista Jo Cox abbia dato loro una mano gigantesca (i sondaggi, la mattina stessa dell’omicidio, davano uno scarto di circa dieci punti) al punto da far loro credere che i rapporti nell'opinione pubblica si fossero definitivamente ribaltati.
Hanno dalla loro capitali multinazionali e nazionali senza limiti, una volontà egemonica ferrea e pronta a tutto. Per ora stanno scegliendo la “via morbida” (non si possono controllare le borse, naturalmente), quindi stanno lavorando su un’opinione pubblica britannica comunque sconcertata. Anche dalla parte dei vincitori, infatti, non mancano quelli che si stanno chiedendo ora come si gestisce una situazione del genere.
Aprire le procedure previste dall'art. 50 del Trattato di Lisbona, in effetti, è un inoltrarsi in terre sconosciute, visto che avviene per la prima volta e la procedura stessa sembra scritta in modo molto vago (come se fosse stata messa lì solo per dovere di completezza, dando per scontato che non sarebbe mai stata usata).
Una petizione per chiedere un nuovo referendum, sulla stessa domanda è partita da un sito del parlamento britannico e sembra in qualche ascrivibile ai seguaci di David Cameron, primo ministro dimissionario ma intenzionato a restare in carica fino al congresso conservatore di ottobre.
Neppure nel codice britannico è però prevista la ripetizione di un referendum, che è l’atto più sovrano di un popolo e dunque – per definizione – ne fissa la volontà chiara ad una certa data. Sarebbe insomma comprensibile se la domanda venisse riproposta tra dieci o venti anni, non a poche ore da un risultato sgradito per chi ha perso.
I firmatari chiedono dunque – al parlamento che promuove la petizione! – la promulgazione di una nuova legge che consenta la ripetizione di un referendum se non si è ottenuto almeno il 60% per un’opzione o l’altra. Il tasto delle firme ha raggiunto in poche ore il milione e settecentomila click e la notizia viene data in apertura di tutti i media pro-Ue.
Tecnicamente è una follia. Una legge del genere imporrebbe infatti di ripetere un referendum praticamente all'infinito, fin quando non si raggiunga la percentuale limite. Oppure, più probabilmente (non esiste un testo articolato di una simile proposta di legge, solo la richiesta di una legge che consenta la ripetizione) di considerare invalido un referendum che dà un risultato inferiore a quel limite (con molti problemi di legittimità visto che una simile legge non potrebbe comunque essere retroattiva).
Per capirci, con una regola siffatta, in Italia non avremmo avuto il divorzio, la possibilità di aborto legale e diverse altre norme che ci hanno cambiato in meglio la vita (secondo le regole italiane, infatti, conta il superamento di un quorum pari al 50% più uno degli aventi diritto al voto).
L’aspetto più assurdo, però, è che viene di fatto chiesto di rivotare per permettere al “remain” di ottenere una rivincita. Tutto bene, se questo non significasse però la richiesta di votare per avere il “diritto”… di non votare più su nessuna questione rilevante che viene decisa dall’Unione Europea sulle nostre teste.
In Italia siamo già in questa situazione perché la Costituzione non prevede referendum sui trattati internazionali (e le leggi di bilancio, ossia la “finaziaria” ora “legge di stabilità”). Mentre in altri paesi europei questa facoltà esiste ancora.
In ogni caso, però, una serie di materie sono già state sottratte per sempre alla sovranità degli stati nazionali, al punto che molti trattati non vengono neppure più votati dai singoli Parlamenti. Il Ttip, per esempio, trattato attualmente in fase di negoziato tra Unione Europea e Stati Uniti, sarà firmato direttamente dalla Commissione Europea (il “governo” della Ue), senza approdare mai né a Montecitorio, né al Reichstag o altri aule parlamentari.
E tutto ciò, spiega la commissaria al commercio, la svedese Cecilia Malmstroem, è “perfettamente democratico” perché i governi nazionali hanno rinunciato a tale facoltà per sempre, delegandola alla Commissione.
Qui l’intervista in cui si “rivendica” questo furto di democrazia: http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ttip-e-democratico-anche-senza-il-voto-dei-parlamenti/.
sabato 25 giugno 2016
L'AMNISTIA TOGLIATTI
In questi giorni ricorre il settantesimo anniversario dell'amnistia Togliatti,che permise di liberare migliaia di fascisti e che a volte punì i veri patrioti italiani della Resistenza che combatterono per la libertà e la democrazia.
Nel 1946 si voleva creare un clima di pacificazione che produsse odio mai sopito soprattutto ad una distanza così breve dalla fine della guerra,con il Presidente De Gasperi che aspirava a rilasciare tutti i collaborazionisti e con Togliatti leader del Pci e allora Ministro della Giustizia che voleva liberarne il meno possibile.
Si trovò una scelta che era molto più vicina al pensiero del primo Presidente della Repubblica Italiana e che provocò ribellioni e malumori in tutto il paese come riportato dall'articolo preso da Senza Soste(anti-fascismo/il-colpo-di-spugna )quando gli sconfitti ed incarcerati,comunque per reati differenti e tra i più vili come la violenza sulle donne,uccisioni,collaborazionismo col tedesco nazista occupante,e molti di quelli ebbero poi piena agibilità politica e poterono ricoprire da subito cariche pubbliche.
Ed i risultati si vedono ancora oggi con l'esercito,la polizia e tutte le forze armate praticamente nelle mani di fascisti vecchi e nuovi da settant'anni fa ad ora.
Come si poteva procedere allora?
Senza cadere in situazioni limite come avvenne più avanti nel tempo in Cambogia col regime comunista di Pol Pot e in quelli di stampo fascista praticamente in ogni angolo del mondo ma soprattutto in centro e sud america dove l'eliminazione fisica del nemico era prassi usuale,era auspicabile la normale decadenza delle pene che erano state emesse,che fossero stati previsti sei mesi o sei anni,l'ergastolo o dieci anni.
Invece si è scelta,e troppo presto,una soluzione che ha liberato migliaia di criminali di guerra e violentatori che da un giorno all'altro si ritrovarono liberi di poter continuare a fare quello che avevano sempre fatto,visto che la legge Scelba del 1952 ormai è diventata solo uno scritto di buoni propositi e quasi mai applicata.
Ci furono gruppi come la Volate Rossa che fecero giustizia da sé nel'immediato dopoguerra e io ho sempre stimato i combattenti che fecero parte di quel storico ed orgoglioso gruppo che poi a proprie spese riuscirono a regalare legittimità a sentenze che rimasero disattese.
Quell'amnistia fu il primo vero e grande errore commesso dal Partito Comunista che nella figura del leader storico Togliatti calò le braghe nei confronti della Democrazia Cristiana che nel corso dei decenni successivi collaborò e permise di insabbiare tutte le malefatte che i neofascisti riuscirono a perpetrare sul suolo italiano.
Il 19 giugno 1946 il leader socialista Pietro Nenni riassumeva così nel suo diario la giornata parlamentare di quel giorno: “Oggi Consiglio dei Ministri per elaborare il testo dell’amnistia (…) Tendenza di De Gasperi: mettere fuori tutti i fascisti. Tendenza di Togliatti: mollarne il meno possibile”. Il testo di legge che fu approvato appena tre giorni dopo rispecchiava questa seconda impostazione. Il Pci, scrive lo storico Mimmo Frassinelli, “voleva trasformarsi in partito di massa, e aveva la necessità di rompere il ghiaccio con quei settori della società italiana che avevano servito il regime”.
Il segretario del Pci Palmiro Togliatti era all’epoca il Ministro della Giustizia ed era laureato in Giurisprudenza. Volle scrivere di suo pugno la legge, contrariamente a quanto spesso si è letto sul fatto che sarebbero stati i funzionari ministeriali a ispirarla, “fregando Togliatti” (come ebbe a dire Pietro Secchia). I funzionari e i magistrati, spesso di provenienza fascista, furono però quelli che una volta chiamati ad applicare la legge ne utilizzarono tutte le ambiguità per darne un’interpretazione molto “benevola”: in appena quattro giorni la Corte d’Assise di Roma scarcerò ottantanove fascisti accusati di collaborazionismo o di altri gravi reati.
L’elenco dei criminali che sarebbero stati liberati è impressionante: si va da Grandi a Federzoni, da Bottai a Scorza, da Alfieri a Caradonna, da Acerbo ad Ezio Maria Gray, da Renato Ricci a Giorgio Pini, da Teruzzi a Junio Valerio Borghese, da Cesare Maria de Vecchi ai collaboratori della banda Koch. Il caporione del Msi Giorgio Almirante nel 1974 scriverà: “Sarebbe ingeneroso non ricordare l’amnistia voluta da Togliatti per i fascisti”. E sarebbe stato davvero ingeneroso dato che due terzi dei parlamentari del Msi ne avevano beneficiato. La legge permetteva agli amnistiati perfino di ricoprire cariche pubbliche.
L’amnistia suscitò ovviamente grande sconcerto e indignazione negli ambienti della Resistenza: in tutto il nord vi furono rivolte, manifestazioni di protesta, appelli e petizioni. Molti partigiani proposero di riprendere le armi e tornare in montagna. In provincia di Cuneo decine di ex combattenti si asserragliarono per più di un mese nel paesino di Santa Libera. A Casale Monferrato, nel 1947, fu necessario l’intervento dei carri armati, la mediazione del leader della Cgil Di Vittorio e la promessa che non sarebbe stata concessa la grazia per calmare gli animi durante il processo ad alcuni criminali fascisti.
Abbiamo visto uscire - disse Sandro Pertini - quelli che hanno “incendiato villaggi e violentato donne”. E in effetti le sentenze pronunciate dai tribunali hanno del clamoroso: comandanti di plotoni d’esecuzione assolti per non aver sparato e violentatori condannati solo per “oltraggio al pudore”.
I commenti più duri vennero dal Partito d’Azione. Ernesto Rossi definì la legge “una dimostrazione di imbecillità e incoscienza”, mentre Piero Calamandrei “il più insigne monumento all’insipienza legislativa”.
Quel che è certo è che il Pci di Togliatti nell’immediato dopoguerra giocò un ruolo decisivo nella smobilitazione delle migliori energie della Resistenza mettendo le basi per quella lunga repressione antipopolare che parte dalle elezioni del 18 aprile 1948 e si conclude solo negli anni ’60.
NOTA
Cfr. l’articolo di Nello Ajello su Repubblica del 21 giugno 2006 e il libro “L’amnistia Togliatti” di Mimmo Franzinelli
Cfr. l’articolo di Nello Ajello su Repubblica del 21 giugno 2006 e il libro “L’amnistia Togliatti” di Mimmo Franzinelli
Pubblicato sul numero 116 (giugno 2016) dell'edizione cartacea di Senza Soste
venerdì 24 giugno 2016
VINCE IL LEAVE IN UK
Ed alla fine è prevalso il voto favorevole all'uscita,che sarà definitiva nel giro di un paio di anni,della Gran Bretagna dall'Unione Europea con un susseguirsi di scenari che erano già stati previsti e che si chiariranno col passare delle settimane e dei mesi.
Subito le Borse principali in tutto il mondo sono crollate così come la sterlina mentre avevano avuto un'impennata l'indomani della morte della deputata Jo Cox che pareva aver spostato la bilancia verso il remain(la-morte-di-jo-cox ).
Scenari già spiegati(in-is-inout-is-outdentro-o-fuori )tempo fa e che hanno fatto parlare di eventi catastrofici come guerre,fatto ad oggi improbabile ma solo il passare del tempo ce lo dirà, licenziamenti di massa sia per gli europei in Uk che il contrario,ed un indebolimento sociale ed economico di tutto il Regno Unito quando questo voto vorrebbe dimostrare il contrario.
Mi lascia perplesso che sia Farage quasi l'unico protagonista di questo esito,lo si vede in ogni dove sui notiziari e in fotografia,quando una fetta sostanziale della sinistra aveva auspicato lo stesso risultato(/contropianobrexit-lesultanza-della-sinistra-anti-ue )nonostante Blair abbia richiamato il neo eletto capo labour Corbyn nei ranghi per rimanere in Ue nonostante si sia dichiarato apertamente per la Brexit.
Ora ci sarà l'effetto domino?Forse è una probabilità nemmeno tanto lontana,quel che è certo è che la Gran Bretagna ha avuto il coraggio ed il senso civico e democratico di poter fare decidere ai suoi abitanti su degli accordi approvati da una ristrettissima cerchia di persone,così com'era già avvenuto per il referendum sull'indipendenza della Scozia(la-scozia-fara-parte-ancora-del-regno )quando vinsero i better together.
Ed anche se a vincere fosse stato il remain Londra avrebbe avuto dall'Ue molte agevolazioni.
Restando in tema scozzese qui c'è stato un voto a favore del remain come a Londra e in quasi tutto il nord Irlanda,mentre in Galles e nel resto dell'Inghilterra ha vinto il leave.
Ci si domanda pure se l'Europa unita sia mai esistita davvero,e allora pongo una domanda a chi ha viaggiato nel mondo ed ha incontrato gente da ogni dove:gli statunitensi conosciuti mi hanno sempre detto di provenire sempre dagli Usa(mai Michigan,Minnesota o California se non dopo altre domande)mentre mai nessun olandese,francese o spagnolo mi ha mai detto di essere europeo,così come io ho semplicemente risposto di essere italiano.
Articoli di Infoaut(http://www.infoaut europea-comincia-a-perdere-pezzi )e Senza Soste(senzasoste.it//brexit-chi-ha-paura-di-un-referendum ).
È Brexit: l'Unione Europea comincia a perdere pezzi.
Il voto in Gran Bretagna si è espresso a favore del “Leave”: 51,9% contro 48,1%. Adesso si apre un periodo di transizione che comporterà dei margini di incertezza sui possibili esiti. Molto dipenderà anche dalla contrattazione tra governo britannico e Unione Europea sull'uscita. Le prime reazioni dei mercati finanziari europei sono state vendite e crolli, lo stesso vale per la Sterlina. Il premier britannico Cameron ha già annunciato le proprie dimissioni che avverranno in autunno, d'altronde si è speso esplicitamente a favore del “Remain” ed è stato contraddetto dal voto popolare.
Nel giorno del voto abbiamo fatto qualche considerazioni in un editoriale, alla luce dei risultati proviamo a fare qualche ulteriore osservazione, parziale e provvisoria.
Si tratta di un colpo pesante per il progetto dell'Unione Europea a trazione tedesca sul fronte politico. Le spinte centrifughe (per lo più di destra) che hanno percorso l'Europa in questi ultimi anni si trovano rinforzate dal risultato di questo referendum e spingeranno sull'insofferenza vero l'Unione Europea presente nelle classi popolari di molti paesi membri.
La Gran Bretagna ora potrà perseguire una propria strategia geopolitica, probabilmente più orientata a rinsaldare i legami nel Commonwealth e verso la Cina. Per l'UE si tratta di perdere anche il paradiso fiscale della city londinese, snodo fondamentale per i capitali finanziari. Per Londra invece si tratterà attrarre flussi di denaro lungo altre direttrici, per esempio la city è già la prima destinazione per gli investimenti cinesi in Europa.
I confini. A noi non piacciono i confini questo è sicuro. Per questo la critica in nome della libertà di movimento alla BrExit suona ipocrita e centrata unicamente sulla condizione di cittadini europei. Tanto più che non sarà un confine invalicabile. Sii dimentica che per migliaia di persone in cerca di una speranza per il futuro quel confine è sempre stato chiuso, perché si rimuove la lotta, gli scontri con la polizia e le notti al freddo delle migliaia di persone che a Calais chiedevano di poter raggiungere la Gran Bretagna. L'Unione Europea sposta semplicemente i confini, disumani e violenti, a Idomeni o nel Mediterraneo e su quei fronti stanno già facendo molti più morti di quanti ne dovranno mai subire i cittadini europei per andare in Gran Bretagna.
Il voto di classe. È intrecciato ad una certa omogeneità territoriale, perciò la Scozia e l'Irlanda del Nord hanno votato in maggioranza per il “Remain” mentre Inghilterra e Galles per il “Leave”. Eppure le proiezioni per reddito sono altrettanto esplicite: i voti a favore della BrExit arrivano in gran parte dalle classi popolari. Infatti questi strati sociali hanno subito impoverimento crescente, disoccupazione e condizioni di vita in peggioramento. Difficile negare che le politiche imposte da un'Unione Europea fondata sugli interessi dei grandi capitali finanziari non abbiano giocato un ruolo (e lo vediamo anche in Italia). Tuttavia anche in Gran Bretagna La partita è stata giocata da destra.
Quindi occorre sfatare un altro mito. In questa situazione di crisi non è vero che si aggrappa alle certezze. O meglio: ci si aggrappa chi ha ancora qualcosa da perdere e le divisioni classe giocano un ruolo importante. Ma tra le classi popolari è sempre più desiderabile il cosiddetto “salto nel buio”, nella speranza che qualcosa cambi. Se lo status quo è un presente di miseria, disoccupazione e povertà allora essere contro l'esistente, anche a fronte dell'ignoto, appare decisamente più allettante.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il referendum sullo status della Gran Bretagna nell’unione europea si è concluso. La vittoria della Brexit è ufficiale. Ma non tutti gli scenari sono come gli attori avrebbero voluto: i capitali finanziari e le borse volevano più libertà dai controlli UE ma non l'uscita, Cameron invece voleva una vittoria del Remain ma allo stesso tempo un referendum che mostrasse come anche lui era distante dall'UE, per tenere a distanza Farage che invece non è mai stato forte come ora.
Per quanto ci riguarda, non si tratta di niente di sorprendente. Piuttosto bisognerà saperne rappresentare gli effetti reali, a parte le tempeste valutarie, senza esagerare o minimizzare. La rinegoziazione, e la relativa tempistica, degli oltre cento patti bilaterali tra Ue e Gran Bretagna sarà il terreno reale sul quale si misurerà l’effetto del referendum. Il posizionamento della borsa di Londra, visto che il Pil inglese per metà è composto di servizi finanziari e asset di borsa, sarà decisivo per capire cosa sarà la Gran Bretagna, e con lei la Ue, nei prossimi anni. Di qui capiremo se la Gran Bretagna rimarrà inevitabilmente europea o si farà più asiatica.
Prima questione: i capitali asiatici e la forza della GB
Facciamo un esempio noto a chi si occupa di questi temi: la Gran Bretagna è il primo paese attrattore per gli investimenti cinesi in Europa, la prima piazza extra asiatica, quindi Usa compresi, per la trattazione dello yuan e Londra è stata la prima capitale, tra i centri decisionali del continente ad aderire alla Asian Infrastructure Investment Bank. Se questi capitali asiatici premono verso l’Ue, usando Londra come piattaforma, sarà difficile, per l’Europa continentale, tenere la faccia dura mostrata, in queste ultime settimane, da Schauble e Juncker. Allo stesso tempo gli accordi sull’unificazione tra borsa di Londra e Francoforte, che vedrebbero quest’ultima come specializzata nei servizi di clearing (la compensazione delle transazioni tra soggetti finanziari) su traffici generati a Londra, saranno un importante termometro della situzione. Anche perché la Capital Market Union, l’unione europea dei capitali per gli investimenti in infrastrutture e innovazione, progettata dall’Ue senza, o peggio con l’interdizione, di Londra non arriva a fare i primi passi. Nell’immediato sarà il momento delle oscillazioni, tra tempeste valutarie e dichiarazioni di rassicurazione e conforto, ma questo fa parte della dinamica delle novità.
"In borsa si vota tutti i giorni": elezioni, sondaggi e speculazione
Un punto però importante da rimarcare è che i referendum vengono bancati e prezzati dalle borse. Fino ad avere effetti globali. La vera postdemocrazia, nonostante il libro di Crouch che porta quel titolo sia davvero buono, è questa. Quella in cui sul voto l’esplicita pressione da parte della finanza e gli effetti sui mercati valutari fanno sentire il loro peso. Non tanto negli effetti sull’elezione in sé, buona parte dell’establishment della borsa londinese se si è espresso lo ha fatto a favore del Remain e ha perso, ma in quelli sul posizionamento globale del paese che vota. Per non parlare della moneta: il ribasso della sterlina, causato dalle oscillazioni di mercato, imporrà un intervento alla banca di Inghilterra che poi arriverà all’economia reale. C’è anche da dire che, a differenza dei luoghi comuni che spiegano le crisi, come quella sulla Brexit, con il classico “i mercati non amano le incertezze”, che il mondo reale è un po’ diverso. In un mondo di tassi bassi, e quindi margini di profitto sui bond ridotti all’osso, le incertezze, le crisi drammatizzate con le conseguenti oscillazioni dei valori di borsa sono una manna dal cielo, una vera occasione di strappare dei profitti veri. Certo qualcuno ci guadagna, qualcuno resta in mutande ma è la borsa non l’esercito della salvezza. E nei giorni scorsi, e nei prossimi che verranno, di movimenti speculativi attorno alla sterlina, e agli asset di marca britannica, ne vedremo. Intanto alcuni sondaggi sono stati occasione, infatti, per comprare da subito a basso prezzo asset destinati a rivalutarsi. Altri, come qualche fuga di notizie sul Bremain, sono stati l’occasione per vendere, e al rialzo, prima del prevedibile crollo azionario di alcuni titoli al momento della Brexit. Come è noto il più importante quotidiano di fantascienza italiano, Repubblica, ha abboccato sia agli uni che agli altri sondaggi prendendoli per veri e non cogliendo il contesto di borsa in cui venivano rilanciati. Ma il legame tra elezioni, sondaggi e speculazione è molto forte e rappresenta una parte sostanziale delle postdemocrazie contemporanee. Quella in cui la democrazia è ridotta ad essere un momento della necessaria creazione di volatilità per la speculazione finanziaria. Un rapporto tra democrazia e creazione di valore che non va affatto sottovalutato e che non è episodico ma, invece, fa parte della catena di creazione di valore dell’industria finanziaria.
Cameron, Farage e borsa: vincitori e vinti
Quanto al voto in sé è evidente che l’apprendista stregone Cameron si trova con i demoni, che aveva evocato, che sono fuggiti dal suo comando. Una autonomia più marcata dall’Europa era stata chiesta non solo dalla finanza, per sottrarre Londra dalle velleità di controllo Ue, ma anche dallo stesso partito conservatore. Per tenere a distanza la Ukip di Farage. Il risultato è che Farage, dopo la sconfitta alle politiche del 2015, non è mai stato cosi’ vincente come oggi. E che la stessa piazza finanziaria di Londra è insoddisfatta. Voleva autonoma dall’Ue, poi ribatezzata con un referendum pro Ue dopo la trattativa sullo status speciale della Gran Bretagna, non questo casino. Già perché la piazza finanziaria londinese non può entrare in grossa contraddizione col Lussemburgo. Ovvero con il paese che, dall’entrata in vigore dell’Ue, più di tutti è cresciuto in servizi finanziari (e specializzazione in evasione fiscale e prodotti finanziari offshore). E, guarda te il caso, esprime il commissario della Ue, Juncker, euroburocrate di lungo corso. Anche questi sono temi seri e, non ci sarà da stupirsi, Juncker smetterà di fare la faccia dura con l’Inghilterra al momento giusto. Lo ha fatto con un Renzi qualsiasi figuriamoci con un paese e una borsa strategici per il pianeta. Insomma, senza spaventarsi, gli effetti della Brexit non vanno nè minimizzati nè ingranditi. Ce n’è abbastanza come si vede, per chi vuol capire come cambia il mondo, sul terreno reale.
Le autoreti del Bremain, dei laburisti e di Schauble
Sulla sostanza del voto, il fronte Bremain di autoreti ne ha viste tante. Il partito laburista, ad esempio, marcia di sconfitta in sconfitta. Il simbolo è proprio Corbyn che nel 1975 si schierò, nel referendum precedente sull’Ue, contro l’unione e fu travolto. Oggi si è schierato per l’Unione, contro la Brexit, e ha subito una sconfitta storica. Tra l’altro il programma di stato sociale per il quale è stato eletto sarebbe improponibile in Ue, forse c’è qualche confusione seria nella sinistra istituzionale britannica (mentre alcuni sindacati di base hanno votato Leave). Forse l’autorete più grossa l’ha fatta però Schauble che è arrivato, con il consueto stile da dottor Stranamore, a minacciare conseguenze in caso di Brexit. In un referendum dove la componente dell’orgoglio nazionale britannico ha il suo peso, l’immagine della Germania che minaccia l’Inghilterra se si scommette sul Bremain non è una trovata da spin-doctor geniali.
Impoveriti e anziani hanno votato Brexit. Sotto effetto Trump
Sul voto in sé ha pesato l’Inghilterra profonda. Londra, la zona di Liverpool, Bristol e la Scozia, le zone che si ritengono più collegate o collegabili col continente, hanno pesato a favore del Remain. Il resto, tra cui molte zone dove la crisi del 2008 ha fatto sentire sul serio i suoi effetti ha prodotto un plebiscisto a favore della Brexit. Nella mappatura fatta dal Guardian si nota come a favore del Remain abbiano votato i soggetti delle zone a più alta educazione e maggior reddito. Mentre a favore della Brexit avrebbero votato gli elettori più anziani e quelli con peggiore qualifica professionale. Lasciare mezza Inghilterra a piedi, socialmente ed economicamente parlando, è stato fatale per i conservatori, il laburisti e l’Ue. E, guarda caso, si tratta del tipo di elettorato che in Usa si è avvicinato a Trump. Non ci vuole molto a capire che la miseria, senza soluzioni di sinistra, produce effetti nazionalistici. Ci arriverebbero, opportunamente lasciati liberi di esprimersi, anche Orfini, Giachetti e persino lo stesso Renzi.
Il pollaio italiano
Finiamo quindi con il pollaio di casa nostra. Lasciamo un attimo da parte Salvini, le possibili dichiarazioni di Renzi, quelle di Padoan, la fretta di Grillo (si parla a voti scrutinati, ora il M5S rischia di doversi rimangiare delle dichiarazioni facendo la parte del soggetto ondivago). Concentriamoci su uno degli artefici del disastro italiano per un quindicennio: Romano Prodi. Non contento di aver accompagnato la più spettacolare regressione del Pil dall’Italia unitaria ad oggi, come politico e come comissario Ue, non pago di aver varato una finanziaria utile per la contrazione economica alla vigilia di Lehman Brothers (che era ormai percepita come prossima), l’indimenticabile “professore” si è rifatto vivo. Dicendo che auspicava che la Gran Bretagna non solo rimanesse nell’Ue ma anche che entrasse nell’eurozona. Famoso per non azzeccarne una (disse che la crisi di borsa che si annunciava per l’Italia sarebbe stata compensata dalla crescita della Cina, infatti è accaduto il contrario) anche stavolta è stato smentito negli auspici, e in tempo reale, dal voto britannico. Ecco, di una cosa non abbiamo bisogno per i prossimi anni: che gli artefici di politiche demenziali, che ancora oggi vanno a dire in giro “io si che ho privatizzato davvero”, che hanno affossato il paese dopo la caduta del muro, restino politicamente a galla. Il resto è una pagina da scrivere con pericoli e opportunità. La storia, la politica e l’incertezza sono gemelle.
E se è vero che la politica usa categorie di origine teologica il suo campo di applicazione è differente. Tanto da far si che se non mette sotto la finanza, non ci sarà retorica del politico che tiene, programma politico credibile, democrazia in grado di essere davvero chiamata tale. Per questo il referendum britannico non deve far paura. Deve far riflettere. Ma forse per qualcuno questa è la paura più grande.
p.s.
va fatta una utile nota, visto che in queste ore prevalgono approssimazione, paura e disinformazione. Abbiamo scritto " La rinegoziazione, e la relativa tempistica, degli oltre cento patti bilaterali tra Ue e Gran Bretagna sarà il terreno reale sul quale si misurerà l’effetto del referendum". Già abbastanza chiaro per capirsi sul fatto che non è che sta stamani la Gran Bretagna ha messo i ponti levatoi e buttato a mare gli indesiderati. Giova ricordare, viste diverse reazioni isteriche e improvvisate, che il voto è solo consultivo. Apre negoziazioni non altro. Perché diventi davvero efficace occorre infatti che il governo britannico chieda ufficialmente di uscire e che faccia scattare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona. Per questo Cameron si è dimesso stamani ma annunciando che fino a ottobre non si dimette. Per governare il processo nel partito conservatore e in parlamento. In parlamento, sulla carta poi va visto l'effetto Brexit nel voto, quasi i tre quarti dei membri sono contro l'avvalersi dell'articolo 50. Se questo rifiuto si formalizzasse in parlamento dovrebbe esserci un secondo referendum stavolta vincolante.E' una fase molto delicata, per la politica britannica e per l'Europa, che pero' va presa per come e'.
redazione, 24 giugno 2016
giovedì 23 giugno 2016
BOLZANO E GLI ACCORDI TRA IL PD ED I FASCISTI
La tornata elettorale delle ultime amministrative aveva visto a Bolzano un prologo ad inizio maggio dove l'organizzazione fascista di Ca$$a Povnd ha fatto registrare un buon successo già al primo turno visto che ha quasi fatto triplicare la propria percentuale rispetto al 2015,e questo bottino di voti e di consiglieri comunali deve aver fatto gola al neo sindaco Caramaschi visto che la sua maggioranza non ha numeri così elevati ed importanti da fargli fare sonni tranquilli(vedi:www.ilfattoquotidiano ).
Un primo appoggio indiretto ma non disinteressato dei fascisti del nuovo millennio l'hanno dato uscendo dall'aula pur di non votare contro la maggioranza piddina che raggruppa pure il movimento autonomista sudtirolese Svp ed i verdi.
Sviolinate proprio tra i vari rappresentanti del Pd,Svp e Caga Povnd c'erano state durante la prima seduta del consiglio comunale dopo il nuovo insediamento del sindaco,proseguite nel secondo consesso e pure in altri interventi anche se Caramaschi dice che le loro posizioni ideologiche siano lontane come i due poli.
Ma intanto afferma assieme al vice Baur che non hanno nessuna preclusione verso questi infami fascisti e che si può avere un dialogo costruttivo che potrebbe portare a collaborazioni(e ad una presidenza di una commissione):tutto questo ha messo in guardia l'Anpi che ha denunciato da subito l'accaduto.
Fatto sta che Bolzano già nel 2011 aveva già tentato di sdoganare i seguaci di Iannone con l'allora uscita dall'aula dei due consiglieri grillini così tanto onesti e democratici di fronte al rifiuto della maggioranza comunale di iscrivere all'albo delle associazioni culturali l'associazione "Casa Italia" legata a Cacca Pound Italia(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.it/2011/05/la-racconteranno-giusta.html ).
Articolo di Contropiano:http://contropiano.org/news/politica-news/2016/06/22/bolzano-pd-apre-casapound-080770 .
Articolo di Contropiano:http://contropiano.org/news/politica-news/2016/06/22/bolzano-pd-apre-casapound-080770 .
Bolzano:il Pd apre a Casapound,i fascisti ringraziano.
di Luca Fiore
L’allarme è partito dall’Anpi di Bolzano che esprime sconcerto per la decisione del sindaco, Renzo Caramaschi, del Partito Democratico, eletto con il 55% dei voti alle recenti amministrative (con l’appoggio della Svp e dei Verdi) di sdoganare i fascisti di Casapound, reduci dall’exploit in consiglio comunale, passati da 1 a 3 seggi, più quello andato al loro candidato sindaco – ed ex sindaco della città per pochi mesi – Giovanni Benussi.
Non avendo una solida maggioranza ad appoggiarlo il primo cittadino del Pd ha affermato che nei confronti dei “fascisti del terzo millennio”,come amano definirsi gli estremisti di destra, non aveva alcuna preclusione. E per tutta risposta i quattro consiglieri fascisti invece di votare contro la maggioranza che sostiene il sindaco si sono astenuti, anzi sono usciti dall’aula.
Non avendo una solida maggioranza ad appoggiarlo il primo cittadino del Pd ha affermato che nei confronti dei “fascisti del terzo millennio”,come amano definirsi gli estremisti di destra, non aveva alcuna preclusione. E per tutta risposta i quattro consiglieri fascisti invece di votare contro la maggioranza che sostiene il sindaco si sono astenuti, anzi sono usciti dall’aula.
In città molti si chiedono se l’astensione sia il frutto di qualche accordo sottobanco tra l’amministrazione e i fascisti. D’altronde già il vicesindaco dell’Svp (gli autonomisti sudtirolesi) Christoph Baur avevo usato toni assai concilianti nei confronti di Casapound: “Voglio capire la ragione del loro successo nei quartieri, e, perché no, parlare anche con i loro consiglieri. E scambiarci impressioni”.
Alla prima seduta del consiglio comunale di Bolzano il capogruppo dell’estrema destra, Maurizio Puglisi Ghizzi, si è presentato in camicia nera ed ha ringraziato: “Se il comportamento del sindaco Caramaschi o del vice Baur è costruttivo, se da settimane non ci sbattono la porta in faccia come altri in passato, perché non dobbiamo collaborare?”. E poi l’astensione, una specie di appoggio esterno nei confronti dell’amministrazione di centrosinistra, con Caramaschi che in un intervento durante la seconda seduta del consiglio lascia intendere che a quelli di Casapound potrebbe venire assegnata la presidenza di una commissione. “Non esiste nessuna preclusione istituzionale nei confronti di Casapound. Sono stati eletti e fanno parte del consiglio comunale, anche se ideologicamente siamo lontani come il polo nord e il polo sud” ha spiegato Caramaschi.
Il PD, subissato di critiche e proteste, sembra tranquillo. Un po’ meno i quattro consiglieri di Casapound – ribattezzati ‘i fascisti del terzo millennio in camicia hawaiana’ dopo che alla seconda seduta del consiglio si sono presentati con una camicia sgargiante invece che con quella nera sfoggiata nel corso dell’inaugurazione – che altri gruppi di destra ed estrema destra, come Lega e Uniti per Bolzano, accusano di aver tradito, sostenendo con la loro astensione la giunta guidata dal PD.
mercoledì 22 giugno 2016
LA RAPPRESAGLIA DI RINAUDO
All'indomani del risultato referendario che ha visto la candidata dei cinque stelle Appendino battere a sorpresa Fassino ecco che la questura torinese ha sfoggiato forse per ripicca vista la sconfitta degli amici del Pd da sempre complici del disastro che vogliono compiere in Val Susa,ventitré operazioni di perquisizione verso attivisti No Tav,strascico degli eventi del 28 giugno dell'anno scorso.
Tra arresti in carcere e domiciliari,denunce ed obblighi di firma il pm Rinaudo ha cercato di dare il suo ennesimo contributo contro chi manifesta il proprio dissenso per un'opera inutile e che da profitto solo a speculatori,mafiosi e politici che si riempiono le tasche a scapito di un'intere valle e la sua popolazione.
L'articolo di NoTav info(non-potete-fermare-il-vento-gli-fate-solo-perdere-tempo/ )parla di questo continuo accanimento e di altre richieste di condanna raddoppiate per un paio di ragazzi anche loro impegnati nella lotta a questo delirio.
Non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo!
Un post elezioni che si carica di ulteriori significati politici nella città di Torino e in Valsusa. Con un’operazione già pronta sicuramente da giorni, il pm Rinaudo e i suoi amici della questura hanno deciso di attendere l’esito del ballottaggio e la caduta del partito amico, il PD, prima di scaricare la loro ennesima azione intimidatoria.
Che si parli di persecuzione è oramai cosa nota, ma nonostante questo il movimento No Tav continua a tenere botta e per questo, dall’altra parte, si continuano a calare misure cautelari e roboanti condanne come se fossero noccioline.
Questa mattina 23 No Tav sono stati protagonisti dell’ennesima operazione di polizia, hanno subito perquisizioni a cui sono seguiti arresti domiciliari, obblighi di firma quotidiani e arresti in carcere. Gli arresti in carcere di Vincenzo e Lorenzo, non firmati dal Gip, sono per volontà del pm Rinaudo che avendo condotto perquisizioni ai due giovani pochi giorni fa, può disporre la traduzione in carcere in regime di isolamento in attesa dell’udienza del giudice. Forse il bottino gli sembrava troppo misero, chissà.
Tutti fatti che si riferiscono alla grande giornata di lotta del 28 giugno dello scorso anno, momento in cui il movimento tutto ha deciso di trasgredire ai divieti imposti dalla prefettura per provare a camminare di nuovo sulle strade e sui sentieri conquistati e liberati nel 2011.
Quel giorno in almeno 1.500 persone si è sfilato in corteo, dapprima scontrandosi con la polizia a ridosso di jersey posizionati a sbarrare Via dell’Avanà, e poi dall’altro lato, con i jersey tirati giù dai No Tav da un semplice tiro alla fune. Ricordiamo ancora con grande emozione il crollo del dispositivo a protezione della fortezza e poi il fronteggiamento con la celere che ne seguì.
Dallo studente universitario all’ultrasettantenne, dai bambini ai lavoratori, tutti quel giorno abbiamo deciso di mettere i nostri corpi e le nostre facce in prima linea per ribadire ai signori del Tav che dalla Val di Susa se ne devono andare. Una manifestazione alla moda nostra, come tante altre che sono state fatte negli anni passati, e che tutt’ora vengono costruite e messe in campo dal movimento tutto.
Forti delle loro vecchie strategie, seduti su delle comode poltroncine e rinchiusi nel loro pomposi palazzi i politici nostrani, con i loro fidati cani da guardia, provano a indebolire con ogni mezzo i movimenti e tutte quelle mobilitazioni che rischiano di mettere in crisi la loro governabilità. Ci temono, mentre noi li disprezziamo.
C’è Nicoletta, che oramai di anni ne ha 70, che ha deciso che non andrà a firmare tutti i giorni dai carabinieri nè accetterà altre forme di custudia cautelare: “..Che sia chiaro, io non accetterò di andare tutti i giorni a chiedere scusa ai carabinieri, non accetterò che la mia casa diventi la mia prigione. Decidano loro, tanto la nostra lotta è forte, lottiamo per il diritto di tutti a vivere bene, lottiamo non solo per la nostra valle ma per un mondo più giusto e vivibile per tutti. Noi non abbiamo paura e non ci inginocchiamo davanti a nessuno, e quindi io a firmare non ci vado e nemmeno starò chiusa in casa ad aspettare che vengano a controllare se ci sono o non ci sono. Siamo nati liberi e liberi rimaniamo! Liberi ed uguali!”.
Sempre così un uomo di 64 anni, Fulvio, per difendere il suo territorio, viene denunciato e messo agli arresti domiciliari, lui che ha deciso da tempo di vivere in una dimensione collettiva come quella del presidio di Venaus e di dedicare parte della sua vita alla lotta.
C’è anche Marisa, ultra 70enne, perchè avendo difficoltà a deambulare stava sul furgone della manifestazione, anche per lei obbligo di firma quotidiano.
Ci sono anche Giuliano, Luca, Eddi, Gianlu, Aldo, Silvano, Enrico, Davide, Niccolò, Gianmarco, Paola, Luca, Andrea, Ernesto, Brandue e Lorenzo, studenti universitari, lavoratori, precari, padri di famiglia; persone, insomma, che fanno parte del nostro movimento popolare che non ha età, perchè davanti a quelle reti ci mettiamo tutti la stessa porzione di cuore.
Oggi arriva anche la notizia della dura condanna in primo grado di Stella e Costanza due giovani No Tav ed Emilio, pescivendolo della valle, fermati per un blocco autostradale di protesta per le pesanti condanne del maxi-processo No Tav, svoltosi questo inverno. Ebbene, a fronte della richiesta da parte del pm di 1 anno e 3 mesi di detenzione, il giudice ha pensato fosse opportuno raddoppiare la pena a 2 anni e 7 mesi. Il perchè si capirà dalla sentenza, ma anche in questo caso sappiamo già che ciò che leggeremo non farà la differenza.
Questa sera ci ritroveremo a Bussoleno per l’assemblea popolare e li decideremo con che azioni rilanciare la nostra lotta.
Non ci risparmiamo di dire, una volta in più, che queste operazioni non ci spaventano minimamente, chiediamo dunque la libertà per tutti i compagni e le compagne sottoposti a misure cautelari.
Ringraziamo tutti coloro che da ogni parte d’Italia ci stanno esprimendo la loro solidarietà.
Non potete fermare il vento, gli fate solo perdere tempo!
Avanti No Tav!
martedì 21 giugno 2016
RENZI LO SCONFITTO
Come anticipato nel post di ieri sul risultato elettorale delle amministrative 2016 che hanno toccato diverse città italiane molto importanti(ballottaggio-con-sorpresa )ecco un'analisi approfondita sul vero sconfitto di questa votazione che è stato il premier Renzi prima ancora del Pd di cui è segretario grazie anche all'articolo preso da Infoaut(http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/17254-grazie-renzi-per-aver-sfasciato-il-pd ).
Si nota all'inizio della scottante sconfitta di Torino dove seppur partita in svantaggio la pentastellata Appendino ha ribaltato il risultato al ballottaggio contro il sindaco uscente Fassino in una città da sempre legata prima alla sinistra operaia e poi al Pd che ha aveva stretto amicizie ambigue con la Fca,Unicredit,banca Intesa e la Tav in quello che era l'esempio massimo del potere piddino nel nord Italia.
Napoli e Roma sono stati due casi in cui l'insuccesso renziano mai era stato messo in discussione con addirittura nella città partenopea l'assenza del proprio candidato al secondo turno e Milano è stata vinta ma come detto ieri anche Parisi sarebbe andato bene al premier.
Se la presa della città di Varese è un vanto dopo ventitré anni di lega questo è un misero risultato elettorale cui ha contribuito una campagna elettorale fatta con troppe promesse e tanti accordi alla luce del sole ed altri meno con personaggi legati ad ambienti poco raccomandabili.
Se Renzi stesso ha ammesso che questa è stata qualcosa come una catastrofe è già un'ammissione di colpa e responsabilità che un segretario di partito prima che ancora premier deve analizzare seriamente e correre a rimedi come per esempio rassegnando le sue dimissioni,che dovrebbero essere accompagnate da quelle da capo del governo,cosa che verosimilmente accadrà ad inizio autunno.
Perché è improbabile che questa sconfitta non veicoli direttamente la campagna sul quesito referendario dove tutti i suoi avversari,pur appartenendo a schieramenti politici differenti,stanno già dando battaglia per sconfiggere Renzi prima ancora che il Pd e la riforma costituzionale.
Perché lo stesso Renzi ha voluto combattere da solo contro tutti e questi ultimi hanno vinto ampiamente contro colui che non so se vuole farsi odiare in maniera consapevole,e che comunque ci riesce benissimo anche senza metterci qualcosa in più del suo modo di fare arrogante,presuntuoso e pretestuoso
Grazie Renzi... per aver sfasciato il PD!
Nella frenesia post-elettorale s’impone una premessa di metodo. Una riflessione
affliggente, ne conveniamo, per ripetere cose che sono la base di ragionamento
su cui si dovrebbe appoggiare ogni progetto politico che punti a un cambiamento
radicale dell’esistente.
Il voto non rappresenta uno spazio politico da riempire. Il voto è un’indicazione di tendenza. Un’indicazione tra le altre che ci aiutano a leggere le intenzioni di una grossa fetta della popolazione che ancora vede in questo strumento la fonte di un possibile cambiamento.
Un risultato inaspettato ha travolto Torino: dopo 23 anni la giunta della città operaia per eccellenza, antropologicamente di sinistra, laboratorio che ha provato a innestare il Partito della nazione sul vecchio apparato picista cambia oggi maggioranza.
Comincia, senz’altro una fase nuova, ricca di quelle ambivalenze che dovrebbero essere il pane di ogni compagno. Perché se la delega elettorale non è uno spazio politico che ci interessa, i termini con cui sempre ragioniamo dei cambiamenti che si danno su ogni livello del governo dei territori, sono quelli della possibilità che si aprono o si chiudono per il conflitto sociale.
Il voto non rappresenta uno spazio politico da riempire. Il voto è un’indicazione di tendenza. Un’indicazione tra le altre che ci aiutano a leggere le intenzioni di una grossa fetta della popolazione che ancora vede in questo strumento la fonte di un possibile cambiamento.
Un risultato inaspettato ha travolto Torino: dopo 23 anni la giunta della città operaia per eccellenza, antropologicamente di sinistra, laboratorio che ha provato a innestare il Partito della nazione sul vecchio apparato picista cambia oggi maggioranza.
Comincia, senz’altro una fase nuova, ricca di quelle ambivalenze che dovrebbero essere il pane di ogni compagno. Perché se la delega elettorale non è uno spazio politico che ci interessa, i termini con cui sempre ragioniamo dei cambiamenti che si danno su ogni livello del governo dei territori, sono quelli della possibilità che si aprono o si chiudono per il conflitto sociale.
Chiara Appendino si è
candidata con un programma che contiene tratti di riformismo molto avanzato
dalla casa alle politiche sociali. L'uscita dall'Osservatorio Torino-Lione – che
tutta la val Susa e un pezzo significativo di città ora si aspetta - sarà un
punto di conferma o smentita delle buone intenzioni pentastellate. Questo aprirà
nuove contraddizioni e attese crescenti che dobbiamo essere capaci di agire. Da
subito. Non certo facendo da pretoriani a dubbie convergenze tra istituzioni e
movimenti, non certo lasciando la nuova giunta “fare il suo lavoro”, ma facendo
avanzare le lotte sul terreno che la controparte ci lascia, inseguendo e
approfondendo le contraddizioni, praticando gli obiettivi agitati in campagna
elettorale per accumulare forza che oltrepassi le istituzioni.
Se lo stacco di Roma è
abissale, eguagliando i responsi partenopei per De Magistris, con un rapporto
netto di 2 a 1, il dato torinese è tanto più significativo perché questa città
rappresentava il fiore all'occhiello di un “buon governo” del territorio e delle
sue contraddizioni. Un coro di esperti sui media mainstream andava affermando
negli ultimi giorni che il “Sistema Torino” è stato ben gestito dal PD. Alla
luce del risultano elettorale ci viene spontaneo chiederci chi ne ha beneficiato
e chi no. Sicuramente si è avvantaggiata una élite politico-finanziaria raccolta
intorno a Intesa San Paolo, Unicredit, FCA e PD che ha distribuito le briciole
degli affari ai propri fedelissimi. Il Sistema Torino prevede tanti soldi
affidati a poche grandi imprese o per poche grandi opere. Con grandi profitti
poi ridistribuiti tra i soliti noti.
Segnali dell’insofferenza di
un tessuto produttivo e sociale che va disgregandosi e perdendo reddito si erano
già dati con innumerevoli proteste e lotte di molti settori sociali ma
soprattutto si era massificato con la protesta di tre giorni del movimento del 9
dicembre (“forconi”), non è quindi solo un problema di periferie ma di ceto
medio che è stato costretto a sobbarcarsi il costo della crisi. Tanto è vero che
anche altre realtà coinvolte da questo movimento hanno svoltato elettoralmente
verso l'M5S. Il risultato di Torino viene infatti doppiato dal responso di
Pinerolo, città satellite del capoluogo piemontese, alle bocche della val
Chisone, 35.000 abitanti, una città un tempo signorile, oggi, egualmente a
Torino, attraversata dagli effetti della crisi e della
de-industrializzazione.
La geografia del voto
ri-conferma tutti gli elementi già emersi al primo turno: il PD, a Roma come a
Torino, tiene solo nei quartieri “bene” della città, mentre nelle periferie i 5
Stelle spopolano (con tassi tra il 60 e il 70 % di adesione). Ha voglia Fassino
a dire che la Appendino vince grazie al voto della Destra, quando il suo partito
ha rappresentato in questi anni gli interessi delle banche, delle fondazioni,
dell'immobiliare e delle grandi opere, a dispetto di un impoverimento
generalizzato gestito con la privatizzazione del welfare e la Caritas.
Se i cori di “onestà, onestà”
che salutavano ieri il trionfo pentastellato ci fanno rabbrividire, nondimeno
abbiamo imparato a vedervi celato un segno di classe preciso, in cui oggi
(ahinoi) si riconoscono pezzi significativi dei ceti medi e delle classi
subalterne. Come andiamo segnalando da tempo, dietro il sentimento manettaro
contro la corruzione si esprime una tendenza ambigua in cui si trasfigura,
mistificato, l'odio per chi ha di più e vive sulle spalle degli altri (e c'è,
tra l'altro la possibilità rale che ora si scoperchino tresche affaristiche sia
a Torino che a Roma, con l’entrata dei cinque stelle nelle amministrazioni).
La realtà che viviamo è
quella di una maggioranza dei giovani totalmente esclusa e marginalizzata, che
non si riconosce in questo sistema; dove l'uso della repressione per prevenire i
conflitti sociali non cancella però una indisponibilità diffusa ad accettare il
sistema istituzionale proposto dal Partito della Nazione. Alla luce dei
risultati attuali, la retorica renziana su “innovazione e ottimismo” crolla
miseramente. Dopo i primi ruggenti mesi e l'acquisto della passività col bonus
di 80 euro, il frutto maturo della parentesi renziana si presenta come vettore
di accelerazione del processo di decomposizione del PD in quanto partito a base
popolare e territoriale. In meno di 24 mesi gli ultimi residui di appartenenza,
identità e difesa di interessi di chi sta in basso (quanto meno una mediazione e
gestione della loro erosione) sono venuti meno e il partito di sinistra ha
svelato quello che (da lungo tempo) era: una macchina-apparato di governo e
nulla più, totalmente sganciata dalle dinamiche sociali. Su questo, davvero,
grazie Renzi! Hai accelerato un processo... ora non ti resta altro che togliere
il disturbo!
Il referendum ad personam di
ottobre sarà l'occasione per chiudere la parentesi e siglare un NO di massa alle
misure di austerità e ultra-liberalismo imposte dall'Unione Europea. Oltre, e
già da subito, la palla deve tornare alle lotte e al protagonismo diretto,
approfittando del varco che si è aperto.
lunedì 20 giugno 2016
BALLOTTAGGIO CON SORPRESA
Oggi non si poteva non parlare dei risultati elettorali dei ballottaggi per le amministrative in molti comuni italiani con gli occhi puntati ovviamente su Roma,Milano,Torino e Napoli e in minor parte Bologna e Trieste.
Fatto sta che nella mia personale previsione ne ho azzeccate tre su quattro,risultati che tuttavia hanno interpretazioni differenti in base alle città:infatti i risultati più ovvi dati anche dalle percentuali della prima tornata elettorale di due settimane fa(il-primo-round-delle-amministrative-2016 )non davano molto spazio agli avversari della Raggi e di De Magistris a Roma e Napoli.
Mi ha impressionato invece il risultato di Torino dove l'ha spuntata la Appendino su un vecchio politico come Fassino,sperando finalmente che ci sia una svolta decisiva sull'inutile passante ferroviario della Tav.
Ho azzeccato anche Milano con Sala vincente di poco su Parisi ma anche invertendo i nominativi il risultato non è che differiva più di tanto purtroppo per i milanesi:nel capoluogo lombardo come soprattutto a Roma ci sono stati casi di accorpamenti ai candidati del Pd di persone appartenenti alla destra senza il "centro" davanti.
Per l'analisi sul Pd e Renzi se c'è tempo rimanderò a domani,anticipando che il partito democratico ha preso bastonate ovunque anche dov'è riuscito ad eleggere un proprio sindaco,in particolar modo ha perso elettorato che ha virato verso il Movimento 5 stelle che è l'unico partito ad essere uscito con risultati ancor più rosei delle aspettative della vigilia.
Significativo il dato sull'affluenza al voto in quanto il risultato è stato poco più del 50%.
Articolo di Contropiano:http://contropiano.org/news/politica-news/2016/06/20/ballottaggi-roma-napoli-capitali-del-cambiamento-torino-rompe-la-normalizzazione-080628 .
Ballottaggi.Roma e Napoli capitali del cambiamento.Torino rompe la normalizzazione.
di Redazione Contropiano
A Roma la candidata M5S Virginia Raggi ha stravinto nel ballottaggio della Capitale con una percentuale superiore al 65% secondo le rilevazioni su quasi la metà dei seggi. Roberto Giachetti (Pd), ha riconosciuto subito la sconfitta e ha chiamato la rivale per congratularsi con lei. Risultato analogo a Napoli dove Luigi De Magistris avrebbe per ora il 67% e quasi il doppio del candidato del centro-destra Lettieri. Le previsioni non solo elettorali, ma anche sulle potenzialità politiche di Roma e Napoli trovano conferma. Sorpresa a Torino dove la candidata M5S Chiara Appendino espugna una roccaforte storica del Pd (e del patto con la Fiat e Banca Intesa-San Paolo) vede ormai consolidato il risultato del 54% nei confronti del sindaco uscente del PD Fassino. Gli uomini di Renzi si salvano solo a Bologna con il 54% di Merola, mentre faticano a Milano dove Sala ha vinto per il rotto della cuffia (il 51%). Importante anche il risultato del tutto imprevisto a Latina, città storicamente di destra, dove ha prevalso la lista Latina Bene Comune.
Roma e Napoli, per le loro percentuali, si confermano le aree metropolitane dove è spirata con maggior forza la voglia di rottura e cambiamento. Ma il risultato di Torino, dopo quello di Livorno un anno fa, dimostra come nelle ex città industriali in declino cresce la spinta per mettersi di traverso ai comitati d’affari che hanno contribuito a impoverire le città e a devastarne le periferie.
Adesso occorre che le aspettative non vengano disattese ma riempite di contenuti e conflitto sociale per ribaltare le priorità e rimettere al primo posto le esigenze popolari.
Iscriviti a:
Post (Atom)