Questa sera(ma anche ieri mi hanno detto che si è fatta festa)ci sarà una serata dedicata alla lotta del popolo basco per l'indipendenza del proprio territorio e per la libertà dei prigionieri politici che gli stati spagnoli e francesi con l'aiuto anche di altri e del nostro tengono imprigionati con pene e condanne a dir poco vergognose ed ingiuste.
Ovviamente parlo di Brescia dove nel contesto della Festa di Radio Onda d'Urto presso la Fiaska ci si potrà divertire e informarsi sulla situazione di Euskal Herria e si può vedere il concerto degli Ska-P e fare molto altro.
Gora Euskal Herria Askatasuna!
È questo il prezzo che Bradley Manning dovrà pagare per aver diffuso il
video “Collateral Murder” e 750000 documenti riservati dell'esercito
statunitense. Ma la vittoria della Casa Bianca nella guerra ai leaks sembra più
lontana che mai. E l'immagine di Obama va in pezzi.
Sono le 10.18 a Fort Meade, Maryland, quando il martello del giudice
Denise Lind si abbatte sul destino di Bradley
Manning. Trentacinque anni. Tanti ne dovrà trascorrere, sepolto tra le
mura di una prigione, il confidente di Wikileaks, colpevole di aver consegnato
all'organizzazione di Julian Assange 250000 cablo diplomatici
ed oltre mezzo milione di dossier militari segreti che contenevano le prove
delle atrocità perpetrate dagli Stati Uniti in Iraq ed Afghanistan. Un verdetto
accolto in lacrime da David Coombs, avvocato di Manning, che
durante una conferenza stampa in serata dichiarerà come questa pena sia la più
pesante mai comminata ad un suo cliente: in passato a nessun altro dei suoi
assistiti, neanche a soldati macchiatisi dell'omicidio di civili inermi, era mai
stato inflitto un trattamento altrettanto duro. Si tratta in realtà
della pena più alta mai imposta negli Stati Uniti ad un informatore degli organi
di stampa.
Dal cuore dell'impero – Fort Meade è infatti il quartier generale dell'NSA –
la sentenza fa il giro della rete in un lampo. E provoca reazioni durissime.
Pochi minuti prima della sua lettura si scatena in rete un tweetstorm
veicolato dall'hastag #BecauseofBradleyManning che raccoglie
iniziative di solidarietà nei confronti del soldato statunitense: si propagherà
fino a tarda notte entrando nei trending topics globali. Amnesty
International si appella ad Obama perché la pena di Manning sia
commutata e venga fatta luce sui crimini da lui rivelati. Il Center for
Constitutional Rights, storica organizzazione sorta negli anni '60 per
la difesa dei diritti civili, si dichiara «indignata» per il ricorso
all'Espionage Act – una legge del 1917 considerata «arcaica e
screditata» – pur di raggiungere una condanna. L'ACLU
(American Civil Liberty Union) denuncia la sproporzione della sentenza rispetto
a quelle emesse contro chi si rende protagonista di crimini di guerra. Ad usare
i toni più duri però è Gleen Greenwald, giornalista del
Guardian, che dal suo account twitter scrive «Obama admin: we aggressively
prosecute those who expose war crimes, and diligently protect those who commit
them». Parole queste che rispecchiano un sentiment trasversalmente
diffuso in rete e che accomuna in modo unanime giornalisti, Anonymous,
organizzazioni per i diritti civili, attivisti e semplici cittadini.
A dispetto di tanto sdegno però, la durezza con cui la corte ha condannato
Manning era tutto fuorché inaspettata. Il procuratore militare Joe
Morrow l'aveva preannunciata chiaramente due giorni fa quando aveva
dichiarato che il tribunale era chiamato ad «inviare un messaggio a
qualunque altro soldato che riferisca in pubblico informazioni riservate. Se si
tradisce il proprio paese» aveva aggiunto «non ci si merita alcuna
pietà da parte della legge». Parole che racchiudono la cifra della sentenza
Manning: non solo una vendetta terribile impartita al soldatino
di Crescent (piccola cittadina dell'Okhlaoma da cui proviene l'ex analista
dell'intelligence) che con il suo gesto ha ridicolizzato il Leviatano, ne ha
mostrato gli scheletri nell'armadio e l'ha fatto apparire vulnerabile, a tratti
impotente, di fronte ad un pugno di hacker ed attivisti armati solo del loro
laptop. Proprio a loro infatti è rivolta questa sentenza: una punizione
esemplare, monito e minaccia per quanti volessero seguire le orme tracciate da
Manning sul sentiero del whistleblowing.
Secondo Kevin Gosztola, autorevole reporter ed autore del
libro Truth & Consequences: The US vs. Bradley Manning , il
verdetto di ieri ha segnato un altro punto a favore della Casa Bianca nella sua
«aggressiva guerra contro i leaks». Eppure nonostante l'accurata
strategia con cui questa guerra è stata predisposta – non ultima la martellante
campagna mediatica lanciata quest'inverno dall'amministrazione Obama sulla
cybersicurezza – essa non sembra essere stata in grado di centrare gli
obbiettivi designati. Al contrario, sostiene Wikileaks in un
comunicato diffuso in serata, «ha clamorosamente fallito, come gli ultimi
mesi» e l'affaire Snowden «hanno dimostrato».
Quel che è certo è che, specchiandosi nella sentenza emanata ieri,
l'America di Barack Obama non potrà che inorridire, guardando la
propria immagine, deforme e grottesca, ridotta ormai a una caricatura di se
stessa. Dell'America del change, dell'intenzione di mettere fine alla
barbarie di Guantanamo, della voglia di voltare pagina dopo gli 8 anni terribili
dell'era Bush, non rimangono che gli slogan sui manifesti elettorali sbiaditi.
Lo testimonia la dignità composta di un ragazzo di 25 anni condannato a
scontarne 35 per aver denunciato al mondo gli orrori di una guerra fatta per il
petrolio. Lo dimostrano i mille giorni da lui espiati in condizioni detentive
prossime alla tortura, in attesa di un processo iniquo, celebrato a porte chiuse
e avvolto dalla cortina del segreto militare.
L'America del 2008, attraversata dalla speranza, incalzata dai movimenti
sociali e dal risveglio della cosiddetta società civile, sembra oggi aver
lasciato il passo a quella dei droni e degli omicidi mirati, di Trayvon Martin e
di PRISM. Un paese che #BecauseofBradleyManning sta scoprendo che la libertà
d'espressione ed il primo emendamento contano meno delle ragioni del dollaro e
dei giganti della Silicon Valley. Che trasparenza non è sinonimo di open
governement ma di sorveglianza totale sui cittadini. Che il giornalismo
indipendente è un nemico da combattere con una guerra fatta a suon di
intimidazioni mafiose e iniziative neo maccartiste (vedi il caso Miranda).
Un paese che, leak dopo leak, sta scoprendo che la democrazia come
sistema politico ha fallito.
#FREEBRADLEYMANNING
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