L'articolo figlio di Infoaut e ripreso da Senza Soste parla soprattutto di quello che potrebbe realmente intressare l'ultima regione citata e lo spauracchio del ponte sullo stretto che se dovesse prendere piede la colossale opera toglierebbe una cifra talmente spropositata di denaro pubblico che potrebbe e dovrebbe essere meglio utilizzata mettendo in sicurezza le zone a rischio e progettando opere di prevenzione e di riassetto idrogeologico.
Per non parlare dei milioni di metri cubi di terra e di materiale di risulta che verrebbero tolti per la costruzione del ponte e che i volponi addetti ai lavori desidererebbero esser messi sulle già pericolanti zone dissestate limitrofe(oltre ai tre morti di settimana scorsa nel messinese ricordiamoci le 37 vittime di Giampilieri di soli due anni fà):questi tanto incensati lavori per il ponte sullo stretto interessano troppo gli affaristi locali infiltrati con la mafia,la 'ndrangheta e la politica piuttosto che un reale miglioramento della collettività.
Il grafico sottostante e preso da questo sito(http://www.apat.gov.it/site/it-IT/IdeAmbiente/Sezioni/Articoli/Documenti/06_2006_art_05.html?PageID=9017 )riporta la distribuzione geografica degli interventi finanziati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nel solo periodo 1999-2005:che l'Italia sia un paese quasi totalmente situato in zona sismica e con elevate possibilità di dissesti idrogeologici e soggetta a"calamità naturali"(oggi bastano solo un paio di giorni di pioggia torrenziale per mettere in gionocchio intere regioni)è un dato di fatto,così come la questione dell'uomo che col suo insensato costruire in posti che è meglio lasciar disabitati è parte attiva e integrante nel contribuire al moltiplicarsi nel corso degli anni di tali disastri.
Sull'alluvione nel messinese: altro che ponte sullo stretto!
A quasi due giorni dalla pioggia battente e dalla frana che ha colpito Barcellona Pozzo di Gotto e Saponara si può provare a trarre qualche considerazione. Tre morti, è il dato più in evidenza, e centinaia di case distrutte o rese impraticabili insieme a tutte le infrastrutture e le altre costruzioni della zona.
Ancora pioggia, ancora morti dunque: è questo il leit-motiv a cui ci si sta abituando. Eppure è ormai coscienza diffusa quanto queste morti non siano imputabili al caso o alla forza dirompente della natura. Eppure solo due anni fa a Giampilieri (a qualche decina di km dalle zone colpite ieri) una frana simile aveva provocato altri 37 morti portando alla luce della ribalta i danni e i pericoli causati dalla speculazione edilizia e dal dissesto idrogeologico che ne è conseguito negli anni, e l'anno scorso un'alluvione a San Fratello, che ha causato duemila sfollati, aveva confermato la necessità di interventi nella zona.
I comitati di cittadini locali hanno chiesto a gran voce in questi anni gli interventi in difesa del territorio e dell'ambiente in cui vivono, considerato anche il gran furto di denaro pubblico per la non-costruzione del ponte che li vede direttamente coinvolti, e non si sono lasciati abbindolare dai racconti sugli eventi imprevedibili e sulla loro incontrollabilità.
Non è assolutamente possibile pensare di potersi abituare a queste stragi, o di poterle classificare come calamità naturali: non era possibile farlo a Genova e a maggior ragione non è possibile farlo a Messina, un territorio che ha vissuto più volte in poco tempo catastrofi di questo calibro e ha già imparato a individuarne i responsabili. La speculazione edilizia a tutti i livelli: dai palazzinari alle amministrazioni che passano al vaglio piani regolatori e progetti di opere pubbliche criminali. E non si tratta solo di “piccole” opere (strade sui letti delle fiumare, scuole nei percorsi naturali dei corsi d'acqua, etc...) pensate e progettate per trarre profitto sulla pelle e la sicurezza di intere cittadine, ma di questi giorni è la notizia che anche la più grande delle opere della zona, il ponte sullo stretto, prevede delle procedure degne delle più diaboliche menti: milioni di metri cubi di terra di risulta degli scavi andrebbero infatti riversate su cime di montagne a rischio, proprio a monte di storici percorsi di scolo delle acque.
Il ponte, dunque, non è solo un'idrovora di risorse che potrebbero essere utilizzate per servizi molto più utili (nello specifico opere di prevenzione e di riassetto idrogeologico), non è soltanto l'affronto a una comunità con infrastrutture e trasporti pubblici quasi inesistenti e con servizi sociali scadenti, ma è insieme il simbolo di un furto di risorse pubbliche da parte di grandi aziende private e la massima espressione della mal gestione e della depredazione dei territori. E questo, a soli due giorni dalla tragedia che ha ucciso tre persone, e a due anni da quando i comitati dei paesi alluvionati hanno cominciato a chiedere l'utilizzo di quelle risorse per ricostruire i loro paesi e mettere in sicurezza tutta l'area fa ancora più rabbia.
tratto da www.infoaut.org
24 novembre 2011
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