Nell'articolo del Manifesto di Geraldina Colotti che intervista l'analista politico libanese Gilbert Achcar e che ho letto grazie a"Senza Soste"si parla della questione egiziana prima ancora degli ultimi gravi scontri avvenuti a Il Cairo,il tutto paragonando e confrontando la situazione che si sta profilando in Egitto con le recenti rivolte algerine,tunisine e yemenite.
Il mondo arabo soprattutto nel Nord Africa è in subbuglio stanco di regimi dittatoriali che hanno aumentato e di parecchio la già non rosea situazione politica,economica e sociale con la gente in protesta ed in rivolta perché non ha i soldi per poter sfamarsi,con un aumento generalizzato dei prezzi dei beni primari.
Da puntualizzare ciò che non vi è nell'articolo,ovvero ancora una volta l'inadeguatezza della politica estera italiana in primis con la figura del ministro Frattini che è vergognosa per il nostro paese,pronto a difendere a spada tratta tutti gli amichetti dittatori del papi Berluscojoni.
Tornando all'Egitto si attendono sviluppi nelle prossime ora sul presidente Mubarak,su quello che deciderà,se andare avanti con la repressione nel sangue delle proteste o se prenda il suo tesoretto e bagagli in mano vada a fare la fine di Ben Ali e non è detto nemmeno che l'esercito possa destituirlo:i dimostranti feriti,ammazzati e arrestati(arresti preventivi molto facili visto che lo stato d'emergenza nel paese è in vigore dalla morte di Sadat,ovvero da trent'anni)stanno crescendo sempre più di numero,e mentre il resto del mondo sta a guardare si sta consumando l'ennesima tragedia.
Un'onda dal basso scuote l'Egitto.
Dalla Tunisia all'Egitto, Geraldina Colotti intervista Gilbert Achcar sulle rivolte esplose nel mondo arabo e in particolare sull'opposizone a Mubarak
Intervista a Gilbert Achcar
"Il regime di Mubarak ha fatto l'errore di credere che chiudendo la valvola di sicurezza potesse controllare la marmitta, e così ha provocato un'esplosione", dice al manifesto l'analista politico libanese Gilbert Achcar con cui abbiamo discusso dei fermenti politici nel mondo arabo.
Proteste di piazza, scontri. L'Egitto come la Tunisia?
In Tunisia il movimento ha preso forma in modo spontaneo, la protesta si è estesa a macchia d'olio dopo il suicidio del giovane ambulante di Sidi Bouzid. In Egitto, la situazione è diversa. Le manifestazioni sono state organizzate da un'opposizione politica che sta conducendo una campagna forte contro il regime e quella che viene chiamata "la trasmissione ereditaria del potere": ovvero l'intenzione, di Mubarak di passare al figlio la direzione del paese. Le elezioni del novembre-dicembre scorso hanno spinto la farsa un po' più oltre, mostrando un contrasto stridente rispetto a quelle - comunque taroccate - del 2005. Allora, Bush faceva pressione sugli alleati arabi affinché adottassero una parvenza di democrazia. Il regime egiziano permise alla principale forza di opposizione, i Fratelli musulmani, di fare eleggere 88 deputati. Elezioni davvero libere avrebbero consentito agli islamisti di mostrare una forza elettorale ben più grande, magari vincerle come in Algeria nei primi anni '90. Ma quell'apertura controllata mostrò comunque agli Usa, come voleva Mubarak, che l'alternativa era tra lui o i Fratelli musulmani. Washington si convinse che stava giocando col fuoco e che era meglio tornasse alla solita politica: meglio regimi autoritari alleati a situazioni incontrollabili. Mubarak ha organizzato le elezioni come prima del 2005: completamente truccate. I Fratelli musulmani sono passati da 88 deputati a uno solo. Inoltre, a partire da 2006-2009 l'Egitto ha conosciuto la più grande ondata di scioperi operai della sua recente storia. Una considerevole ondata iniziata nel 2006 che non è completamente morta e ha lasciato una forte tensione sociale nel paese. Mubarak ha fatto l'errore di credere che chiudendo la valvola di sicurezza potesse controllare la marmitta, e ha fatto esplodere le cose. A questo si aggiunge l'esempio tunisino che ha spinto la popolazione ad agire. Il regime è incerto: ha paura che finisca come in Tunisia e non vuole perdere il controllo.
Com'è composta l'opposizione?
In primo luogo dai Fratelli musulmani. Ci sono poi forze d'opposizione liberali che hanno come figura centrale l'ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia Mohammed El Baradey. Mubarak non gli ha permesso di lanciarsi nella competizione elettorale perché questo avrebbe voluto dire modificare le regole elettorali che ora consentono al regime di controllare completamente chi può presentarsi alla presidenza. Fra i suoi sostenitori, El Baradey ha anche molti nazionalisti di sinistra che vedono in lui l'alternativa non religiosa più credibile. Alle elezioni presidenziali avrebbe buone possibilità, perché è molto noto.C'è anche un'estrema sinistra, che va dai comunisti a un'ala più radicale, ai resti del nasserismo, ma ha poco peso. C'è poi una nuova sinistra che è comparsa questi ultimi anni in rapporto alle lotte in corso ma che resta a livello embrionale. Per la prima volta nella storia post nasseriana si è anche avuta l'apparizione di sindacati indipendenti. I movimenti sociali, però, non hanno ancora trovato un'espressione politica forte. Se si creasse un punto di congiunzione fra la protesta sociale e una vera opposizione politica, si potrebbe determinare un cambiamento alla tunisina, ma per il momento le cose non sembrano a questo punto.
Chi sostiene Mubarak?
Fin dal colpo di stato del 1952, è l'esercito il vero centro del potere in Egitto, anche Mubarak viene dall'esercito. Non così il figlio, che anche per questo non è credibile. Per ora l'esercito si mantiene prudente, ma se la protesta popolare dovesse aumentare, potrebbe abbandonare Mubarak. O comunque indurlo a lasciar perdere "la trasmissione ereditaria". Dall'Egitto allo Yemen, dalla Tunisia alla Giordania e all'Algeria sale dal basso un'onda di protesta che riapre comunque una speranza.
tratto da Il Manifesto del 27 gennaio 2011
domenica 30 gennaio 2011
venerdì 28 gennaio 2011
L'ULTIMO GIORNO NELLA TUA MENTE
Dopo la mia condanna la pena dello scioglimento del cuore si sta frenando,
con lo stesso dolore del primo attimo,
con l’uguale tristezza di ogni mio sentimento.
Come spesso accade
la primavera si fa attendere
anticipata da neve già esausta
e di vento che pungola la mia circolazione rimasta assopita.
Lentamente si allunga di luce il giorno che termina,
col tepore dei raggi appena nati ed insicuri
che s’incoraggiano al passare delle lune,
mentre le viole colorano e profumano
il lato della collina onorata della lucentezza del sole.
I brividi si fanno meno intensi
anche se i ricordi rimangono vividi
e pregni di memoria tattile,
e il mio senno si mantiene angosciato
perché stasera ti perderò per sempre.
con lo stesso dolore del primo attimo,
con l’uguale tristezza di ogni mio sentimento.
Come spesso accade
la primavera si fa attendere
anticipata da neve già esausta
e di vento che pungola la mia circolazione rimasta assopita.
Lentamente si allunga di luce il giorno che termina,
col tepore dei raggi appena nati ed insicuri
che s’incoraggiano al passare delle lune,
mentre le viole colorano e profumano
il lato della collina onorata della lucentezza del sole.
I brividi si fanno meno intensi
anche se i ricordi rimangono vividi
e pregni di memoria tattile,
e il mio senno si mantiene angosciato
perché stasera ti perderò per sempre.
giovedì 27 gennaio 2011
SE QUESTO E' UN UOMO
Primo Levi
Se questo è un uomo.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Mi sono accorto che questa è stata la seconda poesia"analizzata"di tutto il blog,e la première l'aveva avuta un altro scritto superbo che era"Lapide ad ignominia"di Pietro Calamandrei(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/01/lapide-ad-ignominia.html) quasi esattamente due anni fa:due testi che narrano seppur in maniera diversa quello che è accaduto durante(e nella Germania nazista e nell'Italia fascista pure prima)la seconda guerra mondiale.
Ci sono pure similitudini e dei moniti imprescindibili che riguardano il tema della memoria,di cui oggi ricorre la giornata mondiale per quanto riguarda l'Olocausto,e forse inconsapevolmente oppure consciamente guidato appunto dalla memoria sono tornato a vedere ciò che avevo scritto nei due precedenti anniversari da quando è nato questo blog.
Il contributo dello scorso anno era decisamente più politico(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2010/01/non-dimentichiamoci-nemmeno-dellarmata.html) in quanto avevo parlato della liberazione del campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa,e quest'anno forse indirizzato ieri sera dalla lezione del maestro Marco Paolini con lo spettacolo teatrale"Ausmerzen"(non sempre la televisione offre merda)ho voluto ricordare con questa che è tra le più famose poesie sullo sterminio che è avvenuto da parte dei nazisti(non dimenticandoci che pure l'Italia fece la sua sporca parte)che è appunto"Se questo è un uomo"che in realtà è un incipit al racconto omonimo che Primo Levi pubblicò nel 1947 in cui descrisse ciò che ebbe passato in prima persona in quegli anni bui della storia dell'umanità,forse tra i più oscuri da quando l'uomo è comparso sulla faccia della terra.
La poesia è un monito,in certi casi può sembrare pure una minaccia ed è giusto che sia così,un avvertimento ed una esortazione che viene dal cuore di non dimenticare tutto ciò che delle menti malate hanno contribuito a creare grazie pure all'omertà di un popolo intero e dal solo fatto che chi seppur venuto a conoscenza di quello che gli accadeva attorno non ha mosso un dito per impedire la tragicità di quegli eventi.
La descrizione pacata e serena di chi non ha vissuto l'orrore dell'Olocausto si contrappone subito alla cosciente e lucida disperazione quotidiana di chi è stato schiavizzato e destinato a finire nei forni crematori una volta finita la loro utilità,l'osceno solo pensare di eliminare degli essere umani perché un peso per la società in base a malattie psichiche o handicap fisici,lo sterminare delle persone per il loro credo politico e religioso,l'annientamento di milioni di corpi partendo dal presupposto dalla distruzione dell'anima.
E la stupenda fine in cui la memoria di ciò che è accaduto faccia in modo che l'abominio nazifascista non possa riaccadere mai più,con una maledizione quasi biblica per chi non ottemperasse a tale comandamento.
Se questo è un uomo.
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Mi sono accorto che questa è stata la seconda poesia"analizzata"di tutto il blog,e la première l'aveva avuta un altro scritto superbo che era"Lapide ad ignominia"di Pietro Calamandrei(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/01/lapide-ad-ignominia.html) quasi esattamente due anni fa:due testi che narrano seppur in maniera diversa quello che è accaduto durante(e nella Germania nazista e nell'Italia fascista pure prima)la seconda guerra mondiale.
Ci sono pure similitudini e dei moniti imprescindibili che riguardano il tema della memoria,di cui oggi ricorre la giornata mondiale per quanto riguarda l'Olocausto,e forse inconsapevolmente oppure consciamente guidato appunto dalla memoria sono tornato a vedere ciò che avevo scritto nei due precedenti anniversari da quando è nato questo blog.
Il contributo dello scorso anno era decisamente più politico(http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2010/01/non-dimentichiamoci-nemmeno-dellarmata.html) in quanto avevo parlato della liberazione del campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa,e quest'anno forse indirizzato ieri sera dalla lezione del maestro Marco Paolini con lo spettacolo teatrale"Ausmerzen"(non sempre la televisione offre merda)ho voluto ricordare con questa che è tra le più famose poesie sullo sterminio che è avvenuto da parte dei nazisti(non dimenticandoci che pure l'Italia fece la sua sporca parte)che è appunto"Se questo è un uomo"che in realtà è un incipit al racconto omonimo che Primo Levi pubblicò nel 1947 in cui descrisse ciò che ebbe passato in prima persona in quegli anni bui della storia dell'umanità,forse tra i più oscuri da quando l'uomo è comparso sulla faccia della terra.
La poesia è un monito,in certi casi può sembrare pure una minaccia ed è giusto che sia così,un avvertimento ed una esortazione che viene dal cuore di non dimenticare tutto ciò che delle menti malate hanno contribuito a creare grazie pure all'omertà di un popolo intero e dal solo fatto che chi seppur venuto a conoscenza di quello che gli accadeva attorno non ha mosso un dito per impedire la tragicità di quegli eventi.
La descrizione pacata e serena di chi non ha vissuto l'orrore dell'Olocausto si contrappone subito alla cosciente e lucida disperazione quotidiana di chi è stato schiavizzato e destinato a finire nei forni crematori una volta finita la loro utilità,l'osceno solo pensare di eliminare degli essere umani perché un peso per la società in base a malattie psichiche o handicap fisici,lo sterminare delle persone per il loro credo politico e religioso,l'annientamento di milioni di corpi partendo dal presupposto dalla distruzione dell'anima.
E la stupenda fine in cui la memoria di ciò che è accaduto faccia in modo che l'abominio nazifascista non possa riaccadere mai più,con una maledizione quasi biblica per chi non ottemperasse a tale comandamento.
mercoledì 26 gennaio 2011
CHI SBAGLIA PAGA?
Tratto da Repubblica questo articolo postato su Indymedia Lombardia che traccia una nuova pagina vergognosa sui fatti del G8 tenutosi a Genova quasi dieci anni fà,e dopo le condanne seppur leggere e che non hanno colpito i veri mandanti dei massacri(compresi i ministri di allora Scajola e Fine e che comunque ci sono state),i risarcimenti economici alle centinaia di manifestanti massacrati di botte saranno pagati dalla collettività di tutti gli italiani!
Si parla di una modifica ad una legge,uno degli emendamenti che tanto hanno fatto scandalo perché nascosti in proposte legislative di questo ultimo regime al potere(e che era al comando pure nel 2001)nella quale i circa 10 milioni di Euro stabiliti come rimborso alle parti lese non li debbano pagare gli sbirri merdosi protagonisti delle mattanze ma lo stesso Stato in culo a tutti i principi di colpevolezza!.
Quindi queste merde in divisa non verseranno nemmeno un cazzo di centesimo per danni provocati direttamente da loro,al contrario della stragrande maggioranza di chi sbaglia e che paga in Italia,vergognatevi tutti legislatori,magistrati e sbirri di merda!
La denuncia del pm di Genova: "G8, i poliziotti violenti salvati da una leggina".
Il procuratore Zucca: "Lo Stato impedisce che vengano pagati i danni". "Non saranno più chiamati a risarcire le vittime degli abusi".
GENOVA - Una "leggina", anzi la postilla di una leggina, per salvare dalla bancarotta dei risarcimenti milionari i poliziotti condannati per il G8 di Genova del 2001. I 26, tra funzionari e agenti condannati per l'irruzione alla scuola Diaz del luglio 2001, e i loro 44 colleghi responsabili degli abusi nel carcere di Bolzaneto. "Lo Stato per le vicende del G8 ha pervicacemente negato il diritto al risarcimento delle vittime impugnando, ad esempio, tutte le sentenze civili, e questa legge ne è la riprova". Il procuratore generale Enrico Zucca, pm storico assieme al collega Francesco Albini Cardona del processo Diaz, bolla così la notizia.
"Misure urgenti in materia di sicurezza", così era stato presentato il decreto il 12 novembre. Ma quando diventa legge il 17 dicembre compare un articolo "2 bis" per la costituzione di un "fondo di solidarietà civile" per vittime di "manifestazioni sportive" ma anche, genericamente, "di manifestazioni di diversa natura". E poi ecco una serie di passaggi che, secondo il settimanale "Famiglia Cristiana", il primo ad accorgersene, hanno una sola spiegazione: salvare i big della polizia italiana. Perché è vero che le sentenze di condanna di secondo grado attendono ancora il passaggio in Cassazione, ma appare scontato che il riconoscimento delle lesioni subite non verrà cancellato, anche se dovessero essere assolti nomi di primo piano come quello di Francesco Gratteri o Gianni Luperi, capi dell'antiterrorismo e dell'intelligence. E allora lo Stato dovrà pagare. Anzi, le provvisionali per la Diaz (in media 20 mila euro a testa per cento giovani massacrati di botte) sono già state saldate ma restano inevase quelle di Bolzaneto e poi le spese legali e infine l'incognita delle cause civili. In tutto, si stima, circa 10 milioni di euro. Per i condannati vorrebbe dire prelievo forzoso di un quinto dello stipendio e addio liquidazione.
La legge 187 del 12 novembre prevede, intanto la creazione di una cassa alimentata dal "fondo unico di giustizia" e poi dal ricavato di sanzioni amministrative, e ancora da eventuali donazioni e lasciti. I soldi serviranno in misura del 70% per transazioni, spese e comunque per intervenire laddove le provvidenze dello Stato non siano previste. Ma, soprattutto, ciò che sorprende è una frase a suo modo rivoluzionaria: "Modalità relative all'esercizio di rivalsa o all'eventuale rinuncia ad esso". Traduzione: fino ad oggi lo Stato pagava e poi si rivaleva sul condannato. Oggi una speciale commissione presieduta da un Prefetto e tutta interna al Viminale potrebbe decidere che no, non si chiederanno a Gratteri, Luperi, Canterini, Fournier e altri altissimi dirigenti la restituzione dei risarcimenti da loro originati. Il costo delle loro colpe sarà offerto dalle tasche dei cittadini italiani.
"Eppure lo Stato quando ha voluto risarcire lo ha fatto - aggiunge Zucca -. Penso al caso Aldovrandi di Ferrara (Federico, il giovane ammazzato di botte dagli agenti di una volante, ndr) quando, ancora prima della sentenza definitiva, c'è stato il pagamento di due milioni di euro alla famiglia. Ma per la Diaz e il G8 sia con governi Berlusconi o Prodi la scelta è sempre stata quella di impugnare i risarcimenti".
Si parla di una modifica ad una legge,uno degli emendamenti che tanto hanno fatto scandalo perché nascosti in proposte legislative di questo ultimo regime al potere(e che era al comando pure nel 2001)nella quale i circa 10 milioni di Euro stabiliti come rimborso alle parti lese non li debbano pagare gli sbirri merdosi protagonisti delle mattanze ma lo stesso Stato in culo a tutti i principi di colpevolezza!.
Quindi queste merde in divisa non verseranno nemmeno un cazzo di centesimo per danni provocati direttamente da loro,al contrario della stragrande maggioranza di chi sbaglia e che paga in Italia,vergognatevi tutti legislatori,magistrati e sbirri di merda!
La denuncia del pm di Genova: "G8, i poliziotti violenti salvati da una leggina".
Il procuratore Zucca: "Lo Stato impedisce che vengano pagati i danni". "Non saranno più chiamati a risarcire le vittime degli abusi".
GENOVA - Una "leggina", anzi la postilla di una leggina, per salvare dalla bancarotta dei risarcimenti milionari i poliziotti condannati per il G8 di Genova del 2001. I 26, tra funzionari e agenti condannati per l'irruzione alla scuola Diaz del luglio 2001, e i loro 44 colleghi responsabili degli abusi nel carcere di Bolzaneto. "Lo Stato per le vicende del G8 ha pervicacemente negato il diritto al risarcimento delle vittime impugnando, ad esempio, tutte le sentenze civili, e questa legge ne è la riprova". Il procuratore generale Enrico Zucca, pm storico assieme al collega Francesco Albini Cardona del processo Diaz, bolla così la notizia.
"Misure urgenti in materia di sicurezza", così era stato presentato il decreto il 12 novembre. Ma quando diventa legge il 17 dicembre compare un articolo "2 bis" per la costituzione di un "fondo di solidarietà civile" per vittime di "manifestazioni sportive" ma anche, genericamente, "di manifestazioni di diversa natura". E poi ecco una serie di passaggi che, secondo il settimanale "Famiglia Cristiana", il primo ad accorgersene, hanno una sola spiegazione: salvare i big della polizia italiana. Perché è vero che le sentenze di condanna di secondo grado attendono ancora il passaggio in Cassazione, ma appare scontato che il riconoscimento delle lesioni subite non verrà cancellato, anche se dovessero essere assolti nomi di primo piano come quello di Francesco Gratteri o Gianni Luperi, capi dell'antiterrorismo e dell'intelligence. E allora lo Stato dovrà pagare. Anzi, le provvisionali per la Diaz (in media 20 mila euro a testa per cento giovani massacrati di botte) sono già state saldate ma restano inevase quelle di Bolzaneto e poi le spese legali e infine l'incognita delle cause civili. In tutto, si stima, circa 10 milioni di euro. Per i condannati vorrebbe dire prelievo forzoso di un quinto dello stipendio e addio liquidazione.
La legge 187 del 12 novembre prevede, intanto la creazione di una cassa alimentata dal "fondo unico di giustizia" e poi dal ricavato di sanzioni amministrative, e ancora da eventuali donazioni e lasciti. I soldi serviranno in misura del 70% per transazioni, spese e comunque per intervenire laddove le provvidenze dello Stato non siano previste. Ma, soprattutto, ciò che sorprende è una frase a suo modo rivoluzionaria: "Modalità relative all'esercizio di rivalsa o all'eventuale rinuncia ad esso". Traduzione: fino ad oggi lo Stato pagava e poi si rivaleva sul condannato. Oggi una speciale commissione presieduta da un Prefetto e tutta interna al Viminale potrebbe decidere che no, non si chiederanno a Gratteri, Luperi, Canterini, Fournier e altri altissimi dirigenti la restituzione dei risarcimenti da loro originati. Il costo delle loro colpe sarà offerto dalle tasche dei cittadini italiani.
"Eppure lo Stato quando ha voluto risarcire lo ha fatto - aggiunge Zucca -. Penso al caso Aldovrandi di Ferrara (Federico, il giovane ammazzato di botte dagli agenti di una volante, ndr) quando, ancora prima della sentenza definitiva, c'è stato il pagamento di due milioni di euro alla famiglia. Ma per la Diaz e il G8 sia con governi Berlusconi o Prodi la scelta è sempre stata quella di impugnare i risarcimenti".
martedì 25 gennaio 2011
DOVE STA LA NOVITA?
Qualcosina sull'ennesima bocciatura dell'Italia per quanto riguarda la difesa dei diritti umani lo si è sentito pure ai notiziari televisivi,e l'indagine che annualmente viene redatta e divulgata da Hrw(Human Rights Watch)prontamente e giustamente fa discutere circa il comportamento che il regime italiano sta attuando contro gli ultimi,i più indifesi ed i più soggetti ad entrare nel giro dell'illegalità(gestita da italianissima gente),ovvero gli immigrati clandestini e gli stranieri che risiedono nel nostro paese.
Ho preso questo articolo scritto da Marco Pasqua grazie ad Indymedia Lombardia,dove a piè pagina ho trovato pure dei commenti razzisti in quanto si scambia nuovamente l'antisionismo con l'antisemitismo(spero siano i soliti infiltrati nazzi e non qualcuno di quei rari compagni che vivono con la radiolina della paranoia sempre accesa nel cervello)in quanto accusano Hrw di non guardare troppo in casa loro,etichettati pure come giudei.
E'vero che l'articolo presentato parla solo di Italia e della pochezza generale della politica estera della comunità europea,ma il documento intero consta di ben 649 pagine e qualcosina contro quello che succede soprattutto alle frontiere Usa e quel che è accaduto con le navi che portavano aiuti umanitari in Palestina ci sia!
IL RAPPORTO
"Xenofobia, discriminazioni, respingimenti"
L'Italia bocciata da Human Rights Watch
Nella relazione annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo l'agenzia americana punta il dito contro l'immobilità delle organizzazioni internazionali di fronte a gravi crisi e violazioni dei diritti umani. Nel nostro Paese spiccano i casi di Rosarno, dei profughi africani rimandati in Libia e degli sfratti forzati di rom
di MARCO PASQUA
Il direttore di Hrw, Kenneth Roth, presenta il rapporto 2011
ROMA - Razzismo e xenofobia sono ancora un "problema pressante" per l'Italia, un Paese nel quale il dibattito politico, troppo spesso, è segnato da toni accesi ed ostili. A scriverlo è Human Rights Watch (Hrw), l'organizzazione con sede a New York che, ogni anno, stila un rapporto sulle pratiche dei diritti umani a livello mondiale, e che sintetizza i problemi principali in più di 90 Paesi. Il documento (scaricabile a questo indirizzo 1) chiama anche in causa le politiche di molti Stati - inclusi alcuni dell'Unione Europea - che accettano "i sotterfugi di governi repressivi, sostituendo a pressioni per il rispetto dei diritti umani approcci più morbidi quali dialogo privato e cooperazione". I Paesi che dovrebbero essere i paladini dei diritti umani "hanno fallito", accusa l'organizzazione che ha sede a New York.
Da Rosarno ai rom. Nel rapporto di 649 pagine, giunto quest'anno alla 21esima edizione, si dedica un capitolo all'Italia e si ricordano i vari casi di violenze scaturite dal razzismo e dalla xenofobia. Un lungo elenco, nel quale figurano anche le condanne e i richiami, spesso non seguiti da azioni correttive, da parte degli organismi internazionali. Si nota anche l'assenza di leggi specifiche che proteggano le persone discriminate sulla base del loro orientamento sessuale. La disamina parte dalla vicenda di Rosarno che, a gennaio, ha determinato il ferimento grave di 11 lavoratori migranti africani, nel corso della violenta guerriglia le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. "Almeno altri 10 migranti, 10 agenti delle forze dell'ordine e 14 residenti hanno dovuto fare ricorso alle cure mediche - ricorda il rapporto - Più di mille migranti hanno lasciato la città in seguito alle violenze".
L'organizzazione ricorda come, a febbraio, molti Paesi abbiano espresso la loro preoccupazione relativamente alla violenza xenofoba italiana, nel corso del Consiglio per i diritti umani presso le Nazioni Uniti. E' ancora "alto" il livello di discriminazione patito da rom e sinti, che vive in condizioni di povertà estrema, in condizioni di vita "deprecabili", all'interno di campi autorizzati e abusivi. Secondo l'ong, i rom provenienti dall'Europa dell'Est, soprattutto dalla Romania, hanno dovuto far fronte a "sfratti forzati" e ad "incentivi economici" per tornare nei loro Paesi d'origine. E, anche in questo caso, si ricorda il richiamo della comunità internazionale: a ottobre, il comitato europeo dei diritti sociali "ha condannato l'Italia per le discriminazioni nei confronti dei rom, a livello abitativo, ma anche per quanto riguarda l'accesso all'assistenza sociale, economica e legale".
I respingimenti. "Numerosi" gli interventi della Corte europea dei diritti dell'Uomo (ECtHR) e del consiglio d'Europa contro il trasferimento di sospettati di terrorismo in Tunisia, come Mohamed Mannai (membro di un gruppo jihadista, condannato dal tribunale di Milano). Trasferimenti avvenuti nonostante questi prigionieri rischiassero di subire dei maltrattamenti nel loro Paese d'origine. L'Italia, inoltre, "non ha offerto asilo a una dozzina di eritrei, che aveva respinto verso la Libia nel 2009, e dove sono stati vittime di maltrattamenti e detenzioni illegittime insieme ad altre centinaia di connazionali". Ad aprile, il nostro Paese ha "violato il divieto di respingimento" quando ha intercettato un'imbarcazione carica di migranti, e l'ha rispedita in Libia, "senza verificare se ci fossero persone bisognose di protezione internazionale" e senza dar loro la possibilità di chiedere asilo. Infine, viene menzionato il processo ai poliziotti responsabili delle violenze commesse nel corso del G8 di Genova: a fronte "della condanna di 25 agenti su 29", il ministero dell'Interno "ha comunicato di non volerli sospendere".
Il silenzio della Ue. Il documento presenta anche un atto d'accusa contro le deboli diplomazie di Onu e Unione europea che, troppo spesso, non fanno seguire alle parole i fatti, per costringere i regimi repressivi a rispettare i diritti umani. "Anziché opporsi con fermezza ai leader violenti, molti governi, tra cui alcuni Paesi membri dell'Unione europea - spiega una nota di Hrw - adottano politiche che non generano pressioni volte a un cambiamento. La Ue, anche nei confronti di chi viola i diritti umani, sembra essere orientata a sposare l'ideologia del dialogo e della cooperazione". Tra gli esempi citati, quelli di Uzbekistan e Turkmenistan: in questo caso, l'Unione non è riuscita a esercitare sufficienti pressioni sui loro governi per favorire cambiamenti. "Sebbene gli accordi di cooperazione della Ue con altri paesi siano condizionati sistematicamente sul rispetto di fondo dei diritti umani, (l'Unione) ha concluso un significativo accordo di scambio col Turkmenistan, un governo fortemente repressivo", dice Hrw. Altri esempi di scarso impegno, in tal senso: l'approccio verso il presidente ruandese Paul Kagame e il primo ministro etiope Meles Zenawi, ma anche verso una Cina in cui le libertà basilari dell'uomo vengono messe continuamente a repentaglio. Al tempo stesso, la Ue viene invitata a fare di più per difendere i diritti degli immigrati clandestini, per offrire migliori condizioni di asilo politico e essere più attenta ai diritti umani quando si introducono strumenti di lotta al terrorismo. C'è anche un richiamo agli stessi Paesi membri della Ue a non adottare la politica del doppiopesismo: "La credibilità dell'Unione europea come una forza che si batte per i diritti umani nel mondo, dipende anche dalla sua volontà di affrontare le violazioni commesse dai suoi stati membri. Con esempi di discriminazioni e una crescente intolleranza verso i migranti, i musulmani, i rom e altri, ma anche un accesso inadeguato al diritto d'asilo, gli stati membri e le istituzioni europee devono dimostrare un maggior impegno nel far sì che il rispetto per i diritti umani all'interno dei loro confini sia in sintonia con le posizioni europee all'estero". "Le pressioni europee ci sono state - concede Hrw - ma solo verso quei governi nei quali il comportamento è stato talmente scandaloso, da far passare in secondo piano gli interessi in gioco: è stato così con la Corea del Nord, l'Iran e lo Zimbabwe". Un problema che riguarda anche l'Onu, che sbaglierebbe ad "affidarsi ai canali diplomatici e non alla condanna pubblica per convincere i regimi repressivi, come quello cinese, a porre fine alle violazioni dei diritti umani". Secondo l'organizzazione, l'errore fondamentale del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e di molti altri Paesi della comunità internazionale è quello di promuovere ''il dialogo e la cooperazione'' preferendolo alle pressioni pubbliche nei confronti di quegli Stati che violano i diritti dell'uomo.
Focus su Egitto, Iran, Tunisia. Sul fronte delle violazioni più gravi dei diritti umani, il rapporto, che accusa l'Egitto di "diffuse discriminazioni" contro i cristiani copti e le altre minoranze religiose, continua ad occuparsi della situazione in Iran, dove "la tutela dei diritti umani è peggiorata e il regime ha utilizzato la tortura e l'intimidazione per reprimere l'opposizione e le critiche e per consolidare il suo potere. Continuano senza sosta le restrizioni sulla libertà d'espressione e associazione, le libertà religiose e le discriminazioni sessuali. Durante gli interrogatori della polizia è stata usata la tortura per ottenere delle confessioni. Centinaia di persone, tra cui avvocati, giornalisti, attivisti e leader dell'opposizione restano in carcere senza un capo d'accusa". La "rivoluzione del gelsomino" in Tunisia, che ha portato alla caduta del regime di Ben Ali, secondo l'Hrw ha dato una "lezione" all'Unione europea e agli Stati Uniti sui rapporti con i dittatori: "L'Unione europea non si è resa conto dell'arrivo di questa rivoluzione. Penso - ha detto Kenneth Roth, direttore generale dell'organizzazione - che l'Ue, gli Stati Uniti e gli altri abbiano capito la lezione E' un errore schierarsi in un certo qual modo al fianco di un dittatore anche se visto come bastione contro il terrorismo o l'immigrazione illegale".
Ho preso questo articolo scritto da Marco Pasqua grazie ad Indymedia Lombardia,dove a piè pagina ho trovato pure dei commenti razzisti in quanto si scambia nuovamente l'antisionismo con l'antisemitismo(spero siano i soliti infiltrati nazzi e non qualcuno di quei rari compagni che vivono con la radiolina della paranoia sempre accesa nel cervello)in quanto accusano Hrw di non guardare troppo in casa loro,etichettati pure come giudei.
E'vero che l'articolo presentato parla solo di Italia e della pochezza generale della politica estera della comunità europea,ma il documento intero consta di ben 649 pagine e qualcosina contro quello che succede soprattutto alle frontiere Usa e quel che è accaduto con le navi che portavano aiuti umanitari in Palestina ci sia!
IL RAPPORTO
"Xenofobia, discriminazioni, respingimenti"
L'Italia bocciata da Human Rights Watch
Nella relazione annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo l'agenzia americana punta il dito contro l'immobilità delle organizzazioni internazionali di fronte a gravi crisi e violazioni dei diritti umani. Nel nostro Paese spiccano i casi di Rosarno, dei profughi africani rimandati in Libia e degli sfratti forzati di rom
di MARCO PASQUA
Il direttore di Hrw, Kenneth Roth, presenta il rapporto 2011
ROMA - Razzismo e xenofobia sono ancora un "problema pressante" per l'Italia, un Paese nel quale il dibattito politico, troppo spesso, è segnato da toni accesi ed ostili. A scriverlo è Human Rights Watch (Hrw), l'organizzazione con sede a New York che, ogni anno, stila un rapporto sulle pratiche dei diritti umani a livello mondiale, e che sintetizza i problemi principali in più di 90 Paesi. Il documento (scaricabile a questo indirizzo 1) chiama anche in causa le politiche di molti Stati - inclusi alcuni dell'Unione Europea - che accettano "i sotterfugi di governi repressivi, sostituendo a pressioni per il rispetto dei diritti umani approcci più morbidi quali dialogo privato e cooperazione". I Paesi che dovrebbero essere i paladini dei diritti umani "hanno fallito", accusa l'organizzazione che ha sede a New York.
Da Rosarno ai rom. Nel rapporto di 649 pagine, giunto quest'anno alla 21esima edizione, si dedica un capitolo all'Italia e si ricordano i vari casi di violenze scaturite dal razzismo e dalla xenofobia. Un lungo elenco, nel quale figurano anche le condanne e i richiami, spesso non seguiti da azioni correttive, da parte degli organismi internazionali. Si nota anche l'assenza di leggi specifiche che proteggano le persone discriminate sulla base del loro orientamento sessuale. La disamina parte dalla vicenda di Rosarno che, a gennaio, ha determinato il ferimento grave di 11 lavoratori migranti africani, nel corso della violenta guerriglia le cui immagini hanno fatto il giro del mondo. "Almeno altri 10 migranti, 10 agenti delle forze dell'ordine e 14 residenti hanno dovuto fare ricorso alle cure mediche - ricorda il rapporto - Più di mille migranti hanno lasciato la città in seguito alle violenze".
L'organizzazione ricorda come, a febbraio, molti Paesi abbiano espresso la loro preoccupazione relativamente alla violenza xenofoba italiana, nel corso del Consiglio per i diritti umani presso le Nazioni Uniti. E' ancora "alto" il livello di discriminazione patito da rom e sinti, che vive in condizioni di povertà estrema, in condizioni di vita "deprecabili", all'interno di campi autorizzati e abusivi. Secondo l'ong, i rom provenienti dall'Europa dell'Est, soprattutto dalla Romania, hanno dovuto far fronte a "sfratti forzati" e ad "incentivi economici" per tornare nei loro Paesi d'origine. E, anche in questo caso, si ricorda il richiamo della comunità internazionale: a ottobre, il comitato europeo dei diritti sociali "ha condannato l'Italia per le discriminazioni nei confronti dei rom, a livello abitativo, ma anche per quanto riguarda l'accesso all'assistenza sociale, economica e legale".
I respingimenti. "Numerosi" gli interventi della Corte europea dei diritti dell'Uomo (ECtHR) e del consiglio d'Europa contro il trasferimento di sospettati di terrorismo in Tunisia, come Mohamed Mannai (membro di un gruppo jihadista, condannato dal tribunale di Milano). Trasferimenti avvenuti nonostante questi prigionieri rischiassero di subire dei maltrattamenti nel loro Paese d'origine. L'Italia, inoltre, "non ha offerto asilo a una dozzina di eritrei, che aveva respinto verso la Libia nel 2009, e dove sono stati vittime di maltrattamenti e detenzioni illegittime insieme ad altre centinaia di connazionali". Ad aprile, il nostro Paese ha "violato il divieto di respingimento" quando ha intercettato un'imbarcazione carica di migranti, e l'ha rispedita in Libia, "senza verificare se ci fossero persone bisognose di protezione internazionale" e senza dar loro la possibilità di chiedere asilo. Infine, viene menzionato il processo ai poliziotti responsabili delle violenze commesse nel corso del G8 di Genova: a fronte "della condanna di 25 agenti su 29", il ministero dell'Interno "ha comunicato di non volerli sospendere".
Il silenzio della Ue. Il documento presenta anche un atto d'accusa contro le deboli diplomazie di Onu e Unione europea che, troppo spesso, non fanno seguire alle parole i fatti, per costringere i regimi repressivi a rispettare i diritti umani. "Anziché opporsi con fermezza ai leader violenti, molti governi, tra cui alcuni Paesi membri dell'Unione europea - spiega una nota di Hrw - adottano politiche che non generano pressioni volte a un cambiamento. La Ue, anche nei confronti di chi viola i diritti umani, sembra essere orientata a sposare l'ideologia del dialogo e della cooperazione". Tra gli esempi citati, quelli di Uzbekistan e Turkmenistan: in questo caso, l'Unione non è riuscita a esercitare sufficienti pressioni sui loro governi per favorire cambiamenti. "Sebbene gli accordi di cooperazione della Ue con altri paesi siano condizionati sistematicamente sul rispetto di fondo dei diritti umani, (l'Unione) ha concluso un significativo accordo di scambio col Turkmenistan, un governo fortemente repressivo", dice Hrw. Altri esempi di scarso impegno, in tal senso: l'approccio verso il presidente ruandese Paul Kagame e il primo ministro etiope Meles Zenawi, ma anche verso una Cina in cui le libertà basilari dell'uomo vengono messe continuamente a repentaglio. Al tempo stesso, la Ue viene invitata a fare di più per difendere i diritti degli immigrati clandestini, per offrire migliori condizioni di asilo politico e essere più attenta ai diritti umani quando si introducono strumenti di lotta al terrorismo. C'è anche un richiamo agli stessi Paesi membri della Ue a non adottare la politica del doppiopesismo: "La credibilità dell'Unione europea come una forza che si batte per i diritti umani nel mondo, dipende anche dalla sua volontà di affrontare le violazioni commesse dai suoi stati membri. Con esempi di discriminazioni e una crescente intolleranza verso i migranti, i musulmani, i rom e altri, ma anche un accesso inadeguato al diritto d'asilo, gli stati membri e le istituzioni europee devono dimostrare un maggior impegno nel far sì che il rispetto per i diritti umani all'interno dei loro confini sia in sintonia con le posizioni europee all'estero". "Le pressioni europee ci sono state - concede Hrw - ma solo verso quei governi nei quali il comportamento è stato talmente scandaloso, da far passare in secondo piano gli interessi in gioco: è stato così con la Corea del Nord, l'Iran e lo Zimbabwe". Un problema che riguarda anche l'Onu, che sbaglierebbe ad "affidarsi ai canali diplomatici e non alla condanna pubblica per convincere i regimi repressivi, come quello cinese, a porre fine alle violazioni dei diritti umani". Secondo l'organizzazione, l'errore fondamentale del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e di molti altri Paesi della comunità internazionale è quello di promuovere ''il dialogo e la cooperazione'' preferendolo alle pressioni pubbliche nei confronti di quegli Stati che violano i diritti dell'uomo.
Focus su Egitto, Iran, Tunisia. Sul fronte delle violazioni più gravi dei diritti umani, il rapporto, che accusa l'Egitto di "diffuse discriminazioni" contro i cristiani copti e le altre minoranze religiose, continua ad occuparsi della situazione in Iran, dove "la tutela dei diritti umani è peggiorata e il regime ha utilizzato la tortura e l'intimidazione per reprimere l'opposizione e le critiche e per consolidare il suo potere. Continuano senza sosta le restrizioni sulla libertà d'espressione e associazione, le libertà religiose e le discriminazioni sessuali. Durante gli interrogatori della polizia è stata usata la tortura per ottenere delle confessioni. Centinaia di persone, tra cui avvocati, giornalisti, attivisti e leader dell'opposizione restano in carcere senza un capo d'accusa". La "rivoluzione del gelsomino" in Tunisia, che ha portato alla caduta del regime di Ben Ali, secondo l'Hrw ha dato una "lezione" all'Unione europea e agli Stati Uniti sui rapporti con i dittatori: "L'Unione europea non si è resa conto dell'arrivo di questa rivoluzione. Penso - ha detto Kenneth Roth, direttore generale dell'organizzazione - che l'Ue, gli Stati Uniti e gli altri abbiano capito la lezione E' un errore schierarsi in un certo qual modo al fianco di un dittatore anche se visto come bastione contro il terrorismo o l'immigrazione illegale".
venerdì 21 gennaio 2011
IL TRONISTA
In questo post che contiene uno struggente appello quasi paterno(per forza trattandosi di Don Zauker!)al presidente demente Berluscojoni non me la prendo più di tanto con questo miserabile pezzo di merda ormai giunto ormai alla fine della sua esperienza politica,ma ce l'ho con tutti i milioni di italiani e di italiane che lo hanno votato e che continueranno a votare lui o un suo delfino(che sia Tremonti,Gianni Letta o Alfano o qualsiasi altro aspirante dittatore non fa differenza)perché davvero vivono con un sacchetto di plastica sulla testa(e non muoiono!),paraocchi e tappi nelle orecchie guidati dalle bugie che tutto il centrodestra propina loro grazie al controllo di reti televisive e testate giornalistiche.
L'articolo composto da molte domande e parecchie risposte fornisce un quadro completo della miseria umana che tutta questa gente(la maggioranza in Italia)ha acquisito e maturato in questi anni soprattutto per il bombardamento mediatico che ha subito(molta di questa gente rincoglionita di suo già lo era ma in tanti casi testadicazzo ci è diventata negli ultimi tempi).
Ah dimenticavo uno splendido Elio e le storie tese con una grande esibizione live su raitre a"Parla con me".
http://donzauker.it/2011/01/19/presidents-do-it-better/
Presidents do it better.
Perché deve esporre, la sua persona e il Paese tutto a simili umiliazioni?
Perché si ostina a rifugiarsi nell’illusione che si è costruito e rifiuta di affrontare la realtà?
Perché ha tralasciato ogni precauzione, affrettandosi a telefonare in questura per far immediatamente rilasciare la minorenne Ruby, spacciandola oltretutto come la nipote di Mubarak?
Perché la stessa Ruby le ha chiesto 5 milioni di euro per tacere?
Cosa voleva assolutamente nascondere agl’italiani?
Che si è inculato, più e più volte una minorenne?
Ah! Ah! Figuriamoci!
I suoi elettori avrebbero esultato a questa notizia. “Lo vedi? Guarda l’uomo forte, l’uomo virile, l’uomo affascinante, nonostante sia così basso e stempiato, oltretutto!”
Dopotutto è anche per questo che l’hanno votata e continuano a votarla, no?
Perché lei faccia tutte le schifezze che loro non hanno (ancora) il coraggio di fare e le faccia in pubblico, spesso vantandosene, in modo da sdoganare qualsiasi cosa.
Se chi dovrebbe dare l’esempio non accetta le regole, sfugge al confronto, incula le bimbette, pensa solo ai cazzi propri, allora tutti sono autorizzati a fare altrettanto.
Tutte merde, nessuna merda è sempre stato questo il gioco, no?
Perché allora tanta paura?
Dalle intercettazioni traspare il quadro desolante di un vecchio abbandonato ormai vittima dell’illusione che ha costruito, quella cioè di essere amato da tutti mentre invece quello che ha creato, con le sue televisioni e con la sua politica è un Paese popolato da gente senza qualità e senza dignità, ignoranti come tafàni, rancorosi e aggressivi il cui unico merito riconosciuto è di non vergognarsi a dare il culo (figuratamente e non) per il padrone, se questo può procurare loro una scorciatoia per un lauto compenso in denaro, incarichi prestigiosi, candidature e apparizioni televisive.
Il risultato è che si è ritrovato vittima di un mondo di avide troie arriviste (e non intendiamo certo solo quelle di sesso femminile) disposte a tutto pur di mantenere i privilegi a cui le ha abituate.
Quindi, Presidente, di fronte a questo quadro, perché tanta paura di quello che potrebbe dire “la nipote di Mubarak”?
Perché tanta paura delle intercettazioni?
Forse perché da esse traspare il ritratto di un anziano puttaniere abbandonato da tutti che paga una ventina di giovani zoccole per poi intrattenerle cantando canzoni di Apicella e raccontando barzellette?
Ma, torniamo a ripetere, che bisogno ha di cantare e cercare di essere divertente? Forse perché così le sembra di tornare giovane, i bei tempi di quando cantante e animatore sulle navi da crociera, affascinava giovani spose per trombarle poi all’interno delle scialuppe di salvataggio, mentre il marito giocava al casinò?
Forse rimpiange ancora quegli anni?
Si figuri noi.
Ma no, non è questo il punto.
Il punto è che adesso lei è il miliardario più potente d’Italia, oltre che Presidente del Consiglio, che paga (o fa pagare da altri) truppe di bagasce perché passino la serata nella sua abitazione.
E il fatto di pagarle la rende padrone delle loro vite, dei loro orifizi e dei loro sfinteri. Non ha bisogno di conquistarle: sono pagate apposta, lo capisce?
Lei è il tronista di Maria DeFilippi e loro sono lì unicamente per lei… e per le telecamere.
E allora perché tutte quelle dichiarazioni sul fatto che nonostante tutte queste signorine discinte e pronte a tutto, lei si sia solo limitato a cantare e raccontare barzellette, senza neanche abboccarglielo un pochino?
Forse era questo che Ruby e le altre non dovevano dire?
Presidente, ci permetta, con il cuore in mano di darle un consiglio.
Chi non ha mai avuto un problema sessuale?
Capita a tutti, soprattutto alle persone anziane e piene di impegni e preoccupazioni, tanto più se operate alla prostata.
Sì, spesso siamo presi dal panico, dai sudorini freddi, dalla vergogna e non sappiamo come reagire.
E allora cominciamo con le scuse che, spesso, portano a situazioni più grottesche del trovarsi con il cazzo moscio davanti a una consigliere regionale vestita da infermiera..
L'articolo composto da molte domande e parecchie risposte fornisce un quadro completo della miseria umana che tutta questa gente(la maggioranza in Italia)ha acquisito e maturato in questi anni soprattutto per il bombardamento mediatico che ha subito(molta di questa gente rincoglionita di suo già lo era ma in tanti casi testadicazzo ci è diventata negli ultimi tempi).
Uomini che ammirano il neoduce per la sua virilità(presunta e grazie a pillole blu)ed il suo potere,donne pronte a vendersi per ottenere favori lavorativi ed economici(favori lavorativi sono anche posti di ministri e di assessori),un dilagare di falsa moralità che solo ora sembra che la chiesa se ne sia accorta(per quel che può contare)ed un incattivimento della politica e della società prossima al ritorno in grande stile del regime dittatorialfascista cui Berluscojoni tanto ha puntato da prima ancora che entrasse in politica.
Prendiamo Berluscojoni dal punto di vista dell'articolo seguente,ovvero un poverino nonostante tutto,solo ed insignificante,che ha raggiunto tutto e che vorrebbe tornare giovane alla maniera di Peter Pan ma che ha capito che non gli rimane molto da vivere e che quindi(ricordiamoci pure che è malato:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2009/05/il-presidente-malato.html)cerca con armi come barzellette e sesso di rallegrare il popolo italiano,non riuscendo a capire che si sta divertendo solo lui.Ah dimenticavo uno splendido Elio e le storie tese con una grande esibizione live su raitre a"Parla con me".
http://donzauker.it/2011/01/19/presidents-do-it-better/
Presidents do it better.
Caro Presidente, perché?
Perché deve esporre, la sua persona e il Paese tutto a simili umiliazioni?
Perché si ostina a rifugiarsi nell’illusione che si è costruito e rifiuta di affrontare la realtà?
Perché ha tralasciato ogni precauzione, affrettandosi a telefonare in questura per far immediatamente rilasciare la minorenne Ruby, spacciandola oltretutto come la nipote di Mubarak?
Perché la stessa Ruby le ha chiesto 5 milioni di euro per tacere?
Cosa voleva assolutamente nascondere agl’italiani?
Che si è inculato, più e più volte una minorenne?
Ah! Ah! Figuriamoci!
I suoi elettori avrebbero esultato a questa notizia. “Lo vedi? Guarda l’uomo forte, l’uomo virile, l’uomo affascinante, nonostante sia così basso e stempiato, oltretutto!”
Dopotutto è anche per questo che l’hanno votata e continuano a votarla, no?
Perché lei faccia tutte le schifezze che loro non hanno (ancora) il coraggio di fare e le faccia in pubblico, spesso vantandosene, in modo da sdoganare qualsiasi cosa.
Se chi dovrebbe dare l’esempio non accetta le regole, sfugge al confronto, incula le bimbette, pensa solo ai cazzi propri, allora tutti sono autorizzati a fare altrettanto.
Tutte merde, nessuna merda è sempre stato questo il gioco, no?
Perché allora tanta paura?
Dalle intercettazioni traspare il quadro desolante di un vecchio abbandonato ormai vittima dell’illusione che ha costruito, quella cioè di essere amato da tutti mentre invece quello che ha creato, con le sue televisioni e con la sua politica è un Paese popolato da gente senza qualità e senza dignità, ignoranti come tafàni, rancorosi e aggressivi il cui unico merito riconosciuto è di non vergognarsi a dare il culo (figuratamente e non) per il padrone, se questo può procurare loro una scorciatoia per un lauto compenso in denaro, incarichi prestigiosi, candidature e apparizioni televisive.
Il risultato è che si è ritrovato vittima di un mondo di avide troie arriviste (e non intendiamo certo solo quelle di sesso femminile) disposte a tutto pur di mantenere i privilegi a cui le ha abituate.
Quindi, Presidente, di fronte a questo quadro, perché tanta paura di quello che potrebbe dire “la nipote di Mubarak”?
Perché tanta paura delle intercettazioni?
Forse perché da esse traspare il ritratto di un anziano puttaniere abbandonato da tutti che paga una ventina di giovani zoccole per poi intrattenerle cantando canzoni di Apicella e raccontando barzellette?
Ma, torniamo a ripetere, che bisogno ha di cantare e cercare di essere divertente? Forse perché così le sembra di tornare giovane, i bei tempi di quando cantante e animatore sulle navi da crociera, affascinava giovani spose per trombarle poi all’interno delle scialuppe di salvataggio, mentre il marito giocava al casinò?
Forse rimpiange ancora quegli anni?
Si figuri noi.
Ma no, non è questo il punto.
Il punto è che adesso lei è il miliardario più potente d’Italia, oltre che Presidente del Consiglio, che paga (o fa pagare da altri) truppe di bagasce perché passino la serata nella sua abitazione.
E il fatto di pagarle la rende padrone delle loro vite, dei loro orifizi e dei loro sfinteri. Non ha bisogno di conquistarle: sono pagate apposta, lo capisce?
Lei è il tronista di Maria DeFilippi e loro sono lì unicamente per lei… e per le telecamere.
E allora perché tutte quelle dichiarazioni sul fatto che nonostante tutte queste signorine discinte e pronte a tutto, lei si sia solo limitato a cantare e raccontare barzellette, senza neanche abboccarglielo un pochino?
Forse era questo che Ruby e le altre non dovevano dire?
Presidente, ci permetta, con il cuore in mano di darle un consiglio.
Chi non ha mai avuto un problema sessuale?
Capita a tutti, soprattutto alle persone anziane e piene di impegni e preoccupazioni, tanto più se operate alla prostata.
Sì, spesso siamo presi dal panico, dai sudorini freddi, dalla vergogna e non sappiamo come reagire.
E allora cominciamo con le scuse che, spesso, portano a situazioni più grottesche del trovarsi con il cazzo moscio davanti a una consigliere regionale vestita da infermiera..
“No, siamo qui solo per cantare le canzoni di Apicella”; “Sai, tesoro, ero preoccupato per l’Abruzzo”; “Accidenti, non riesco a evitare di pensare al pareggio con l’Udinese”; “No, non ce la faccio, dev’essere il vestito da poliziotta che mi ricorda i processi” etc…
Lo ammetta, Presidente, lo ammetta e troverà immediatamente tutto l’affetto e la solidarietà che in questi giorni le stanno venendo a mancare.
Oggi ci sono decine di farmaci contro le disfunzioni erettili e l’impotenza, ne ordini un paio, magari cliccando sulle pubblicità qui accanto, sulla colonna di sinistra del nostro sito (magari anche con un bel kit “Enlarge your penis”) e vedrà che non dovrà più fare queste figure di merda.
E anche le suddette ragazze la ringrazieranno, si fidi.
In fondo, prenderlo nel culo da un vecchio è comunque un’umiliazione minore che non dover cantare tutte in coro “Meno male che Silvio c’è!” o ridere alle sue barzellette del cazzo.
giovedì 20 gennaio 2011
ST.PAULI
Lungo e interessante post che riguarda la squadra calcistica del St.Pauli,quartiere di Amburgo isola felice per quanto riguarda il movimento antagonista di sinistra in Germania ed in Europa,roccaforte di una tifoseria tra le più affezionate,coreografiche e rispettate del panorama calcistico internazionale,dove l'antifascismo e la lotta di classe sono ideali imprescindibili e che caratterizzano la vita di questi ultrà-soci della compagine tedesca non solo allo stadio.
Gli articoli presentati,partendo da un pezzo tratto da"Repubblica"seguito da due riportati da"Senza Soste"che appoggia(ed è sostenuta)dalla tifoseria più rossa d'Italia,il Livorno:l'ultimo in particolare fa riferimento a quello centrale in quanto dei dissapori s'erano creati tra la dirigenza del St.Pauli e i tifosi,azionisti della società,che hanno fatto valere le proprie ragioni e tutto sta tornando nei binari.
Purtoppo questo è un calcio che sta scomparendo ed è per questo che tutta la tifoseria del St.Pauli è da prendere come esempio per la loro fermezza negli ideali che da sempre contraddistinguono l'ambiente antifascista di tutta Europa.
Vedi anche il sito http://it.wikipedia.org/wiki/F.C._St._Pauli per informazioni in italiano sulla storia del club oltre che il sito http://usp.stpaulifans.de/ degli ultrà tedeschi.
St.Pauli, i ribelli della Bundesliga la squadra più a sinistra del mondo.
Repubblica — 20 agosto 2010 pagina 53 sezione: SPORT
Prendete una squadra di calcio. Di quelle che non vincono mai. Prendete l' impegno sociale, una bandiera dei pirati, la lotta all' omofobia e al razzismo. Prendete il comunismo, il punk anni ' 80, la prostituzione libera, l' anarchia sociale e l' aria umida di un porto tedesco. Mettete tutto nel peggior quartiere della Germania. A quel punto avrete il St. Pauli Football Club, la squadra più a sinistra del mondo. Nel giorno in cui ricomincia la caccia ai campioni del Bayern, la Bundesliga ritrova anche quegli anarchici incalliti del St. Pauli, secondo club di Amburgo. L' ultima apparizione fu un disastro: nel 2002 solo 4 vittorie e una retrocessione. Poi ha vivacchiato, per lo più in III Divisione, fino a quando è passato nelle mani dell' impresario teatrale Corry Littmann, il primo presidente dichiaratamente omosessuale nella storia del calcio tedesco. Appena arrivato, Littmann ha capito che il St. Pauli non era una società come le altre. Qui contano i principi, bisogna essere fedeli alla linea. Tutto ciò che è business ed establishment viene apprezzato quanto un astemio in un pub amburghese. Bilancioe classifica sono dettagli. Una filosofia di vita stampata nello stemma: "Non established since 1910". Liberamente tradotto: rifiutiamo tutto ciò che è "sistema". Per trovare la sede sociale del St. Pauli bisogna infilarsi nel quartiere più malfamato di Amburgo, segnalato in tutte le guide europee come il posto da non visitare mai: il distretto a luci rosse Reeperbahn, vicino al porto. Nascondiglio per prostitute, ruffiani, spacciatori e criminali. Tutti tifosi del St. Pauli, naturalmente. La bandiera della squadra è il vessillo dei pirati, adottato dal club quando un gruppo di squatter lo portò per scherzo ai giocatori vent' anni fa. Da allorai tifosi si sono ribattezzati "i bucanieri". La leggenda del St. Pauli, squadra dai risultati sportivi irrilevanti senza fenomeni in campo, con in panchina il suo ex giocatore Holgar Stanislawski, nasce negli anni ' 80. Punk, artisti, prostitute, studenti e banditi bazzicavano tutti le vie di Reeperbahn. Risse, criminalità e guerre tra bande erano pane quotidiano. Poi la domenica occupavano i 35mila posti del Millerntor Stadium. In mano la bandiera dei pirati, o quella di Che Guevara. Addosso magliette contro il razzismo e il neonazismo. Ieri se n' è occupata la Cnn. È stata la prima società di calcio a promuovere campagne sociali. Ha ospitato il mondiale per nazioni non riconosciute, ha giocato contro Cuba per solidarietà a Castro, ha messo in piedi un torneo per rifugiati politici. Quanto basta per raccogliere - secondo Ufa Sports - 11 milioni di fan. Tifosi che decidono le politiche della società: di recente hanno impedito la vendita dei diritti del nome dello stadio, mossa che avrebbe portato nelle casse svariati milioni, ma giudicata commerciale. Così il St. Pauli ha solo due obiettivi: battere i cugini ricchi dell' Amburgo e rimanere fedeli alla linea. - FABIO TONACCI
SANKT PAULI (AMBURGO) - Ti svegli, fai colazione con la famiglia, scendi in strada, incontri gli amici e poi vai allo stadio a vedere la partita della tua squadra con moglie e figli. Ci vai a piedi, passeggiando in un quartiere a misura d’uomo. Fuori compri delle bibite ai tuoi ragazzi e tu ti fumi un bel sigaro cubano. Dentro lo stadio ti bevi una buona birra tedesca alla faccia delle restrizioni e dei divieti. Magari il sabato pomeriggio sei andato nella palestra del quartiere a vedere la partita della squadra non vedenti e a ruota, a trecento metri di distanza, quella della squadra “amateur” (amatori). Benvenuti a Sankt Pauli, dove squat e centri sociali sono ormai quasi definitivamente scomparsi (sgomberati dalla polizia e dall’amministrazione comunale dopo decenni di battaglie), ma dove il calcio è ancora un elemento di vera socialità in cui il tifoso non è un mero consumatore come accade ormai da anni in Italia, ma al contrario è parte integrante del club.
Lo stadio.
Lo stadio Millentorn, al momento un affascinante impianto in continua trasformazione che mette insieme terraces (le gradinate con i posti in piedi) e tribune ultramoderne, si trova nel cuore del quartiere ed è sempre esaurito da almeno sei anni, ovvero quando la squadra vivacchiava in terza serie. Oggi è uno degli stadi più carini e funzionali del mondo, a 200 metri dal porto più importante d’Europa, da cui nel Cinquecento partivano i pirati per solcare i sette mari. Insomma tutto il contrario di quello che succede da noi dove gli stadi vengono costruiti con soli posti a sedere (qui, al contrario, oltre la metà sono in piedi su precisa richiesta dei tifosi) e lontano dai centri cittadini.
In fase di costruzione è l’asilo nido all’interno della tribuna centrale, che permetterà ai genitori di “parcheggiare” i propri figli all’interno dello stadio durante la partita.
Il merchandising.
Il St. Pauli è un brand. Che mescola insieme politica e società, anarchia e contropotere. Il tutto istituzionalizzato nel motto presente nel marchio “Not established since 1910” (“lontano da ogni esercizio di potere dal 1910”). Il merchandising, come hanno ironicamente sottolineato i tifosi dell’Amburgo domenica scorsa con uno striscione (“Siete come la birra Astra – sponsor storico del St. Pauli, ndr – un prodotto scadente con un gran merchandising”), è di primissimo ordine, sia come qualità che come volume di vendite. Lo scorso anno, con la squadra in seconda serie, ha venduto più materiale di Milan e Juventus. Parole d’ordine come “antifascismo” e “antirazzismo” sono impresse su molti prodotti ufficiali, a fianco dell’immancabile Jolly Roger, il teschio simbolo dei pirati, che oltre ad essere il conosciutissimo ed originalissimo marchio del club, dà anche il nome al pub dove si ritrovano i tifosi più caldi.
Il Sankt Pauli è di chi lo tifa.
“I soci sono il St. Pauli – spiega Massimo Finizio, ex presidente della assemblea dei soci, italiano trapiantato ormai da più di dieci anni a St. Pauli – perché i soci decidono e dirigono il club. Sono loro i proprietari e gli amministratori della società. Ma è errato parlare di “azionariato popolare”: i soci non sono azionisti, ma partecipano alle attività sia sportive che dirigenziali del club stesso. Con questo connubio, il Sankt Pauli fattura solo in merchandising oltre 10 milioni di euro annui e solo l’anno scorso sono state vendute più di 40mila maglie ufficiali”. Ogni mese il St. Pauli, ci spiega Finizio sorridendo, registra oltre 100 nuovi soci. “Il segreto? Semplice, qua si parte dalla base, al contrario di quanto purtroppo succede in Italia, dove pochi decidono le sorti di molti. Il socio, ad esempio, disegna le maglie e non a caso il St. Pauli quest’anno ha gia vinto un campionato, quello della più bella maglia della Bundesliga. Il socio ha deciso che il nome dello stadio non potrà mai essere venduto a nessun’azienda o multinazionale, come invece succede in Inghilterra e come presto accadrà anche da noi. Nel mezzo della curva dove trovano posto gli ultras – ci racconta Finizio – c’è uno striscione storico, “Millentorn”. Ebbene, poco tempo fa l’Astra, uno storico sponsor del St. Pauli che produce birra, ha chiesto di togliere quello striscione per inserire un proprio banner. Apriti cielo! E infatti il club ha declinato l’offerta su precisa richiesta dei tifosi. “In Italia – sottolinea amaramente Finizio – la chiamano tessera del tifoso ma sarebbe più opportuno ribattezzarla “tessera del consumatore”. Qua i tifosi hanno la tessera da socio, che va oltre l’identificazione di tifoso: i tifosi del St. Pauli sono il St. Pauli”.
Il derby.
Domenica andava in scena una partita storica. Per la prima volta nell’era moderna, il St. Pauli ha potuto giocare il derby con gli odiatissimi rivali cittadini dell’Amburgo nel proprio stadio (nelle edizioni precedenti, per motivi di ordine pubblico, si è sempre giocato in casa dell’Amburgo). Un derby non paragonabile a nessuna stracittadina italiana. Una contrapposizione di mentalità e di storia, ma anche di classi, una borghese e spiccatamente capitalista, l´altra proletaria e popolare, che va allo stadio per divertirsi, indipendentemente dalla categoria in cui il St. Pauli milita e dall’avversario contro cui gioca. Divertirsi, parola ormai sconosciuta negli stadi italiani da cui molti hanno deciso di allontanarsi e una buona parte di coloro che continuano ad andare allo stadio sembra lo facciano ormai più per dovere che per piacere.
I tifosi dell’Amburgo hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per ottenere uno dei 2.500 biglietti loro riservati. Gli altri invece si sono radunati in 40.000 all’interno del loro stadio dove è stato allestito un maxischermo gratis e una festa per i soci del club. Da notare che anche 800 tifosi del St. Pauli senza biglietto hanno potuto assistere a questo evento senza che per questo ci fossero problemi di ordine pubblico. Altre svariate migliaia di tifosi dell’Amburgo, invece, hanno affittato numerosi pub dentro St. Pauli e nel limitrofo quartiere di Altona. Gli ultras (forse un po’ dimenticati dal proprio club che ha messo loro a disposizione solo 500 dei 2.500 biglietti complessivi), invece, hanno cercato di entrare allo stadio senza biglietto caricando all’ingresso. Ci sono riusciti in 200 anche dopo essersi scontrati con la polizia. E fuori dallo stadio, nel quartiere, non sono mancati i tafferugli, sempre creati e cercati dagli ultrà dell’Amburgo, con i pacifici tifosi del St. Pauli costretti a giocare “di rimessa”. Alla fine il bilancio sarà pesante: oltre 50 fermati e decine i feriti. Numeri inusuali per il calcio tedesco, anche se i tifosi del St. Pauli sono ormai abituati alle provocazioni degli ultrà avversari, soprattutto quando questi sono contrassegnati da ideologie neonaziste.
In campo il St. Pauli è stato raggiunto solo all’88’ con il classico tiro della domenica del talentuoso croato Petric. Per uno scherzo del destino, la prima vittoria dei marroni in un derby al Millentorn avrebbe portato la firma di Fabian Boll, forse il calciatore meno amato dai tifosi visto che oltre a fare il calciatore è anche ispettore della polizia criminale di Amburgo.
Ma al di là del dato statistico, ciò che ci ha maggiormente sorpreso è lo stadio, al fischio finale, non si é svuotato immediatamente come succede purtroppo da noi: entrambe le squadre sono rimaste in campo e hanno ringraziato i tifosi per il loro grande tifo: grandi cori, striscioni, coreografie e sfottò da ambo le parti. In barba a quelle leggi stupide e inutili che abbiamo in Italia, stelle filanti, rotoli di carta, megafoni, coriandoli e fumogeni (questi in realtà vietati anche in Germania) hanno creato quella atmosfera elettrica che noi abbiamo ormai dimenticato da anni. Cori, battimani e saltelli simultanei hanno fatto vibrare il Millentorn come accade a Pozzuoli durante il bradisisma. E poi non va dimenticato che i tifosi delle due squadre erano seduti uno accanto all’altro un po’ in ogni settore. Immaginate tifosi della Juventus a Firenze che festeggiano un gol dei bianconeri in mezzo alla curva Fiesole?
“Ah, dimenticavo una cosa importante”, ci fa Finizio prima di salutarci. “Lo sai che il St. Pauli con oltre il 35% ha la più alta presenza femminile allo stadio di tutta la Bundesliga?”. “Un altro calcio è possibile”, gli rispondiamo noi. Ma è una risposta sarcastica: noi abitiamo in Italia, abbiamo Maroni, tessere del tifoso, teppisti in divisa, ma soprattutto presidenti padroni e tifosi sottomessi.
per Senza Soste, Tito Sommartino (tratto da Senza Soste n. 53, ottobre 2010)
St. Pauli, la rivoluzione rossa .
I soci del Sankt Pauli contro la corsa sfrenata della propria dirigenza verso la peggiore commercializzazione (e il totale snaturamento) del club. La più grande protesta forse mai avvenuta in uno stadio tedesco ed europeo.
Tutto è andato liscio come l’olio, pacificamente e senza problemi, tanto che ci viene il serio dubbio che forse in Italia si debba imparare anche su come protestare e come far valere le proprie ragioni.
E i soci del club più originale al mondo, di ragioni ne avevano tante. Ultimamente i responsabili del marketing avevano superato il limite di sopportazione, come alcuni degli organizzatori della protesta hanno scritto nei loro comunicati. Se il commercio è l’anima di una squadra di Bundesliga, non per questo si deve vendere l’anima al diavolo come hanno fatto i dirigenti del club, che hanno venduto vari abbonamenti “vip” ad alcuni bordelli locali accordandosi con loro per l’esecuzione di streap teases durante le partite. Una cosa ancor più incomprensibile dal momento che lo stesso club si era vantato solo un mese fa, di essere stato il primo club al mondo ad aver aperto un asilo nido in un settore della tribuna centrale. Insomma, un asilo nido accanto ad un bordello ? No, non era accettabile.
Gli iniziatori della protesta, auto proclamatisi “romantico-sociali” (http://www.sozialromantiker-stpauli.de/wordpress/?p=12) hanno sottolineato con un manifesto tutti i motivi di disappunto riguardo l’attuale conduzione societaria del club. Il gioco del calcio, per i soci del St. Pauli, resta un divertimento e al tempo stesso uno stile di vita, dove al centro di tutto resta un pallone che viene calciato da una parte all´altra per poi finire probabilmente in porta e segnare un gol. In questo stadio infatti si respira ancora una atmosfera da anni ‘50, forse ‘60, dove gli stessi soci sono i proprietari del club stesso avendo lo statuto una connotazione di azionariato popolare. Lo statuto inoltre dà le linee generali della convivenza dei soci ed al quale tutti si devono attenere, dirigenti compresi. Niente a che vedere quindi con un club italiano o con il Manchester Utd. di Glazer dove uno comanda su tutti, senza esperienza calcistica, senza soprattutto il cordone ombelicale di collegamento con i propri sostenitori detentori della storia del club. Quello che manca da noi infatti è la storia che viene tramandata da tifoso a tifoso, il sentimento, l’amore per il club. Da noi ormai da molti anni esiste il sistematico sfruttamento di un nome, il cosiddetto “brand”, dimenticandosi che questo altro non è che il risultato di anni ed anni di attaccamento di migliaia di tifosi al club. Se gli stadi da noi sono vuoti è anche perché chi si prende un club, lo fa sempre senza amore e senza attaccamento ai colori. Basti vedere cosa ha fatto Glazer col Manchester Utd. o la stessa Roma che sta cercando di essere venduta come un pacco postale, dimenticandosi che nei quartieri della capitale, nei bar, nei negozi, e nelle pareti di casa vengono attaccati al muro i poster con lo striscione “Ti Amo” che i tifosi cucirono senza dormire la notte prima di un derby. Non certo ci sono le foto dei direttori sportivi o dei presidenti.
Al Sankt Pauli migliaia di soci hanno aderito alla petizione dei romantico-sociali, ribadendo che il club è in mano dei tifosi che ne scrivono la storia. Hanno detto “no” alla commercializzazione sfrenata come si legge nei loro manifesti di protesta, che il club appartiene a loro, che non desiderano sponsor di società che finanziano stati che sono in guerra, ditte razziste e sessiste, che durante i 90 minuti della partita il marketing non deve distrarre il pubblico con pubblicità non corrette, sms assurdi e che è il tifoso il vero padrone dello stadio.
Il colore scelto per la protesta è stato il rosso. Sabato scorso in occasione del match interno contro il Friburgo, migliaia di bandiere e cartoncini rossi con impresso il teschio simbolo del club hanno accolto l'entrata in campo dei marroni(il video: http://www.youtube.com/watch?v=-Sq1Dfqy_TI). Rosso è il colore del pericolo, come al semaforo, col quale hanno chiesto alla dirigenza di fermarsi prima che sia troppo tardi. Ma rosso è anche il coloro della protesta politica, del socialismo. Rosso è anche il colore dell’amore per un calcio e un club che ancora diverte e fa sognare. E i risultati sembra che stiano già arrivando: attraverso un comunicato stampa, il vice presidente Gernot Stenger ha detto che il club rivedrà le situazioni caso per caso (non poteva essere altrimenti). In particolare ha assicurato che allo stadio non ci saranno più streap tease.
La favola può continuare.
Per Senza Soste, Massimo Finizio
Gli articoli presentati,partendo da un pezzo tratto da"Repubblica"seguito da due riportati da"Senza Soste"che appoggia(ed è sostenuta)dalla tifoseria più rossa d'Italia,il Livorno:l'ultimo in particolare fa riferimento a quello centrale in quanto dei dissapori s'erano creati tra la dirigenza del St.Pauli e i tifosi,azionisti della società,che hanno fatto valere le proprie ragioni e tutto sta tornando nei binari.
Purtoppo questo è un calcio che sta scomparendo ed è per questo che tutta la tifoseria del St.Pauli è da prendere come esempio per la loro fermezza negli ideali che da sempre contraddistinguono l'ambiente antifascista di tutta Europa.
Vedi anche il sito http://it.wikipedia.org/wiki/F.C._St._Pauli per informazioni in italiano sulla storia del club oltre che il sito http://usp.stpaulifans.de/ degli ultrà tedeschi.
St.Pauli, i ribelli della Bundesliga la squadra più a sinistra del mondo.
Repubblica — 20 agosto 2010 pagina 53 sezione: SPORT
Prendete una squadra di calcio. Di quelle che non vincono mai. Prendete l' impegno sociale, una bandiera dei pirati, la lotta all' omofobia e al razzismo. Prendete il comunismo, il punk anni ' 80, la prostituzione libera, l' anarchia sociale e l' aria umida di un porto tedesco. Mettete tutto nel peggior quartiere della Germania. A quel punto avrete il St. Pauli Football Club, la squadra più a sinistra del mondo. Nel giorno in cui ricomincia la caccia ai campioni del Bayern, la Bundesliga ritrova anche quegli anarchici incalliti del St. Pauli, secondo club di Amburgo. L' ultima apparizione fu un disastro: nel 2002 solo 4 vittorie e una retrocessione. Poi ha vivacchiato, per lo più in III Divisione, fino a quando è passato nelle mani dell' impresario teatrale Corry Littmann, il primo presidente dichiaratamente omosessuale nella storia del calcio tedesco. Appena arrivato, Littmann ha capito che il St. Pauli non era una società come le altre. Qui contano i principi, bisogna essere fedeli alla linea. Tutto ciò che è business ed establishment viene apprezzato quanto un astemio in un pub amburghese. Bilancioe classifica sono dettagli. Una filosofia di vita stampata nello stemma: "Non established since 1910". Liberamente tradotto: rifiutiamo tutto ciò che è "sistema". Per trovare la sede sociale del St. Pauli bisogna infilarsi nel quartiere più malfamato di Amburgo, segnalato in tutte le guide europee come il posto da non visitare mai: il distretto a luci rosse Reeperbahn, vicino al porto. Nascondiglio per prostitute, ruffiani, spacciatori e criminali. Tutti tifosi del St. Pauli, naturalmente. La bandiera della squadra è il vessillo dei pirati, adottato dal club quando un gruppo di squatter lo portò per scherzo ai giocatori vent' anni fa. Da allorai tifosi si sono ribattezzati "i bucanieri". La leggenda del St. Pauli, squadra dai risultati sportivi irrilevanti senza fenomeni in campo, con in panchina il suo ex giocatore Holgar Stanislawski, nasce negli anni ' 80. Punk, artisti, prostitute, studenti e banditi bazzicavano tutti le vie di Reeperbahn. Risse, criminalità e guerre tra bande erano pane quotidiano. Poi la domenica occupavano i 35mila posti del Millerntor Stadium. In mano la bandiera dei pirati, o quella di Che Guevara. Addosso magliette contro il razzismo e il neonazismo. Ieri se n' è occupata la Cnn. È stata la prima società di calcio a promuovere campagne sociali. Ha ospitato il mondiale per nazioni non riconosciute, ha giocato contro Cuba per solidarietà a Castro, ha messo in piedi un torneo per rifugiati politici. Quanto basta per raccogliere - secondo Ufa Sports - 11 milioni di fan. Tifosi che decidono le politiche della società: di recente hanno impedito la vendita dei diritti del nome dello stadio, mossa che avrebbe portato nelle casse svariati milioni, ma giudicata commerciale. Così il St. Pauli ha solo due obiettivi: battere i cugini ricchi dell' Amburgo e rimanere fedeli alla linea. - FABIO TONACCI
Nel magico mondo di Sankt Pauli .
SANKT PAULI (AMBURGO) - Ti svegli, fai colazione con la famiglia, scendi in strada, incontri gli amici e poi vai allo stadio a vedere la partita della tua squadra con moglie e figli. Ci vai a piedi, passeggiando in un quartiere a misura d’uomo. Fuori compri delle bibite ai tuoi ragazzi e tu ti fumi un bel sigaro cubano. Dentro lo stadio ti bevi una buona birra tedesca alla faccia delle restrizioni e dei divieti. Magari il sabato pomeriggio sei andato nella palestra del quartiere a vedere la partita della squadra non vedenti e a ruota, a trecento metri di distanza, quella della squadra “amateur” (amatori). Benvenuti a Sankt Pauli, dove squat e centri sociali sono ormai quasi definitivamente scomparsi (sgomberati dalla polizia e dall’amministrazione comunale dopo decenni di battaglie), ma dove il calcio è ancora un elemento di vera socialità in cui il tifoso non è un mero consumatore come accade ormai da anni in Italia, ma al contrario è parte integrante del club.
Lo stadio.
Lo stadio Millentorn, al momento un affascinante impianto in continua trasformazione che mette insieme terraces (le gradinate con i posti in piedi) e tribune ultramoderne, si trova nel cuore del quartiere ed è sempre esaurito da almeno sei anni, ovvero quando la squadra vivacchiava in terza serie. Oggi è uno degli stadi più carini e funzionali del mondo, a 200 metri dal porto più importante d’Europa, da cui nel Cinquecento partivano i pirati per solcare i sette mari. Insomma tutto il contrario di quello che succede da noi dove gli stadi vengono costruiti con soli posti a sedere (qui, al contrario, oltre la metà sono in piedi su precisa richiesta dei tifosi) e lontano dai centri cittadini.
In fase di costruzione è l’asilo nido all’interno della tribuna centrale, che permetterà ai genitori di “parcheggiare” i propri figli all’interno dello stadio durante la partita.
Il merchandising.
Il St. Pauli è un brand. Che mescola insieme politica e società, anarchia e contropotere. Il tutto istituzionalizzato nel motto presente nel marchio “Not established since 1910” (“lontano da ogni esercizio di potere dal 1910”). Il merchandising, come hanno ironicamente sottolineato i tifosi dell’Amburgo domenica scorsa con uno striscione (“Siete come la birra Astra – sponsor storico del St. Pauli, ndr – un prodotto scadente con un gran merchandising”), è di primissimo ordine, sia come qualità che come volume di vendite. Lo scorso anno, con la squadra in seconda serie, ha venduto più materiale di Milan e Juventus. Parole d’ordine come “antifascismo” e “antirazzismo” sono impresse su molti prodotti ufficiali, a fianco dell’immancabile Jolly Roger, il teschio simbolo dei pirati, che oltre ad essere il conosciutissimo ed originalissimo marchio del club, dà anche il nome al pub dove si ritrovano i tifosi più caldi.
Il Sankt Pauli è di chi lo tifa.
“I soci sono il St. Pauli – spiega Massimo Finizio, ex presidente della assemblea dei soci, italiano trapiantato ormai da più di dieci anni a St. Pauli – perché i soci decidono e dirigono il club. Sono loro i proprietari e gli amministratori della società. Ma è errato parlare di “azionariato popolare”: i soci non sono azionisti, ma partecipano alle attività sia sportive che dirigenziali del club stesso. Con questo connubio, il Sankt Pauli fattura solo in merchandising oltre 10 milioni di euro annui e solo l’anno scorso sono state vendute più di 40mila maglie ufficiali”. Ogni mese il St. Pauli, ci spiega Finizio sorridendo, registra oltre 100 nuovi soci. “Il segreto? Semplice, qua si parte dalla base, al contrario di quanto purtroppo succede in Italia, dove pochi decidono le sorti di molti. Il socio, ad esempio, disegna le maglie e non a caso il St. Pauli quest’anno ha gia vinto un campionato, quello della più bella maglia della Bundesliga. Il socio ha deciso che il nome dello stadio non potrà mai essere venduto a nessun’azienda o multinazionale, come invece succede in Inghilterra e come presto accadrà anche da noi. Nel mezzo della curva dove trovano posto gli ultras – ci racconta Finizio – c’è uno striscione storico, “Millentorn”. Ebbene, poco tempo fa l’Astra, uno storico sponsor del St. Pauli che produce birra, ha chiesto di togliere quello striscione per inserire un proprio banner. Apriti cielo! E infatti il club ha declinato l’offerta su precisa richiesta dei tifosi. “In Italia – sottolinea amaramente Finizio – la chiamano tessera del tifoso ma sarebbe più opportuno ribattezzarla “tessera del consumatore”. Qua i tifosi hanno la tessera da socio, che va oltre l’identificazione di tifoso: i tifosi del St. Pauli sono il St. Pauli”.
Il derby.
Domenica andava in scena una partita storica. Per la prima volta nell’era moderna, il St. Pauli ha potuto giocare il derby con gli odiatissimi rivali cittadini dell’Amburgo nel proprio stadio (nelle edizioni precedenti, per motivi di ordine pubblico, si è sempre giocato in casa dell’Amburgo). Un derby non paragonabile a nessuna stracittadina italiana. Una contrapposizione di mentalità e di storia, ma anche di classi, una borghese e spiccatamente capitalista, l´altra proletaria e popolare, che va allo stadio per divertirsi, indipendentemente dalla categoria in cui il St. Pauli milita e dall’avversario contro cui gioca. Divertirsi, parola ormai sconosciuta negli stadi italiani da cui molti hanno deciso di allontanarsi e una buona parte di coloro che continuano ad andare allo stadio sembra lo facciano ormai più per dovere che per piacere.
I tifosi dell’Amburgo hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per ottenere uno dei 2.500 biglietti loro riservati. Gli altri invece si sono radunati in 40.000 all’interno del loro stadio dove è stato allestito un maxischermo gratis e una festa per i soci del club. Da notare che anche 800 tifosi del St. Pauli senza biglietto hanno potuto assistere a questo evento senza che per questo ci fossero problemi di ordine pubblico. Altre svariate migliaia di tifosi dell’Amburgo, invece, hanno affittato numerosi pub dentro St. Pauli e nel limitrofo quartiere di Altona. Gli ultras (forse un po’ dimenticati dal proprio club che ha messo loro a disposizione solo 500 dei 2.500 biglietti complessivi), invece, hanno cercato di entrare allo stadio senza biglietto caricando all’ingresso. Ci sono riusciti in 200 anche dopo essersi scontrati con la polizia. E fuori dallo stadio, nel quartiere, non sono mancati i tafferugli, sempre creati e cercati dagli ultrà dell’Amburgo, con i pacifici tifosi del St. Pauli costretti a giocare “di rimessa”. Alla fine il bilancio sarà pesante: oltre 50 fermati e decine i feriti. Numeri inusuali per il calcio tedesco, anche se i tifosi del St. Pauli sono ormai abituati alle provocazioni degli ultrà avversari, soprattutto quando questi sono contrassegnati da ideologie neonaziste.
In campo il St. Pauli è stato raggiunto solo all’88’ con il classico tiro della domenica del talentuoso croato Petric. Per uno scherzo del destino, la prima vittoria dei marroni in un derby al Millentorn avrebbe portato la firma di Fabian Boll, forse il calciatore meno amato dai tifosi visto che oltre a fare il calciatore è anche ispettore della polizia criminale di Amburgo.
Ma al di là del dato statistico, ciò che ci ha maggiormente sorpreso è lo stadio, al fischio finale, non si é svuotato immediatamente come succede purtroppo da noi: entrambe le squadre sono rimaste in campo e hanno ringraziato i tifosi per il loro grande tifo: grandi cori, striscioni, coreografie e sfottò da ambo le parti. In barba a quelle leggi stupide e inutili che abbiamo in Italia, stelle filanti, rotoli di carta, megafoni, coriandoli e fumogeni (questi in realtà vietati anche in Germania) hanno creato quella atmosfera elettrica che noi abbiamo ormai dimenticato da anni. Cori, battimani e saltelli simultanei hanno fatto vibrare il Millentorn come accade a Pozzuoli durante il bradisisma. E poi non va dimenticato che i tifosi delle due squadre erano seduti uno accanto all’altro un po’ in ogni settore. Immaginate tifosi della Juventus a Firenze che festeggiano un gol dei bianconeri in mezzo alla curva Fiesole?
“Ah, dimenticavo una cosa importante”, ci fa Finizio prima di salutarci. “Lo sai che il St. Pauli con oltre il 35% ha la più alta presenza femminile allo stadio di tutta la Bundesliga?”. “Un altro calcio è possibile”, gli rispondiamo noi. Ma è una risposta sarcastica: noi abitiamo in Italia, abbiamo Maroni, tessere del tifoso, teppisti in divisa, ma soprattutto presidenti padroni e tifosi sottomessi.
per Senza Soste, Tito Sommartino (tratto da Senza Soste n. 53, ottobre 2010)
St. Pauli, la rivoluzione rossa .
I soci del Sankt Pauli contro la corsa sfrenata della propria dirigenza verso la peggiore commercializzazione (e il totale snaturamento) del club. La più grande protesta forse mai avvenuta in uno stadio tedesco ed europeo.
Tutto è andato liscio come l’olio, pacificamente e senza problemi, tanto che ci viene il serio dubbio che forse in Italia si debba imparare anche su come protestare e come far valere le proprie ragioni.
E i soci del club più originale al mondo, di ragioni ne avevano tante. Ultimamente i responsabili del marketing avevano superato il limite di sopportazione, come alcuni degli organizzatori della protesta hanno scritto nei loro comunicati. Se il commercio è l’anima di una squadra di Bundesliga, non per questo si deve vendere l’anima al diavolo come hanno fatto i dirigenti del club, che hanno venduto vari abbonamenti “vip” ad alcuni bordelli locali accordandosi con loro per l’esecuzione di streap teases durante le partite. Una cosa ancor più incomprensibile dal momento che lo stesso club si era vantato solo un mese fa, di essere stato il primo club al mondo ad aver aperto un asilo nido in un settore della tribuna centrale. Insomma, un asilo nido accanto ad un bordello ? No, non era accettabile.
Gli iniziatori della protesta, auto proclamatisi “romantico-sociali” (http://www.sozialromantiker-stpauli.de/wordpress/?p=12) hanno sottolineato con un manifesto tutti i motivi di disappunto riguardo l’attuale conduzione societaria del club. Il gioco del calcio, per i soci del St. Pauli, resta un divertimento e al tempo stesso uno stile di vita, dove al centro di tutto resta un pallone che viene calciato da una parte all´altra per poi finire probabilmente in porta e segnare un gol. In questo stadio infatti si respira ancora una atmosfera da anni ‘50, forse ‘60, dove gli stessi soci sono i proprietari del club stesso avendo lo statuto una connotazione di azionariato popolare. Lo statuto inoltre dà le linee generali della convivenza dei soci ed al quale tutti si devono attenere, dirigenti compresi. Niente a che vedere quindi con un club italiano o con il Manchester Utd. di Glazer dove uno comanda su tutti, senza esperienza calcistica, senza soprattutto il cordone ombelicale di collegamento con i propri sostenitori detentori della storia del club. Quello che manca da noi infatti è la storia che viene tramandata da tifoso a tifoso, il sentimento, l’amore per il club. Da noi ormai da molti anni esiste il sistematico sfruttamento di un nome, il cosiddetto “brand”, dimenticandosi che questo altro non è che il risultato di anni ed anni di attaccamento di migliaia di tifosi al club. Se gli stadi da noi sono vuoti è anche perché chi si prende un club, lo fa sempre senza amore e senza attaccamento ai colori. Basti vedere cosa ha fatto Glazer col Manchester Utd. o la stessa Roma che sta cercando di essere venduta come un pacco postale, dimenticandosi che nei quartieri della capitale, nei bar, nei negozi, e nelle pareti di casa vengono attaccati al muro i poster con lo striscione “Ti Amo” che i tifosi cucirono senza dormire la notte prima di un derby. Non certo ci sono le foto dei direttori sportivi o dei presidenti.
Al Sankt Pauli migliaia di soci hanno aderito alla petizione dei romantico-sociali, ribadendo che il club è in mano dei tifosi che ne scrivono la storia. Hanno detto “no” alla commercializzazione sfrenata come si legge nei loro manifesti di protesta, che il club appartiene a loro, che non desiderano sponsor di società che finanziano stati che sono in guerra, ditte razziste e sessiste, che durante i 90 minuti della partita il marketing non deve distrarre il pubblico con pubblicità non corrette, sms assurdi e che è il tifoso il vero padrone dello stadio.
Il colore scelto per la protesta è stato il rosso. Sabato scorso in occasione del match interno contro il Friburgo, migliaia di bandiere e cartoncini rossi con impresso il teschio simbolo del club hanno accolto l'entrata in campo dei marroni(il video: http://www.youtube.com/watch?v=-Sq1Dfqy_TI). Rosso è il colore del pericolo, come al semaforo, col quale hanno chiesto alla dirigenza di fermarsi prima che sia troppo tardi. Ma rosso è anche il coloro della protesta politica, del socialismo. Rosso è anche il colore dell’amore per un calcio e un club che ancora diverte e fa sognare. E i risultati sembra che stiano già arrivando: attraverso un comunicato stampa, il vice presidente Gernot Stenger ha detto che il club rivedrà le situazioni caso per caso (non poteva essere altrimenti). In particolare ha assicurato che allo stadio non ci saranno più streap tease.
La favola può continuare.
Per Senza Soste, Massimo Finizio
martedì 18 gennaio 2011
MA NON SPARIAMO CAZZATE!
Spero che la notizia riportata dal sito di"Senza Soste"sia un pesce d'aprile ancora da scongelare piuttosto che il solito depistaggio del governo italiano che indirizza verso queste notizie più"leggere"l'attenzione della plebe evitando di parlare dei problemi ben più opprimenti di questo paese.
La minaccia della messa al bando della stella a cinque punte che richiama le Brigate Rosse ha messo sul chi va là parecchia gente che su questo simbolo ci campa e da sempre,da molto prima che le Br abbiano utilizzato questo simbolo nei loro messaggi.
Quel che più mi fa ridere è che il logo della nostra Repubblica abbia una bella stella al centro del logo,ed ora i reazionari fascistoidi promotori di tali decreti barzelletta altro non potrebbero fare quel che desiderano sempre,ovvero sovvertire Costituzione e simboli della Repubblica italiana nata dalla Resistenza contro il nazifascismo perpretando il loro volere di continuare ad instaurare la dittatura del ventennio col neoduce ingrifato.
La stella rossa simbolo tra l'altro delle Brigate nerazzurre dell'Atalanta è uno dei simboli che personalmente più amo e che fin dagli albori dell'umanità ha avuto un uso per molteplici scopi,dalla divinazione all'esoterismo passando per la massoneria,e a dir la verità quanto bella sta tra la scritta Brigate e Rosse!
Maxi-operazione contro la stella a cinque punte. Anche Senza Soste accusata di collusione con le Brigate Rosse.
Si chiama "Lista Strafalciani" e coinvolge più di 20 soggetti tra multinazionali, squadre di calcio, società varie e, purtroppo, anche Senza Soste, tutti accusati di appartenenza o favoreggiamento alle Brigate Rosse. Ma la scure della magistratura, con l'avallo dei media, si spinge ben oltre e coinvolge, direttamente o meno, anche soggetti insospettabili come i vip del mondo dello sport e dello spettacolo e gli astri del cielo.
Le liste di proscrizione.
Da quanto si apprende da una nota battuta dalle agenzie di stampa, prontamente riprese dai media locali e nazionali, tutti avrebbero un minimo comune denominatore, quello di possedere un particolare riferimento grafico che rimanda alle BR: la famigerata stella a cinque punte. Le posizioni più delicate sarebbero quelle delle Heineken, la famosa multinazionale della birra, e della Stella Rossa di Belgrado, il glorioso club calcistico serbo, il cui logo sarebbe proprio una stella a cinque punte, per di più rossa. Non va meglio al nostro giornale, la cui testata possiede una piccola stella, anch'essa a cinque punte ma amaranto ("ancor più grave - ribattono però gli inquirenti - perché l'amaranto altro non è che un rosso più intenso"). Nel mirino degli inquirenti sono finiti anche migliaia di disegni realizzati da bambini delle scuole elementari. "Essendo minori non possono essere giudicati - fanno sapere dalle procure titolari dell'inchiesta - e comunque la colpa non è loro, ma di chi continua a fargli credere che le stelle hanno cinque punte. Sfidiamo chiunque - prosegue la nota diramata dalle procure - a prendere un telescopio e dimostrare che gli astri del cielo hanno cinque punte. E' un'evidente forzatura atta a trasmettere un pericoloso e sovversivo messaggio subliminale alle nuove generazioni". Prossimamente sarà anche vietato chiamare i vari Lionel Messi, Robert De Niro o Fiorello "stelle" dello sport o dello spettacolo. "A meno che - si legge nelle note di agenzia - non si specifichi chiaramente che non si tratti di stelle a cinque punte".
Il sindaco Cosimi.
Ed è polemica anche a Livorno per un campo di calcio che fino agli anni '80 si trovava in via Masi, alle spalle della stazione, e si chiamava "Stella Rossa". "Sono illazioni prive di qualsivoglia fondamento", ha detto il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi. "E' vero, in molti lo chiamavano così, ma il nome reale era un altro: 'Centro (sportivo) democratico e partecipato'. Ovviamente - ha preseguito il sindaco - 'partecipato' da tutti e non solo da coloro che della partecipazione ne hanno fatto una professione. Se quel campo era conosciuto col nome 'Stella Rossa' è solo per colpa di pericolosi sobillatori che con un preciso disegno criminoso inculcarono quel nome ai livornesi imponendo di fatto un immaginario simbolico che non ci riguarda e che è sempre stato totalmente estranea alla cultura civile e democratica di questa città".
Il Tirreno e la Cisl.
E non poteva certo mancare Il Tirreno nella crociata contro la stella a cinque punte. Il quotidiano livornese, la cui direzione brilla da sempre per acume e indipendenza, ha scovato una scritta particolarmente sovversiva, ovviamente firmata con una stella a cinque punte (nella foto), accanto alla sedi della Cisl e di Confindustria a Viareggio e Carrara. La scritta, di palese matrice terrorista, recita "Figli di operai, figli della stessa rabbia". A chi evidenziava qualche perlessità, sostenendo che si tratta della frase di una famosa canzone della Banda Bassotti, che ad essere figli di operai non c'è niente di male, che essere operai oggi può legittimare anche un malcelato malessere e che, infine, la stella delle BR è cerchiata, al contrario di quanto vogliono far credere i media, ha risposto sdegnato il segretario della Cisl Bonanni: "Gli operai buoni accettano contenti gli accordi siglati a Pomigliano e Mirafiori e non ne fanno un dramma se la Fiat chiude lo stabilimento a Termini Imerese. La Banda Bassotti? Pericolosi sovversivi, non si spiegherebbe altrimenti la scelta di un nome che rimanda ai personaggi più malvagi della storia di Walt Disney. Vi chiedete perché non si sono chiamati Qui Quo e Qua? Sono cattivi maestri e in Italia oggi c'è bisogno di tutto fuorché dei cattivi maestri, che si chiamino Banda Bassotti, Lenin o Rosa Luxembourg".
Tito Sommartino
La minaccia della messa al bando della stella a cinque punte che richiama le Brigate Rosse ha messo sul chi va là parecchia gente che su questo simbolo ci campa e da sempre,da molto prima che le Br abbiano utilizzato questo simbolo nei loro messaggi.
Quel che più mi fa ridere è che il logo della nostra Repubblica abbia una bella stella al centro del logo,ed ora i reazionari fascistoidi promotori di tali decreti barzelletta altro non potrebbero fare quel che desiderano sempre,ovvero sovvertire Costituzione e simboli della Repubblica italiana nata dalla Resistenza contro il nazifascismo perpretando il loro volere di continuare ad instaurare la dittatura del ventennio col neoduce ingrifato.
La stella rossa simbolo tra l'altro delle Brigate nerazzurre dell'Atalanta è uno dei simboli che personalmente più amo e che fin dagli albori dell'umanità ha avuto un uso per molteplici scopi,dalla divinazione all'esoterismo passando per la massoneria,e a dir la verità quanto bella sta tra la scritta Brigate e Rosse!
Maxi-operazione contro la stella a cinque punte. Anche Senza Soste accusata di collusione con le Brigate Rosse.
Si chiama "Lista Strafalciani" e coinvolge più di 20 soggetti tra multinazionali, squadre di calcio, società varie e, purtroppo, anche Senza Soste, tutti accusati di appartenenza o favoreggiamento alle Brigate Rosse. Ma la scure della magistratura, con l'avallo dei media, si spinge ben oltre e coinvolge, direttamente o meno, anche soggetti insospettabili come i vip del mondo dello sport e dello spettacolo e gli astri del cielo.
Le liste di proscrizione.
Da quanto si apprende da una nota battuta dalle agenzie di stampa, prontamente riprese dai media locali e nazionali, tutti avrebbero un minimo comune denominatore, quello di possedere un particolare riferimento grafico che rimanda alle BR: la famigerata stella a cinque punte. Le posizioni più delicate sarebbero quelle delle Heineken, la famosa multinazionale della birra, e della Stella Rossa di Belgrado, il glorioso club calcistico serbo, il cui logo sarebbe proprio una stella a cinque punte, per di più rossa. Non va meglio al nostro giornale, la cui testata possiede una piccola stella, anch'essa a cinque punte ma amaranto ("ancor più grave - ribattono però gli inquirenti - perché l'amaranto altro non è che un rosso più intenso"). Nel mirino degli inquirenti sono finiti anche migliaia di disegni realizzati da bambini delle scuole elementari. "Essendo minori non possono essere giudicati - fanno sapere dalle procure titolari dell'inchiesta - e comunque la colpa non è loro, ma di chi continua a fargli credere che le stelle hanno cinque punte. Sfidiamo chiunque - prosegue la nota diramata dalle procure - a prendere un telescopio e dimostrare che gli astri del cielo hanno cinque punte. E' un'evidente forzatura atta a trasmettere un pericoloso e sovversivo messaggio subliminale alle nuove generazioni". Prossimamente sarà anche vietato chiamare i vari Lionel Messi, Robert De Niro o Fiorello "stelle" dello sport o dello spettacolo. "A meno che - si legge nelle note di agenzia - non si specifichi chiaramente che non si tratti di stelle a cinque punte".
Il sindaco Cosimi.
Ed è polemica anche a Livorno per un campo di calcio che fino agli anni '80 si trovava in via Masi, alle spalle della stazione, e si chiamava "Stella Rossa". "Sono illazioni prive di qualsivoglia fondamento", ha detto il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi. "E' vero, in molti lo chiamavano così, ma il nome reale era un altro: 'Centro (sportivo) democratico e partecipato'. Ovviamente - ha preseguito il sindaco - 'partecipato' da tutti e non solo da coloro che della partecipazione ne hanno fatto una professione. Se quel campo era conosciuto col nome 'Stella Rossa' è solo per colpa di pericolosi sobillatori che con un preciso disegno criminoso inculcarono quel nome ai livornesi imponendo di fatto un immaginario simbolico che non ci riguarda e che è sempre stato totalmente estranea alla cultura civile e democratica di questa città".
Il Tirreno e la Cisl.
E non poteva certo mancare Il Tirreno nella crociata contro la stella a cinque punte. Il quotidiano livornese, la cui direzione brilla da sempre per acume e indipendenza, ha scovato una scritta particolarmente sovversiva, ovviamente firmata con una stella a cinque punte (nella foto), accanto alla sedi della Cisl e di Confindustria a Viareggio e Carrara. La scritta, di palese matrice terrorista, recita "Figli di operai, figli della stessa rabbia". A chi evidenziava qualche perlessità, sostenendo che si tratta della frase di una famosa canzone della Banda Bassotti, che ad essere figli di operai non c'è niente di male, che essere operai oggi può legittimare anche un malcelato malessere e che, infine, la stella delle BR è cerchiata, al contrario di quanto vogliono far credere i media, ha risposto sdegnato il segretario della Cisl Bonanni: "Gli operai buoni accettano contenti gli accordi siglati a Pomigliano e Mirafiori e non ne fanno un dramma se la Fiat chiude lo stabilimento a Termini Imerese. La Banda Bassotti? Pericolosi sovversivi, non si spiegherebbe altrimenti la scelta di un nome che rimanda ai personaggi più malvagi della storia di Walt Disney. Vi chiedete perché non si sono chiamati Qui Quo e Qua? Sono cattivi maestri e in Italia oggi c'è bisogno di tutto fuorché dei cattivi maestri, che si chiamino Banda Bassotti, Lenin o Rosa Luxembourg".
Tito Sommartino
lunedì 17 gennaio 2011
COME IN TUNISIA!
Come accaduto in Tunisia ed in parte in Algeria ecco che un vento impetuoso di rivolta ha colpito questi paesi mediterranei,ed essendo pure l'Italia fecente parte di tali nazioni ecco perché è doveroso e lecito avere la possibilita che tali sommosse possano accadere pure qui da noi mandando il nostro premier fuori dal belpaese a calci in culo.
Il ministro Frattini,sempre e comunque assieme al governo italiano a fianco del dittatore Ben Alì,ha esternato frasi ingiuriose a nome del popolo italiano intero che naturalmente non nella sua integrità professa simili pensieri a favore del presidente tunisino che ora è stato cacciato dal popolo sovrano.
Qui sotto due commenti tratti da Indymedia Lombardia riguardanti il Manifesto e il sito disinformazia.il cannocchiale che ben spiegano l'attuale stato delle cose in Italia,che con Berlusconi al governo ha praticamente una politica estera inesistente e quel poco che fatto rimane comunque vergognosa e fallimentare,oltre al fatto di venire sempre derisi e discussi visto anche le ultime vicende personali del premier magnaccia.
Sempre nel ricordo del latitante criminale Craxi andato a morire proprio in Tunisia(per lui ai tempi nessun scandalo per estradizioni).
Ben Ali sincero democratico!
Questa brava persona è il Presidente della Tunisia Ben Alì, al potere da più di 20 anni in una dittatura di fatto... In Italia è conosciuto grazie agli ottimi rapporti d'affari personali con Berlusconi, visto che quest'ultimo è proprietario della TV privata più importante della Tunisia, Nessma TV, insieme al tunisino Tarek Ben Ammar. E' uno di quei personaggi che piacciono al Caimano, perchè quando li incontra in veste ufficiale, si complimenta sempre perchè sono venti anni che vince elezioni (truccate) ed è amatissimo dal suo popolo, che lo vota al 90% dei voti (sempre in elezioni truccate).... Ma soprattutto perchè gli piacerebbe avere i poteri illimitati e anti-democratici di Ben Alì, per poter fare totalmente i cazzi suoi! Inoltre, alla ghenga berlusconiana non può non piacere anche per un'altra ragione: grande amico di Bettino Craxi, dal 1994 fino alla sua morte gli ha dato asilo politico ad Hammamet, nonostate fosse un latitante condannato dalla giustizia italiana... ma, a differenza del caso Battisti, nessuno si è mai preoccupato di richiedere indietro Craxi, di minacciare ritorsioni alla Tunisia ed insultare il suo Presidente... bisogna solo capire la differenza tra i due casi, ma un La Russa o un Cicchitto potrebbero spiegarcela! Ora viene fuori però tutto il carattere brutale e disumano del regime di Ben Alì, che reprime nel sangue le proteste dei giovani di un paese senza futuro, dove il Ministro degli Interni e il Capo di Stato Maggiore dell'esercito vengono rimossi perchè si rifiutano di sparare sulla folla! In questo massacro di uomini e diritti, qual'è la posizione del Governo italiano, tramite il suo Ministro degli Esteri, il Manichino della Standa Frattini? Ma ovviamente pro-Ben Alì, il sincero democratico! Poi magari il maestro di sci dei figli di Berlusconi fa la verginella e l'indignato quando si parla di Iran o Cuba, senza spiegarci mai perchè, per lui, esistono diritti umani di serie A e diritti umani di serie B... Ma forse è chiedere troppo ad un manichino con il dono della parola!
da www.ilmanifesto.it
Marco Bascetta
Frattini al fianco del massacratore tunisino.
La faccia di plastica e la voce digitale, tanto da indurre il sospetto di un pupazzo meccanico, tendono a far sfumare nel nulla da cui provengono sciocchezze e nefandezze enunciate dal nostro ministro degli esteri. In pochi le sottolineano e i media ne riferiscono spesso in modo asettico e distratto. Tra le prime giganteggia la definizione dell'affaire Wikileaks come «11 settembre della diplomazia» e la conseguente equiparazione di Assange a Osama bin Laden. Tra le seconde il tempestivo attestato di solidarietà, lo schierarsi «a fianco» dei governi di Algeri e di Tunisi che rispondono con una spietata repressione ai tumulti giovanili e popolari scaturiti da un crollo drammatico delle condizioni di vita e delle prospettive per il futuro.
Con quale improntitudine, mentre le strade di Tunisi e di Algeri sono disseminate di un numero imprecisato ma assai elevato di morti, ci si affretta a distribuire attestati di benemerenza a governi fondati sulla repressione e la corruzione? Se l'Europa, La Francia e la Germania condannano fermamente le violenze e chiedono il rilascio dei molti dissidenti detenuti nelle carceri algerine e tunisine, il nostro elegante manichino si affretta ad assicurare il suo plauso incondizionato ai due governi «che hanno avuto coraggio e hanno pagato con il sangue dei propri cittadini gli attacchi del terrorismo». Ma non è sangue dei propri cittadini, quello che è stato fatto scorrere abbondante in questi giorni? Sangue di cittadini strangolati dal carovita o di giovani e studenti derubati, come in tanti altri paesi mediterranei, il nostro compreso, di ogni possibile futuro? E non solo dalla crisi globale che tutto e tutti attanaglia, ma dagli appetiti e dai privilegi che i clan al potere e le loro clientele difendono con ogni mezzo. Da una distribuzione della ricchezza scandalosamente iniqua.
Per l'automa della Farnesina si tratta direttamente di terroristi o di "effetti collaterali" della lotta contro il terrorismo? Il governo italiano ha forse accreditato il risibile teorema del presidente tunisino Ben Ali secondo cui le proteste di piazza sarebbero fomentate da oscure potenze straniere e magari da Al Qaeda in persona, piuttosto che dal disastro sociale di cui il suo lunghissimo regno si è reso responsabile?
Ancora una volta l'Italia si distingue indecentemente nel contesto di una Unione europea che pur non eccelle nella condanna della repressione, quando a esercitarla siano governi «amici». Certo, la diplomazia si ispira al principio di «non ingerenza negli affari interni» ed è obbligata a un linguaggio tortuoso e allusivo, detto, appunto, diplomatico. Ma quando non ha il coraggio di denunciare, ha almeno la facoltà di tacere. Neppure gli interessi più inconfessabili richiedono di applaudire alla macelleria cui stiamo assistendo. Bisogna metterci in più una cospicua dose di stupidità. C'è ancora qualcuno in Parlamento in grado di chiedere a Frattini di render conto delle sue vergognose esternazioni?
Ai dissidenti e ai perseguitati che dovessero lasciare la Tunisia o l'Algeria in cerca di asilo converrà dare un fraterno consiglio: con l'aria che tira guardatevi dall'Italia, un paese il cui governo vi considera tutti terroristi o amici dei terroristi e che non esiterà ad estradarvi, restituendovi ai vostri persecutori. A queste tristi avvertenze è ormai ridotta la nostra democrazia.
http://disinformazia.ilcannocchiale.it/?TAG=Ben%20Al%C3%AC
Il ministro Frattini,sempre e comunque assieme al governo italiano a fianco del dittatore Ben Alì,ha esternato frasi ingiuriose a nome del popolo italiano intero che naturalmente non nella sua integrità professa simili pensieri a favore del presidente tunisino che ora è stato cacciato dal popolo sovrano.
Qui sotto due commenti tratti da Indymedia Lombardia riguardanti il Manifesto e il sito disinformazia.il cannocchiale che ben spiegano l'attuale stato delle cose in Italia,che con Berlusconi al governo ha praticamente una politica estera inesistente e quel poco che fatto rimane comunque vergognosa e fallimentare,oltre al fatto di venire sempre derisi e discussi visto anche le ultime vicende personali del premier magnaccia.
Sempre nel ricordo del latitante criminale Craxi andato a morire proprio in Tunisia(per lui ai tempi nessun scandalo per estradizioni).
Ben Ali sincero democratico!
Questa brava persona è il Presidente della Tunisia Ben Alì, al potere da più di 20 anni in una dittatura di fatto... In Italia è conosciuto grazie agli ottimi rapporti d'affari personali con Berlusconi, visto che quest'ultimo è proprietario della TV privata più importante della Tunisia, Nessma TV, insieme al tunisino Tarek Ben Ammar. E' uno di quei personaggi che piacciono al Caimano, perchè quando li incontra in veste ufficiale, si complimenta sempre perchè sono venti anni che vince elezioni (truccate) ed è amatissimo dal suo popolo, che lo vota al 90% dei voti (sempre in elezioni truccate).... Ma soprattutto perchè gli piacerebbe avere i poteri illimitati e anti-democratici di Ben Alì, per poter fare totalmente i cazzi suoi! Inoltre, alla ghenga berlusconiana non può non piacere anche per un'altra ragione: grande amico di Bettino Craxi, dal 1994 fino alla sua morte gli ha dato asilo politico ad Hammamet, nonostate fosse un latitante condannato dalla giustizia italiana... ma, a differenza del caso Battisti, nessuno si è mai preoccupato di richiedere indietro Craxi, di minacciare ritorsioni alla Tunisia ed insultare il suo Presidente... bisogna solo capire la differenza tra i due casi, ma un La Russa o un Cicchitto potrebbero spiegarcela! Ora viene fuori però tutto il carattere brutale e disumano del regime di Ben Alì, che reprime nel sangue le proteste dei giovani di un paese senza futuro, dove il Ministro degli Interni e il Capo di Stato Maggiore dell'esercito vengono rimossi perchè si rifiutano di sparare sulla folla! In questo massacro di uomini e diritti, qual'è la posizione del Governo italiano, tramite il suo Ministro degli Esteri, il Manichino della Standa Frattini? Ma ovviamente pro-Ben Alì, il sincero democratico! Poi magari il maestro di sci dei figli di Berlusconi fa la verginella e l'indignato quando si parla di Iran o Cuba, senza spiegarci mai perchè, per lui, esistono diritti umani di serie A e diritti umani di serie B... Ma forse è chiedere troppo ad un manichino con il dono della parola!
da www.ilmanifesto.it
Marco Bascetta
Frattini al fianco del massacratore tunisino.
La faccia di plastica e la voce digitale, tanto da indurre il sospetto di un pupazzo meccanico, tendono a far sfumare nel nulla da cui provengono sciocchezze e nefandezze enunciate dal nostro ministro degli esteri. In pochi le sottolineano e i media ne riferiscono spesso in modo asettico e distratto. Tra le prime giganteggia la definizione dell'affaire Wikileaks come «11 settembre della diplomazia» e la conseguente equiparazione di Assange a Osama bin Laden. Tra le seconde il tempestivo attestato di solidarietà, lo schierarsi «a fianco» dei governi di Algeri e di Tunisi che rispondono con una spietata repressione ai tumulti giovanili e popolari scaturiti da un crollo drammatico delle condizioni di vita e delle prospettive per il futuro.
Con quale improntitudine, mentre le strade di Tunisi e di Algeri sono disseminate di un numero imprecisato ma assai elevato di morti, ci si affretta a distribuire attestati di benemerenza a governi fondati sulla repressione e la corruzione? Se l'Europa, La Francia e la Germania condannano fermamente le violenze e chiedono il rilascio dei molti dissidenti detenuti nelle carceri algerine e tunisine, il nostro elegante manichino si affretta ad assicurare il suo plauso incondizionato ai due governi «che hanno avuto coraggio e hanno pagato con il sangue dei propri cittadini gli attacchi del terrorismo». Ma non è sangue dei propri cittadini, quello che è stato fatto scorrere abbondante in questi giorni? Sangue di cittadini strangolati dal carovita o di giovani e studenti derubati, come in tanti altri paesi mediterranei, il nostro compreso, di ogni possibile futuro? E non solo dalla crisi globale che tutto e tutti attanaglia, ma dagli appetiti e dai privilegi che i clan al potere e le loro clientele difendono con ogni mezzo. Da una distribuzione della ricchezza scandalosamente iniqua.
Per l'automa della Farnesina si tratta direttamente di terroristi o di "effetti collaterali" della lotta contro il terrorismo? Il governo italiano ha forse accreditato il risibile teorema del presidente tunisino Ben Ali secondo cui le proteste di piazza sarebbero fomentate da oscure potenze straniere e magari da Al Qaeda in persona, piuttosto che dal disastro sociale di cui il suo lunghissimo regno si è reso responsabile?
Ancora una volta l'Italia si distingue indecentemente nel contesto di una Unione europea che pur non eccelle nella condanna della repressione, quando a esercitarla siano governi «amici». Certo, la diplomazia si ispira al principio di «non ingerenza negli affari interni» ed è obbligata a un linguaggio tortuoso e allusivo, detto, appunto, diplomatico. Ma quando non ha il coraggio di denunciare, ha almeno la facoltà di tacere. Neppure gli interessi più inconfessabili richiedono di applaudire alla macelleria cui stiamo assistendo. Bisogna metterci in più una cospicua dose di stupidità. C'è ancora qualcuno in Parlamento in grado di chiedere a Frattini di render conto delle sue vergognose esternazioni?
Ai dissidenti e ai perseguitati che dovessero lasciare la Tunisia o l'Algeria in cerca di asilo converrà dare un fraterno consiglio: con l'aria che tira guardatevi dall'Italia, un paese il cui governo vi considera tutti terroristi o amici dei terroristi e che non esiterà ad estradarvi, restituendovi ai vostri persecutori. A queste tristi avvertenze è ormai ridotta la nostra democrazia.
http://disinformazia.ilcannocchiale.it/?TAG=Ben%20Al%C3%AC
venerdì 14 gennaio 2011
ALEMAGNO
Ultimamente il pezzo di merda podestà de Roma Alemagno compare sempre su questo blog,forse perché voglio far sapere a tutti di che pasta sia fatta questa cosa(definirla persona è troppo)e che cosa rappresenti nella storia recente politica italiana uno che ha assunto centinaia di amici,scagnozzi,picchiatori ed assassini fascisti nella sua giunta come già spiegato precedentemente(ultimo esempio questo post:http://mascheraaztecaeildottornebbia.blogspot.com/2011/01/teste-decapitolinate.html).
Presumibilmente questo dossier presentato dal sito"Libero-affari italiani"a firma di Fabio Carosi è opera di uno degli amici trombati da Alemagno ad inizio settimana quando ha completamente azzerato la giunta capitolina solo per far entrare pure Storace e simili ratti di fogna puzzolenti dell'ambienate de"La Destra"e che con tanto di nomi e mansioni fornisce un quadro agghiacciante su come una sola merda possa fare il male di una città intera(la capitale!).
Tralasciando altri epiteti giusti e sacrosanti per simili criminali fascisti il buon Alemagno forse stanco di mangiare troppa merda leccando il culo ad associazioni ebraiche e gay e fingendo di aver comprensione per immigrati e opposizioni(mentre intanto sgombera centri sociali e organizza rappresaglie),al posto di dimettersi come sarebbe lecito ha la presunzione di ricreare una nuova amministrazione sempre più di estrema destra a Roma.
Ecco perché la giunta è stata azzerata.Il dossier segreto su Alemanno.
di Fabio Carosi
Una telefonata improvvisa e poi un appuntamento in un bar di piazzale Ostiense, a pochi passi dall'Ufficio che fino a pochi giorni or sono era occupato dall'assessore Sergio Marchi. Al riparo da occhi indiscreti un manager delle aziende dei trasporti, protagonista di due anni e mezzo di governo di centrodestra, sceglie Affaritaliani.it per rendere pubblico un documento da lui redatto che sintetizza nomi e cognomi, situazioni, rapporti di potere, intrecci con l'imprenditoria e la politica nazionale.
Insomma, due anni e mezzo di gestione dei trasporti romani, la grande abbuffata delle assunzioni e degli appalti facili che ha messo in crisi il sindaco e la sua giunta.
La conversazione che serve ad illustrare i contenuti del memoriale, si apre con una premessa: “Sono quello che si potrebbe chiamare un pentito e ho scritto questo documento perché disgustato da ciò che è accaduto. Dovevamo cambiare le cose, aprire una nuova fase, invece c'è stata solo una grande abbuffata”. Ovvio che il pentito chiede di celare l'identità. Questo il testo integrale nel quale gli acronimi sono stati sostituiti con i nomi. Lui è il sindaco Giovanni Alemanno.
“All'inizio Lui sui trasporti non c'era e non c'è mai entrato per i primi 8 mesi. Fin dalla campagna elettorale dell'inizio del 2008 la materia dei trasporti era stata affidata dallo stratega Andrea Augello a Vincenzo Piso per gli aspetti politici e ad Alessandro D'Armini per gli aspetti tecnici. Vincenzo Piso, Fabio Rampelli e Marco Marsilio nelle politiche del 2008 raggiunsero però (inaspettatamente) il Parlamento e così dopo lunghi e lunghi ripensamenti la scelta dell'assessore ai trasporti cadde su un consigliere insignificante (eletto con 1800 voti), originariamente vicino ad Adolfo Urso e poi battitore libero. Precisamente Sergio Marchi.
La squadra iniziale sui trasporti vedeva quindi lo stratega Andrea Augello coordinatore di tutti, Vincenzo Piso responsabile delle cose, nonché mazziere che dava le carte, l'assessore al Bilancio Ezio Castiglione che guardava i conti ed i numeri, Sergio Marchi assessore ai trasporti e Alessandro D'Armini direttore. In questa squadra c'era forte sintonia tra Ezio Castiglione, Andrea Augello e Alessandro D'Armini e da qui cominciarono le prime sofferenze di Vincenzo Piso. (Sergio Marchi insignificante, non sapeva di quello di cui parlava).
Vincenzo Piso, da sempre molto vicino a Lui, cominciava a riferire dell'evolversi della situazione, ed ecco spuntare 2 nomi che affiancheranno d'ora in poi la squadra su tutte le cose, ognuno per la propria parte. Adalberto Bertucci sui trasporti e Riccardo Mancini sulle infrastrutture e sui grandi progetti e sulle cose dove c'è la ciccia. Con l'andare degli eventi gli anelli deboli della catena inevitabilmente di legano e si alleano fin da subito, facendo accordi con chi da tempo aveva le mani in pasta ed era abile a gestire certe situazioni: Sergio Marchi con Gioacchino Gabbuti e Adalberto Bertucci con lo zoccolo duro della Trambus e cioè Tullio Tulli e Norberto Raponi.
La riforma del trasporto pubblico locale e la proposta di riassetto ed unificazione delle aziende va avanti come originariamente avviata dalla squadra iniziale ed arriva in giunta. Contemporaneamente parte il Piano Strategico della Mobilità sostenibile: siamo alla fine del 2009, inizio 2010.
Nel primo trimestre Lui comincia ad occuparsi – si far per dire – del trasporto ed arrivano piano piano alcuni volti nuovi, o meglio stravecchi ma con un nuovo vestito. Il primo è Roberto Grappelli, soprannominato “Francesco Gaetano Caltagirone che cammina” che viene messo a fare il presidente. Il secondo è Massimo Tabacchiera, frutto dell'accordo preelettorale con lo stratega dopo la lite con Walter Veltroni. Cerca subito spazio, chiama al suo fianco Antonio Cassano e comincia ad appropriarsi del riassetto (delle aziende, ndr) definendo la proposta portata avanti “una vera e propria cagata”. Contemporaneamente Gabbuti capisce che deve fare un passo indietro e si va ad occupare di patrimonio (Atac patrimonio, ndr). A questo punto Sergio Marchi si affida sempre più a Massimo Tabacchiera e ad Antonio Cassano. Arriva in scena mogio mogio il terzo, Enrico Sciarra che, forte dell'accordo politico che quella vecchia colpe di Francesco Aracri – suo sponsor e compagno di merende dei primi anni di governo della Regione Lazio ha fatto con Lui per le regionali, entra prepotentemente in campo e pur collocandosi nell'agenzia spazia.
Siamo nella primavera del 2009 e seppur in un altro settore inizia a imperversare Franco Panzironi. Ad un anno dall'insediamento c'è il primo significativo ritiro: se ne va dall'oggi al domani Ezio Castiglione e lascia l'assessorato chiave del Bilancio. I motivi? Chiarissimi. Aveva trovato la strada per risanare il debito sacrificando un'intera società, Risorse per Roma, (la vera fabbrica del non fare), ristrutturando e dando dignità ai servizi dell'Ama, unificando le aziende del trasporto, riducendo i dirigenti, contenendo le spese, bloccando tutte le assunzioni, imponendo con chiare direttive un rigido conto economico al quale ottemperare. Tutti ormai, i volti nuovi soprattutto, gli tiravano la giacchetta e lui non c'è stato. Ha preso e se n'è andato.
La squadra iniziale perde colpi. Ezio Castiglione non c'è più, Andrea Augello è indaffarato dalla politica nazionale e trascura sempre più quella locale che lascia completamente in mano a Lui. Anche Vincenzo Piso sente la responsabilità del nuovo ruolo affidatogli di coordinatore del Pdl e perde sempre più lucidità. Anche Alessandro D'Armini da tecnico viene pian piano tenuto fuori e non più chiamato sulle vicende importanti del settore. Insomma, siamo ormai all'estate del 2009 e comincia quel caos indiscriminato dove parlano, tutti decidono tutti, si incazzano tutti, si fanno riunioni di ogni tipo e genere senza concludere assolutamente nulla. Sergio Marchi si affida completamente a Massimo Tabacchiera ed Antonio Cassano e si innamora sempre di più di Stefano Giovenali, stringe rapporti ancor più forti con Adalberto Bertucci e comincia quel percorso di un anno (estate 2009-estate 2010) che è stato quello in cui si è fatta carne da macello.
A fine anno viene sacrificato un altro pezzo che sembrava dovesse assumere un grande ruolo nella nuova azienda. Si tratta di Roberto Grappelli (con tanto di benservito a Francesco Gaetano Caltagirone) che perde la presidenza della nuova Atac e viene relegato ad Ogr (Officina Grandi riparazioni, ndr), quelle fantomatiche officine dalle quali dovrebbero uscire i treni. Tutto questo perché un altro potente del Pdl romano, Fabio Rampelli, rivendica un posto importante per Luigi Legnani (ex presidente Ferrovie Nord, ndr), che viene da Milano a fare però il presidente fantasma che si guarda intorno e non si cura di niente e di nessuno. E così durante le feste 2009-2010 avvengono i grandi giochi e le scelte definitive sulla struttura della nuova grande azienda del trasporto romano che si ritrova formalmente costituita a fine gennaio 2010 in modo da diventare quel grande carrozzone da oltre 13 mila persone. Dei parenti, amici, amici di amici, cubiste, tronisti ed escort si è parlato sin troppo ed è noto a tutti. Il risultato è purtroppo uno solo: il progetto iniziale che certamente rispecchiava e si richiamava a quel cambio di passo, a quel salto di qualità tanto auspicato, è miseramente fallito”. Tutte le persone citate, hanno ovviamente la possibilità di replicare all'indirizzo roma@affaritaliani.it
Presumibilmente questo dossier presentato dal sito"Libero-affari italiani"a firma di Fabio Carosi è opera di uno degli amici trombati da Alemagno ad inizio settimana quando ha completamente azzerato la giunta capitolina solo per far entrare pure Storace e simili ratti di fogna puzzolenti dell'ambienate de"La Destra"e che con tanto di nomi e mansioni fornisce un quadro agghiacciante su come una sola merda possa fare il male di una città intera(la capitale!).
Tralasciando altri epiteti giusti e sacrosanti per simili criminali fascisti il buon Alemagno forse stanco di mangiare troppa merda leccando il culo ad associazioni ebraiche e gay e fingendo di aver comprensione per immigrati e opposizioni(mentre intanto sgombera centri sociali e organizza rappresaglie),al posto di dimettersi come sarebbe lecito ha la presunzione di ricreare una nuova amministrazione sempre più di estrema destra a Roma.
Ecco perché la giunta è stata azzerata.Il dossier segreto su Alemanno.
di Fabio Carosi
Una telefonata improvvisa e poi un appuntamento in un bar di piazzale Ostiense, a pochi passi dall'Ufficio che fino a pochi giorni or sono era occupato dall'assessore Sergio Marchi. Al riparo da occhi indiscreti un manager delle aziende dei trasporti, protagonista di due anni e mezzo di governo di centrodestra, sceglie Affaritaliani.it per rendere pubblico un documento da lui redatto che sintetizza nomi e cognomi, situazioni, rapporti di potere, intrecci con l'imprenditoria e la politica nazionale.
Insomma, due anni e mezzo di gestione dei trasporti romani, la grande abbuffata delle assunzioni e degli appalti facili che ha messo in crisi il sindaco e la sua giunta.
La conversazione che serve ad illustrare i contenuti del memoriale, si apre con una premessa: “Sono quello che si potrebbe chiamare un pentito e ho scritto questo documento perché disgustato da ciò che è accaduto. Dovevamo cambiare le cose, aprire una nuova fase, invece c'è stata solo una grande abbuffata”. Ovvio che il pentito chiede di celare l'identità. Questo il testo integrale nel quale gli acronimi sono stati sostituiti con i nomi. Lui è il sindaco Giovanni Alemanno.
“All'inizio Lui sui trasporti non c'era e non c'è mai entrato per i primi 8 mesi. Fin dalla campagna elettorale dell'inizio del 2008 la materia dei trasporti era stata affidata dallo stratega Andrea Augello a Vincenzo Piso per gli aspetti politici e ad Alessandro D'Armini per gli aspetti tecnici. Vincenzo Piso, Fabio Rampelli e Marco Marsilio nelle politiche del 2008 raggiunsero però (inaspettatamente) il Parlamento e così dopo lunghi e lunghi ripensamenti la scelta dell'assessore ai trasporti cadde su un consigliere insignificante (eletto con 1800 voti), originariamente vicino ad Adolfo Urso e poi battitore libero. Precisamente Sergio Marchi.
La squadra iniziale sui trasporti vedeva quindi lo stratega Andrea Augello coordinatore di tutti, Vincenzo Piso responsabile delle cose, nonché mazziere che dava le carte, l'assessore al Bilancio Ezio Castiglione che guardava i conti ed i numeri, Sergio Marchi assessore ai trasporti e Alessandro D'Armini direttore. In questa squadra c'era forte sintonia tra Ezio Castiglione, Andrea Augello e Alessandro D'Armini e da qui cominciarono le prime sofferenze di Vincenzo Piso. (Sergio Marchi insignificante, non sapeva di quello di cui parlava).
Vincenzo Piso, da sempre molto vicino a Lui, cominciava a riferire dell'evolversi della situazione, ed ecco spuntare 2 nomi che affiancheranno d'ora in poi la squadra su tutte le cose, ognuno per la propria parte. Adalberto Bertucci sui trasporti e Riccardo Mancini sulle infrastrutture e sui grandi progetti e sulle cose dove c'è la ciccia. Con l'andare degli eventi gli anelli deboli della catena inevitabilmente di legano e si alleano fin da subito, facendo accordi con chi da tempo aveva le mani in pasta ed era abile a gestire certe situazioni: Sergio Marchi con Gioacchino Gabbuti e Adalberto Bertucci con lo zoccolo duro della Trambus e cioè Tullio Tulli e Norberto Raponi.
La riforma del trasporto pubblico locale e la proposta di riassetto ed unificazione delle aziende va avanti come originariamente avviata dalla squadra iniziale ed arriva in giunta. Contemporaneamente parte il Piano Strategico della Mobilità sostenibile: siamo alla fine del 2009, inizio 2010.
Nel primo trimestre Lui comincia ad occuparsi – si far per dire – del trasporto ed arrivano piano piano alcuni volti nuovi, o meglio stravecchi ma con un nuovo vestito. Il primo è Roberto Grappelli, soprannominato “Francesco Gaetano Caltagirone che cammina” che viene messo a fare il presidente. Il secondo è Massimo Tabacchiera, frutto dell'accordo preelettorale con lo stratega dopo la lite con Walter Veltroni. Cerca subito spazio, chiama al suo fianco Antonio Cassano e comincia ad appropriarsi del riassetto (delle aziende, ndr) definendo la proposta portata avanti “una vera e propria cagata”. Contemporaneamente Gabbuti capisce che deve fare un passo indietro e si va ad occupare di patrimonio (Atac patrimonio, ndr). A questo punto Sergio Marchi si affida sempre più a Massimo Tabacchiera e ad Antonio Cassano. Arriva in scena mogio mogio il terzo, Enrico Sciarra che, forte dell'accordo politico che quella vecchia colpe di Francesco Aracri – suo sponsor e compagno di merende dei primi anni di governo della Regione Lazio ha fatto con Lui per le regionali, entra prepotentemente in campo e pur collocandosi nell'agenzia spazia.
Siamo nella primavera del 2009 e seppur in un altro settore inizia a imperversare Franco Panzironi. Ad un anno dall'insediamento c'è il primo significativo ritiro: se ne va dall'oggi al domani Ezio Castiglione e lascia l'assessorato chiave del Bilancio. I motivi? Chiarissimi. Aveva trovato la strada per risanare il debito sacrificando un'intera società, Risorse per Roma, (la vera fabbrica del non fare), ristrutturando e dando dignità ai servizi dell'Ama, unificando le aziende del trasporto, riducendo i dirigenti, contenendo le spese, bloccando tutte le assunzioni, imponendo con chiare direttive un rigido conto economico al quale ottemperare. Tutti ormai, i volti nuovi soprattutto, gli tiravano la giacchetta e lui non c'è stato. Ha preso e se n'è andato.
La squadra iniziale perde colpi. Ezio Castiglione non c'è più, Andrea Augello è indaffarato dalla politica nazionale e trascura sempre più quella locale che lascia completamente in mano a Lui. Anche Vincenzo Piso sente la responsabilità del nuovo ruolo affidatogli di coordinatore del Pdl e perde sempre più lucidità. Anche Alessandro D'Armini da tecnico viene pian piano tenuto fuori e non più chiamato sulle vicende importanti del settore. Insomma, siamo ormai all'estate del 2009 e comincia quel caos indiscriminato dove parlano, tutti decidono tutti, si incazzano tutti, si fanno riunioni di ogni tipo e genere senza concludere assolutamente nulla. Sergio Marchi si affida completamente a Massimo Tabacchiera ed Antonio Cassano e si innamora sempre di più di Stefano Giovenali, stringe rapporti ancor più forti con Adalberto Bertucci e comincia quel percorso di un anno (estate 2009-estate 2010) che è stato quello in cui si è fatta carne da macello.
A fine anno viene sacrificato un altro pezzo che sembrava dovesse assumere un grande ruolo nella nuova azienda. Si tratta di Roberto Grappelli (con tanto di benservito a Francesco Gaetano Caltagirone) che perde la presidenza della nuova Atac e viene relegato ad Ogr (Officina Grandi riparazioni, ndr), quelle fantomatiche officine dalle quali dovrebbero uscire i treni. Tutto questo perché un altro potente del Pdl romano, Fabio Rampelli, rivendica un posto importante per Luigi Legnani (ex presidente Ferrovie Nord, ndr), che viene da Milano a fare però il presidente fantasma che si guarda intorno e non si cura di niente e di nessuno. E così durante le feste 2009-2010 avvengono i grandi giochi e le scelte definitive sulla struttura della nuova grande azienda del trasporto romano che si ritrova formalmente costituita a fine gennaio 2010 in modo da diventare quel grande carrozzone da oltre 13 mila persone. Dei parenti, amici, amici di amici, cubiste, tronisti ed escort si è parlato sin troppo ed è noto a tutti. Il risultato è purtroppo uno solo: il progetto iniziale che certamente rispecchiava e si richiamava a quel cambio di passo, a quel salto di qualità tanto auspicato, è miseramente fallito”. Tutte le persone citate, hanno ovviamente la possibilità di replicare all'indirizzo roma@affaritaliani.it
MINCHIONNE E BERLUSCOJONI A BRACCETTO
All'indomani della fatidica e per molti versi tragica votazione che riguarderà il futuro degli operai Fiat e non solo,ecco pescato da"Senza Soste"un pezzo di un'articolo(qui nella sua integrità:http://www.senzasoste.it/lavoro-capitale/fiat-la-bufala-della-sfida-dei-paesi-emergenti-e-intanto-si-torna-al-fascismo)in cui basta cambiare il nome Agnelli con Minchionne e quello di Mussolini con Berluscojoni che magicamente ed orridamente potrebbe essere un discorso dell'altroieri e non di ottant'anni fà.
La tremenda scelta della manovalanza di Mirafiori,ovvero decidere se chinare la testa e continuare a lavorare o alzarla e venire licenziati,è davvero dura e non voglio polemizzare con alcune decisioni personali comprensibili,ma c'è da dire che se il ricatto di Minchionne dovesse passare allora il padrone(e molti altri)sarebbero legittimati a schiavizzare i loro dipendenti alla faccia di accordi sindacali raggiunti in anni di lotte e di diritti umani.
Per gente come i viventi sopracitati dei grandi calci in culo ed in faccia cascherebbero proprio a fagiolo,sporca gente che dello sfruttamento del prossimo hanno sempre campato(e con che razza di stile di vita),e alla faccia delle minacce presunte o tali emerse in queste ultime settimane la violenza sembra che sia l'unica strada possibile per cambiare qualcosa in questo paese di merda.
Fiat, la bufala della sfida dei paesi emergenti. E intanto si torna al fascismo
Torino, visita alla Fiat, 24 ottobre 1932
Il discorso di Benito Mussolini viene introdotto dal senatore Agnelli.
Agnelli: Questo sentimento che ogni vero italiano nutre per voi è fatto di ammirazione e gratitudine. Ammirazione per la vostra personalità dominatrice e gratitudine per la confidabile opera di governo con la quale avete migliorato in ogni campo della vita nazionale e internazionale il posto e il destino del Paese. I risultati di questo vostro lavoro, che è atto di fede ed esempio di organizzazione e di metodo, si impongono a tutti. Ma soprattutto parlano alla coscienza dei lavoratori perché voi stesso venite dal popolo ed è sempre soltanto verso di esso che andate col pensiero e con l'azione. Qui al Lingotto batte il cuore di Torino operaia, dal nostro cuore si leva con entusiasmo l'evviva alla rinnovata Italia e al suo Duce. Viva Benito Mussolini. (EVVIVA).
Mussolini: Camerati e operai della Fiat, ascoltatemi per alcuni minuti. Sarò breve, perché il mio discorso di ieri certamente lo avete ascoltato e poi perché la mia giornata di oggi è piena. Sarò breve ma voglio dirvi alcune cose importanti. Quando in occasione della mia visita a Torino si fece anche il caso se avessi dovuto o no venire tra voi, io risposi: “andrò tra gli operai della Fiat e meno sarò circondato e meglio sarà”. Quello che vi ha detto poco fa il senatore Agnelli è sacrosantamente vero. Io mi preoccupo tutti i giorni, dalla mattina alla sera, lavorando senza contare le ore di lavoro, mi preoccupo di dare il massimo lavoro possibile a tutti gli italiani. (applausi). E sono felice quando so che una fabbrica, che un'industria, che una maestranza ha garantito il lavoro per un lungo periodo di tempo. Nessuno può smentirmi perché questa è la parola della veridica verità (Duce, Duce). Ora i doveri mi chiamano ma io sono convinto che il nostro incontro di questa mane resterà perennemente scolpito nei vostri cuori così come resta fermamente scolpito nel mio cuore.
La tremenda scelta della manovalanza di Mirafiori,ovvero decidere se chinare la testa e continuare a lavorare o alzarla e venire licenziati,è davvero dura e non voglio polemizzare con alcune decisioni personali comprensibili,ma c'è da dire che se il ricatto di Minchionne dovesse passare allora il padrone(e molti altri)sarebbero legittimati a schiavizzare i loro dipendenti alla faccia di accordi sindacali raggiunti in anni di lotte e di diritti umani.
Per gente come i viventi sopracitati dei grandi calci in culo ed in faccia cascherebbero proprio a fagiolo,sporca gente che dello sfruttamento del prossimo hanno sempre campato(e con che razza di stile di vita),e alla faccia delle minacce presunte o tali emerse in queste ultime settimane la violenza sembra che sia l'unica strada possibile per cambiare qualcosa in questo paese di merda.
Fiat, la bufala della sfida dei paesi emergenti. E intanto si torna al fascismo
Torino, visita alla Fiat, 24 ottobre 1932
Il discorso di Benito Mussolini viene introdotto dal senatore Agnelli.
Agnelli: Questo sentimento che ogni vero italiano nutre per voi è fatto di ammirazione e gratitudine. Ammirazione per la vostra personalità dominatrice e gratitudine per la confidabile opera di governo con la quale avete migliorato in ogni campo della vita nazionale e internazionale il posto e il destino del Paese. I risultati di questo vostro lavoro, che è atto di fede ed esempio di organizzazione e di metodo, si impongono a tutti. Ma soprattutto parlano alla coscienza dei lavoratori perché voi stesso venite dal popolo ed è sempre soltanto verso di esso che andate col pensiero e con l'azione. Qui al Lingotto batte il cuore di Torino operaia, dal nostro cuore si leva con entusiasmo l'evviva alla rinnovata Italia e al suo Duce. Viva Benito Mussolini. (EVVIVA).
Mussolini: Camerati e operai della Fiat, ascoltatemi per alcuni minuti. Sarò breve, perché il mio discorso di ieri certamente lo avete ascoltato e poi perché la mia giornata di oggi è piena. Sarò breve ma voglio dirvi alcune cose importanti. Quando in occasione della mia visita a Torino si fece anche il caso se avessi dovuto o no venire tra voi, io risposi: “andrò tra gli operai della Fiat e meno sarò circondato e meglio sarà”. Quello che vi ha detto poco fa il senatore Agnelli è sacrosantamente vero. Io mi preoccupo tutti i giorni, dalla mattina alla sera, lavorando senza contare le ore di lavoro, mi preoccupo di dare il massimo lavoro possibile a tutti gli italiani. (applausi). E sono felice quando so che una fabbrica, che un'industria, che una maestranza ha garantito il lavoro per un lungo periodo di tempo. Nessuno può smentirmi perché questa è la parola della veridica verità (Duce, Duce). Ora i doveri mi chiamano ma io sono convinto che il nostro incontro di questa mane resterà perennemente scolpito nei vostri cuori così come resta fermamente scolpito nel mio cuore.
martedì 11 gennaio 2011
SCELTE DI VITA E NON
Grazie alla testimonianza da"infiltrate"di alcune compagne piemontesi ecco il resoconto di un paio di giorni passati gomito a gomito con le attiviste e le simpatizzanti dei centri per l'aiuto alla vita,una setta sulla falsariga di Comunione e Liberazione composta quasi esclusivamente da donne con ovvia tendenza che strizza l'occhio verso l'integralismo cattolico più becero e pericoloso.
Identikit tipo di una frequentatrice di tali centri sono l'età avanzata,ceto medio,votante partiti di destra o cattolici e con un innato senso di essere portavoce di Dio in terra con tutto il farneticare che ciò comporta.
Sui temi come l'aborto la libertà di poter decidere è un espressione di pura democrazia,e ciò che i Cav propongono è l'esatto contrario,una costrizione che vorrebbe far rivalere su tutta la società volendo abrogare la legge 194 che permette alle donne appunto la possibilità di scegliere se proseguire o meno la gravidanza a fronte di problemi di varia natura(oltre che a intervenire su altri aspetti legati alla sessualità come l'uso della pillola abortiva e dei metodi preventivi di contraccezione).
Il contributo è tratto da"Senza Soste".
Testimonianza. Cronaca di due giornate vissute con i cattolici integralisti .
Ci siamo fatte “formare” dal movimento per la vita.
Cronaca di due giornate vissute con i cattolici integralisti che vorrebbero occupare i consultori del Piemonte…
Li conoscevamo per la raccolta di firme, effettuata sui sagrati delle chiese, contro la legge 194… li conoscevamo per i manifesti sui quali fotografie di feti ingranditi venivano spacciati per embrioni di poche settimane e mostrati agli studenti e alle studentesse delle scuole medie… li conoscevamo per quel macabro filmato, L’urlo silenzioso, proiettato al Salone del Libro di Torino qualche anno fa… li conoscevamo per le aggressioni e gli insulti alle donne che decidono di interrompere la gravidanza, fuori e dentro gli ospedali… li conoscevamo per averne interrotto e contestato puntualmente i convegni armate di cucchiai e prezzemolo…
… dopo il 29 di ottobre, data in cui il Consiglio Regionale del Piemonte ha recepito il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza” proposto dall’assessore alla salute Caterina Ferrero, che di fatto sancisce l’ingresso nei consultori dei volontari del Movimento per la Vita, abbiamo deciso di “conoscerli” un po’ più da vicino e dato che il Presidente della Regione Roberto Cota già in campagna elettorale si era impegnato a finanziarne la formazione, abbiamo pensato di assistere proprio a un percorso formativo e di aggiornamento per volontari e aspiranti tali.
Quello che segue è il racconto, rigorosamente autentico, della nostra partecipazione a due incontri del ciclo “Maternità oggi, quello che non si sapeva, quello che non si sa più”
Primo incontro.
Sede del Movimento per la Vita, una trentina di persone in sala, la stragrande maggioranza donne tra i 60 e i 70 anni, aria dimessa e un po’ triste, tutte attiviste dei diversi centri di aiuto alla vita (CAV) presenti sul territorio cittadino, pochissimi uomini, decisamente anziani e un gruppetto di giovani donne, una con una neonata.
Argomento della serata la “relazione prenatale e lo sviluppo della personalità”, a cura della professoressa Pia Massaglia, direttrice della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Torino, con intervento previsto del professor Enrico Alba, della facoltà di Medicina.
Ci guardiamo intorno, ci sediamo, un signore si lamenta del fatto che certi programmi sono in mano a gente di sinistra, un’altra ci informa di avere in macchina una foto, scattata da un’amica, di Gesù Cristo: un attimo di smarrimento, incredulità, poi una traccia di sorriso negli occhi… mezzora dopo non rideremo più.
Si comincia e veniamo catapultate in un’altra dimensione, in un tempo e in uno spazio in cui embrioni e feti sono bambini, le donne non sono donne ma mamme, sempre e comunque, la coppia è famiglia occidentale e cattolica, e il partner, rigorosamente maschio, è sostegno, protezione, aiuto economico e strenuo baluardo contro l’aborto.
La bambina ogni tanto piange e la giovane mamma ce la presenta, sottolineando di essersi rivolta a un CAV durante la gravidanza, altrimenti non sarebbe nata!
Nello sguardo che ci scambiamo c’è la consapevolezza di una scelta: ha voluto rivolgersi a un CAV, non le è stato imposto di incontrarne i militanti in un consultorio pubblico…
Si va avanti ed è un fiume di parole, tutte a gravitare ossessivamente intorno ad alcuni concetti cardine: un bambino, anche entro la dodicesima settimana, sente e capisce tutto, e naturalmente, pur senza menzionarlo, in questo modo l’uguaglianza tra aborto e omicidio è evidente; qualsiasi atteggiamento non ponga, fin dai primissimi giorni di gravidanza, al centro il bambino, rappresenta una forma di egoismo e la mamma deve imparare ad acquisire una sensibilità etero centrata che ha nell’attesa della nascita la sua compiuta realizzazione, espressione che noi traduciamo mentalmente in una riduzione della vita di una donna al solo ruolo di incubatrice…
In conclusione l’invito, ai volontari dei CAV, ad un’attività di attento ascolto, per cogliere qualsiasi indizio di crisi possa essere legato all’annuncio di una gravidanza e poterlo così risolvere in tempo, talmente per tempo che, a seguire, viene mostrato un video destinato alle scuole, che ha come argomento i sentimenti pre e post nascita quali si manifestano nell’incontro tra i genitori e il bambino in grembo!
Tono da confessionale, contenuti banali, nozioni esposte in modo superficiale, docenti universitari che, rivolgendosi all’uditorio e agli organizzatori, usano il “noi” e un linguaggio che denuncia la coscienza di aver come interlocutori persone senza alcuna formazione o competenza specifica di tipo sanitario, medico o psicologico.
Si dà infine spazio alle domande: una signora davvero anziana deplora flebilmente il fatto che presso il CAV in cui lei opera continuino a rivolgersi esclusivamente donne sole e in condizioni di estrema difficoltà, una ragazza chiede se si debbano imporre orari per la pappa, per il gioco e per il sonno a un neonato, una donna sui quaranta racconta la storia della sua vita e vuol sapere se la figlia ventenne non si concentra nello studio a causa delle violenze tra i genitori cui aveva assistito quando era piccola…
E non c’è scherno né ironia nel riportare tali passaggi in questa nostra cronaca, ma una grande rabbia, la stessa che impregna i nostri commenti all’uscita: le donne saranno costrette ad avere a che fare, nei consultori, in un momento così delicato della loro vita, con persone assolutamente incompetenti e inadeguate come sono, evidentemente, quelle che hanno seguito l’incontro accanto a noi?
Ed è sufficiente, presidente Cota, un elenco di assunti inconsistenti in salsa cattolico/integralista per formare chi, secondo la sua Giunta, dovrà affiancare l’equipe consultoriale in presidi pubblici e laici?
Secondo incontro.
Freddo polare, sala piena, di nuovo quasi esclusivamente donne, ma con alcuni significativi cambiamenti: si è abbassata l’età media ed è mutata la composizione sociale delle partecipanti, evidente dagli abiti, dalle pellicce ( quella degli animali è una vita che vale meno), dalle mani ingioiellate e da qualche viso abbronzato…piste da sci o lampade?
E’ utile precisare che siamo alla Crocetta, il quartiere più snob e borghese di Torino.
Entriamo, facciamo incetta di penne gialle del Movimento per la Vita da portare come souvenir, o trofeo, alle compagne e ci sediamo, convinte, dopo il primo incontro, di essere pronte a sorbirci, senza reagire e senza tradirci, due ore di tirata contro l’aborto e contro le donne che hanno scelto di scegliere, ma nulla, davvero nulla può preparare a quello cui abbiamo assistito noi lunedì 13 dicembre.
Titolo della relazione “il figlio nella mente dopo l’aborto”, inizia a parlare la dottoressa Benedetta Foà, consulente familiare che lavora a Milano, e va in scena l’orrore.
La psicologa esordisce con una serie di affermazioni decise: un bambino non è una cosa e non è un problema, non esiste un momento giusto per fare figli perché ogni figlio è un dono di Dio, un bambino rappresenta un momento di crescita e di responsabilità che fa di una coppia una famiglia, le donne che decidono di abortire ingannano se stesse dicendosi di aver fatto la scelta giusta ma in realtà la loro vita è finita e la cosiddetta scelta è solo una delega in bianco dettata da solitudine e immaturità, che non potrà che segnarle anche a distanza di anni.
E via a sciorinare uno dopo l’altro tutti i sintomi che una donna che ha interrotto una gravidanza, in quanto affetta da sindrome da stress post aborto, necessariamente manifesta: senso di colpa, ovviamente!, incubi notturni spaventosi, dolore lancinante, ruminazione mentale (che diamine è?), perdita di forza fisica, abuso di sostanze, disturbi alimentari, perdita della gioia di vivere, perdita del lavoro, angoscia, depressione, nevrosi, bassa autostima, incapacità a uscire di casa, insofferenza verso le donne incinte e, per finire, ritrazione sessuale.
Nessun riferimento accademico, teorico o scientifico, solo vaghi cenni a studi statunitensi, irlandesi e finlandesi degli anni 80, da cui, tra l’altro, emergerebbe che le minori che hanno abortito si suicidano 6 volte di più delle coetanee.
Ma se le ragazzine sono a rischio suicidio, le donne, maggiorenni, che hanno abortito sono donne malate, e come tali vanno curate.
Una compagna sussurra a voce bassa e lo sgomento nello sguardo: con l’elettrochoc?
A questo punto la dottoressa Foà illustra in che cosa consiste la terapia che lei pratica, nell’ ottica di costruire una relazione tra la paziente/mamma, che non è più tale, ma è viva, e il figlio, cui è stata tolta la vita terrena (ma non quella eterna, viene precisato): la “mamma” deve prima scrivergli una lettera, poi, per concretizzarne l’esistenza che gli ha sottratto, portare con sé un ciuccio, un peluche o una tutina e infine, ammettere di aver ucciso.
L’immagine di una donna che viene spinta a confessare l’omicidio del figlio (?!) stringendo tra le mani un oggetto di quel tipo è un vero choc per noi, non è facile rimanere sedute ma resistiamo e osserviamo il viso soddisfatto della consulente mentre ci racconta che a questo punto molte sue pazienti decidono di far dire una messa per il loro bambino e lo lasciano così andare in pace, quella pace che dubitiamo un tale metodo regali loro…
Cambia la scena, cambia il filo conduttore e si passa all’attività dei CAV: cosa fare per difendere la vita, chiede la relatrice, dato che negli ospedali non “ci” vogliono e i medici sono sempre lì con in mano il certificato per l’interruzione prima ancora di capire che cosa la donna voglia fare?
L’insistenza sulla estrema libertà dei medici nel convincere all’aborto è ricorrente lungo tutto il percorso formativo, e a noi vengono in mente le ginecologhe, le infermiere e le ostetriche che abbiamo avuto al fianco nelle lotte in questi anni o che ci hanno accolto nei consultori: disponibili, attente, sensibili, impegnate a far funzionare un servizio che è delle donne e per le donne… secondo il Movimento per la Vita, libere, troppo libere di scegliere e far scegliere.
E’ energico il richiamo finale a ciò che interessa loro davvero: l’ingresso nei consultori e negli ospedali, con l’obiettivo di portarvi misericordia cristiana in generale e spazi di intervento nel particolare, in cui salvare bambini.
Intercettate prima, prese in carico durante, terrorizzate psicologicamente dopo: è questo il destino che hanno in serbo per noi, è questo quello per cui si stanno preparando.
L’incontro è finito, ce ne andiamo esauste e sfiorando il tavolo preparato per il catering ci sembra di vedere tra i vassoi, i piatti e i bicchieri ancora una volta i nostri corpi fatti scempio per un voto, per una promessa elettorale, per sconfiggere finalmente, a trentadue anni dall’approvazione della pur imperfetta legge 194, il nemico che fa loro più paura: la nostra autodeterminazione.
Lo abbiamo detto alle compagne, alle donne che hanno ascoltato incredule il nostro racconto: a noi quel tavolo imbandito ricordava solo il tavolo delle mammane e la nostra risposta non cambia, allora come oggi: sul nostro corpo, sulle nostre vite, sulla maternità, decidiamo solo noi.
Ed è una risposta di vita.
Me-DeA Torino (26/12/2010 medea.noblogs.org)
Identikit tipo di una frequentatrice di tali centri sono l'età avanzata,ceto medio,votante partiti di destra o cattolici e con un innato senso di essere portavoce di Dio in terra con tutto il farneticare che ciò comporta.
Sui temi come l'aborto la libertà di poter decidere è un espressione di pura democrazia,e ciò che i Cav propongono è l'esatto contrario,una costrizione che vorrebbe far rivalere su tutta la società volendo abrogare la legge 194 che permette alle donne appunto la possibilità di scegliere se proseguire o meno la gravidanza a fronte di problemi di varia natura(oltre che a intervenire su altri aspetti legati alla sessualità come l'uso della pillola abortiva e dei metodi preventivi di contraccezione).
Il contributo è tratto da"Senza Soste".
Testimonianza. Cronaca di due giornate vissute con i cattolici integralisti .
Ci siamo fatte “formare” dal movimento per la vita.
Cronaca di due giornate vissute con i cattolici integralisti che vorrebbero occupare i consultori del Piemonte…
Li conoscevamo per la raccolta di firme, effettuata sui sagrati delle chiese, contro la legge 194… li conoscevamo per i manifesti sui quali fotografie di feti ingranditi venivano spacciati per embrioni di poche settimane e mostrati agli studenti e alle studentesse delle scuole medie… li conoscevamo per quel macabro filmato, L’urlo silenzioso, proiettato al Salone del Libro di Torino qualche anno fa… li conoscevamo per le aggressioni e gli insulti alle donne che decidono di interrompere la gravidanza, fuori e dentro gli ospedali… li conoscevamo per averne interrotto e contestato puntualmente i convegni armate di cucchiai e prezzemolo…
… dopo il 29 di ottobre, data in cui il Consiglio Regionale del Piemonte ha recepito il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza” proposto dall’assessore alla salute Caterina Ferrero, che di fatto sancisce l’ingresso nei consultori dei volontari del Movimento per la Vita, abbiamo deciso di “conoscerli” un po’ più da vicino e dato che il Presidente della Regione Roberto Cota già in campagna elettorale si era impegnato a finanziarne la formazione, abbiamo pensato di assistere proprio a un percorso formativo e di aggiornamento per volontari e aspiranti tali.
Quello che segue è il racconto, rigorosamente autentico, della nostra partecipazione a due incontri del ciclo “Maternità oggi, quello che non si sapeva, quello che non si sa più”
Primo incontro.
Sede del Movimento per la Vita, una trentina di persone in sala, la stragrande maggioranza donne tra i 60 e i 70 anni, aria dimessa e un po’ triste, tutte attiviste dei diversi centri di aiuto alla vita (CAV) presenti sul territorio cittadino, pochissimi uomini, decisamente anziani e un gruppetto di giovani donne, una con una neonata.
Argomento della serata la “relazione prenatale e lo sviluppo della personalità”, a cura della professoressa Pia Massaglia, direttrice della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Torino, con intervento previsto del professor Enrico Alba, della facoltà di Medicina.
Ci guardiamo intorno, ci sediamo, un signore si lamenta del fatto che certi programmi sono in mano a gente di sinistra, un’altra ci informa di avere in macchina una foto, scattata da un’amica, di Gesù Cristo: un attimo di smarrimento, incredulità, poi una traccia di sorriso negli occhi… mezzora dopo non rideremo più.
Si comincia e veniamo catapultate in un’altra dimensione, in un tempo e in uno spazio in cui embrioni e feti sono bambini, le donne non sono donne ma mamme, sempre e comunque, la coppia è famiglia occidentale e cattolica, e il partner, rigorosamente maschio, è sostegno, protezione, aiuto economico e strenuo baluardo contro l’aborto.
La bambina ogni tanto piange e la giovane mamma ce la presenta, sottolineando di essersi rivolta a un CAV durante la gravidanza, altrimenti non sarebbe nata!
Nello sguardo che ci scambiamo c’è la consapevolezza di una scelta: ha voluto rivolgersi a un CAV, non le è stato imposto di incontrarne i militanti in un consultorio pubblico…
Si va avanti ed è un fiume di parole, tutte a gravitare ossessivamente intorno ad alcuni concetti cardine: un bambino, anche entro la dodicesima settimana, sente e capisce tutto, e naturalmente, pur senza menzionarlo, in questo modo l’uguaglianza tra aborto e omicidio è evidente; qualsiasi atteggiamento non ponga, fin dai primissimi giorni di gravidanza, al centro il bambino, rappresenta una forma di egoismo e la mamma deve imparare ad acquisire una sensibilità etero centrata che ha nell’attesa della nascita la sua compiuta realizzazione, espressione che noi traduciamo mentalmente in una riduzione della vita di una donna al solo ruolo di incubatrice…
In conclusione l’invito, ai volontari dei CAV, ad un’attività di attento ascolto, per cogliere qualsiasi indizio di crisi possa essere legato all’annuncio di una gravidanza e poterlo così risolvere in tempo, talmente per tempo che, a seguire, viene mostrato un video destinato alle scuole, che ha come argomento i sentimenti pre e post nascita quali si manifestano nell’incontro tra i genitori e il bambino in grembo!
Tono da confessionale, contenuti banali, nozioni esposte in modo superficiale, docenti universitari che, rivolgendosi all’uditorio e agli organizzatori, usano il “noi” e un linguaggio che denuncia la coscienza di aver come interlocutori persone senza alcuna formazione o competenza specifica di tipo sanitario, medico o psicologico.
Si dà infine spazio alle domande: una signora davvero anziana deplora flebilmente il fatto che presso il CAV in cui lei opera continuino a rivolgersi esclusivamente donne sole e in condizioni di estrema difficoltà, una ragazza chiede se si debbano imporre orari per la pappa, per il gioco e per il sonno a un neonato, una donna sui quaranta racconta la storia della sua vita e vuol sapere se la figlia ventenne non si concentra nello studio a causa delle violenze tra i genitori cui aveva assistito quando era piccola…
E non c’è scherno né ironia nel riportare tali passaggi in questa nostra cronaca, ma una grande rabbia, la stessa che impregna i nostri commenti all’uscita: le donne saranno costrette ad avere a che fare, nei consultori, in un momento così delicato della loro vita, con persone assolutamente incompetenti e inadeguate come sono, evidentemente, quelle che hanno seguito l’incontro accanto a noi?
Ed è sufficiente, presidente Cota, un elenco di assunti inconsistenti in salsa cattolico/integralista per formare chi, secondo la sua Giunta, dovrà affiancare l’equipe consultoriale in presidi pubblici e laici?
Secondo incontro.
Freddo polare, sala piena, di nuovo quasi esclusivamente donne, ma con alcuni significativi cambiamenti: si è abbassata l’età media ed è mutata la composizione sociale delle partecipanti, evidente dagli abiti, dalle pellicce ( quella degli animali è una vita che vale meno), dalle mani ingioiellate e da qualche viso abbronzato…piste da sci o lampade?
E’ utile precisare che siamo alla Crocetta, il quartiere più snob e borghese di Torino.
Entriamo, facciamo incetta di penne gialle del Movimento per la Vita da portare come souvenir, o trofeo, alle compagne e ci sediamo, convinte, dopo il primo incontro, di essere pronte a sorbirci, senza reagire e senza tradirci, due ore di tirata contro l’aborto e contro le donne che hanno scelto di scegliere, ma nulla, davvero nulla può preparare a quello cui abbiamo assistito noi lunedì 13 dicembre.
Titolo della relazione “il figlio nella mente dopo l’aborto”, inizia a parlare la dottoressa Benedetta Foà, consulente familiare che lavora a Milano, e va in scena l’orrore.
La psicologa esordisce con una serie di affermazioni decise: un bambino non è una cosa e non è un problema, non esiste un momento giusto per fare figli perché ogni figlio è un dono di Dio, un bambino rappresenta un momento di crescita e di responsabilità che fa di una coppia una famiglia, le donne che decidono di abortire ingannano se stesse dicendosi di aver fatto la scelta giusta ma in realtà la loro vita è finita e la cosiddetta scelta è solo una delega in bianco dettata da solitudine e immaturità, che non potrà che segnarle anche a distanza di anni.
E via a sciorinare uno dopo l’altro tutti i sintomi che una donna che ha interrotto una gravidanza, in quanto affetta da sindrome da stress post aborto, necessariamente manifesta: senso di colpa, ovviamente!, incubi notturni spaventosi, dolore lancinante, ruminazione mentale (che diamine è?), perdita di forza fisica, abuso di sostanze, disturbi alimentari, perdita della gioia di vivere, perdita del lavoro, angoscia, depressione, nevrosi, bassa autostima, incapacità a uscire di casa, insofferenza verso le donne incinte e, per finire, ritrazione sessuale.
Nessun riferimento accademico, teorico o scientifico, solo vaghi cenni a studi statunitensi, irlandesi e finlandesi degli anni 80, da cui, tra l’altro, emergerebbe che le minori che hanno abortito si suicidano 6 volte di più delle coetanee.
Ma se le ragazzine sono a rischio suicidio, le donne, maggiorenni, che hanno abortito sono donne malate, e come tali vanno curate.
Una compagna sussurra a voce bassa e lo sgomento nello sguardo: con l’elettrochoc?
A questo punto la dottoressa Foà illustra in che cosa consiste la terapia che lei pratica, nell’ ottica di costruire una relazione tra la paziente/mamma, che non è più tale, ma è viva, e il figlio, cui è stata tolta la vita terrena (ma non quella eterna, viene precisato): la “mamma” deve prima scrivergli una lettera, poi, per concretizzarne l’esistenza che gli ha sottratto, portare con sé un ciuccio, un peluche o una tutina e infine, ammettere di aver ucciso.
L’immagine di una donna che viene spinta a confessare l’omicidio del figlio (?!) stringendo tra le mani un oggetto di quel tipo è un vero choc per noi, non è facile rimanere sedute ma resistiamo e osserviamo il viso soddisfatto della consulente mentre ci racconta che a questo punto molte sue pazienti decidono di far dire una messa per il loro bambino e lo lasciano così andare in pace, quella pace che dubitiamo un tale metodo regali loro…
Cambia la scena, cambia il filo conduttore e si passa all’attività dei CAV: cosa fare per difendere la vita, chiede la relatrice, dato che negli ospedali non “ci” vogliono e i medici sono sempre lì con in mano il certificato per l’interruzione prima ancora di capire che cosa la donna voglia fare?
L’insistenza sulla estrema libertà dei medici nel convincere all’aborto è ricorrente lungo tutto il percorso formativo, e a noi vengono in mente le ginecologhe, le infermiere e le ostetriche che abbiamo avuto al fianco nelle lotte in questi anni o che ci hanno accolto nei consultori: disponibili, attente, sensibili, impegnate a far funzionare un servizio che è delle donne e per le donne… secondo il Movimento per la Vita, libere, troppo libere di scegliere e far scegliere.
E’ energico il richiamo finale a ciò che interessa loro davvero: l’ingresso nei consultori e negli ospedali, con l’obiettivo di portarvi misericordia cristiana in generale e spazi di intervento nel particolare, in cui salvare bambini.
Intercettate prima, prese in carico durante, terrorizzate psicologicamente dopo: è questo il destino che hanno in serbo per noi, è questo quello per cui si stanno preparando.
L’incontro è finito, ce ne andiamo esauste e sfiorando il tavolo preparato per il catering ci sembra di vedere tra i vassoi, i piatti e i bicchieri ancora una volta i nostri corpi fatti scempio per un voto, per una promessa elettorale, per sconfiggere finalmente, a trentadue anni dall’approvazione della pur imperfetta legge 194, il nemico che fa loro più paura: la nostra autodeterminazione.
Lo abbiamo detto alle compagne, alle donne che hanno ascoltato incredule il nostro racconto: a noi quel tavolo imbandito ricordava solo il tavolo delle mammane e la nostra risposta non cambia, allora come oggi: sul nostro corpo, sulle nostre vite, sulla maternità, decidiamo solo noi.
Ed è una risposta di vita.
Me-DeA Torino (26/12/2010 medea.noblogs.org)
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