giovedì 20 gennaio 2011

ST.PAULI

Lungo e interessante post che riguarda la squadra calcistica del St.Pauli,quartiere di Amburgo isola felice per quanto riguarda il movimento antagonista di sinistra in Germania ed in Europa,roccaforte di una tifoseria tra le più affezionate,coreografiche e rispettate del panorama calcistico internazionale,dove l'antifascismo e la lotta di classe sono ideali imprescindibili e che caratterizzano la vita di questi ultrà-soci della compagine tedesca non solo allo stadio.
Gli articoli presentati,partendo da un pezzo tratto da"Repubblica"seguito da due riportati da"Senza Soste"che appoggia(ed è sostenuta)dalla tifoseria più rossa d'Italia,il Livorno:l'ultimo in particolare fa riferimento a quello centrale in quanto dei dissapori s'erano creati tra la dirigenza del St.Pauli e i tifosi,azionisti della società,che hanno fatto valere le proprie ragioni e tutto sta tornando nei binari.
Purtoppo questo è un calcio che sta scomparendo ed è per questo che tutta la tifoseria del St.Pauli è da prendere come esempio per la loro fermezza negli ideali che da sempre contraddistinguono l'ambiente antifascista di tutta Europa.
Vedi anche il sito http://it.wikipedia.org/wiki/F.C._St._Pauli per informazioni in italiano sulla storia del club oltre che il sito http://usp.stpaulifans.de/ degli ultrà tedeschi.

St.Pauli, i ribelli della Bundesliga la squadra più a sinistra del mondo.

Repubblica — 20 agosto 2010 pagina 53 sezione: SPORT
Prendete una squadra di calcio. Di quelle che non vincono mai. Prendete l' impegno sociale, una bandiera dei pirati, la lotta all' omofobia e al razzismo. Prendete il comunismo, il punk anni ' 80, la prostituzione libera, l' anarchia sociale e l' aria umida di un porto tedesco. Mettete tutto nel peggior quartiere della Germania. A quel punto avrete il St. Pauli Football Club, la squadra più a sinistra del mondo. Nel giorno in cui ricomincia la caccia ai campioni del Bayern, la Bundesliga ritrova anche quegli anarchici incalliti del St. Pauli, secondo club di Amburgo. L' ultima apparizione fu un disastro: nel 2002 solo 4 vittorie e una retrocessione. Poi ha vivacchiato, per lo più in III Divisione, fino a quando è passato nelle mani dell' impresario teatrale Corry Littmann, il primo presidente dichiaratamente omosessuale nella storia del calcio tedesco. Appena arrivato, Littmann ha capito che il St. Pauli non era una società come le altre. Qui contano i principi, bisogna essere fedeli alla linea. Tutto ciò che è business ed establishment viene apprezzato quanto un astemio in un pub amburghese. Bilancioe classifica sono dettagli. Una filosofia di vita stampata nello stemma: "Non established since 1910". Liberamente tradotto: rifiutiamo tutto ciò che è "sistema". Per trovare la sede sociale del St. Pauli bisogna infilarsi nel quartiere più malfamato di Amburgo, segnalato in tutte le guide europee come il posto da non visitare mai: il distretto a luci rosse Reeperbahn, vicino al porto. Nascondiglio per prostitute, ruffiani, spacciatori e criminali. Tutti tifosi del St. Pauli, naturalmente. La bandiera della squadra è il vessillo dei pirati, adottato dal club quando un gruppo di squatter lo portò per scherzo ai giocatori vent' anni fa. Da allorai tifosi si sono ribattezzati "i bucanieri". La leggenda del St. Pauli, squadra dai risultati sportivi irrilevanti senza fenomeni in campo, con in panchina il suo ex giocatore Holgar Stanislawski, nasce negli anni ' 80. Punk, artisti, prostitute, studenti e banditi bazzicavano tutti le vie di Reeperbahn. Risse, criminalità e guerre tra bande erano pane quotidiano. Poi la domenica occupavano i 35mila posti del Millerntor Stadium. In mano la bandiera dei pirati, o quella di Che Guevara. Addosso magliette contro il razzismo e il neonazismo. Ieri se n' è occupata la Cnn. È stata la prima società di calcio a promuovere campagne sociali. Ha ospitato il mondiale per nazioni non riconosciute, ha giocato contro Cuba per solidarietà a Castro, ha messo in piedi un torneo per rifugiati politici. Quanto basta per raccogliere - secondo Ufa Sports - 11 milioni di fan. Tifosi che decidono le politiche della società: di recente hanno impedito la vendita dei diritti del nome dello stadio, mossa che avrebbe portato nelle casse svariati milioni, ma giudicata commerciale. Così il St. Pauli ha solo due obiettivi: battere i cugini ricchi dell' Amburgo e rimanere fedeli alla linea. - FABIO TONACCI

Nel magico mondo di Sankt Pauli .


SANKT PAULI (AMBURGO) - Ti svegli, fai colazione con la famiglia, scendi in strada, incontri gli amici e poi vai allo stadio a vedere la partita della tua squadra con moglie e figli. Ci vai a piedi, passeggiando in un quartiere a misura d’uomo. Fuori compri delle bibite ai tuoi ragazzi e tu ti fumi un bel sigaro cubano. Dentro lo stadio ti bevi una buona birra tedesca alla faccia delle restrizioni e dei divieti. Magari il sabato pomeriggio sei andato nella palestra del quartiere a vedere la partita della squadra non vedenti e a ruota, a trecento metri di distanza, quella della squadra “amateur” (amatori). Benvenuti a Sankt Pauli, dove squat e centri sociali sono ormai quasi definitivamente scomparsi (sgomberati dalla polizia e dall’amministrazione comunale dopo decenni di battaglie), ma dove il calcio è ancora un elemento di vera socialità in cui il tifoso non è un mero consumatore come accade ormai da anni in Italia, ma al contrario è parte integrante del club.

Lo stadio.

Lo stadio Millentorn, al momento un affascinante impianto in continua trasformazione che mette insieme terraces (le gradinate con i posti in piedi) e tribune ultramoderne, si trova nel cuore del quartiere ed è sempre esaurito da almeno sei anni, ovvero quando la squadra vivacchiava in terza serie. Oggi è uno degli stadi più carini e funzionali del mondo, a 200 metri dal porto più importante d’Europa, da cui nel Cinquecento partivano i pirati per solcare i sette mari. Insomma tutto il contrario di quello che succede da noi dove gli stadi vengono costruiti con soli posti a sedere (qui, al contrario, oltre la metà sono in piedi su precisa richiesta dei tifosi) e lontano dai centri cittadini.
In fase di costruzione è l’asilo nido all’interno della tribuna centrale, che permetterà ai genitori di “parcheggiare” i propri figli all’interno dello stadio durante la partita.

Il merchandising.

Il St. Pauli è un brand. Che mescola insieme politica e società, anarchia e contropotere. Il tutto istituzionalizzato nel motto presente nel marchio “Not established since 1910” (“lontano da ogni esercizio di potere dal 1910”). Il merchandising, come hanno ironicamente sottolineato i tifosi dell’Amburgo domenica scorsa con uno striscione (“Siete come la birra Astra – sponsor storico del St. Pauli, ndr – un prodotto scadente con un gran merchandising”), è di primissimo ordine, sia come qualità che come volume di vendite. Lo scorso anno, con la squadra in seconda serie, ha venduto più materiale di Milan e Juventus. Parole d’ordine come “antifascismo” e “antirazzismo” sono impresse su molti prodotti ufficiali, a fianco dell’immancabile Jolly Roger, il teschio simbolo dei pirati, che oltre ad essere il conosciutissimo ed originalissimo marchio del club, dà anche il nome al pub dove si ritrovano i tifosi più caldi.

Il Sankt Pauli è di chi lo tifa.

“I soci sono il St. Pauli – spiega Massimo Finizio, ex presidente della assemblea dei soci, italiano trapiantato ormai da più di dieci anni a St. Pauli – perché i soci decidono e dirigono il club. Sono loro i proprietari e gli amministratori della società. Ma è errato parlare di “azionariato popolare”: i soci non sono azionisti, ma partecipano alle attività sia sportive che dirigenziali del club stesso. Con questo connubio, il Sankt Pauli fattura solo in merchandising oltre 10 milioni di euro annui e solo l’anno scorso sono state vendute più di 40mila maglie ufficiali”. Ogni mese il St. Pauli, ci spiega Finizio sorridendo, registra oltre 100 nuovi soci. “Il segreto? Semplice, qua si parte dalla base, al contrario di quanto purtroppo succede in Italia, dove pochi decidono le sorti di molti. Il socio, ad esempio, disegna le maglie e non a caso il St. Pauli quest’anno ha gia vinto un campionato, quello della più bella maglia della Bundesliga. Il socio ha deciso che il nome dello stadio non potrà mai essere venduto a nessun’azienda o multinazionale, come invece succede in Inghilterra e come presto accadrà anche da noi. Nel mezzo della curva dove trovano posto gli ultras – ci racconta Finizio – c’è uno striscione storico, “Millentorn”. Ebbene, poco tempo fa l’Astra, uno storico sponsor del St. Pauli che produce birra, ha chiesto di togliere quello striscione per inserire un proprio banner. Apriti cielo! E infatti il club ha declinato l’offerta su precisa richiesta dei tifosi. “In Italia – sottolinea amaramente Finizio – la chiamano tessera del tifoso ma sarebbe più opportuno ribattezzarla “tessera del consumatore”. Qua i tifosi hanno la tessera da socio, che va oltre l’identificazione di tifoso: i tifosi del St. Pauli sono il St. Pauli”.

Il derby.

Domenica andava in scena una partita storica. Per la prima volta nell’era moderna, il St. Pauli ha potuto giocare il derby con gli odiatissimi rivali cittadini dell’Amburgo nel proprio stadio (nelle edizioni precedenti, per motivi di ordine pubblico, si è sempre giocato in casa dell’Amburgo). Un derby non paragonabile a nessuna stracittadina italiana. Una contrapposizione di mentalità e di storia, ma anche di classi, una borghese e spiccatamente capitalista, l´altra proletaria e popolare, che va allo stadio per divertirsi, indipendentemente dalla categoria in cui il St. Pauli milita e dall’avversario contro cui gioca. Divertirsi, parola ormai sconosciuta negli stadi italiani da cui molti hanno deciso di allontanarsi e una buona parte di coloro che continuano ad andare allo stadio sembra lo facciano ormai più per dovere che per piacere.
I tifosi dell’Amburgo hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per ottenere uno dei 2.500 biglietti loro riservati. Gli altri invece si sono radunati in 40.000 all’interno del loro stadio dove è stato allestito un maxischermo gratis e una festa per i soci del club. Da notare che anche 800 tifosi del St. Pauli senza biglietto hanno potuto assistere a questo evento senza che per questo ci fossero problemi di ordine pubblico. Altre svariate migliaia di tifosi dell’Amburgo, invece, hanno affittato numerosi pub dentro St. Pauli e nel limitrofo quartiere di Altona. Gli ultras (forse un po’ dimenticati dal proprio club che ha messo loro a disposizione solo 500 dei 2.500 biglietti complessivi), invece, hanno cercato di entrare allo stadio senza biglietto caricando all’ingresso. Ci sono riusciti in 200 anche dopo essersi scontrati con la polizia. E fuori dallo stadio, nel quartiere, non sono mancati i tafferugli, sempre creati e cercati dagli ultrà dell’Amburgo, con i pacifici tifosi del St. Pauli costretti a giocare “di rimessa”. Alla fine il bilancio sarà pesante: oltre 50 fermati e decine i feriti. Numeri inusuali per il calcio tedesco, anche se i tifosi del St. Pauli sono ormai abituati alle provocazioni degli ultrà avversari, soprattutto quando questi sono contrassegnati da ideologie neonaziste.
In campo il St. Pauli è stato raggiunto solo all’88’ con il classico tiro della domenica del talentuoso croato Petric. Per uno scherzo del destino, la prima vittoria dei marroni in un derby al Millentorn avrebbe portato la firma di Fabian Boll, forse il calciatore meno amato dai tifosi visto che oltre a fare il calciatore è anche ispettore della polizia criminale di Amburgo.
Ma al di là del dato statistico, ciò che ci ha maggiormente sorpreso è lo stadio, al fischio finale, non si é svuotato immediatamente come succede purtroppo da noi: entrambe le squadre sono rimaste in campo e hanno ringraziato i tifosi per il loro grande tifo: grandi cori, striscioni, coreografie e sfottò da ambo le parti. In barba a quelle leggi stupide e inutili che abbiamo in Italia, stelle filanti, rotoli di carta, megafoni, coriandoli e fumogeni (questi in realtà vietati anche in Germania) hanno creato quella atmosfera elettrica che noi abbiamo ormai dimenticato da anni. Cori, battimani e saltelli simultanei hanno fatto vibrare il Millentorn come accade a Pozzuoli durante il bradisisma. E poi non va dimenticato che i tifosi delle due squadre erano seduti uno accanto all’altro un po’ in ogni settore. Immaginate tifosi della Juventus a Firenze che festeggiano un gol dei bianconeri in mezzo alla curva Fiesole?
“Ah, dimenticavo una cosa importante”, ci fa Finizio prima di salutarci. “Lo sai che il St. Pauli con oltre il 35% ha la più alta presenza femminile allo stadio di tutta la Bundesliga?”. “Un altro calcio è possibile”, gli rispondiamo noi. Ma è una risposta sarcastica: noi abitiamo in Italia, abbiamo Maroni, tessere del tifoso, teppisti in divisa, ma soprattutto presidenti padroni e tifosi sottomessi.
per Senza Soste, Tito Sommartino (tratto da Senza Soste n. 53, ottobre 2010)
St. Pauli, la rivoluzione rossa .
I soci del Sankt Pauli contro la corsa sfrenata della propria dirigenza verso la peggiore commercializzazione (e il totale snaturamento) del club. La più grande protesta forse mai avvenuta in uno stadio tedesco ed europeo.
Tutto è andato liscio come l’olio, pacificamente e senza problemi, tanto che ci viene il serio dubbio che forse in Italia si debba imparare anche su come protestare e come far valere le proprie ragioni.
E i soci del club più originale al mondo, di ragioni ne avevano tante. Ultimamente i responsabili del marketing avevano superato il limite di sopportazione, come alcuni degli organizzatori della protesta hanno scritto nei loro comunicati. Se il commercio è l’anima di una squadra di Bundesliga, non per questo si deve vendere l’anima al diavolo come hanno fatto i dirigenti del club, che hanno venduto vari abbonamenti “vip” ad alcuni bordelli locali accordandosi con loro per l’esecuzione di streap teases durante le partite. Una cosa ancor più incomprensibile dal momento che lo stesso club si era vantato solo un mese fa, di essere stato il primo club al mondo ad aver aperto un asilo nido in un settore della tribuna centrale. Insomma, un asilo nido accanto ad un bordello ? No, non era accettabile.
Gli iniziatori della protesta, auto proclamatisi “romantico-sociali” (http://www.sozialromantiker-stpauli.de/wordpress/?p=12) hanno sottolineato con un manifesto tutti i motivi di disappunto riguardo l’attuale conduzione societaria del club. Il gioco del calcio, per i soci del St. Pauli, resta un divertimento e al tempo stesso uno stile di vita, dove al centro di tutto resta un pallone che viene calciato da una parte all´altra per poi finire probabilmente in porta e segnare un gol. In questo stadio infatti si respira ancora una atmosfera da anni ‘50, forse ‘60, dove gli stessi soci sono i proprietari del club stesso avendo lo statuto una connotazione di azionariato popolare. Lo statuto inoltre dà le linee generali della convivenza dei soci ed al quale tutti si devono attenere, dirigenti compresi. Niente a che vedere quindi con un club italiano o con il Manchester Utd. di Glazer dove uno comanda su tutti, senza esperienza calcistica, senza soprattutto il cordone ombelicale di collegamento con i propri sostenitori detentori della storia del club. Quello che manca da noi infatti è la storia che viene tramandata da tifoso a tifoso, il sentimento, l’amore per il club. Da noi ormai da molti anni esiste il sistematico sfruttamento di un nome, il cosiddetto “brand”, dimenticandosi che questo altro non è che il risultato di anni ed anni di attaccamento di migliaia di tifosi al club. Se gli stadi da noi sono vuoti è anche perché chi si prende un club, lo fa sempre senza amore e senza attaccamento ai colori. Basti vedere cosa ha fatto Glazer col Manchester Utd. o la stessa Roma che sta cercando di essere venduta come un pacco postale, dimenticandosi che nei quartieri della capitale, nei bar, nei negozi, e nelle pareti di casa vengono attaccati al muro i poster con lo striscione “Ti Amo” che i tifosi cucirono senza dormire la notte prima di un derby. Non certo ci sono le foto dei direttori sportivi o dei presidenti.
Al Sankt Pauli migliaia di soci hanno aderito alla petizione dei romantico-sociali, ribadendo che il club è in mano dei tifosi che ne scrivono la storia. Hanno detto “no” alla commercializzazione sfrenata come si legge nei loro manifesti di protesta, che il club appartiene a loro, che non desiderano sponsor di società che finanziano stati che sono in guerra, ditte razziste e sessiste, che durante i 90 minuti della partita il marketing non deve distrarre il pubblico con pubblicità non corrette, sms assurdi e che è il tifoso il vero padrone dello stadio.
Il colore scelto per la protesta è stato il rosso. Sabato scorso in occasione del match interno contro il Friburgo, migliaia di bandiere e cartoncini rossi con impresso il teschio simbolo del club hanno accolto l'entrata in campo dei marroni(il video: http://www.youtube.com/watch?v=-Sq1Dfqy_TI). Rosso è il colore del pericolo, come al semaforo, col quale hanno chiesto alla dirigenza di fermarsi prima che sia troppo tardi. Ma rosso è anche il coloro della protesta politica, del socialismo. Rosso è anche il colore dell’amore per un calcio e un club che ancora diverte e fa sognare. E i risultati sembra che stiano già arrivando: attraverso un comunicato stampa, il vice presidente Gernot Stenger ha detto che il club rivedrà le situazioni caso per caso (non poteva essere altrimenti). In particolare ha assicurato che allo stadio non ci saranno più streap tease.
La favola può continuare.

Per Senza Soste, Massimo Finizio

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