venerdì 5 febbraio 2021

NON C'E' IL CORAGGIO DI FARE CADERE IL CAPITALISMO

Mentre il caos controllato regna sulla politica italiana dove il solito vomitevole banchetto della politica dà il peggio di sé,proprio da noi ed in Europa in un contesto mondiale ci sono state un paio di notizie che forse vale la pena di riportare in merito al capitalismo che(alcuni lo dicono a ragione da sempre)non è più gestibile e tollerabile,ma di contro le misure che si stanno attuando di certo non stanno portando alla fine di esso.
Partendo con gradi nel primo articolo(contropiano news/internazionale )in merito all'incontro annuale di Davos stavolta non in presenza del world economic forum di Davos oltre alle ovvie riflessioni sul periodo pandemico che ha fortemente condizionato l'economia,col risultato di avere i ricchi più ricchi ed i poveri più poveri ed in costante aumento ma questo l'ho detto io e non loro,c'è stato l'interessante intervento del Presidente francese Macron.
Che comunque loda il capitalismo perché ha portato se non alla ricchezza al benessere economico milioni di persone per poi nemmeno attaccarlo ma comunque ridimensionarlo poiché ha provocato al contempo dieci volte tanto il numero di poveri,con i lavoratori nel limbo tra i produttori e consumatori,ma un poco più spostati verso l'inferno.
Nel secondo invece c'è stata l'audizione in Parlamento già in piena crisi di un importante dirigente Istat che i più non hanno ritenuto esser degno di nota ma che ha sviluppato un tema anch'esso già risaputo e che riguarda il fatto che la tassazione italiana colpisca molto di più le famiglie che le imprese e che quelle composte da lavoratori dipendenti siano molto più esposte ad avere la percentuale maggiore.
E'inutile ricordare che il governo italiano alla fine dello scorso anno(madn il-disatteso-articolo-53-della costituzione )non ha nemmeno tentato di avviare la pratica della tassazione verso i più ricchi osteggiati già dall'interno della maggioranza stessa,che aveva i giorni già contati.

Davos. Macròn mette in guardia sul capitalismo, Xi Jinping dalla nuova guerra fredda

di  Sergio Cararo   

Il 25 gennaio scorso a Davos ha preso il via l’annuale World Economic Forum che riunisce capi di stato,  manager, banchieri e influencer dell’establishment internazionale. Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte era atteso per ieri 27 gennaio, con un suo intervento, ma la crisi di Governo lo ha costretto a rinunciare. In questi giornate ci sono stati o sono previsti gli interventi di Angela Merkel, Ursula von der Layen, Xi Jinping, Emanuelle Macròn, Vladimir Putin, Banjamin Netaniyahu, Bill Gates ed altri pezzi da novanta. Debole invece la presenza della nuova amministrazione statunitense.

L’agenda dei lavori dal 25 al 29 gennaio si occuperà di 7 temi come salvare la Terra; rendere più eque le economie; sviluppare la tecnologia; costruire la società e il lavoro del futuro; migliorare il mondo del business; migliorare i sistemi sanitari; incentivare il multilateralismo.

Insomma, come nelle scorse edizioni, il World Economic Forum è sempre lastricato di buone intenzioni. Il problema sono sempre le declinazioni delle soluzioni alle emergenze e alle disuguaglianze del pianeta. Ma tra queste il socialismo non è certo previsto come alternativa possibile. E’ evidente però come nell’edizione di quest’anno, su tutte le discussioni sia stato incombente il convitato di pietra che ha spazzato via ipotesi consolidate e scombinato tutte le agende delle relazioni economiche e di quelle internazionali: la pandemia globale di Covid 19.

Ieri, da remoto come la gran parte degli ospiti, è intervenuto Putin affermando che la pandemia “ha accelerato i cambiamenti strutturali nella sfera economica, sociale e politica del mondo intero, che già erano presenti prima”, aggiungendo che il mondo “rischia di scivolare nella distopia” a meno che non verranno affrontate “le sfide politiche, economiche, sociali e tecnologiche che la terza decade del 21esimo secolo pone”. L’intesa tra Mosca e Washington per estendere per cinque anni il trattato New Start è “un passo nella giusta direzione” per ridurre le tensioni globali: ha detto Putin intervenendo da remoto al World Economic Forum di Davos. “Sicuramente è un passo nella giusta direzione, ma, tuttavia, le divergenze continuano ad avvitarsi in quella che viene chiamata una spirale”.

Martedi la scena è stata invece dal presidente francese Macròn che ha sorpreso  molti affermando che il “Modello capitalista non può più funzionare”. Secondo Macròn “Il capitalismo e l’economia di mercato non si possono certo liquidare in fretta, dal momento che hanno tirato fuori dalla povertà molti milioni di persone e offerto accesso a beni e servizi in un modo senza precedenti, allo stesso tempo, però, hanno espulso dal ciclo produttivo altre centinaia di milioni di cittadini che hanno dovuto subire shock economici legati alle delocalizzazioni, hanno perso il lavoro e sentono di aver perso la loro utilità”. Macròn ha poi sottolineato che: “Abbiamo creato un sistema a due pilastri, i produttori e i consumatori, che però hanno schiacciato i lavoratori. Questo ha  creato danni gravissimi all’ambiente e ha alimentato la crisi della democrazia”.

Le considerazioni “illuminate” di Macròn al Forum di Davos, vanno lette però alla luce di quelle del suo Ministro dell’Economia Le Maire il quale sostiene che i “buoni propositi” hanno bisogno di diventare impero ed imperialismo europeo per pesare dentro le relazioni internazionali di questo burrascoso scorcio del XXI Secolo. Insomma siamo all’incubazione dell’imperialismo “dal volto umano”, una sorta di riedizione della divaricazione del passato tra il “modello renano” europeo e quello del liberismo brutale anglosassone. Resta solo di aspettare al varco gli eterni sostenitori del meno peggio che non tarderanno a celebrarne i fasti e le opportunità.

Lunedi invece era stato il presidente cinese Xi Jinping a tenere banco con  il suo intervento. In un momento in cui la pandemia di Covid-19 “non è ancora finita”, la via d’uscita dai problemi attuali “è un rafforzamento del multilateralismo” ha detto Xi Jinping, durante il World Economic Forum a Davos. “Bisogna rafforzare il coordinamento macroeconomico globale” sottolineando che “la ripresa globale rimane traballante”.

Il rafforzamento del multilateralismo e, di conseguenza, dell’economia globale secondo il presidente cinese va di pari passo con il miglioramento delle politiche sulla sicurezza sanitaria globale. “La governance della sicurezza sanitaria pubblica globale deve essere rafforzata. Nessun problema globale può essere risolto da un Paese solo. Dobbiamo dare campo libero all’Organizzazione Mondiale della Sanità in modo che possa costruire una comunità globale per la salute di tutti noi“, ha detto Xi Jinping, sottolineando come la comunità internazionale dovrebbe essere guidata “in accordo con le regole e con il consenso di tutti i Paesi, anziché con uno o più Paesi che danno ordini”.

Il presidente cinese ha anche posto l’accento sulla “nuova guerra fredda” che può solo portare a “un vicolo cieco”. Senza mai nominare gli Stati Uniti, Xi si è atteggiato a difensore di multilateralismo e globalizzazione, come aveva già detto quattro anni fa, appena prima che Donald Trump salisse al potere. Meno di una settimana dopo che Joe Biden è arrivato alla Casa Bianca, il presidente mette in guardia quest’ultimo contro una continuazione della politica anti cinese del suo predecessore che aveva fatto della Cina il suo rivale numero uno, soprattutto in termini commerciali e tecnologici. “Chi crea clan o inizia una nuova guerra fredda, chi rifiuta, minaccia o intimidisce gli altri, chi imporre l’allontanamento tra popoli, o interrompere le catene di appalti con le sanzioni, al fine di indurre l’isolamento, sta solo spingendo il mondo alla divisione e persino allo scontro”, ha avvertito Xi Jinping.

Il complesso, tumultuoso e disarticolato mondo del secondo decennio del XXI Secolo è sul tavolo e nessun big del mondo occidentale sembra avere le idee chiare su cosa fare per affrontarne le profonde contraddizioni che si sono prodotte. Anche perchè il loro perimetro politico, ideologico, filosofico rimane quello del capitalismo cioè della causa principale delle disuguaglianze sociali e dell’infarto ecologico del pianeta. E così non esiste meno peggio che tenga… e non si va da nessuna parte.

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Più pesanti le imposte sui redditi delle famiglie che per imprese e capitali.

di  Sergio Cararo   

Le imposte sui redditi di individui e famiglie pesano per il 27,5% delle entrate totali, mentre quelle sui redditi delle imprese si fermano al 4,6%”. La notizia non è entrata come avrebbe dovuto nell’agenda politica italiana, eppure è la conferma macroscopica di uno degli indicatori delle accresciute disuguaglianze sociali in Italia.

Infatti il sistema fiscale nel nostro paese è “fortemente sbilanciato” contro persone e famiglie, mentre nei confronti delle imprese è “il terzo paese per imposizione fiscale più bassa dopo Lettonia ed Estonia”.

Ad affermarlo non è Contropiano o Potere al Popolo, ma Gian Paolo Oneto,  direttore della direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica dell’Istat in una recente audizione alle commissioni Finanze di Camera e Senato sulla riforma dell’Irpef.

“Le imposte sui redditi di famiglie e individui costituiscono una delle due voci prevalenti delle imposte dirette, essendo l’altra rappresentata dalle imposte sui redditi e sui profitti delle imprese. Il sistema italiano  è fortemente sbilanciato a favore delle imposte sui redditi di individui e famiglie che pesano per il 27,5% delle entrate totali, mentre quelle sui redditi delle imprese si fermano al 4,6%” –  ha spiegato nell’audizione parlamentare il dott. Oneto – aggiungendo che: “Questo sbilanciamento – è condiviso con la totalità dei paesi europei (fa eccezione solo Cipro), ma la differenza di peso delle due componenti assume intensità variabili: una differenza superiore a 20 punti percentuali si registra, oltre che in Italia, solo in Danimarca, Finlandia, Svezia e Lettonia. Il peso delle imposte sui redditi e i profitti di impresa in Italia è il terzo più basso d’Europa, superiore solo a quello che si osserva in Lettonia ed Estonia, mentre nel resto del continente, fatta eccezione per Grecia e Slovenia, questo peso raggiunge e per lo più supera il 6%”.

Osservando poi la dinamica del fisco negli ultimi 20 anni in Italia, come in altri Paesi, si è “optato per una riduzione significativa (di almeno due punti percentuali) del peso delle entrate fiscali a favore dei contributi sociali” viene precisato nella relazione presentata dal dirigente dell’Istat.

“La riduzione del peso delle entrate fiscali in Italia (-2,5 punti percentuali tra il 2010 e il 2019) è dovuta principalmente alle imposte indirette. (soprattutto dell’Iva, ndr). Ma è il passaggio successivo quello che conferma come l’imposizione fiscale in questi anni abbia sempre agevolato i profitti delle imprese e i guadagni da capitali mentre ha penalizzato i redditi delle famiglie. Spiega il dott. Oneto che: “La variazione limitata dell’incidenza delle imposte dirette (-0,6.) è  la risultante di una dinamica caratterizzata da una riduzione del peso delle imposte sui redditi e profitti di impresa (-1,0) e di quelle sui guadagni di capitali (-2,0.) e, all’opposto, da un aumento delle imposte sui redditi di individui e famiglie (+2,1). Dinamiche simili si sono osservate in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Lettonia, anche se l’Italia si caratterizza per la maggior riduzione del peso delle imposte sui guadagni di capitali (tra i paesi per cui e’ disponibile il dato su questo aggregato)”.

Non solo. Secondo il dirigente dell’Istat andrebbe riequilibrato lo svantaggio relativo in termini di tassazione delle famiglie con un unico percettore di reddito da lavoro dipendente o pensionistico: “Le famiglie che dispongono delle sole entrate da lavoro autonomo presentano livelli di tassazione più favorevoli sia nella parte inferiore, sia in quella superiore della distribuzione del reddito, con un vantaggio più marcato quando vi sono due o più percettori di redditi autonomi”.

Adesso delle due l’una. O un dirigente dell’Istat è impazzito, oppure l’elaborazione dei dati sull’imposizione fiscale nel nostro paese negli ultimi venti anni, conferma quello che andiamo denunciando da tempo, ovvero che il sistema fiscale ha sistematicamente colpito i redditi delle famiglie e ridotto le imposte a profitti d’impresa e guadagni da capitale.

L’audizione in Parlamento del dirigente dell’Istat, complice la crisi di governo, non ha avuto il risalto che avrebbe dovuto avere. In compenso ha procurato al dott. Oneto molti insulti e contumelie da parte di persone con la partita Iva che ovviamente hanno guardato solo all’albero (il loro) e non alla foresta (un sistema premiale da un lato e penalizzante dall’altro).

Si ripropone una eterna querelle tra chi si vede costretto a pagare direttamente e con periodicità le imposte tramite l’F24 o con il cash e chi se le vede togliere direttamente e silenziosamente dalla busta paga e dalla pensione ogni mese. I primi hanno la sensazione di pagare molto, più di altri, i secondi non possono che pagare e vedere il lordo della paga assottigliarsi fino ad un netto decisamente inferiore.

Ma questa è la situazione da tempo e, di fronte alle disuguaglianze sociali già esistenti ed ora a quelle accentuate dagli effetti della pandemia e delle misure restrittive, è tempo che questi mondi comincino a guardarsi non con recriminazioni e ostilità che, come vediamo non sempre hanno ragione di manifestarsi, ed invece comincino a muoversi insieme per imporre un sistema fiscale più ugualitario e meno premiante con i patrimoni finanziari e i guadagni di capitale. Perché questo è quello che con cui occorre fare i conti, a cominciare da una vera Billionaire Tax.

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