Dall’austerity al whatever it take. Draghi sempre e comunque nemico del popolo.
di Cristina Re
È completamente fuorviante cercare di rappresentare come due personalità diverse quella di Draghi privatizzatore, ex-banchiere, falco dell’austerity contro Grecia e Italia, contrapposta al Draghi del ‘Whatever it takes’ e delle politiche monetarie espansive, perché svolgono entrambi la stessa funzione. Infatti, con lucido pragmatismo Draghi porta avanti le necessità della borghesia europea a seconda di come queste si presentano nel tempo. Nel 2011-2012, c’era bisogno di salvare il sistema finanziario europeo e l’eurozona scaricandone i costi sulla classe lavoratrice? E così ha fatto, piegando a questo scopo tutti i trattati necessari. Non pensiamo che il Whatever it takes abbia portato benessere alla collettività, perché ha di fatto solo regalato alle banche miliardi di miliardi che non hanno mai avuto un riflesso nell’economia reale, sulla quale invece si è scagliata la scure di tagli, privatizzazioni e aziendalizzazioni.
Oggi serve la politica fiscale per salvare le industrie europee? E allora via al “debito buono”, in barba a fiscal compact e pareggio di bilancio. Anche qui, non crediamo che questo debito sarà speso per il benessere collettivo.
Nella famosa intervista al Financial Times è Draghi stesso ad essere chiaro: bisogna salvare il settore privato cancellandone il debito o assorbendolo con i bilanci pubblici. Nel fare ciò vanno abbandonate le imprese zombie (piccole e medie imprese che non potrebbero reggere lo scontro interimperialista) e bisogna puntare sui campioni europei (come ad esempio Stellantis, fusione di FCA e Peugeot). Questo significa scaricare nuovamente la crisi sui lavoratori autonomi e dipendenti, sui giovani e sulle donne, acuendo la polarizzazione del mercato del lavoro, le differenze tra aree geografiche e la disoccupazione. Il nuovo mantra sarà “più Stato per il mercato”. Whatever it takes.
Non che il governo Conte non avesse in testa lo stesso progetto (e il programma Next Generation EU ne è la dimostrazione lampante), ma anche il solo tentativo di provare a mediare con alcuni settori perdenti della borghesia era inaccettabile. Una dimostrazione ulteriore che il sistema non è riformabile dall’interno.
Magari qualcuno ha il tempo per dire “lasciamo lavorare Draghi per vedere cosa fa”, “le sfumature sono più importanti”, “è onesto e preparato”, “magari piove qualche briciola in più” ecc, ma per una generazione devastata dalle politiche europee non c’è un secondo da perdere per costruire l’opposizione e la controffensiva.
Si parte da Roma, sabato ore 11:00, presidio in Piazza San Silvestro.
#romperelagabbiaUE
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Moltiplicano i pani, i pesci e i Salvini.
di Giulio Cavalli
Non serve nemmeno frugare troppo in giro per ritrovare ciò che pensava di Draghi Matteo Salvini fino a dieci minuti prima di diventare draghiano e europeista e addirittura così “responsabile” da chiedere per sé il Ministero dell’istruzione. Il 6 febbraio del 2017 diceva «L’euro non è irreversibile come sostiene Mario Draghi. Mi spiace ci sia un italiano complice della Ue che sta massacrando gli italiani e l’economia italiana». E quando qualcuno gli parlava dello spread e dell’Europa (che sarebbero tra i motivi che oggi hanno convinto il leader della Lega all’ennesima giravolta) disse letteralmente: «Noi vogliamo che l’Italia torni a scegliere, a decidere, a sperare nel futuro. Il ricattino dello spread lo abbiamo già visto 5-6 anni fa, non ci casca più nessuno. Non sono tre banchieri, tre massoni o tre finanzieri a tenere in ostaggio il popolo italiano». E, sempre nel 2017, quando fu Berlusconi a fare il nome di Draghi al governo (questo a dimostrare da quanto il nome di Draghi veleggi e da quei lidi fosse invocato) Salvini rispose: «Non se ne parla nemmeno. Mario Monti bis. E la fotocopia di Mario Monti non mi interessa».
Salvini dunque ha cambiato idea ed è vero che sono gli stupidi che non cambiano mai idea ma ci sono anche quelli che scambiano l’opportunismo per responsabilità e si impegnano in queste ore a esercitare una narrazione che vorrebbe convincerci che sia addirittura un privilegio avere un governo con “tutti dentro” come se la politica fosse davvero una livella che tiene tutti a cuccia, basta trovare l’uomo giusto per zittire. E questi strani frequentatori della democrazia che ritengono il ruolo dell’opposizione semplicemente come quelli “che sono stati fuori dal giro delle poltrone” incensano lo splendore di un governo in cui tutti diventano potabili, in cui tutte le idee accettano di essere piallate e in cui le differenze vengono dimenticate: sognano uno studio associato di segretari del commercialista da poter rivendere come Parlamento. È il loro obiettivo. Che la Lega in Europa si sia astenuta sul Recovery Fund nel dicembre del 2020, che abbia votato no ai Coronabond, no alla condanna di Putin per il caso Navalny (a settembre 2020) e tanto altro rientra semplicemente nelle “gag” leghiste che ora siamo disposti a tollerare.
Lo scriveva bene ieri il blog satirico Spinoza: «Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa farmi entrare nel tuo governo». E ora anche Salvini diventa uno statista poiché è stato bacchettato sulle dita da Confindustria e ha deciso di rimettersi a cuccia, ovviamente solo per il tempo di trovare uno spiraglio per scassare tutto appena i sondaggi gli diranno di andare a elezioni.
Qualcuno nel delirio di questa desertificazione che chiamano “responsabilità” in questi giorni tenta anche irresistibili confronti con il passato. Ieri proprio Salvini per giustificare il suo ingresso al governo ha tirato fuori il governo guidato da Alcide De Gasperi dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946 che teneva insieme Dc, Pci, Partito d’azione, Psiup, Pli e Partito del lavoro. Peccato che abbia dimenticato di dire che tutti quelli avessero lottato contro il fascismo e ne avessero subito la persecuzione. Ma anche l’antifascismo, se notate bene in giro, è un argomento “disturbante” per l’unità nazionale. Avanti così.
Ma il vero capolavoro politico sono quelli che esultano per l’operazione in corso che poi sono gli stessi che esultavano per la scorsa operazione politica “capolavoro” che ci avrebbe dovuto liberare da Salvini: il capolavoro, lo scrivevamo qualche giorno fa ora è Matteo che ha riabilitato Matteo. Segnatevelo: sono gli stessi che fra poco si stupiranno delle differenze che usciranno in Parlamento e le chiameranno intralci. Del resto qualcuno sogna da tempo una politica senza Parlamento, senza partiti, che semplicemente vada tutte le mattine sullo zerbino di Draghi per lasciare giù i voti e ritirare le comande.
Avanti così.
Buon lunedì.
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