Perché la sinistra deve dire No al governo Draghi.
di Fabio Vander
Per non lasciare l’opposizione all’estrema destra. Per avanzare proposte alternative su ogni dossier. Per tutelare la democrazia. Per questi motivi è importante che le forze progressiste non sostengano il governo del presidente
La nascita del nuovo governo a guida Draghi pone molteplici ordini di problemi. La crisi italiana, già storicizzata, rischia di uscire aggravata da un esperimento politico che pare costituirne un estremo sintomo.
Una crisi di democrazia. Perché quando si forma una maggioranza del 95% dei parlamentari e l’opposizione è ridotta al 5%, per giusta di estrema destra, questa si chiama crisi della Repubblica. Confindustria e sindacati schierati dalla stessa parte, senza remore, né distinguo. Non funziona così una democrazia.
Una crisi politica. Questo governo sarà in tutti i sensi peggiore del precedente. Visto da sinistra è così. Non c’è cosa positiva eventualmente promossa dal governo Draghi, in termini di contrasto della pandemia, di gestione del Recovery fund, di giustizia fiscale, di politiche ambientali ecc., che non potesse essere fatta lo stesso e meglio dal governo precedente. Contro Renzi bisognava promuovere le ragioni di una maggioranza politica (non accattare “europeisti”). Votare Draghi equivale a dargliela vinta.
Una crisi di soggettività. Dei partiti e della classe politica, che ci assilla ormai da decenni. E che impatta direttamente sulla sinistra e sul centrosinistra. Abbiamo visto un Pd favorevole di seguito: al governo Conte 2, al governo Conte 3 con i responsabili e senza Renzi, al Conte 3 di nuovo con Renzi, infine al governo Draghi o in alternativa alle elezioni. Quando si dice una forza politica responsabile, con leadership adeguata. Un pilastro della democrazia matura.
La sinistra? Quel che resta di Liberi e uguali nelle due Camere è solo un caravanserraglio dove ognuno sta e va per sé. Non è mai esistito, men che meno oggi, come soggetto politico. Mpd vive solo di Speranza, Sinistra italiana all’ultimo congresso virtuale è entrata papa ed è uscita cardinale. Doveva entrare nel fenomenale progetto di Equologica, alla fine è rimasta se stessa, cioè Si.
Il punto è che siamo dentro – da tempo, certo – ad una crisi politica e della politica di cui non si vede la fine. Il governo Draghi è risultato, più che causa, di questo dramma storico. Eviterei di dire “è colpa di Renzi” o anche di Mattarella, che indubbiamente ha imposto l’apertura a Berlusconi e Salvini, mettendo in strettezze la ex maggioranza. Eviterei perché è stato il cedimento strutturale di questa a portarci dove siamo.
Non era già successo con Napolitano? Non era già successo nel 2011 con la crisi del governo Berlusconi? Otto anni dopo, nel gennaio 2019, fu Bersani in una intervista al Giornale a ricordare di quando la direzione del Pd, mentore il Presidente, lo obbligò a sostenere Monti invece delle elezioni. Dopo di che fu solo legge Fornero, salvataggi di banche col “debito buono”, cioè coi soldi nostri, pareggio di bilancio in Costituzione, “macelleria sociale” («espressione rozza ma efficace», Draghi dixit, da Governatore di Bankitalia, il 31 maggio 2010). Bersani col senno di poi si lamentava: «Molti si ubriacarono di retorica europeista», ricordando però che addirittura l’allora presidente della Commissione europea Juncker, ad un certo punto, disse che l’austerità forse era stata «esagerata e poco solidale».
Dov’è la differenza da oggi? Non capisco chi distingue fra governo Monti e governo Draghi. Mutatis mutandis lo schema è lo stesso. La retorica europeista torna al potere. In prima persona. Si dirà: oggi c’è la pandemia. Appunto. Ieri lo spread, oggi il virus. Ma c’è pure il Recovery fund, che della pandemia è l’anticorpo.
Chi gestisce i 200 miliardi e rotti? Questo il punto. Su questo è caduto Conte. Non da Renzi, ma da chi c’è dietro, in Italia e in Europa. Che poi è sempre “retorica europeista”. La quale dopo averci propinato decenni di austerity, si candida a propinarci anche il suo rimedio.
E anche qui parliamo di una prospettiva di anni. Si sta aprendo una nuova, lunga fase. E queste sono le spinte che hanno generato la fine del fragile esperimento del Conte 2. Capirlo permette di meglio posizionarsi per il presente e il futuro. Con il governo Draghi non è in questione il breve periodo da qui alla elezione del nuovo presidente della Repubblica. Non si tratta di bypassare il “semestre bianco”. Qui sta prendendo forma qualcosa che prefigura il dopo. Il dopo pandemia, il dopo populismo, il dopo sovranismo, il dopo Trump, forse anche il dopo liberismo. Qualcosa che non vorremmo fosse anche il dopo democrazia e, per quel che ci riguarda, il dopo sinistra.
Per questo trovo così importante opporsi al governo Draghi. I parlamentari che si dicono ancora di sinistra devono votare No. Non si tratta di non corrispondere all’appello del presidente. Ma di affrontare le ragioni politiche che hanno reso cogente quell’appello. Che significa intanto fare opposizione. Non lasciarla solo all’estrema destra. E dall’opposizione avanzare proposte alternative, su tutti i dossier: un nuovo modello di sanità, pubblica, statale, di qualità, la gestione del Recovery fund, il contrasto alla “macelleria sociale”, politiche fiscali eque e progressive, patrimoniale, un diverso modello di sviluppo, di consumo, di tutela e protezione ambientale, democratizzazione dell’Europa, politiche di pace.
Tutte cose che deve fare un governo politico. Quindi una maggioranza politica. Quindi nuovi soggetti politici. Quindi una nuova sinistra. Tutto da costruire. Ma bisogna cominciare. Da una opposizione democratica, di sinistra, di alternativa. Oggi e sempre la pietra dello scandalo è la stessa. La democrazia non si salva, non si salva l’ambiente, non ci salviamo noi tutti, senza una nuova sinistra. Dire no a Draghi, se si assume tutto questo, darà senso e dignità al nostro qualsiasi essere politico.
L’autore: Fabio Vander è filosofo della politica e autore di numerosi saggi tra i quali “Livorno 1921. Come e perché nasce un partito”, Lacaita (2008)
Nessun commento:
Posta un commento