mercoledì 24 febbraio 2021

LA LOMBARDIA ED I VACCINI

 

Nonostante i numerosi cambi in corsa nell'organigramma politico della regione Lombardia e l'assunzione di "esperti" e "consulenti" che già hanno dimostrato la loro inefficacia e incompetenza su svariate fronti,la Lombardia è messa ancora malissimo rispetto ad altre regioni nonostante la propaganda dica il contrario ed effettivamente all'interno del territorio ci siano alcune eccezioni.
La notizia della zona arancione rafforzata in provincia Brescia e in comuni limitrofi della bergamasca e di quello cremasco di Soncino(ieri nel comunicato ufficiale in diretta degli "esperti" era in provincia di Mantova ma è solo per rimarcare la loro ignoranza)sono il segnale di un rafforzamento dei casi della variante inglese che lanciano un campanello d'allarme soprattutto per la maggiore trasmissibilità di questo ceppo che fa altre vittime nonostante una mortalità inferiore.
Il primo articolo proposto(contropiano lombardia-per-il-vaccino )parla della situazione lombarda rispetto alla campagna vaccinale contro il Covid-19 dopo il fallimento di quella influenzale,con numeri molto al di sotto di quelli dichiarati e con talmente poche persone vaccinate che di questo passo per immunizzare i lombardi passerebbero un paio di anni,vuoi per la carenza strutturale di medici ed infermieri,molti dei quali operano per la vaccinazione a titolo gratuito al di fuori dell'orario di lavoro,e vuoi per dei calcoli errati da parte delle case farmaceutiche e dal pressapochismo dei dirigenti sanitari a livello regionale e nazionale.
Nel secondo contributo(contropiano brescia-industria-vince )si passa più specificamente sul territorio bresciano che come il resto della regione ha le stesse carenze dovute ai tagli alla sanità pubblica e alla privatizzazione che più che in altre zone d'Italia ha distrutto un settore sociale intero,con le insistenze e le ingerenze degli industriali che continuano a produrre e a fare circolare e lavorare migliaia di persone ogni giorno.

Lombardia: per il vaccino ripassare tra due anni.

di  M. D.   

Come va la campagna vaccinale Anti-Covid in Lombardia? Decisamente male. Mentre a Brescia la situazione si sta facendo drammatica, tanto da far ipotizzare una nuova zona rossa per quella provincia (e arancione per la Regione) sono state vaccinate in Lombardia, a due mesi dall’inizio della campagna, meno di 600.000 persone tra medici, farmacisti, forze dell’ordine, ospiti RSA e ultraottantenni. 

Tra questi ultimi, che hanno prenotato in massa la vaccinazione, sta dilagando la preoccupazione poiché la convocazione delle Asst non arriva. A dispetto di Bertolaso, la Lombardia riesce a vaccinare, nei soli giorni feriali, circa 12.000 persone e, in alcuni casi, come è successo recentemente a Pavia e a Brescia, solo poche decine. 

Procedendo con questo passo, ci vorranno circa due anni per completare la vaccinazione della popolazione lombarda, in tempi che la potrebbero rendere inutile per l’apparire di nuove varianti resistenti al vaccino e comunque provocando altre migliaia di morti. 

La campagna vaccinale sta andando dunque ben diversamente da come ipotizzato da Bertolaso, collaboratore dell’assessore Letizia Moratti, i cui compiti, a parte quello di fare sparate propagandistiche, non sono ancora chiari. 

Bertolaso aveva dichiarato che entro fine giugno tutti i lombardi sarebbero stati vaccinati, tenendo i centri aperti sette giorni su sette per 24 ore al giorno. Queste dichiarazioni appaiono ora in tutta la loro demagogia e ci si sta accorgendo che un vero piano vaccinale, in Lombardia, non esiste, ma si vive alla giornata. 

Certamente, i tagli nelle forniture dei vaccini hanno il loro peso, ma anche se le dosi ci fossero, sarebbe ben difficile distribuirle e praticarle ai cittadini, per mancanza di personale e di spazi. 

La sanità pubblica lombarda è stata distrutta e non è facile organizzare campagne straordinarie quando non si è in grado di gestire nemmeno l’ordinario. 

I bandi per l’assunzione di medici per la campagna vaccinale stanno ottenendo poche adesioni, perché le condizioni di lavoro proposte sono disagevoli, ma soprattutto poiché medici disponibili non ce ne sono a causa del rigido numero chiuso imposto da decenni nelle facoltà di medicina. 

Questo lo dovrebbe sapere Letizia Moratti che, quando era al governo, non fece nulla per rimuovere questo scandalo che oggi vede l’Italia tra i paesi europei con meno medici in proporzione alla popolazione. 

Ennesimo segnale della disorganizzazione lombarda è la notizia che la regione ha contattato i medici di base per la somministrazione di 100.000 dosi di vaccino, però quello antinfluenzale, introvabile a ottobre quando serviva ma ormai inutile a fine febbraio. 

Letizia Moratti sembra occuparsi d’altro: pochi giorni orsono ha sostituito il Direttore Generale della Sanità, Marco Trivelli, nominato da soli otto mesi al posto di Luigi Cajazzo, che pagò la gestione inetta dei primi mesi di pandemia. 

Nuovo direttore generale è stato nominato Giovanni Pavesi, dirigente di una ASL del vicentino, sconosciuto in Lombardia, ma con il merito di far parte del Network Bocconi dei manager sanitari specializzati in gestione di aziende (private) del settore. 

Insomma, si cambiano gli uomini e non l’indirizzo politico, con il risultato di continuare nel disastro. Peraltro si sa che Letizia Moratti tiene particolarmente a lavorare con collaboratori di sua nomina, anche se, pare, non sempre competenti. Infatti fu condannata a risarcire 591.000 di euro al Comune di Milano per avere nominato, quando era sindaca, dei collaboratori che non avevano le competenze richieste. 

In questa situazione il Presidente Fontana ha rilasciato un’intervista a Repubblica dai toni molto concilianti verso il governo Draghi, dopo mesi di polemiche feroci con il precedente esecutivo, ma, guarda caso, elogiando solo i ministri Garavaglia e Gelmini. 

A Draghi aveva già riservato l’appello a fare la voce grossa con AstraZeneca per il ritardo nelle consegne. Insomma, anche se la Lega è al governo scaricare un po’ di responsabilità su Draghi è una buona tattica elettorale. 

Naturalmente, ciò che non passa affatto nella testa di Fontana e Moratti è che il piano vaccinale, proprio perché rallentato, potrà essere utile solo se sostenuto da un lavoro di medicina territoriale e preventiva, che eviti la diffusione del virus soprattutto nelle sue nuove varianti. 

E’ di questi giorni il dato secondo cui la Cina ha vaccinato “solo” 40.000.000 di cittadini, pochi in rapporto alla popolazione, spedendo all’estero 47.000.000 di dosi. Questo non per irresponsabilità, bensì perché oggi, in Cina, la vaccinazione non è un’urgenza grazie ai provvedimenti di tracciamento e prevenzione attuati. Ma la prevenzione è una parola ignota agli amministratori lombardi. 

Peraltro, è anche evidente che la questione lombarda ha un punto di contatto con quella nazionale ed europea, poiché né la Lega, che amministra la Lombardia, né il multicolore governo Draghi, né l’Unione Europea vogliono ammettere ciò che è evidente cioè che è impossibile realizzare rapidamente una campagna vaccinale mondiale in presenza dei brevetti sui vaccini. 

Probabilmente Fontana avrebbe dovuto chiedere a Draghi non di sollecitare AstraZeneca, bensì di far ottemperare il governo italiano alla clausola prevista dalla WTO di sospensione dei brevetti in caso di emergenze sanitarie. 

Per la sua applicazione si stanno muovendo diversi paesi, tra cui India, Sudafrica, Venezuela e Bolivia, incontrando la feroce opposizione dei paesi più ricchi tra cui l’Italia. 

Purtroppo un tale ragionamento non può rientrare nell’orizzonte di un leghista abituato alle grette contabilità degli industriali del nord e alla difesa del privato, così come peraltro in quello di un banchiere. 

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A Brescia l’industria vince e la salute perde.

di  Giorgio Cremaschi (Potere al Popolo)   

Due titoli oggi campeggiano sulla stampa locale a Brescia. Il primo è sul dilagare della pandemia, con i servizi sanitari già in crisi che devono inviare in altre province i malati. 

È da più di venti giorni, da quando a Corzano nell’hinterland bresciano è esploso il contagio della variante inglese, che il virus ha ricominciato a colpire sempre poi pesantemente, ma finora nulla è stato fatto. Brescia è in zona gialla mentre gli ospedali e i medici sono in zona rossa e tutte le autorità, locali, regionali, nazionali, si rimpallano responsabilità e decisioni. 

Intanto mentre il sindaco esprime preoccupazione, la regione ed il governo si riuniscono, il CTS valuta, il tempo passa e sempre più persone si ammalano. 

Una cosa dovrebbero averla imparata in un anno anche le ridicole istituzioni che ci governano. Che la velocità delle decisioni di chiusura delle zone contagiate vuol dire salute e vita in misura diretta. 

Una settimana di ritardo nell’applicare una zona rossa, in una provincia dove il ritmo del contagio è di oltre 300 persone su centomila abitanti quando il limite per far scattare misure dovrebbe essere di 50, questo ritardo vuol dire tanti ammalati e morti in più. Inoltre aspettando si lascia diffondere ovunque il contagio, per cui la mancata zona rossa al momento e nel territorio giusto, significa una inevitabile zona rossa più vasta dopo. 

Quando a Corzano oltre 20 giorni fa un solo medico di base appena nominato ha dovuto affrontare il 10% di contagiati su una popolazione di 1400 abitanti, sono state chiuse le scuole e le attività commerciali. Ma i cittadini hanno continuato a spostarsi per andare a lavorare. 

Come un anno fa quando non si chiusero Nembro e Alzano nella bergamasca, anche oggi si è scelto di non fermare le persone che sono necessarie al “ciclo produttivo”. 

La scelta costante di tutte le autorità, allora come oggi, è quella di privilegiare l’industria rispetto a tutte le altre attività. Così oggi, mentre i lavoratori dello spettacolo protestano per un anno di chiusura, a Brescia si festeggia il recupero del livello pre Covid nella produzione industriale. 

Tanti malati e morti in più, ma anche tanto fatturato, questo il bilancio di una provincia dove l’industria vince e la salute perde. E non per destino, ma per scelta.

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