Il rientro a scuola, fantasie ministeriali e dura realtà.
di Maurizio Disoteo
Così è arrivato il 14 settembre, la tanto agognata ma anche temuta data di riapertura delle scuole. Questo anche se, in effetti, alcune regioni hanno riaperto le scuole il 7 settembre, e altre lo faranno il 16, il 22 e il 24.
È vero che il calendario scolastico è di competenza delle regioni, ma forse in questo caso sarebbe stata confortante una data d’inizio unica sul piano nazionale. Ma ciò non è stato possibile perché il Ministero, nella sua ormai conclamata incapacità di gestire la situazione d’emergenza, ha delegato tutto alle diverse competenze autonome, dalle regioni, ai comuni sino alle singole scuole.
Che la ripresa scolastica sarebbe stata difficile lo si sapeva da mesi e questo avrebbe dato modo al Ministero di preparare il rientro in modo più decente. Al contrario, si sono sprecati questi mesi in chiacchiere, istituendo la “Commissione Bianchi” i cui documenti dormono ormai in qualche polveroso cassetto, immaginando “tavoli regionali” con enti pubblici (e privati) locali, “conferenze di servizio degli enti locali”, tutte miseramente non attuate o fallite.
Tutte queste trovate sono state accompagnate da una stucchevole demagogia sugli investimenti governativi, presentati come ingenti, quando è evidente che quattro miliardi per la scuola sono al contrario pochi, in una situazione che di emergenza sarebbe anche senza la pandemia, dopo anni di definanziamenti che hanno falcidiato gli organici e ridotto le strutture al lumicino.
Infine, si è organizzata una grottesca messa in scena, sui “banchi monoposto di nuova generazione” annunciando una spesa di due milioni e mezzo di euro per queste costose e inutili attrezzature.
In rete gira un video di una scuola che ha trasformato i propri banchi doppi in singoli spendendo 34 € al pezzo e soprattutto, si sarebbe potuto adottare la soluzione cubana di far sedere gli alunni in una disposizione non affiancata, senza spendere un soldo, idea peraltro imitata nelle scuole d Bolzano.
Infine, la compulsione di questo governo nel voler nominare “commissari straordinari” come il commissario tuttologo Arcuri, che invece nulla sa di scuola e che ancora dichiara, di fronte all’evidenza del contrario, che il 14 settembre tutte le scuole avranno mascherine per alunni e docenti.
Nei continui rimpalli tra ministero, commissioni di esperti e commissari straordinari, si è ignorato il solo provvedimento che avrebbe potuto garantire una ripresa più sicura e anche un miglioramento dell’offerta formativa: l’assunzione in ruolo di un numero adeguato di docenti, a partire dai precari che da anni lavorano nella scuola e che dovranno sostenere, per l’ostinazione della ministra Azzolina.
Un concorso, ovviamente “meritocratico”, di cui non si conosce ancora la data e che è comunque a rischio a causa delle restrizioni causate dalla pandemia.
L’assunzione di un numero adeguato di docenti avrebbe potuto garantire la diminuzione del numero degli alunni per classe, passato negli anni gelminiani e post-gelminiani da 25 (20 se in presenza di un disabile) a 30, ma con troppe colpevoli deroghe, che hanno portato ben oltre il numero di allievi per classe.
Tutto ciò per non scrivere della situazione dell’edilizia scolastica e degli spazi. Il patrimonio edilizio scolastico è vetusto e in situazione di pessima manutenzione, ma vive anche le conseguenze dell’accorpamento degli istituti avvenuto alla fine degli anni novanta.
Tale accorpamento, anche se in parte giustificato da necessità organizzative che potevano migliorare la didattica, risparmiando risorse e permettendo acquisti più oculati, ha dimenticato questa originaria motivazione producendo in seguito la creazione di istituti sovradimensionati e l’utilizzo di ogni ripostiglio come aula.
Molte scuole, tra l’altro, per ricavare spazi che forse non si potranno nemmeno utilizzare perché non ci saranno i docenti per gestirli, hanno sacrificato quest’anno i laboratori disciplinari (arte, musica, teatro, fisica, chimica, informatica…) con il rischio concreto di riportare la scuola indietro agli anni cinquanta.
I continui richiami della ministra alla famigerata autonomia scolastica coprono una realtà preoccupante: le scuole riaprono in totale ordine sparso, adottando soluzioni pedagogiche e sanitarie difformi tra loro, inventate in ciascuna di esse dal dirigente, da qualche collaboratore o dal referente Covid, un malcapitato docente o ATA senza specifiche competenze sanitarie.
In queste condizioni appaiono ben poco credibili le parole del Presidente del Consiglio che nel suo messaggio al mondo della scuola ha parlato di “carenze strutturali che si trascinano da anni”.
Questa sarebbe stata un’occasione per cominciare a rimontare la china, invece che giocare allo sport a cui ci hanno abituati i premier degli ultimi decenni, sempre pronti a denunciare le malefatte dei “precedenti governi” ma a non fare nulla per porvi rimedio.
In realtà, nulla è cambiato nella composizione delle classi che restano le stesse, troppo numerose, dello scorso anno e per le quali gli spazi non sono adeguati. In tale situazione circa il 50% degli istituti secondari si sta orientando a iniziare con la didattica “mista” vale a dire metà classe a scuola e metà a casa dietro lo schermo, alternando il gruppo in presenza ogni settimana.
Una situazione didatticamente ingestibile che pone anche problemi sindacali, visto che la telecamera in classe non è mai stata accettata dal corpo docente. Altre scuole invece hanno optato per iniziare con poche classi in presenza, in genere le prime e quelle terminali, mentre per le altre si ricorrerà alla didattica a distanza.
Quest’ultima, peraltro, è stata resa non più emergenziale, ma istituzionale con il decreto e nota ministeriale del 7 agosto, che ha imposto agli istituti di inserire, nel piano dell’offerta formativa, la DDI (Didattica Digitale Integrata), nuova denominazione della Didattica a distanza, che diventa quindi abituale e istituzionalizzata.
L’istituzionalizzazione della DDI deriva dalla non volontà del Ministero di risolvere i problemi di organico e di spazi della scuola ed è particolarmente grave perché negli ultimi mesi dello scorso anno scolastico si è verificato come la didattica distanza abbia provocato abbandoni, aumento delle disuguaglianze educative e comunque una perdita di qualità per tutti gli studenti.
Ma tutto ciò al Ministero non sembra interessare, anzi, l’emergenza appare una buona occasione per imporre forme d’insegnamento digitale molto gradite in Viale Trastevere, ma che possono solo portare alla totale disgregazione della scuola pubblica.
Non è un caso che già qualche istituto stia allineandosi all’”innovazione ministeriale”: un liceo della provincia di Milano, con il pretesto dell’emergenza sanitaria, ha vietato ai suoi studenti di portare a scuola libri, quaderni e penne.
Ne consegue che non ci sarà nemmeno una biblioteca d’istituto, né libri, dizionari ecc, disponibili nelle aule.
Gli studenti potranno avere solo un tablet (adattissimo ai banchi-trespolo) con cui fare tutto. Lo sfascio preordinato della scuola pubblica, il passaggio massiccio alla sostituzione della scuola come spazio di educazione critica e relazionale a vantaggio di forme privatizzate, trasmissive e domestiche sembra peraltro in linea con il vecchio progetto del Movimento 5 Stelle, di cui la ministra fa parte, di abolire il valore legale dei titoli di studio.
Gli insegnanti subiranno conseguenze molto gravi da questa situazione. Non dimentichiamo che gli alunni tornano a scuola dopo mesi di traumi subiti, nel migliore dei casi, dall’interruzione dell’anno scolastico e della loro vita sociale e dalla segregazione e angoscia che la pandemia ha provocato.
Nel peggiore dei casi porteranno invece con sé il ricordo di sofferenze, invalidità e morte. Anche dover tornare a scuola seguendo misure di sicurezza quali il distanziamento e le mascherine è difficile e traumatico per dei bambini e degli adolescenti.
Gli insegnanti sono oggi in prima linea come lo è stato il personale sanitario in primavera e dovranno avere sensibilità e capacità pedagogiche e umane che vanno molto oltre il rispetto, già non semplice da attuarsi in condizioni così poco adeguate, delle norme di sicurezza.
Ma al Ministero sembra che tutto questo non interessi, non abbiamo ascoltato nessuna dichiarazione della ministra su questi problemi, né sono state predisposte iniziative di formazione psicopedagogica, che sono invece incentrate esclusivamente sulla DDI.
Inoltre, il Ministero si dimostra sordo alle voci degli insegnanti che denunciano l’inadeguatezza delle soluzioni adottate, con un comportamento sprezzante, anche nel momento in cui si mettono in discussione punti importanti del contratto di lavoro e della funzione docente.
Tra l’altro, a causa della mancata risoluzione del problema del precariato, decine di migliaia d’insegnanti (tra cui molti nel delicato compito del sostegno) saranno, come ogni anno, chiamati a lezioni avviate e mandati in classe nel giro di un’ora, senza avere partecipato alla programmazione d’istituto, fatto abituale, purtroppo, per i supplenti, ma quest’anno decisamente ancor più grave fino all’irresponsabilità
In questa situazione, i sindacati di base della scuola USB, Unicobas, CUB e Cobas Sardegna hanno indetto due giorni di sciopero per il 24 e 25 settembre. Riportiamo qui sotto una nostra intervista a Lucia Donat Cattin, dirigente dell’USB scuola.
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