giovedì 28 giugno 2018
LA POLIZIA ITALIANA A SCUOLA DI QUELLA USA?
I numeri emersi dalle uccisioni da parte della polizia statunitense nei primi mesi del 2018 sono allarmanti sia per il fatto che siano state compiute per legittima difesa che per i tanti casi di persone ammazzate disarmate,nella quasi totalità persone di colore.
Le 466 vittime fin'ora,lo scorso anno in totale furono 1147,sono cifre da guerra,ma in un paese dove ognuno può possedere un'arma per legge e soprattutto la può utilizzare,questo stillicidio continuo alimentato dalle potentissime lobby dei produttori di armi,è drammaticamente uno dei problemi principali cui si trovano davanti gli americani.
E presidenti come Trump da sempre foraggiato da questi ultimi e favorevole ad un uso smisurato delle armi nonostante i massacri che si registrano ogni anno,aggiungendo per appunto le morti causate da interventi a dir poco dilettantistici da parte delle forze del disordine e alle relative proteste(vedi:madn razzismo-italiano-e-statunitense e madn le-proteste-di-baltimora )non sono credibili e anzi fanno più danni che il resto.
L'Italia,che da sempre ammira gli Usa soprattutto per le motivazioni più sbagliate,ha cominciato ad utilizzare taser(madn un-pericolo-in-piu-nelle-mani-dei.macellai )come in principio hanno fatto gli Stati Uniti,finendo per usare in maniera scriteriata le armi da fuoco in loro dotazione.
USA: solo nel 2018, già 466 vittime della polizia.
di Alessio Ramaccioni
Mapping Police Violence è un sito che monitora il livello di violenza espresso dalla polizia statunitense: il primo dato utilizzato, ovviamente, è il numero delle vittime.
Aprendo la home page, la prima informazione che arriva è il numero dei morti: solo nel 2018 sono 466. “Police have killed 466 people in 2018”.
Sono tanti, considerato il fatto che siamo a fine giugno. Di questo passo, a fine anno si sfiorerebbe quota mille.
Sarebbe comunque andata meglio che nel 2017, quando – sempre secondo il sito mappingpoliceviolence.org, – le vittime sono state 1147.
Approfondendo i vari dati proposti (sono molti, diversificati e classificati in modo chiaro), emerge uno scenario quasi surreale nella sua drammaticità , ben noto a chi segue le vicende di politica interna statunitense con attenzione, ma forse meno evidente a chi si limita ad intercettare le notizie che ogni tanto l’informazione mainstream italiana riporta sulle vicende di “malapolizia” americane.
Per spiegare meglio di cosa stiamo parlando, partiamo dall’ultima vicenda di cronaca che è arrivata in Italia: la scorsa settimana, a Pittsburgh in Pennsylvania, un agente di polizia ha ucciso Antwon Rose jr, un diciassettenne afroamericano che stava fuggendo a piedi in seguito ad un controllo della vettura su cui si trovava insieme ad altre persone.
C’era stata una sparatoria, e la polizia aveva installato dei posti di blocco.
Ad uno di questi gli agenti hanno intercettato la macchina con a bordo il giovane che si è dato alla fuga.
Circola sulla rete un video della sparatoria: si vede il diciassettenne che inizia a correre, e immediatamente si sentono i colpi esplodere. Il ragazzo cade a terra.
Pochi secondi che raccontano quella che, nei fatti, è stata una sorta di esecuzione. Antwon Rose jr era disarmato e non rappresentava una minaccia. Il fatto che nella vettura siano state trovate due pistole diventa, nel migliore dei casi, una scusa per “ammorbidire” il senso della vicenda.
Viene alla mente un altro recente episodio, quello relativo alla morte di Stephon Clark, ventiduenne padre di famiglia ammazzato con venti colpi di pistola nel retro della casa dei nonni: gli agenti erano intervenuti in seguito ad una segnalazione di atti di vandalsimo, hanno scambiato Clark per un vandalo, e sopratutto hanno scambiato il suo smartphone per una pistola. Freddato.
A questo tipo di notizie ne affianchiamo altre due, utili a tirare qualche conclusione. La prima: nel 2014 due agenti sparano al 37enne Alton Sterling, afroamericano di Baton Rouge. L’uomo era stato fermato e bloccato a terra, e poi colpito a bruciapelo. I due agenti si erano difesi sostenendo che Sterling stava provando ad estrarre un arma, anche se i molti video realizzati non chiariscono il particolare. I due agenti sono stati scagionati.
Sempre nello stesso anno muore Gregory Vaughn Hill jr, afroamericano di 30 anni, anche lui freddato dalla polizia. Era ubriaco ed in possesso di un’arma scarica.
Un tribunale della Florida ha sentenziato che i risarcimento che spetta alla famiglia è di quattro euro, e che gli agenti non hanno ecceduto nell’uso della forza.
Torniamo al sito Mapping Police Violence: tra i vari dati riportati ce n’è uno particolarmente interessante. Nel 2015, tra le vittime della polizia, ben 100 erano persone disarmate. Esattamente come Antwon Rose jr, il diciassettenne ammazzato una settimana fa.
Di cosa parliamo, dunque? Di un paese in cui è legale detenere armi, in cui la polizia interviene spesso in modo letale, a prescindere dal fatto che la vittima sia armata o meno. Gli agenti coinvolti, infine, non vengono quasi mai ritenuti colpevoli di nulla.
Tre giorni fa è uscita in Italia la notizia del risarcimento di 60 mila euro che lo Stato italiano ha concesso ad un rom colpito alla schiena da un agente (condannato per questo a nove mesi) nel corso di un inseguimento e rimasto per questo semiparalizzato.
Il rom per quel furto è stato condannato ad undici mesi di carcere.
Nel clima che stiamo vivendo nel nostro paese di questi tempi la notizia è di quelle “succulente”, è stata riportata ed enfatizzata persino nel corso della seguitissima trasmissione radiofonica “La Zanzara” su Radio24.
Un agente di polizia nel corso di un inseguimento può essere autorizzato a sparare: un po’ come avvenne nella circostanza in cui morì Gabriele Sandri, ad esempio.
Abbiamo un metro di paragone che può aiutarci a riflettere: esiste un paese, gli Stati Uniti, in cui è legittimo detenere armi, in cui gli agenti sparano nel corso di interventi anche di routine, e lo fanno a prescindere dalla reale pericolosità della vittima. E non vengono mai condannati per questo.
E’ un paese in cui, sulla base di queste dinamiche, crepano mille persone all’anno, più – ad esempio – delle vittime civili (per anno) della guerra in Donbass. Che è, appunto, una guerra.
mercoledì 27 giugno 2018
SEMPRE PIU' POVERI
I dati che accertano che l'aumento dei poveri in Italia è sempre crescente e dicono che più di cinque milioni di persone vivono in povertà assoluta,e non per colpa di migranti e clandestini ma per politiche liberiste,evasioni fiscali,banche e dettami subiti dalla Ue,vengono raccolti e commentati brevemente nell'articolo proposto e preso da Contropiano(boom-dei-working-poors ).
Dove ci sono anche i dati sulla povertà relativa che copre un numero maggiore di italiani che hanno difficoltà a reperire beni e servizi,che non riescono a curarsi per via dei costi sempre maggiori che la sanità privata offre visto che quella pubblica,con tempi d'attesa infiniti,non riesce più a fornire.
Ma l'uomo per dignità oltre ad avere la possibilità di avere un lavoro deve anche poter vivere e non solo sopravvivere,e nemmeno qui si riesce più a risparmiare qualcosa per potere fare acquisti,viaggiare o come dicono"fare girare l'economia".
I lavoratori poveri sono quasi dodici su cento e sono quelli che pur avendo un impiego non riescono lo stesso a vivere vuoi per gli orari minimi contrattuali che per le paghe orarie molto al di sotto di quelle dovute e della media di quelle europee.
Dentro l’aumento della povertà c’è il boom dei working poor.
di Sergio Cararo
La povertà cresce ma non sembra essere una priorità dell’agenda politica. L’Istat ha pubblicato i dati sulla povertà nel nostro paese che confermano l’aumento assoluto e percentuale di poveri e persone a rischio. I dati sulla povertà assoluta (quelli maggiormente amplificati dai mass media) ci dicono che le persone che vivono in povertà assoluta in Italia superano i 5 milioni nel 2017. E’ il valore più alto registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche, nel 2005. Le famiglie in povertà assoluta sono stimate in 1 milione e 778mila e vi vivono 5 milioni e 58 mila individui.
Ma dovrebbero essere i dati sull’aumento della povertà relativa a preoccupare ancora di più.
La povertà relativa è infatti un parametro che esprime la difficoltà nel reperire i beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è calcolato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, cioè il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno e fa riferimento a una soglia convenzionale adottata internazionalmente che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale. Per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media per persona nel paese, che nel 2017 è risultata pari a 1.085,22 euro al mese.
La povertà relativa si distingue dal concetto di povertà assoluta, che indica invece “l’incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard ossia un livello di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza, cioè nell’ambiente di appartenenza”.
Nel 2010 le famiglie che in Italia si trovavano in situazione di povertà relativa erano circa 2 milioni e 734 mila, rappresentando l’11% di tutte le famiglie residenti. Nel 2017 la percentuale di queste famiglie in povertà relativa è salita a 3milioni 171mila, pari al 12,6% della popolazione.
In questi giorni sono stati pubblicati alcuni dati dell’Ocse sulla produttività, dai quali emerge che in Italia tra il 2010 e il 2016 le retribuzioni reali orarie sono diminuite al tasso medio annuo dello 0,38% a fronte di un valore aggiunto pari a +0,21%. Si tratta del quinto peggiore andamento sui 34 Paesi Ocse. Tra le motivazioni, c’è la crescita dell’occupazione ma solo in settori a bassa e bassissima retribuzione. In Italia tra il 2010 e il 2016 i tre settori con la maggiore creazione di occupazione sono stati infatti la ristorazione e servizi di alloggio (214mila posti di lavoro netti), le attività domestiche (cioè le famiglie come datori di lavoro con 135mila posti) e le attività di assistenza e lavoro sociale (88mila).
E’ l’indicatore del boom dei working poor, cioè dei lavoratori poveri, quelli per i quali non è sufficiente avere un lavoro per superare la soglia della povertà relativa.
Secondo i dati forniti dall’Eurostat i lavoratori poveri rappresentano l’11,7% della forza lavoro, ciò significa che 12 su 100 hanno un salario ma questo non è sufficiente per vivere. I cosiddetti working poor, sono lavoratori con un basso livello di reddito, divisi tra salari bassissimi e contratti a intermittenza. Solo tra i lavoratori dipendenti se ne contano oltre 2 milioni; gli autonomi sono invece 756mila. Si tratta per lo più di giovani all’ingresso del mondo del lavoro che non riescono a rendersi autonomi dalle famiglie, donne che devono fare i salti mortali tra un impiego spesso part time e la famiglia, lavoratori stranieri sottopagati
martedì 26 giugno 2018
LA SINISTRA INEFFICACE
Gli scismi che si sono succeduti nella sinistra politica italiana dal disfacimento del Pci sono stati letteralmente all'ordine del giorno con nuovi spostamenti,accorpamenti e scissioni che ad ogni elezione puntualmente si sono presentate.
Notoriamente a sinistra ogni testa ragiona a se e spesso non si trova la volontà o non la si cerca in maniera convinta per non guardare al proprio orticello e ampliare la visione in maniera di non essere rappresentati in modo decisamente frammentaria.
Il risultato degli ultimi ballottaggi alle comunali(madn i-ballottaggi-alla-destra )sono anche il frutto di questo spezzatino,fermo restando che il Pd è fuori da tale discorso visto che i nomi che girano sono sempre gli stessi che hanno supportato l'ultimo governo renziano il cui lavoro è stato ripreso dall'esecutivo Conte.
L'articolo proposto(contropiano la-sinistra-e-inadeguata-per-opporsi-a-questo-governo )parla di un dibattito che si è tenuto a Napoli tra molte anime della sinistra di chi si dichiara ancora comunista e sono venute fuori delle cose interessanti ma anche ovvie,come per appunto che il governo lega-cinquestelle sia in continuità con lo scorso di centrosinistra in materia di immigrazione,sicurezza e neoliberismo.
Altri spunti riguardano parallelismi con la cavalcata di Berluscojoni degli anni novanta,dell'Europa,dei dazi Usa che condizioneranno la politica comunitaria nel breve e medio termine,l'estraneità del popolo e della lotta di classe dalle questioni politiche che al contrario strizzano l'occhio alla destra più becera e ignorante.
Tutti spunti da prendere e analizzare ma solamente con l'intenzione di creare un nuovo elemento alternativo al Pd e che può includere i delusi del partito democratico stesso oltre a quelli dei pentastellati che nell'attuale governo non sono altro che la spalla,se non i cagnolini,della lega,sempre tenendo conto di riavvicinare la gente alla politica visto le percentuali enormi degli assenteisti.
La “sinistra” è inadeguata per opporsi a questo governo
di Rete dei Comunisti
Nei giorni scorsi si è tenuto a Napoli un dibattito tra comunisti ed attivisti politici e sociali, organizzato dalla Rdc, finalizzato alla comprensione ed all’analisi del Governo Conte.
La Rete dei Comunisti ha inviato, nei giorni scorsi, una traccia di discussione su cui venerdì 22 giugno scorso si è avviato il dibattito presso la Sala Nugnes del Comune di Napoli.
Riportiamo un sintetico report degli interventi per socializzare ai nostri lettori un quadro dei temi affrontati nella discussione sviluppata.
Michele Franco per la Rete dei Comunisti, nella sua introduzione all’assemblea, ha sostenuto la necessità di un’analisi a più voci slegata dalle “incombenze” dell’attività politica quotidiana. Quello che è certo è che il governo Conte rappresenta una cesura rispetto ai governi degli ultimi trent’anni. Una cesura legata al contesto internazionale di competizione interimperialistica. Il 4 Marzo c’è stata una “rivolta elettorale”, per altri versi analoga all’ascesa di Berlusconi nel panorama politico italiano più di trent’anni fa. Già allora si gridava al fascismo ma non si trattò di fascismo anche perché i poteri forti del capitale non hanno seguito Berlusconi ma hanno sostenuto le forze che garantivano l’adesione dell’Italia all’Unione Europea ed all’Euro. Ci troviamo in una situazione in cui c’è meno margine redistribuitivo e c’è minore possibilità di mediazione sociale. Le scelte concrete che si possono fare sono legate alla dura realtà dei fatti e quest’ultima è l’Europa con tutta la sua capacità di pressione. E già adesso questo governo si va adeguando all’Europa e alla Nato. La guerra protezionistica iniziata dagli Usa porterà ad un’ulteriore centralizzazione autoritaria in Europa. E’ necessario abbandonare la “Sinistra”, intesa nel senso dei ceti politici che in questi anni hanno del tutto abbandonato il rapporto con la classe. La questione europea è centrale e non ideologica: anche la formazione del governo Conte ha manifestato tutta la centralità di tale questione. Bisogna uscire dall’Europa senza tornare ad un angusto nazionalismo (ipotesi di area Euro/mediterranea). Altre questioni molto importanti sono quella sindacale, che esige una scelta di campo stante l’irriformabilità della Cgil. A questo proposito è stata importante la manifestazione a Roma del 16 giugno contro le “disuguaglianze sociali”. Preoccupazione per lo spaesamento causato dall’offensiva ideologica di Salvini. Bisogna ancorarsi ad una concezione metodologica che resta quella dell’analisi concreta della situazione concreta. In questo contesto la sperimentazione avviata con Potere al Popolo va sostenuta anche attraverso l’approfondimento politico e programmatico per definire PAP come soggetto politico, sul versante della necessaria Rappresentanza Politica, e non come mero cartello elettorale.
Maria Pia Zanni per l’Usb ha riscontrato la necessità di estendere ulteriormente questa discussione. Per individuare gli strumenti che ci consentano di reagire a questo governo bisogna andare a ritroso nell’analisi e vederne la genesi negli stessi “governi tecnici” che hanno usato il ricatto del debito e della crisi seminando povertà ed incertezza sociale anche nei ceti medi. A questo processo non c’è stata una risposta adeguata e c’è stata anzi una mancata rappresentanza del blocco sociale con conseguente scardinamento della cultura politica di estrazione proletaria e popolare in nome di una politica che non fosse né di destra né di sinistra. Nel frattempo questo governo già sconfessa le sue intenzioni sia di rottura con l’Unione Europea sia per quanto riguarda l’istituzione di un vero reddito di cittadinanza. Si parla anzi di riduzione delle aliquote fiscali e di maxi-condono, con una riduzione delle entrate e una riduzione corrispondente dei servizi sociali. Rimangono come strategia di distrazione di massa le parole d’ordine di tipo securitario. Occorre riaprire spazi di democrazia reale non solo nei posti di lavoro ma anche nei territori.
Rosario Marra per Rifondazione Comunista ha concentrato la sua attenzione sulla possibilità che questo nuovo governo possa mirare ad una sorta di ulteriore attacco alla Costituzione, possibilità ancora remota ma che nel lungo periodo potrebbe rendere più plausibile l’ipotesi di un “fronte democratico” che nel breve periodo va, però, rifiutata. Il punto è vedere come procederà l’accumulazione delle forze di questi soggetti, accumulazione che ha bisogno di tempo per essere meglio valutata. Un secondo punto su cui Marra ha posto l’attenzione riguarda l’individuazione dei ceti rappresentati da questo governo che non sono solo le piccole imprese aventi un mercato sostanzialmente interno, ma anche le imprese orientate all’esportazione che sono molto diffuse proprio nei territori ormai da anni amministrati dalla Lega. Ovviamente l’Europa difficilmente potrà venire incontro a queste istanze. Per quanto riguarda invece la strategia per contrastare questo disegno, bisogna evitare ogni scorciatoia politicista e dunque – nel caso di Potere al Popolo – lavorare per una democratizzazione non solo apparente del suo processo di costituzione, valorizzando l’adesione individuale ed evitando il correntismo che indebolì, fin dal suo costituirsi, Rifondazione Comunista quando si costituì all’indomani dello scioglimento del vecchio PCI.
Salvatore Galiero per il Pci ha fatto notare come questo governo nato anche all’insegna dell’onestà a tutti i costi rappresenti invece un centro di collusione con gli evasori fiscali e con associazioni equivoche come l’Opus Dei. Questo governo è anche il frutto di una riforma del titolo V° della Costituzione che è risultata monca proprio per quanto riguarda i fondi di perequazione tra le regioni del paese. L’ipotesi dell’Euro/Mediterranea è affascinante ma soprattutto bisogna ritrovare il collegamento con la classe e per fare questo bisogna rinnovare il linguaggio della politica e del suo agire.
Giovanni Pagano di Napoli Direzione Opposta ha “interpretato” il ruolo di voce un po’ fuori dal coro affermando che il problema non è che Salvini sia al governo, ma che non ci sia una vera opposizione in questo paese. Pagano ha evidenziato come la Lega già governi da anni la parte più produttiva del nostro paese e come questo governo sia in continuità con i governi di centrosinistra sia per le gestione dell’immigrazione, sia per la gestione della sicurezza, sia per l’impianto neoliberista. Ha ricordato come il referendum sia stato soprattutto in opposizione a Renzi (e quindi dentro c’era in parte anche il voto alla Lega, a Berlusconi e ai Cinque Stelle). Bisogna evitare il rischio di sostituire il proletariato (in cui ci sono anche migranti) con i migranti. La strada da percorrere implica che i problemi (anche quello che riguarda l’affrontamento della questione europea) vadano affrontati partendo dai territori come dimostrano alcune esperienze (Barcellona, Valencia, alcune città greche). Devono essere le comunità territoriali a confliggere con questa Europa. Bisogna sottolineare la centralità della questione meridionale dal momento che la Lega ripropone in chiave nazionale la difesa di interessi propri del Nord, ristabilendo per altre vie l’equilibrio che il Pci aveva accettato all’epoca della cosiddetta Prima Repubblica.
Francesco Tirro dell’Opg ha ricordato che non possiamo, al momento, definire il blocco sociale legato a questo governo né guardando i flussi elettorali né la distribuzione regionale del voto. Ci sono, nei ceti che hanno vinto le elezioni, anche contatti con il grande capitale. Ad esempio: la distanza tra la piccola impresa orientata al mercato interno e quella orientata all’esportazione non è incolmabile. Comunque le promesse espansive sono state già subordinate ai parametri di bilancio e per favorire il piccolo capitale si continua a precarizzare il lavoro e si pensa di ridurre le entrate fiscali, tanto è vero che il Sole 24 Ore che è la voce del grande capitale nazionale evidenzia il suo disaccordo dal momento che questo grande capitale nazionale più che prendere respiro vuole che l’integrazione europea sia completata. L’elettorato deve invece accontentarsi di un nemico. Il punto è vedere quanto questa coalizione può dilazionare la parte più economicamente espansiva delle proprie promesse. Al momento la Lega cresce e fa campagna elettorale anche se i Cinque Stelle al basso profilo tentano di accoppiare qualche risultato concreto come si vede dalla trattativa relative ai riders. Per quanto riguarda noi, dovremmo non subire l’agenda del governo, ma, oggettivamente, la subiremo. Il punto è che per le masse popolari non c’è differenza tra sinistra moderata e sinistra radicale. Anche noi siamo stati sconfitti al di là delle nostre responsabilità. Bisogna fare opposizione di classe e non considerare questo governo un nostro interlocutore così come non era i governi Renzi. Abbiamo di fronte una strada strettissima nella quale bisogna alimentare l’indignazione senza al contempo alimentare l’ideologia che trionfa al momento. La continuità tra questo governo e i precedenti c’è, ma la novità è lo sfondamento ideologico nei settori popolari che deve essere assolutamente scongiurato per cui non si può arretrare di un solo passo sull’antirazzismo che diventa la linea di demarcazione e di una possibile ricostruzione culturale e politica. Su Potere al Popolo: nei prossimi giorni sarà lanciata la campagna di adesione mentre continua la costruzione e la sedimentazione delle assemblee territoriali che dovranno essere, sempre più, l’ambito decisionale di PAP.
Michele Franco ha concluso l’assemblea valorizzando lo svolgimento di una discussione vera e non formale, da cui si desume che se i comunisti vogliono avere un futuro non possono ridursi ad un ruolo testimoniale o, semplicemente, propagandista di temi generali e generici ma devono svolgere una funzione realmente di avanguardia culturale, sociale e politica su tutto l’arco delle questioni che attengono alle forme del dominio capitalistico.
lunedì 25 giugno 2018
I BALLOTTAGGI ALLA DESTRA
Altro giro altra batosta per il Pd alle ultime elezioni comunali che hanno visto un ulteriore trionfo per la destra e risultati meno positivi per i pentastellati nei ballottaggi che hanno visto le città toscane interessate,da sempre a sinistra,cambiare bandiera.
Il redazionale di Contropiano(ballottaggi-la-destra-travolge-pd-e-m5s )parla della conseguenza di una politica fatta di neoliberismo che ha indotto la gente a votare chi l'ha proposta da sempre ed è sempre stato coerente con le idee reazionarie,bigotte e razziste.
Ancora l'astensionismo è stato protagonista di questa piccola ma significativa tornata elettorale che fa litigare internamente il Pd che come già detto fino a quando avrà Renzi dentro perderà sempre più voti(madn renzi-il-bullo ):ovviamente la colpa non è solamente di una persona ma frutto di anni di politiche di destra che non ripeto ma che sappiamo tutti bene.
Ovviamente le forze politiche della sinistra vera non erano presenti in quanto non facenti parte delle coalizioni col Pd,si sta lavorando e non poco per potersi far trovare pronti per le importanti elezioni europee del prossimo anno.
Ballottaggi. La destra travolge Pd e M5S.
di Redazione Contropiano
Come da previsioni Lega e centrodestra si prendono quasi tutti i comuni che andavano al ballottaggio. Con la conferma che non esistono più “roccaforti” dove il voto continua ad andare alle stesse forze anche a dispetto della storia e dei fatti.
Il voto, in questo paese come in tutto l’Occidente capitalistico, è diventato “liquido”, nel senso che di volta in volta la maggioranza dell’elettorato si sposta verso la proposta politica apparentemente meno lontana, più efficace, più pompata dai media.Come consumatori tra gli scaffali del supermercato…
Il fenomeno è molto più evidente nelle regioni un tempo “rosse”, dove per 70 anni era sembrato che l’egemonia della “sinistra” fosse intangibile e perenne. Dalla caduta del Muro ad oggi, il passaggio del Pci (poi Pds, Ds, Pd, ecc) al campo del liberismo assoluto ha bruciato rapidamente quel patrimonio di valori costruiti in un secolo di lotte, “liberando” gli elettori da qualsiasi vincolo di appartenenza. Ossia di partecipazione a un progetto.
Lo si vede dall’astensionismo, ormai superiore al 50%. Un fenomeno che non ha nulla a che vedere con le dinamiche anni ‘70 (quando era sensato dire “non votare, lotta”), ma segnala semplicemente una resa di fronte all’impossibilità di riconoscersi in qualcuna delle proposte politiche in campo.
Il quadro dei risultati è in larga misura chiarissimo.
Il “centrosinistra” targato Pd viene travolto in Toscana e in Emilia. I Cinque Stelle si affermano ad Avellino e Imola, ma perdono Ragusa. Avanzano Lega e centrodestra un po’ ovunque.
E’ un vero e proprio ribaltone quello avvenuto in Toscana dove Pisa, Siena e Massa passano in blocco al centrodestra. A Pisa il nuovo sindaco è Michele Conti candidato di Lega, FI e FdI, che ha battuto Andrea Serfogli. A Siena Luigi De Mossi, con il 50,8% batte di misura il sindaco uscente Bruno Valentini (Pd) fermo al 49,2%. A Massa Francesco Persiani è al 56,6% e batte senza problemi Alessandro Volpe, sindaco uscente, fermo al 43,4%.
Ammette la sconfitta anche Maurizio Perinetti, candidato sindaco del “centrosinistra” a Ivrea: qui la sinistra amministrava ininterrottamente dal Dopoguerra. Ad Ancona, unico capoluogo di Regione al voto, si riconferma la sindaca uscente, Valeria Mancinelli, di “centrosinistra”. Ad Avellino si impone a sorpresa Vincenzo Ciampi candidato M5S che strappa la cittadina campana finora guidata dal “centrosinistra”.
Il M5S espugna anche Imola, governata per oltre 70 anni dal “centrosinistra”. Dopo 20 anni passa al centrodestra Terni – finora guidata dal Commissario straordinario – con Leonardo Latini esponente della Lega che al ballottaggio ha nettamente superato Thomas De Luca, candidato del Movimento 5 stelle.
Da Brindisi arriva una delle poche consolazioni per il “centrosinistra”: è vincitore Riccardo Rossi, ribaltando i risultati del primo turno che vedevano favorito Roberto Cavalera del centrodestra. Brindisi era uno dei comuni guidati dal Commissario straordinario. A Imperia la lotta tutta interna al centrodestra, vede la vittoria dell’ex ministro Claudio Scajola, rappresentante di quattro liste civiche, che prevale sul candidato del centrodestra unito Luca Lanteri, ex delfino dello stesso Scajola e ora uomo sostenuto dal governatore Giovanni Toti.
Anche a Sondrio prevale il centrodestra con il candidato Marco Scaramellini che batte Nicola Giugni, sostenuto dal “centrosinistra”. A Teramo Gianguido D’Alberto del “centrosinistra” ha avuto la meglio su Giandonato Morra del centrodestra (il comune era guidato da un commissario straordinario). A Viterbo, città finora guidata dal “centrosinistra”, il nuovo sindaco è Giovanni Arena del centrodestra con il 51,1 che ha battuto Chiara Frontini, a guida di una lista civica. Sorprese dai ballottaggi in Sicilia.
A Ragusa, guidata finora dai Cinque Stelle, il candidato sindaco del M5s Antonio Tringali è stato battuto dal rivale Giuseppe Cassì, sostenuto da liste civiche e FdI. A Messina, Cateno De Luca (Udc) si impone su Dino Bramanti, sostenuto dal centrodestra. E a Siracusa vince Francesco Italia (Cs) che batte Paolo Ezechia Reale, appoggiato dal centrodestra. Al “centrosinistra”, infine, è andato il Terzo Municipio di Roma.
Che senso trarne? E’ finita l’epoca in cui – “ sinistra” – si poteva “far politica” guardando soltanto alle dinamiche istituzionali, contando sul fatto che il proprio “bacino elettorale” era tutto sommato stabile e fedele. In quell’epoca si giocava a scomporre e rimettere insieme pezzi di sigle e ceti politici all’unico scopo di “eleggere” alcuni consiglieri o parlamentari.
E’ insomma finito il tempo dei “comitati elettorali” più o meno stabili, con protagonisti fissi e sigle mobili, programmi vaghi e compromessi stipulati in segrete stanze; ossia il tempo in cui le strutture dei “partiti” venivano risvegliate dal sonno per raccogliere firme, presentare una lista, chiamare gli iscritti. telefonare agli affezionati elettori…
Non esiste ormai alcuna possibilità di “raccattare voti” a prescindere da una presenza sociale quotidiana sui territori. Si raccoglie quel che si è seminato, e se non hai seminato nulla – come “a sinistra” avviene ormai da tempo immemorabile – non puoi raccogliere altro.
Da questa consapevolezza, del resto, è nato Potere al Popolo. Per costruire opposizione e rappresentanza politica serve lavoro sociale, presenza, fatica ed entusiasmo. Chi vuole “risultati” subito, come i bambini viziati, può rivolgersi al Pd. Anzi, nemmeno più lì…
sabato 23 giugno 2018
RIGETTO NAZIONALE A CREMA SOLO DI NOTTE
L'altra notte a Crema ma anche a Pavia e Mantova degli imbecilli hanno affisso volantini e striscioni presso le sedi della Cgil di chiara matrice fascista in quanto sono stati presi di mira gli immigrati e la popolazione lgbt.
Presente anche il Pd nella frase"Tra Pdemosessuali e immigrati:lavoratori dimenticati"a firma di Progetto Nazionale,che non so ancora,come altre sigle dichiaratamente fasciste come Caga Povnd e una Fogna Uova sempre più evanescente possano esistere in Italia nonostante i dettami della Costituzione e tutte le raccolte firme e le proteste che evidentemente non hanno peso.
Nei due articoli proposti(www.cremaonline.it/cronaca e www.cremaoggi.it volantini-di-progetto )il proclama dei rigetti umani e della Cgil per questa ennesima provocazione,si annunciano denunce come fatto già per eventi precedenti(madn contro-ogni-nazifascimoora-e-per-sempre e madn domani-corteo-antifascista-e antirazzista a crema )che comunque sono sempre cadute in un nulla di fatto.
Crema. Volantini affissi alla sede della Cgil, Progetto nazionale ha rivendicato l'azione.
Nella notte sono stati affissi dei volantini sulla sede della Cgil di Crema. Progetto nazionale ha rivendicato l’azione, sostenendo che “da anni ormai i principali sindacati italiani, Cgil in testa, hanno accantonato tutte le battaglie in favore dei lavoratori e delle famiglie italiane; palesando un progressivo abbandono delle originarie lotte in favore di altre più in "voga" e soprattutto di maggior interesse”.
“A scapito dei lavoratori”
Secondo Progetto nazionale i sindacati “corrono in piazza per difendere il business dell'accoglienza e per sostenere le rivendicazioni delle lobbies Lgbt. Da una parte migliaia di esseri umani vengono trasportati in mezzo al mare da un continente all'altro con l'unica prospettiva di diventare manodopera a basso costo e merce di scambio tra Ong e cooperative, dall'altra sostenere le lobbies Lgbt favorisce diverse dinamiche di mercato e nuovi profittevoli business come "l'utero in affitto". Il tutto a scapito dei lavoratori che oggi si ritrovano abbandonati, indifesi e dimenticati da un sindacato che non li ritiene più prioritari e che oggi preferisce occuparsi di altro”.
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Volantini di Progetto Nazionale alla sede Cgil di Crema:'Nessuna paura. Denunceremo.
“Ancora una volta si cerca di creare un crema razzista e e omofobo. Ma questa volta non ci limiteremo a segnalare quanto accaduto: sporgeremo denuncia alle autorità competenti”. E’ il commento di Monica Vangi, segretario confederale della Cgil di Cremona in merito a quanto accaduto la scorsa notte alla sede di Crema.
Il portone della Camera del Lavoro è stato coperto di volantini, a firma di “Progetto Nazionale”, con scritte “razziste, fasciste e omofobe” di attacco al sindacato e al suo segretario generale Susanna Camusso.
“Il nostro lavoro è dare risposte ai bisogni di tutti i cittadini, quale che sia il colore della loro pelle, la religione o l’orientamento sessuale”, ha proseguito la Vangi
Oltre a Crema, anche Pavia e Mantova hanno subito l’affissione dei volantini durante la scorsa notte. A Mantova è stato anche appeso uno striscione con la scritta “Tra Pd, omosessuali e immigrati lavoratori dimenticati”.
“Non abbiamo paura delle minacce di chi non ha il coraggio di mostrare la propria faccia. La Cgil è sempre stata e continuerà ad essere un presidio di legalità. Che questi personaggi se ne facciano una ragione”.
Ambra Bellandi
venerdì 22 giugno 2018
LA CANNABIS IN CANADA E IN ITALIA
Il Canada,nazione da sempre avanti nei campi sociali ed economici,in quelli dell'accoglienza e delle libertà individuali e collettive,nello stesso giorno in cui l'Italia compie ancora passi indietro sulla questione cannabis,invece da ottobre legalizzerà la marijuana anche a scopo ricreativo.
Partiamo dal paese americano dove per contrastare l'illegalità ed i guadagni illeciti dei proventi che vanno in mano alla criminalità hanno deciso di dare una svolta e di cominciare a regolamentare la vendita dei prodotti contenenti Thc,secondo Stato al mondo dopo l'Uruguay ad averlo fatto.
Da noi invece dopo i primi passi cominciati dall'illegittimità della legge proibizionista Fini-Giovanardi(madn boom-alek )che avevano dato spazio a scenari inusuali facendo avere accesso alla cannabis terapeutica a sempre più malati,si era arrivati allo scorso anno con l'apertura di decine di negozi abilitati per vendere prodotti derivati dalla coltivazione della canapa compresa la marijuana light a bassa concentrazione di Thc.
Uno dei primi passi dell'esecutivo medievale è stato quello di dare l'assist al Consiglio superiore di sanità per tornare sui suoi passi e proporne il divieto di vendita con la conseguente chiusura di tutti i negozi sovra citati aumentando il numero dei disoccupati:cosa che forse potrebbe non avvenire se dovessero esserci regolamentazioni più restrittive.
Gli articoli sono di Wired(no-cannabis-light-consiglio-superiore-sanita )e Left(la-sfida-di-trudeau-ai-falsi-moralisti-via-libera-in-canada-al-consumo-ricreativo-di-marijuana ).
No alla vendita in Italia della cannabis light.
Mentre il Canada ha dato il via completo alla legalizzazione della cannabis a scopri ricreativi, l’Italia fa un passo indietro.
di Giuditta Mosca
Non può essere esclusa la pericolosità, questa in sostanza la motivazione che ha spinto il Consiglio superiore di sanità (Css) ad esprimere, su richiesta del ministero della Salute, parere contrario alla vendita di cannabis light che è legale anche in Italia dal 2017.
Non vi sarebbero per il Css sufficienti studi sugli effetti che provocherebbero le sostanze su alcuni soggetti tra cui anziani, future madri e neomadri o persone con patologie specifiche.
Nella motivazione si legge: “La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni (0,2%-0,6%, le percentuali consentite dalla legge) non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine“
Sugli effetti in casi particolari il Css aggiunge: “non appare in particolare che sia stato valutato il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione)“.
Un mercato fiorente
La cannabis light ha un contenuto di Thc (sostanza responsabile degli effetti psicotropi della cannabis) inferiore allo 0,6%. Dopo l’entrata in vigore del provvedimento con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 14 gennaio del 2017, si è verificato l’incremento delle vendite e si sono moltiplicati gli smart shop. In commercio anche la possibilità di comprarla online come con EasyJoint, marijuana con poco principio attivo, di cui avevamo parlato qui.
La legge sulla possibilità di produzione e consumo di marijuana light, seppur già in vigore dal 2017, presentava delle incertezze. Pur essendo legali le infiorescenze di canapa in vendita, non si poteva riportare una destinazione d’uso.
Nel frattempo una circolare del ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali aveva chiarito che produrre e vendere cannabis light in Italia è legale, senza incertezze.
Cosa accade ora
Le strade percorribili sono due: scegliere di accogliere il parere del Css e vietare la vendita oppure optare per l’adozione di regole più severe per consentire la vendita. Nel frattempo, riporta Repubblica, il ministero della Salute ha chiesto anche il parere dell’Avvocatura di stato.
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La sfida di Trudeau ai falsi moralisti: via libera in Canada al consumo ricreativo di marijuana.
di Micaela Iaccarino
Buongiorno, Canada. «Oggi sono lieto di annunciarvi che il nuovo regime di regolamentazione del consumo di cannabis entrerà in vigore il 17 ottobre». Lo ha detto sorridendo ai suoi cittadini in video Justin Trudeau, dopo l’approvazione del Parlamento al cosiddetto “C-45”. Con 52 si e 27 no al Senato, il Cannabis Act è stato approvato. Ottawa ha legalizzato e regolato il consumo ricreativo della marijuana . Così, ha scritto Trudeau in un tweet, «non sarà più oggetto di profitto del crimine organizzato».
Il ministro della Giustizia, Jody Wilson Raybould, parla di cambiamento: «Ci lasciamo indietro il modello fallito del proibizionismo». Al centro della bandiera rossa e bianca, la foglia d’acero è stata sostituita da quella della marijuana, – solo per qualche ora – , quando molti canadesi sono usciti per strada a festeggiare con il vessillo bicolore sulle spalle. Dopo l’Uruguay nel 2013, il Canada è il secondo Paese del mondo a legalizzare l’uso ricreativo della cannabis.
La marijuana ricreativa è una delle «trasformazioni più radicali della cultura canadese degli ultimi decenni», scrive il New York Times: «Molte questioni da regolamentare rimangono ancora aperte», ma questo era un passo necessario per il governo liberale del primo ministro Trudeau, deciso ad eliminare «l’industria illegale della droga che frutta sette miliardi l’anno ai criminali, per proteggere i minori dai rischi dell’accesso a droghe illegali».
giovedì 21 giugno 2018
LA COERENZA DEGLI USA E DI ISRAELE
Le due principali nazioni guerrafondaie esistenti al mondo,Usa ed Israele,coerentemente con la loro politica di invasione in tutto il globo annunciano l'uscita dal consiglio per i diritti umani dell'Onu,dopo essersi levati fuori dall'Unesco lo scorso anno(madn unescono ).
Una decisione motivata secondo l'ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite Haley in quanto vi sono presenti dei paesi che supportano i terroristi ed il terrorismo,ovviamente quelli che hanno denunciato o non hanno preso posizione sui massacri di Israele nei confronti dei territori palestinesi.
A questa notizia l'unico contento è stato proprio il carnefice Netanyahu che aveva tolto Israele dallo Human Rights Council qualche tempo fa,e sinceramente parlare di diritti umani proprio con quest'ultimo e con Trump era già un'offesa per le milioni di persone,donne e bambini compresi,che vengono massacrati o ingabbiati ai rispettivi confini.
Articolo di Contropiano:lasse-del-male .
L’asse del male esce dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
di Alessandro Avvisato
Prima Israele e adesso gli Usa si chiamano fuori dell’organismo delle Nazioni Unite dedicato alla difesa dei diritti umani. Ad annunciare il ritiro è stata ieri l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, sostenendo che l’organo delle Nazioni Unite “non ha più nulla a che vedere con il suo nome”.
Da giorni si parlava di una imminente uscita da parte di Washington. E lunedì, a Ginevra, l’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dato inizio alla sessione annuale che durerà fino al 3 luglio. “Facciamo questo passo perché il nostro impegno non ci permette di essere parte di una ipocrita ed egocentrica organizzazione che deride i diritti umani”, ha continuato Haley.
L’amministrazione Trump aveva già criticato alcune posizioni interne dell’organismo delle Nazioni Unite. La Haley aveva avvertito che gli Usa avrebbero lasciato se non fossero stati rimossi “i pregiudizi cronici contro Israele”. Insieme alla Haley l’annuncio è stato dato anche dal segretario di Stato Mike Pompeo che ha definito lo Human Rights Council come “un esercizio di ipocrisia senza vergogna”.
Con un esercizio di fantasia che meriterebbe approfondimenti (sul piano della diffusione di false notizie non documentate ndr) la Haley invece ha ricordato come lo Human Right Council delle Nazioni Unite non abbia fatto nulla per “denunciare le violenze dell’Iran nei confronti dei cittadini americani”(?), una denuncia su cui il mondo normale non sembra avere a disposizione informazioni.
La Haley ha continuato sostenendo che altre nazioni – ma non indica né quante né quali – sono imbarazzate per il trattamento verso Israele, ma non hanno il coraggio per confrontarsi e cambiare lo status quo. I membri dell’organo interno all’Onu il mese scorso hanno votato per iniziare una indagine sull’uccisione di cittadini palestinesi da parte di Israele a Gaza, accusando le autorità di Tel Aviv di eccessivo uso della forza. Solo gli Stati Uniti e l’Australia avevano votato contro il provvedimento. E alla posizione si è aggregata ovviamente la Gran Bretagna che ha condannato i pregiudizi contro Israele da parte dello Human Rights Council.
L’unico a esprimere soddisfazione per la decisione statunitense è stato, come prevedibile, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “La decisione Usa – ha scritto il premier israeliano su Twitter – di lasciare quell’organismo pieno di pregiudizi è una dichiarazione inequivoca che il vaso è colmo. Israele accoglie con soddisfazione l’annuncio americano”.
Non può non colpire la coincidenza temporale con cui gli Stati Uniti annunciano il loro ritiro dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite mentre il mondo – e una parte dell’opinione pubblica statunitense – prendono visione delle misure contro l’immigrazione clandestina negli Usa con lo spettacolo dei bambini separati dai genitori e rinchiusi nelle gabbie. Ma è lo stesso mondo e la stessa opinione pubblica che troppo spesso hanno chiuso gli occhi sulle gabbie dell’apartheid israeliano contro i palestinesi. Quando si è cercato di denunciarlo, Usa e Israele “hanno portato via il pallone.”
Ormai è l’intera civiltà raggiunta nel XX Secolo che ha ingranato la marcia indietro.
mercoledì 20 giugno 2018
I "RAGAZZI" DEL PAESE AL CONTRARIO
Le minacce e le ritorsioni cui è stato sottoposto il carabiniere Riccardo Casamassima nel processo per l'assassinio di Stefano Cucchi sono il frutto dell'indecenza di tutta un'arma che a parte pochi elementi altro non è che la propaggine violenta,arrogante e vergognosa dello Stato,un'emanazione dell'estrema destra che non ha fatto i conti con il popolo italiano alla fine della dittatura nazifascista.
Invece di lodare e premiare coloro che ricercano la verità e si prodigano per servire e proteggere i cittadini,vengono messi la bando,ricattati e trasferiti grazie al cameratismo infantile e allo stesso tempo istituzionale di un corpo che nel corso degli anni si è reso protagonista più di episodi criminali che di onestà.
La lunga vicenda Cucchi(madn a-processo-gli-assassini-di-stefano.cucchi )ha avuto una svolta con la testimonianza del Casamassima che ha raccolto le parole di suoi colleghi che hanno parlato di massacro nei confronti del giovane romano scaricando colpe ai medici e alla polizia penitenziaria(non che siano totalmente scevri di responsabilità)ed ha avuto il coraggio assieme all'attuale moglie Maria Rosati di raccontare la verità.
Ora dopo l'annuncio del carabiniere che è stato degradato di mansione e stipendio oltre che essere stato trasferito,un vero e proprio appello ma alle persone sbagliate come Di Maio e Salvini(che ha sempre disprezzato la sorella Ilaria che strenuamente sta ricercando dal 2009 verità e giustizia per il fratello),sembra che possa venire ascoltato direttamente dalla ministra della difesa Trenta.
Personaggi,uomini responsabili come Casamassima contribuirebbero a ricucire i rapporti con i servitori dello Stato,spesso nel mirino di tante persone e a ragione,perché senza rispetto non si può ottenere rispetto.
Articolo di Left:morte-di-stefano-cucchi .
Morte di Stefano Cucchi, il carabiniere Casamassima: «Minacciato dai colleghi, il governo faccia qualcosa».
di Checchino Antonini
«Ci tengo a fare questa diretta perché voglio che si venga a sapere quello che mi sta succedendo…». Appare in divisa su un noto social network , l’appuntato dei carabinieri che, il 15 maggio scorso ha testimoniato al processo Cucchi. Ora il militare denuncia pubblicamente il mobbing nei suoi confronti fornendo uno spaccato inquietante delle condizioni di lavoro nell’Arma. Storie che già sono accadute nei confronti dell’appuntato che volle denunciare l’esistenza di milioni di schedature illegali nelle caserme dei carabinieri (è stato radiato dal corpo), o dell’ispettore della digos che osò scrivere una lettera aperta, sotto forma di lettera a Federico Aldrovandi, durante il processo per l’omicidio di quel diciottenne, a Ferrara, che lui aveva conosciuto da piccolo, aveva accompagnato a scuola e che gli era toccato riconoscere stecchito dalla violenza di quattro suoi colleghi.
«La sto facendo in divisa perché a questa divisa ci tengo – spiega Casamassima nella diretta – me la sono sudata e adesso per aver fatto il mio dovere, come uomo, come carabiniere per aver testimoniato al processo dove un giovane, Stefano Cucchi, è morto perché pestato dai miei colleghi, mi ritrovo a subire un sacco di conseguenze, e sono tutte negative». Alla vigilia di quel 15 maggio, Casamassima era impaurito, scoprirà che «non erano fobie ma si sono concretizzate: mi è stato notificato un trasferimento alla Scuola, sarò allontanato da casa, demansionato dopo vent’anni per strada. Abbiamo subito di tutto, nessun rappresentante di Cobar e Cocer è voluto stare dalla nostra parte e mi hanno detto di stare attento perché dal Comando generale c’erano troppe pressioni.
È giusto che una persona onesta debba subire questo trattamento? Domani alle 8 di mattina cercherò di incontrare il comandane generale, ho presentato diverse istanze che non sono mai state accolte, ho ancora fiducia che possa cambiare qualcosa dopo di che sarò costretto a rivolgermi alla procura, a denunciare ai magistrati perché il processo Cucchi è ancora aperto, ci sono altri carabinieri che devono essere sentiti, ogni azione nei miei confronti va a compromettere l’andamento del processo».
Quel giorno in tribunale, dopo la scoperta di verbali contraffatti per minimizzare le condizioni di Cucchi, Casamassima ha confermato i dubbi di sempre sulle violenze subite da parte di chi lo aveva arrestato e dei depistaggi che si sono innescati nella fase successiva. Al banco dei testimoni, l’appuntato Riccardo Casamassima e sua moglie, Maria Rosati, parigrado nei carabinieri. Ecco perché nel video l’appuntato usa il plurale.
Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini «si è presentato in caserma – disse Casamassima – mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ‘ragazzi’, l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto». È la conferma del pestaggio del giovane geometra romano, arrestato nell’ottobre 2009 e poi morto una settimana dopo in ospedale, che emerge dalla voce di uno dei teste chiave del processo, oggi davanti alla prima Corte d’assise di Roma. La decisione di raccontare questo episodio arrivò qualche anno dopo la morte di Cucchi, nel 2015, «perché pensavo che Mandolini volesse fare lui stesso qualcosa. Avevo paura di ritorsioni – ha aggiunto Casamassima – dopo la mia testimonianza hanno cominciato a fare pressioni pesanti nei miei confronti. Ho avuto anche problemi perché ho rilasciato interviste non autorizzate; si stava cercando di screditarmi, e io dovevo far capire che tutto quello che dicevano non era vero». «Il figlio del maresciallo Mastronardi, anche lui carabiniere, mettendosi le mani sulla fronte mi raccontò che nella notte dell’arresto vide personalmente Cucchi e lo vide ridotto male a causa del pestaggio subito. Disse che lui non aveva mai visto una persona combinata così». Casamassima ha detto anche che «il nome di Stefano Cucchi come del massacrato di botte fu percepito dalla mia compagna, Maria Rosati, che era dentro quell’ufficio e aggiunse che stavano cercando di scaricare la responsabilità sulla polizia penitenziaria».
«Mandolini – ha detto poi Rosati – disse che era successa una cosa brutta, un casino con un ragazzo che si chiama Cucchi, lo avevano massacrato», che stavano cercando «di scaricarlo, ma non se lo voleva prendere nessuno». La decisione di raccontare questo episodio qualche anno dopo – nel 2015 – ha accomunato entrambi i testimoni: entrambi pensavano che spettasse al maresciallo Mandolini relazionare sulla vicenda, e comunque avevano paura di ritorsioni. E quando Casamassima consigliò a Mandolini di andare dal Pm a raccontare quanto sapeva, la risposta fu: «No. Il Pm ce l’ha a morte con me».
E ora Casamassima si appella a tutte le cariche dello Stato. A «Salvini, Di Maio, al presidente del Consiglio» poiché ritiene «inammissibile che in una istituzione come l’Arma dei carabinieri quando denunci qualcosa ti trovi a subire trasferimenti, punizioni e vessazioni». Infine legge «che scrivono su di me i miei superiori nelle note caratteristiche: carabiniere poco esemplare, inadeguato al senso della rendimento appena sufficiente… vi terrò aggiornati».
«Il carabiniere Riccardo Casamassima ha testimoniato – scrive Ilaria Cucchi su fb – così come lo ha ha fatto la carabiniera Maria Rosati, oggi sua compagna e madre dei suoi figli. Furono loro a dare il via a questo processo per l’uccisione di Stefano Cucchi. Sono stati sentiti dopo che alcuni loro colleghi dissero di aver visto mio fratello estremamente sofferente dopo quel feroce pestaggio subito alla caserma della Casilina durante il foto segnalamento. Sono stati sentiti dopo che alcuni loro colleghi avevano ammesso, davanti ai giudici, di essere stati convocati dai superiori, dopo la morte di mio fratello, per modificare le loro annotazioni. Casamassima oggi è stato trasferito alla scuola allievi con demansionamento umiliante e consistente decurtazione dello stipendio. L’ho sentito in lacrime, disperato. Cari Generali Nistri e Mariuccia, era proprio necessario tutto questo, dopo quanto è emerso durante il processo sino ad ora? La scuola allievi Carabinieri aveva proprio bisogno, oggi, di Riccardo Casamassima? Proprio oggi?».
«Alla prossima udienza dell’11 luglio dovranno sfilare di fronte ai Giudici tanti colleghi del povero Casamassima – spiega -. Saranno ben consci di quel che gli è successo oggi. D’altronde la Scuola allievi aveva bisogno improcrastinabile di lui. Da più parti, dopo quanto sta emergendo al processo, ci viene raccomandata cautela e prudenza. Ci viene letteralmente detto di stare attenti. Lei, generale Nistri, ci ha detto che ‘tutti hanno scheletri nell’armadio’. Noi non li abbiamo, a meno che qualcuno non ce li metta. Ma questa è fantascienza».
«Massima solidarietà al carabiniere che ha fatto il suo dovere raccontando al magistrato quel che sapeva sulla morte di Stefano Cucchi – commenta Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione -. È stato declassato e trasferito mentre meriterebbe una medaglia. Non è tollerabile che in una Repubblica democratica si ostacoli la ricerca della verità da parte dell’Arma dei Carabinieri. Non è accettabile che colpendo Casamassima si lanci un segnale omertoso e intimidatorio a tutti gli uomini in divisa: non denunciate abusi. Si tratta di una mentalità mafiosa incompatibile con la nostra Costituzione democratica. Il presidente della Repubblica e il governo hanno il dovere intervenire. Non confido nel ministro degli Interni che, per raccattare voti dei settori più corporativi delle forze dell’ordine, ha più volte sostenuto il loro diritto all’impunità. Non lasciamo solo Riccardo Casamassima. I responsabili del mobbing nei confronti di Casamassima vanno rimossi, i vertici dell’Arma devono immediatamente fare chiarezza. È su questi problemi che le vecchie rappresentanze militari sono sempre state silenziose mentre con sindacati autonomi e indipendenti, come sancito dalla Corte costituzionale, il diritto, lo Stato di diritto, può e deve entrare nelle caserme italiane».
martedì 19 giugno 2018
CARITA' PER I RICCHI
Come ogni anno arriva la stagione della dichiarazione dei redditi e della grande campagna pubblicitarie per accaparrarsi l'otto per mille del gettito Irpef a favore delle diverse confessioni religiose che hanno firmato l'intesa con lo Stato oltre lo Stato stesso che ne può beneficiare(vedi:madn le-verita-sullotto-per-mille ).
La tanto reclamizzata povertà della chiesa e del suo popolo,il donare a chi non ha,il divieto di ostentare le proprie ricchezze,gli appelli alla carità verso i poveri ed i bisognosi vanno sempre a quel paese osservando davvero cosa sia la Chiesa e che cosa faccia con il suo inestimabile patrimonio.
Quello devoluto davvero dei miliardi di Euro e dollari e altre valute che riescono ad avere,giunge a buon fine solo una percentuale irrisoria mentre il resto vanno ad ingrassare le varie diocesi,finiscono nelle tasche degli alti prelati che sembrano più banchieri che altro e servono ad investimenti immobiliari dove non si pagheranno tassazioni.
Proprio su quest'ultimo tema da anni si cerca che lo Stato possa finalmente riuscire a fare pagare il dovuto,non un Euro in più e nemmeno di meno,ad enti ed organizzazioni che hanno fine di lucro e non sono costituite per opere caritatevoli o simili.
Uno spiraglio di decenza economica e sociale potrebbe essere la revisione se non la cancellazione dei Patti Lateranensi stipulati sotto il regime fascista,ma trattandosi di accordi internazionali tra due nazioni differenti non basta un referendum o azioni intraprese solo dall'Italia,articolo di Left:la-chiesa-di-bergoglio-e-la-farsa-della-finta-poverta .
La Chiesa di Bergoglio e la farsa della finta povertà.
di Carla Corsetti
«Kirchensteuer», è così che viene chiamata in Germania la tassa sulle religioni. Una tassa odiosa per il cui recupero la legislazione tedesca prevede un meccanismo estremamente efficiente nell’attivare una procedura di infrazione qualora ci si renda inadempienti nel versamento. Da tempo i tedeschi hanno preferito dichiarare di non aderire a nessuna confessione religiosa proprio per sottrarsi al pagamento della kirchensteuer. In Italia il meccanismo è diverso. Non si aggiunge una ulteriore tassa alle circa cento tasse previste dal sistema fiscale, ma si detrae una percentuale dalla tassa più elevata, l’Irpef. Lo 0,8% dell’Irpef può essere destinato a 12 diverse confessioni religiose che hanno stipulato una intesa con lo Stato italiano. Il sistema della tassazione in favore delle confessioni religiose, per come è concepito, lascia intendere al contribuente che sia strutturato in una sostanziale volontarietà, tanto più che tra le opzioni possibili, si include anche lo Stato. A ben vedere non c’è alcuna linearità e nella ipotesi in cui nessuna delle opzioni viene sottoscritta dal contribuente «la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse». È proprio in questa ulteriore ripartizione che si consuma la perversione del privilegio fiscale.
In altri termini la quota di tassazione che non ha ricevuto alcuna indicazione di destinazione opzionale, viene nuovamente ripartita tra le confessioni religiose secondo la stessa proporzione registrata per le opzioni espresse. In sintesi. I contribuenti italiani sono circa 41 milioni e cinquecentomila. Di questi soltanto il 45% circa esprime un’opzione tra le 13 possibili e stiamo parlando di circa 18 milioni di contribuenti. All’interno di questo 45%, il 37% circa esprime una opzione verso la Chiesa cattolica. Quel 37% è costituito da circa 15 milioni di contribuenti. Circa 15 milioni di contribuenti costituiscono, all’incirca, l’80% dei contribuenti che hanno espresso la loro opzione. A questo punto l’80% del gettito Irpef destinato alle confessioni religiose di coloro che non hanno espresso alcuna opzione, viene destinato alla Chiesa cattolica. Per avere cognizione delle cifre di cui si sta parlando, possiamo ricordare che nel 2016 la Chiesa “povera” di Bergoglio ha incamerato dall’8×1000 del gettito Irpef un miliardo e trecentomila euro.
Il 16 maggio 2016 aprendo i lavori della 69ma Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, durante la quale si dovevano assumere decisioni sulla spartizione del “bottino”, Bergoglio, assolutamente incurante dell’incoerenza rispetto al contesto, ha esortato i suoi interlocutori: «Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio». Più devastante dell’incoerenza del messaggio propalato, è stata la risonanza che simile frase ha avuto sui media, proni ad assecondare la farsa della finta povertà mentre ci si sedeva al banchetto dell’avidità. Decisamente più coerente fu Paul Marcinkus, un cardinale al centro di scandali finanziari internazionali, il quale non aveva mai celato la sua “passione” per il denaro e del quale resta famosa la frase: «Non si governa la Chiesa con le Ave Maria».
Tornando a tempi più recenti, un’analisi sulla tassa per le religioni rende imprescindibile il richiamo alla relazione della Corte dei conti del dicembre 2016 nella quale è stato tracciato un quadro desolante. Assenza di controlli, rilevanti anomalie, perdurare degli elementi di debolezza nella normativa, sproporzione rispetto alla Chiesa cattolica la quale riceve più dalla quota indistinta (ovvero quella senza alcuna indicazione opzionale) che non dalle precise scelte dei contribuenti.
Queste in estrema sintesi le accuse della Corte dei conti. Già nel 2014 (v. art. di Grendene) la Corte aveva denunciato le aberrazioni sottese al meccanismo di redistribuzione dell’8xmille rilevando come, a fronte di un 37% di indicazione per scelta opzionale, la Chiesa cattolica arriva a riscuotere l’82% dell’intera partita contabile. I rilievi della Magistratura contabile si erano concentrati sul perverso meccanismo della assegnazione finale perché non rispettava (e non rispetta ancora oggi) i «principi di proporzionalità, volontarietà e uguaglianza» che in uno Stato di diritto improntato al rispetto dei diritti costituzionali e dei diritti umani, hanno un senso, ma nello Stato della Repubblica pontificia italiana, hanno lo stesso senso delle Ave Marie di Marcinkus.
Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia atea e fa parte del coordinamento nazionale di Potere al popolo
sabato 16 giugno 2018
LA MACEDONIA DEL NORD E L'INVOCAZIONE AL GOLPE IN GRECIA
Negli ultimi giorni è il caos totale in Grecia e in Macedonia per la scelta dei due premier Tsipras e Zaev per l'accordo sul nome che ufficialmente prenderà lo Stato dell'ex Repubblica Jugoslava,che ancora è Fyrom(Former Yugoslav Republic of Macedonia,in italiano ex Repubblica Jugoslava di Macedonia)nome dato provvisoriamente nel 1993 dopo le tragiche vicende legate alla guerra nei Balcani per poter aderire all'Onu.
Proteste sia da una che dall'altra parte culminata con l'intervento del parlamentare di Alba Dorata Barbarousis che in aula ha invocato il golpe richiedendo l'intervento dell'esercito e l'arresto di Tsipras oltre quello del Presidente e del Ministro della difesa per alto tradimento,accusa che alla fine è stata fatta nei sui confronti.
Lo stato che è conosciuto come Macedonia o Repubblica di Macedonia ai più dovrebbe chiamarsi,previo referendum,Macedonia del Nord e questo ha fatto arrabbiare seriamente i nazionalisti di entrambi i fronti ma anche dalla sinistra greca,come in anni passati,non è che questa scelta sia stata condivisa.
Un paese sul baratro del crollo sociale ed economico ancora più del nostro,dove i golpe come quello dei colonnelli che per sette anni hanno instaurato una dittatura anticomunista dal 1967 al 1974 con chiari riferimenti al più becero fascismo:non c'è nulla da sottovalutare mentre Barbarousis è attualmente latitante per evitare l'arresto.
Atene: invoca il golpe, deputato neonazista destituito e ricercato.
di Marco Santopadre
E’ ancora in fuga e ricercato dalle forze dell’ordine il neonazista greco Konstantinos Barbarousis che, nel corso del dibattito parlamentare sulla sfiducia presentata dall’opposizione contro il governo, aveva chiesto all’esercito di ribellarsi e di attuare un colpo di stato, iniziando con l’arrestare il premier Alexis Tsipras, il presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos e il ministro della Difesa Panos Kammenos.
Nel corso del suo violento intervento in aula a proposito dell’accordo siglato da Atene e Skopje sul nuovo nome della “Macedonia del Nord”, il parlamentare aveva accusato il governo di «non negoziare nell’interesse della nazione, ma nel proprio», e poi aveva chiesto ai vertici militari di «rispettare il proprio giuramento» e arrestare quindi i vertici di governo e stato, «per evitare il tradimento».
La mossa di Barbarousis è stata talmente sconsiderata da costringere il partito di estrema destra Alba Dorata a sconfessarlo, espellerlo dal suo gruppo parlamentare e poi dalla formazione. Dopo poche ore, inoltre, il ministro Kammenos – esponente della formazione di destra ‘Greci Indipendenti’ alleata di Syriza – ha chiesto alla magistratura che Barbarousis fosse accusato di alto tradimento ed incriminato.
In base alla legislazione ellenica, le accuse di alto tradimento fanno cadere la necessità di un voto parlamentare per togliere l’immunità al deputato che da ieri si è reso irreperibile. Secondo la polizia, Barbarousis, dopo un inseguimento con la polizia sulla Atene-Patrasso, si nasconderebbe ora nella regione Aetolia-Acarnania (Grecia occidentale), dove è stato eletto.
Intanto si attende il voto sulla mozione di sfiducia contro l’esecutivo presentata dall’opposizione di centrodestra di Nuova Democrazia, il cui leader Kyriakos Mitsotakis ha definito l’accordo siglato martedì scorso con Skopje “dannoso” e “frutto di una ritirata nazionale”. Tsipras può contare su una risicata maggioranza in parlamento, ed anche i Greci Indipendenti di Kammenos si sono detti contrari all’accordo raggiunto dal capo del governo con il suo omologo macedone Zoran Zaev. Ma a sostegno di Tsipras potrebbero votare alcuni deputati centristi che non fanno ufficialmente parte della sua maggioranza e anche Kammenos si è detto non intenzionato a mettere a rischio l’esecutivo nonostante la sua ferma opposizione al patto che concede all’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia l’utilizzo, nella propria denominazione ufficiale, di un termine che i nazionalisti greci, trasversalmente agli schieramenti politici, rivendicano come parte esclusiva della propria storia e della propria cultura.
“Solo i greci possono essere chiamati macedoni” ha spiegato ai media Michalis Patsikas, il promotore della protesta. “La storia è scritta nel sangue” ammoniva invece uno striscione tenuto da un monaco. Ma ieri sono state solo poche centinaia di persone, compresi alcuni sacerdoti ortodossi e deputati di Alba Dorata, a manifestare davanti al parlamento in Piazza Syntagma. Negli anni scorsi però le manifestazioni trasversali convocate contro la Macedonia da numerose forze politiche greche, dall’estrema destra fino alla sinistra, hanno visto la partecipazione di milioni di cittadini e cittadine.
Paradossalmente, anche a Skopje si mobilitano le forze contrarie all’accordo. Ieri, per il secondo giorno consecutivo, nella capitale del piccolo stato nato dalla disgregazione della Jugoslavia – che grazie all’accordo potrà ora chiedere l’adesione alla Nato, finora bloccata dalla Grecia – hanno protestato diverse migliaia di manifestanti che, intonando canti patriottici e slogan contro il governo, hanno ricevuto la solidarietà del Presidente della Repubblica Gjorgje Ivanov, anch’egli contrario all’accordo, che ha annunciato di non voler firmare perché dannoso per il paese e anticostituzionale.
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Macedonia, a rischio il patto con la Grecia sul nuovo nome.
L’accordo tra Atene e Skopje sul nuovo nome di Fyrom – ribattezzata Repubblica della Macedonia del Nord – stenta, come ampiamente previsto, a decollare mettendo a rischio l’intesa che spalancherebbe al paese balcanico l’accesso a Ue e Nato. Bruxelles, Alleanza atlantica e Usa hanno applaudito allo storico compromesso che chiude quasi trent’anni di braccio di ferro tra le due nazioni. Ma i problemi restano
dal nostro inviato ETTORE LIVINI
ATENE - L'accordo tra Atene e Skopje sul nuovo nome di Fyrom - ribattezzata Repubblica della Macedonia del Nord - stenta, come ampiamente previsto, a decollare mettendo a rischio l'intesa che spalancherebbe al paese balcanico l'accesso a Ue e Nato. Bruxelles, Alleanza atlantica e Usa hanno applaudito allo storico compromesso che chiude quasi trent'anni di braccio di ferro tra le due nazioni. "E' un passo che consoliderà la pace nella regione", ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. L'accoglienza è stata invece molto meno entusiastica in Grecia e Fyrom dove i nazionalisti (e non solo loro) hanno attaccato i termini dell'accordo e minacciano di farlo saltare.
Una prima manifestazione di protesta si è tenuta ieri mattina a Skopje dove centinaia di manifestanti hanno sfilato davanti al Parlamento blindato dalla polizia urlando "traditori". Il presidente della Repubblica Gjorgje Ivanov ha già fatto sapere che non firmerà a nessuna condizione una decisione "anticostituzionale" e "dannosa per i cittadini macedoni". Il no di Ivanov non è l'unico problema del premier Zoran Zaev: "Questa soluzione è una drammatica sconfitta per la diplomazia macedone", ha tuonato il leader dell'opposizione Hristijan Mickoski, annunciando battaglia. L'intesa dovrà superare nella nazione balcanica un doppio scoglio: un complesso passaggio in aula dove è richiesta una maggioranza dei due terzi per l'approvazione dei cambi costituzionali necessari e un referendum sul nuovo nome con un quorum minimo del 50% dei votanti.
In difficoltà è anche il premier ellenico AlexisTsipras. I nazionalisti greci, protagonisti nei mesi scorsi di oceaniche manifestazioni contro l'accordo, torneranno in piazza oggi ad Atene. Panos Kammenos, leader di Anel, il partito di destra che gli garantisce i voti necessari per governare, ha annunciato in una conferenza stampa che non appoggerà in aula l'iniziativa: "Non accetteremo nessuna soluzione che preveda l'uso del termine Macedonia". E il deputato di Alba Dorata Konstantinos Barbarousis è stato messo sotto inchiesta dopo che nel dibattito parlamentare sulla mozione di sfiducia a Tsipras ha chiesto all'esercito di intervenire "prestando fede al suo giuramento di fedeltà per arrestare il premier , il presidente della Repubblica e il ministro degli esteri" per alto tradimento sulla questione macedone.
Contraria anche l'opposizione di centro-destra che ha presentato una mozione di sfiducia al premier destinata a scaldare gli animi e ad essere votata sabato, alla vigilia della firma del compromesso del giorno successivo a Prespes, nel nord della Grecia.
"Non ci possono mettere davanti a un fatto compiuto - ha detto il leader di Nea Demokratia Kyriakos Mitsotakis - Questa intesa è dannosa per il nostro paese perché in sostanza riconosce radici macedoni al di fuori dei nostri confini". La sfiducia a Tsipras però, salvo clamorose sorprese, non dovrebbe passare: Kammenos ha preannunciato il voto disgiunto: no al nuovo nome se e quando si voterà su questo tema (accadrà solo dopo che Skopje avrà detto sì e cambiato la costituzione) ma no anche alla sfiducia perché "non intendo far cadere il governo".
venerdì 15 giugno 2018
TUTTI PRESENTI NELLA STADIOPOLI ROMANA
Avrà un'eco molto lunga la questione dello stadio di Roma,il regalo del comune che ha promesso ai palazzinari di acquistare terreni senza valore,cambiare la destinazione d'uso probabilmente grazie a mazzette,fare colate di cemento e rivendere a prezzi altissimi.
Ed è purtroppo la regola in Italia,in molte città è così da anni,favori a proprietari di terreni che grazie ad interlocutori e consulenti che oliano gli ingranaggi burocratici a forza di aiuti economici ed amicizie vere o comprate e che riescono a fare soldi a palate grazie alla corruzione di politici.
La vicenda di Roma è raccontata nell'articolo sotto preso da Infoaut(stadio-della-roma )e parla di come una vicenda già nata tra le polemiche(madn i-palazzinari-hanno-vinto )per le dimissioni obbligate dell'assessore all'urbanistica Berdini che il progetto del palazzinaro Pardini proprio non lo voleva attuare in una zona a rischio alluvioni e praticamente senza una rete stradale sufficiente,alla fine si è dimostrata una grande vicenda di tangenti.
Non ci sono più alibi per la politica attuale,tutti sono implicati dal Pd alla Lega passando per i pentastellati,con l'avvocato Lanzalone,il pifferaio magico che ha fatto danni a Crema essendo nominato consulente per la privatizzazione della piscina e del servizio di gestione rifiuti,ed il Parnasi che sembra il personaggio principale della vicenda che ha finanziato la Lega a Milano per la campagna elettorale.
Stadio della Roma: partiti corrotti, sulla città decidono i palazzinari.
Roma - Terremoto giudiziario sul comune di Roma, sulla Regione Lazio e sulla famiglia Parnasi. Mazzette e corruzione intorno allo Stadio della Roma. Tutti i partiti sono coinvolti nell'inchiesta.
Una città preda dei palazzinari. Comune e Regione ricevono mazzette per regalare alla famiglia Parnasi profitti per 800 milioni. L'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, che ha contribuito anche all'inchiesta Mafia Capitale, ha portato all'arresto di Luca Parnasi, importante imprenditore della città e a 5 suoi collaboratori. Misure cautelari per Palozzi (Forza Italia), Civita (Partito Democratico) e Lanzaloni (Presidente di Acea). Nel complesso gli indagati sono 16. I reati contestati sono associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, traffico di influenze, emissione di fatture per operazioni inesistenti, corruzione, finanziamento illecito ai partiti. Le indagini sono partite dall'arresto, sempre per corruzione, di Raffaele Marra (ex braccio destro della sindaca Raggi) e dell'imprenditore Scarpellini alla fine del 2016. Nel periodo in cui Lanzaloni fu chiamato a Roma dal Movimento Cinque Stelle. Il ruolo del pool di magistrati protagonisti delle inchieste romane è tutto ancora da capire dopo il flop dell’accusa di associazione mafiosa nell’inchiesta di due anni fa ora si sono limitati all’accusa di associazione a delinquere.
STADIO DELLA ROMA
Progetto che prevede una gigantesca colata di cemento su Tor di Valle. I terreni di Tor di Valle sono di proprietà della Famiglia Parnasi. Da anni Parnasi assieme alla società di calcio Roma spingono sul comune per cambiare la destinazione d'uso dei terreni. Lo stadio riguarderebbe solo uno spicchio della gigantesca speculazione edilizia richiesta. Pallotta, il presidente della Roma diventerebbe proprietario dello stadio, subaffittandolo alla società calcistica.
Il resto delle cubature vengono utilizzate per un Business Park, con negozi e centri commerciali, e per una zona residenziale. E' questo il regalo per la famiglia Parnasi. Il giochetto dei palazzinari romani è sempre lo stesso. Comprare terreni a basso costo, trattare con le istituzioni per modificarne la destinazione d'uso, edificare palazzi, centri commerciali e mostri di cemento, aumentare vertigionasamente il valore delle proprietà, vendere e incassare enormi profitti.
Le trattative con le istituzioni passano da grosse unzioni di funzionari e politici. Oscure gare d'appalto e cambi dei piani regolatori in cambio di mazzette. Le amministrazioni degli enti locali sono da sempre subalterne agli interessi dei privati.
In questo 'gioco' lo Stadio rappresenta semplicemente un pretesto, sul quale costruire consenso e giustificare il regalo di così tanti metri cubi edificabili.
Le spese per pubblica utilità sono di circa 120 milioni (diminuite nell'ultimo progetto) e rigurdano i collegamenti logistici (strade, metro, treni, ponti). Una compensazione ridicola (e che è anche difficile chiamare compensazione) rispetto ad un affare di oltre 1,5 miliardi, che in ogni caso sarebbero necessarie per questo progetto. Case e centri commerciali senza strade e mezzi che li collegano alla città non hanno valore di mercato.
FAMIGLIA PARNASI
Luca Parnasi è uno dei più importanti palazzinari di Roma. Famiglia da sempre legata al Partito Democratico, che ha ricevuto negli anni grossi finanziamenti per le campagne elettorali. Non che il colore politico abbia mai fermato il gruppo per corrompere schieramenti differenti. Questa inchiesta giudiziaria sembra confermarlo. Dalle intercettazioni emergono queste affermazioni:
"Spenderò qualche soldo sulle elezioni. Che poi con Gianluca vedremo come vanno girati ufficialmente con i partiti politici eccetera...
Anche questo è importante perché in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare.
Un investimento molto moderato rispetto a quanto facevo in passato quando ho speso cifre che manco te racconto.
Io c’ho una lista di tutti i partiti politici, dieci soggetti. Io non voglio essere presente, la cosa la faccio fa’ a mamma. Poi vediamo come fa con i pagamenti."
Le società dei Parnasi negli ultimi anni sono finite in bancarotta. Circa 700 milioni di euro i cui creditori principali sono Unicredit e MontePaschi di Siena. Quest'ultima ha avuto un crollo bancario che ha portato ad un salvataggio a fine 2016 con un finanziamento pubblico. Ovviamente l'allora governo Renzi-Gentiloni (era nella fase di transizione) si era ben guardato da rivelare gli insolventi della 'banca rossa'. Parnasi era uno di quelli.
La costruzione dello Stadio della Roma rappresenta quindi una grande occasione per rimettere a posto i conti. Un affare che mette d'accordo tutti. I profitti previsti ammontano tra i 500 e gli 800 milioni.
Non sufficentemente soddisfatto di questa gigantesca speculazione, Parnasi aveva provato ad esportare questo modello anche su Milano. Un casa per l'assessore Maran che però ha rifiutato.
PARTITI
In questa inchiesta è coinvolto Michele Civita, consigliere regionale del PD ed assessore nella scorsa legislatura di Zingaretti. A lui è stato promessa l'assunzione del figlio in una delle società di Parnasi.
L'ormai longeva relazione con il Partito Democratico non è sancita solo dalla costruzione dello Stadio della Roma. Già ai tempi di Zingaretti alla Provincia i rapporti erano ottimi. Il famoso progetto del Palazzo della Provincia altro non era che l'acquisto di una delle torri che Parnasi aveva costruito all'Eur. Per Zingaretti era un risparmio, un efficente sistema per accentrare tutte le sedi della Provincia. Dietro ballavano milioni di euro dei contribuenti e una misteriosa garanzia di alcuni lussuosi stabili di proprietà della provincia affidati a BNP Paribas. Il tutto sancito da una delibera firmata pochi giorni prima dall’estinzione definitiva della provincia di Roma e quindi dell’inutilità di un palazzo che la ospitasse.
Palozzi, vice-presidente del consiglio regionale e di Forza Italia, ha ricevuto una fattura di 25.000 euro. Anche Davide Borboni, capogruppo di Forza Italia al Campidoglio è indagato.
Lanzalone è stato chiamato dalla sindaca Raggi, su consiglio di Grillo e Casaleggio, a seguito dell'arresto di Raffaele Marra per sbrogliare la brutta situazione lasciata dall'ex braccio destro della sindaca. Lanzalone, arrivato dalla Livorno del sindaco Nogarin, diviene Presidente di Acea e mediatore ufficiale dell'operazione stadio. Lanzalone è al centro di questa inchiesta giudiziaria, che è partita infatti proprio durante il suo insediamento. Parnasi ha promesso a Lanzalone prestazioni professionali per oltre 100.000 euro. Tra gli indagati risulta anche Paolo Ferrara, capogruppo del Movimento Cinque Stelle nel consiglio comunale. Parnasi gli aveva promesso il restyling del lungomare di Ostia, da rivendicare come operazione politica. Non solo dalle carte risultano finanziamenti anche alla campagna elettorale per le scorse regionali alla candidata 5s Roberta Lombardi.
Da tanto tempo la questione intorno allo Stadio era un problema nel Movimento Cinque Stelle. Poche settimane fa era stata espulsa una consigliera che aveva richiesto un parere su diversi questiti sull'opera di Tor di Valle. Il parere era stato secretato dalla Sindaca Raggi.
Nelle carte degli inquirenti spunta anche la Lega Nord. Parnasi avrebbe infatti finanziato la campagna elettorale della Lega a Milano alle elezioni comunali. Delle fatture retrodatate per 250.000 euro destinate a Radio Padania.
Sullo Stadio della Roma ci si chiedeva fin dal primo giorno come fosse possibile che un'amministrazione pubblica regalasse ai privati una speculazione del genere.
L'inchiesta fa affiorare quello che a Roma tutti sanno. Il settore edile ed immobiliare (per quanto in crisi) è un pezzo di economia che tiene in mano le amministrazioni comunali e regionali. Tutti i partiti sono coinvolti: Partito Democratico, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. In particolare anche per quest'ultimo viene strappato via il velo di dubbio sull'onestà che veniva tanto declamata.
Non poteva mancare la solidarietà di Salvini, che afferma di conoscere personalmente Parnasi. Per lui la colpa è dell'eccessiva burocrazia del sistema degli appalti.
I palazzinari sono costretti a delinquere per fare miliardi di euro di profitto. Poveri costruttori, la colpa è della burocrazia! Ma stiamo parlando di un ministro che ha detto a chiare lettere che non c’è nessuno scandalo a tagliare le tasse ai ricchi che esattamente vuol dire questo: elargire ancora risorse pubbliche agli imprenditori, come Parnasi che succhia il sangue a chi vive in questo paese a 5 euro all’ora. I 5 stelle sono d’accordo e il Pd si commenta da solo. Come dire è cambiato tutto per non cambiare niente.
giovedì 14 giugno 2018
LA STESSA POLITICA DEL RESPINGIMENTO DI FRANCIA E ITALIA
La vicenda della nave Aquarius della Ong Sos Mediterranée con decine di profughi africani,che ancora sono in balia del mare e non si sa ancora il porto di attracco anche se ultimamente le ultime notizie parlano di una possibile rotta verso la Sardegna e non verso la Spagna viste le pessime condizioni del tempo,ha fatto suonare numerosi campanelli d'allarme in tutta Europa.
L'articolo di Contropiano(la-nave-acquarius-e-la-deriva-xenofoba-europea )parla infatti della deriva razzista che sta prendendo l'Europa intera grazie ai proclami dei vari Orban dei numerosi paesi dell'est che propongono la campagna e la politica di respingimento,mentre negli altri paesi diciamo più progressisti le opposizioni xenofobe lanciano proclami infuocati sulla sorte di questi poveracci.
Ben inteso che sia Salvini che Macron pur arrivando e vestendo panni politici diversi,la loro visione d'insieme sull'immigrazione è la stessa visto che i respingimenti e le morti avvenute in mare o sui confini di montagna sono le stesse.
La nave Acquarius e la deriva xenofoba europea.
di Stefano Mauro
La vicenda della Nave Aquarius, della ONG “SOS Mediterranée” con a bordo 629 profughi africani, ha messo in evidenza tutte le difficoltà della UE nell’affrontare il tema dell’immigrazione in Europa e rivela la deriva xenofoba degli stessi stati membri dell’Unione nelle sue politiche di respingimento.
Ai proclami razzisti e populisti del Ministro degli Interni e vice presidente del Consiglio, Matteo Salvini, si sono aggiunti, poi, una serie di dichiarazioni da parte del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, o del neo governo del socialista Pedro Sanchez.
Dopo appena un’ora dalla decisione del governo spagnolo di accogliere e far sbarcare i migranti nella città di Valencia, Macron ha dichiarato che “se quella nave avesse avuto la Francia come porto più vicino, sarebbe potuta tranquillamente sbarcare”. Affermazione ipocrita, falsa e infame, quanto l’atteggiamento del leghista, visto che lo stesso governo francese ha rifiutato, nelle ore precedenti, la disponibilità e la proposta di Jean Guy Talamoni e di Gilles Simeoni, rispettivamente presidente dell’assemblea e dell’esecutivo della Corsica, di poter accogliere la nave Aquarius “viste le difficili condizioni meteo del mare e la mancanza di viveri”.
Dopo un primo e sconcertante silenzio, infatti, le dichiarazioni di Macron appaiono come una mero calcolo opportunistico per rimarcare le radici di solidarietà del popolo francese e per discostarsi dalla posizione intransigente espressa dalla leader del Front National, Marine Le Pen, solidale nei confronti dell’alleato Salvini.
Contraddizioni che restano evidenti nelle azioni del governo francese. Da una parte, infatti, Macron fa proclami di sostegno nei confronti dei migranti e dall’altra continua nella sua campagna di respingimento di tutti gli immigrati irregolari, anche minori non accompagnati, che tentano di oltrepassare i confini tra Italia e Francia. Un esempio sono le tristi vicende invernali dei profughi in Val di Susa o dei sans papiers sgomberati recentemente dalla polizia di Parigi nelle bidonville fantasma lungo le rive della Senna.
Il sindaco della capitale francese, Anne Hidalgo, ha recentemente dichiarato che “l’Europa deve superare l’impasse dei profughi dublinés (giudicati nel paese di ingresso in base al regolamento di Dublino, ndr) visto che, quando arrivano in Francia o in Belgio, vivono come persone invisibili, senza alcun diritto o tipo di accoglienza”.
Dichiarazioni che arrivano qualche giorno dopo la fine del tentativo da parte del parlamento europeo di cambiare proprio gli accordi di Dublino e rifiutati dai paesi di Visengrad (Polonia, Ungheria, Rep Ceca e Slovacchia, ndr) oltre che dallo stesso governo italiano. Un rifiuto che rischia di provocare un ulteriore spostamento a destra da parte del fronte dei paesi europei che rifiutano di cambiare Dublino “perché contrari all’ottica di ridistribuzione volute dalle sinistre europee” – come affermato dallo stesso Melenchon leader di France Insoumise – “e propensi nel bloccare il flusso migratorio al di fuori delle frontiere europee in paesi come la Libia o la Turchia, senza nessuna tutela dei diritti umani”.
Un segno di discontinuità con la destra europea che, forse, comincia a far vedere il neo governo socialista di Sanchez. Una scelta, però, legata anche “all’eccezionalità della disponibilità ed alla visibilità mediatica internazionale” come rimarcato dalla stampa progressista spagnola. In questo caso la disponibilità di Sanchez è frutto più delle pressioni di Podemos o del sindaco di Barcellona, Ada Colau, che da un reale cambiamento da parte delle autorità spagnole. I precedenti governi, da Zapatero a Rajoy, hanno continuato nella stessa maniera a respingere le migliaia di migranti che premono lungo le recinzioni di Ceuta e Melilla, città spagnole in territorio marocchino, e che, senza avere la possibilità di richiedere lo status di rifugiati, vengono illegalmente respinti e dispersi dalle autorità di Rabat, complice delle politiche repressive di Madrid più volte ripresa dall’ONU per violazione dei diritti umani.
L’unica nota positiva in questo clima di “ipocrisia, razzismo e ignoranza”- come affermato da Sophie Beau, cofondatrice e direttrice di SOS Mediterranée ieri in un comizio a Marsiglia – “ è stata la risposta di numerosi sindaci o enti locali (Palermo, Napoli, Barcellona, Marsiglia, Parigi, ndr) e le manifestazioni spontanee di migliaia di persone che non si riconoscono in Salvini, nella Le Pen o nell’Europa delle barriere e che hanno dimostrato la loro solidarietà ai migranti in Italia ed in molte città europee”.
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