venerdì 11 maggio 2018

L'UNIONE SARA' FATTA?


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Facendo la premessa che il governo tra i cinquestelle e i leghisti non è ancora cosa fatta anche se probabile e stando ai risultati elettorali anche legittimo per quanto riguarda il numero dei voti,delle perplessità emergono dai diversi modi di vedere la politica dei due schieramenti e dalle promesse difficilmente realizzabili compiute da entrambi.
Salvini che vuole la"sicurezza"e la questione migranti,clandestini e profughi,per lui tutta la stessa cosa,come primo elemento che dovrebbe contraddistinguere il suo governo ed i grillini col reddito di cittadinanza come primo passo,avranno gatte da pelare se messi assieme,soprattutto su quest'ultimo elemento visto che Grillo e alla sua setta espellere la gente è sempre piaciuto(ricordiamoci che una volta erano partiti euroscettici mentre ora l'Europa non si tocca).
Nei due articoli sono proposte le stesse idee fondamentalmente,col primo(senzasoste 5-stelle-giu-la-maschera )che parla più della zona della Toscana e del fatto che Di Maio come da copione leader di un partito né di destra né di sinistra comunque è andato sempre dalla prima parte.
Nel secondo invece(contropiano governo-grillin-leghista )il discorso si fa più tetro e si invita la gente a mobilitarsi per questo accoppiamento politico,col pericolo di un Movimento che fa le cose di nascosto senza avere mai fatto qualcosa in trasparenza,poi della Lega si sa già cosa siano e come agiscano e soprattutto quanto conti ancora Berluscojoni.
Forse la strana coppia starà assieme solamente per una nuova legge elettorale,oramai il voto di luglio sarebbe già slittato in autunno,mentre la destra ormai sdoganata in primis dal Pd e dalla sua politica reazionaria potrebbe entrare direttamente nel governo o appoggiarlo cammin facendo.
Quel che balza all'occhio è la pochezza politica del Pd che fa parlare ancora Renzi senza fare qualcosa di pratico come per esempio fa Potere al Popolo,l'unica forza politica che il giorno dopo le elezioni ha continuato il proprio lavoro per riportare l'Italia alla sinistra veritiera.
Poi vedremo,tornando ai due protagonisti del post,se le promesse sull'abolizione della legge Fornero,sui temi fiscali con la ripugnante flat tax,ed altre boiate preelettorali avranno da fare e non più da dire,mentre il Pd aspetta e tifa contro(left sperare-che-gli-altri-falliscano-non-porta-voti-e-non-fa-bene-al-paese ).

5 stelle, giù la maschera.

La  nostra testata, di sinistra, non ha mai avuto un atteggiamento di rifiuto compulsivo verso i 5 stelle né ha mai mostrato pregiudizi o atteggiamenti snob verso quel movimento. Infatti ci siamo presi la briga di analizzarlo fin dal lontano V Day, permettendoci  poi di dire che la vittoria di Pizzarotti a Parma del 2012 avrebbe potuto creare un’onda lunga che sarebbe arrivata a Livorno. A sinistra ci trattarono da sciroccati ma, per quanto complesse, la politica e le mutazioni sociali hanno le loro regole. E infatti a Livorno, due anni dopo, andò come avevamo fiutato. E, sempre nel 2012, con il primo exploit grillino alla regionali siciliane, scrivevamo che si stava formando “un qualcosa che può arrivare alla giugulare dei partiti della seconda repubblica” (http://archivio.senzasoste.it/nazionale/grillo-e-il-gatto-che-puo-mangiare-il-topo). I motivi erano semplici: gli choc finanziari nella società hanno l’effetto di terremoti vasti ma silenziosi. La società italiana ne ha subiti due, ravvicinati (2008 e 2011), che ne hanno cambiato di molto la faccia e anche l’atteggiamento verso la politica. Se sovrapponiamo questo alle mutazioni tecnologiche, che hanno investito la vita sociale e la politica,  è chiaro che la questione delle mutazioni radicali della rappresentanza politica, espressione di un vasto cambiamento sociale, stava solo nel chi e nel come.

Insomma, c’è stata attenzione rispettosa della novità ma anche critica, specie nel momento in cui, sui territori, il movimento 5 stelle faceva vedere di poter “creare nuovi mostri” (http://archivio.senzasoste.it/dintorni/immigrati-a-pontedera-ma-chi-raccatta-il-movimento-5-stelle). E qualche piccolo mostro lo ha creato ma, in fondo, fa parte della politica che di mostri ne fabbrica.

Quello che però emerge adesso veniva già rilevato nell’autunno del 2014: i cinque stelle come uno dei “partiti pigliatutto (catch-all-parties) tipici della comunicazione politica all’americana che sono “né di destra né di sinistra” giusto nel momento elettorale. Successivamente, una volta ottenuto il potere, svoltano verso destra” (http://archivio.senzasoste.it/speciali/beppe-grillo-il-gatto-che-mangio-se-stesso). Questo per un’altra logica elementare della politica: nelle organizzazioni, anche quelle che rifiutano di essere chiamate come tali, nel momento in cui si rappresentano istanze differenti tra loro prevale l’istanza che rende possibile, che cementa gerarchie di potere.  Il movimento 5 stelle, da dicembre, ha infatti uno statuto gerarchico (con tanto di “capo politico” altro che “uno vale uno” delle origini) e oggi tratta un governo possibile con un partito parafascista (la Lega) con l’appoggio esterno di Berlusconi (mafia? P2? Bunga-bunga? Conflitto di interessi? C’è solo da scegliere..).

Qui non si vogliono fare critiche di tipo identitario e nemmeno dire che sotto il marketing della democrazia dei cittadini, c’era il trucco. E’ al tipo di alleanza che può formarsi tra Lega e 5 stelle, con l’appoggio esterno di Berlusconi, che si guarda. Alla sua consistenza in termini di visione economica e sistemica. Flat tax e reddito di cittadinanza, cavalli di battaglia elettorale di Lega e 5 stelle, non possono convivere. Perchè la flat tax, al netto della propaganda, riduce nell’immediato il gettito fiscale di un paese. E quando si riduce il gettito fiscale diventa impossibile finanziare il reddito di cittadinanza. Anche perché la logica economica della flat tax prevede che, liberando risorse altrimenti in mano al fisco, si scateni in una seconda fase una nuova ondata di gettito fiscale dal lavoro nuovo generato. Per cui, pensata per liberare nuove risorse economiche e nuovo lavoro, la flat tax è esattamente il contrario del reddito di cittadinanza, che invece scommette sulla stabilità sociale in assenza di lavoro. Certo, Bloomberg, non Programma Comunista, un anno e mezzo fa pubblicò uno studio che dimostrava come solo in pochi paesi la flat tax avesse avuto successo. Ma questo non interessa a chi sta provando a formare un governo oggi. Quello che a 5 stelle e Lega interessa è trovare un equilibrio di potere e, poi, raccontare qualcosa al proprio elettorato. Il fatto che questo elettorato vedrà disattese le proprie speranze proprio perché la logica economica degli eventuali alleati è contraddittoria? Diciamo che l’elettorato lo scoprirà vivendo.

Si tratta di equilibrio di potere che, in Europa, è destinato a trovare forti, se non fortissimi, elementi di conflitto. Alimentando potenzialmente uno scontro tra tecnocrazie di destra europee, nonché potere tedesco, e ceto politico populista italiano che non promette niente di buono. Con l’Italia nel mezzo. Allo stesso tempo c’è da chiedersi quale sinergia, sui territori, può avere una alleanza del genere se concretizzata. La Lega viene da 25 anni di governo dei territori dove la deregulation dell’ambiente, del lavoro, della speculazione immobiliare hanno dominato. Viene, vista l’amata legalità da parte dei 5 stelle, da arresti importanti di leghisti nel settore sanitario in Lombardia, vedi la storia del numero 2 di Maroni ben noto a Salvini, che hanno rivelato insidiosissimi, e pericolosi, comitati d’affari. Viene da infiltrazioni della ‘ndrangheta storiche e anche recenti (http://www.antimafiaduemila.com/home/rassegna-stampa-sp-2087084558/114-mafia-flash/67164-ndrangheta-dimissioni-gruppo-lega-nord-a-seregno.html). Insomma, un bel socio con il quale si intravede un modello di sviluppo territoriale che è il contrario di cui in Toscana, ad esempio, si ha bisogno. Perché diciamolo chiaramente, in Toscana già a partire dalle prossime elezioni amministrative potrebbe essere proprio il Movimento 5 stelle, con contorsioni dialettiche e diktat nazionali a sdoganare Lega, fascisti e destre nei nostri territori.

Quindi cari 5 stelle, che non avete mai fatto un congresso che è sempre prova di trasparenza, che vi chiudete nel silenzio e nell’opacità non appena le cose si fanno serie è l’ora di gettare la maschera. La fase della novità è finita. Ora c’è quella delle scelte, quelle vere. Saremmo curiosi di sapere la base e chi ha ruoli istituzionali cosa ne pensa.

redazione

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Governo grillin-leghista alle viste, è tempo di mobilitarsi.

di  Dante Barontini   
Solo una cosa è sicura: a luglio non si vota. La mossa di Berlusconi – annunciare che non si oppone più alla nascita di un governo Lega-M5S, anche se non voterà la fiducia – ha come primo e per ora unico effetto quello di allungare i tempi. Salvini e Di Maio hanno fortemente voluto questa chance, consapevoli che altrimenti la loro carriera politica avrebbe cominciato a volgere sul viale del tramonto. Il grillino a causa delle regole interne del movimento (“massimo due mandati”, anche se con il voto anticipato si sarebbe fatto finta che questa legislatura non sarebbe mai esistita), il leghista perché sa benissimo di essere stato “spinto” soprattutto dalle tv berlusconiane (con Mediaset che sta rimuovendo o limitando, uno ad uno, i conduttori più fasciorazzisti, come Giordano, Del Debbio, ecc).

Un ruolo enorme lo ha avuto il presidente della Repubblica, che ha interpretato fino in fondo la parte del “guardiano dell’Unione Europea” (non certo della Costituzione, come pur pretende la visione liberal-kelseniana). Lo ha fatto proponendo un “governo neutrale” – un ossimoro, come “guerra umanitaria” – e facendo filtrare una lista di potenziali ministri scelta del non infinito recinto dei “tecnici ultra-europeisti”, a cominciare da Carlo mani-di-forbice Cottarelli.

Una minaccia che ha sortito l’ultimo effetto, costringendo i due “vincitori” del 4 marzo a smussare ulteriormente le proprie pretese e caratteristiche. Basti pensare che i Cinque Stelle sono i rappresentanti autentici dell’antiberlusconismo anni ‘90, ma sono stati obbligati a dire di “non avere preclusioni” verso il Cavaliere, ma “solo” di “preferire un contratto di governo a due anziché a quattro”, per motivi di “funzionalità”, ma non certo politico-morali.

Sempre Mattarella, mentre i due giovani leader affrontano i primi tormenti del “dalemone” di ogni formazione di governo (“temi” da affrontare senza spaccarsi e nomi di ministri, sottosegretari, presidenti di commissione parlamentari, nomine ai vertici della varie amministrazioni, ecc), ha fatto sentire lo schiocco di frusta del “pilota automatico” con baricentro a Bruxelles e Francoforte. Una serie di memento mori difficilmente interpretabile come “normale amministrazione”.

Li mettiamo in fila:

“Credere di farcela da soli è pura illusione o, peggio, inganno consapevole delle opinioni pubbliche”.

“Il sovranismo è inattuabile”.

“Tutti sanno che nessuna delle grandi sfide, alle quali il nostro continente è oggi esposto, può essere affrontata da un qualunque Paese membro dell’Unione, preso singolarmente”.

“E’ da qui che occorre partire per avviare una riscoperta dell’Europa come di un grande disegno sottraendoci all’egemonia di particolarismi senza futuro e di una narrativa sovranista pronta a proporre soluzioni tanto seducenti quanto inattuabili, certa comunque di poterne addossare l’impraticabilità all’Unione”. 

E non importa nulla se “Numerosi concittadini europei hanno smesso di pensare che l’Europa possa risolvere – nell’immediato o in prospettiva – i loro problemi. Vedono sempre meno nelle istituzioni di Bruxelles un interlocutore vantaggioso, rifugiandosi in un orizzonte puramente domestico, nutrito di una illusione: pensare che i fenomeni globali che più colpiscono possano essere affrontati a livello nazionale”.

Ammonimento minacciosi che sembrano indirizzati soprattutto a Salvini, visto che Luigi Di Maio si è tolto di dosso ogni veste “anti-sistema” dichiarando pubblicamente fedeltà assoluta alla Nato, all’Unione Europea e alla moneta unica (tanto da costringere Beppe Grillo, quando sembravano ormai vicinissimo lo scioglimento immediato delle Camere, a rispolverare l’ormai dimenticato “referendum sull’euro”).

L’esecutivo giallo-verde cerca così di nascere tra un selva di spade di Damocle sguainate da ogni parte. C’è quella, potentissima, della Troika che già sta agitando i mitici “mercati” (Milano è oggi la peggiore borsa europea, l’unica in perdita). C’è quella berlusconiana, che spera nel fallimento del tentativo per avere una chance di recupero della leadership del centrodestra.

Manca quella del conflitto sociale, per ora. L’investimento emotivo della piccola impresa del Nord su Salvini e dei disoccupati meridionali su Di Maio può reggere ancora qualche mese, se i due formeranno un governo. Poi, inevitabilmente, i miracoli che non si realizzano portano sconforto, delusione, abbandono della fede.

Se avremo un governo, insomma, bisognerà immediatamente mobilitarcisi contro prendendo di petto proprio le più evidenti “promesse” elettorali: cancellazione della legge Fornero, reddito di cittadinanza, ecc. Sapendo che, come mostra la pratica quotidiana della giunta Raggi a Roma, questa presunta “nuova classe politica” è totalmente sorda all’interlocuzione con il disagio e i bisogni sociali. Addirittura più delle amministrazioni piddine, democristiane e fasciste.

C’è già un appuntamento: il 13 giugno, sotto Montecitorio, promosso dalle strutture sociali che guidano le mobilitazioni popolari su casa, reddito, diseguaglianze sociali. L’opposizione che avrà una possibilità concreta di fermare le decisioni peggiori di un simile esecutivo non sarà quella perbenista finto-antifascista, né quella sacrificale-europeista. Per denudare davvero il presunto “populismo” dei neo-governanti, infatti, non basterà qualche ragioniere bravo a far di conto o qualche scribacchino dalla lacrima facile. 

Servirà un popolo nelle strade.

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