mercoledì 7 aprile 2021

DRAGHI IN LIBIA

Le parole pronunciate ieri da Draghi più che quelle di un Presidente del Consiglio sembravano quelle di un rappresentante qualunque di una multinazionale del petrolio(e del gas,nella fattispecie l'Eni)che compie la sua prima visita internazionale in Libia per tentare di riaffermare il ruolo in una nazione che nel secolo scorso è già stata sfruttata e schiavizzata dall'Italia e che nel tempo,dopo essere stati cacciati a ragione,ha perso il suo potere a scapito di molte nazioni,dagli Usa alla Francia passando dalla Turchia alla Russia.
Il risaltare il continuo impegno italiano in Libia non si sa in che modo se non in quello di nazione affamata di risorse naturali altrui,non ha avuto ieri riscontro nel tema della penosa situazione dei migranti se non lodare lo Stato libico per gli interventi in mare per il salvataggio dei disperati(?)e nuovamente il grande lavoro italiano in supporto,senza parola proferire verso le certificate nefandezze che si compiono nei lager libici.
Bacchettando in maniera minima l'Unione Europea incitandola a interessarsi sempre maggiormente alla situazione libica sia interna viste le divisioni dei territori(vedi:madn lo-scacchiere-libico-e-mediterraneo )che da anni vengono contesi dal Presidente ufficiale e di comodo per l'occidente Al Serraj ed il generale Haftar che si contendono Tripolitania e Cirenaica come nel passato senza contare i vari signori della guerra che si muovono nell'entroterra che controllano il mercato dei nuovi schiavi.
L'articolo di Left(migliori-anche-a-leccare-chi-viola-i-diritti-umani )analizza l'intervento di Draghi e puntualizza il fatto che dei diritti dei migranti e di quello che subiscono nei lager libici e durante il lungo viaggio che li porta alle coste mediterranee per poi attraversarlo non se n'è parlato in maniera seria ed approfondita,plaudendo addirittura la Libia per il suo"impegno"nei salvataggi e nella gestione di questo annoso problema.

Migliori anche a leccare chi viola i diritti umani.

di Giulio Cavalli 

Ieri il presidentissimo Mario Draghi si è recato in Libia. Ogni volta che qualche esponente di qualche nostro governo passa dalla Libia non riesce a evitare di tornare con le mani sporche di sangue per un qualsiasi atteggiamento riverente verso i carcerieri sulle porte d’Europa, come se fosse una tappa obbligata per poter frequentare i salotti buoni per l’Europa e anche il “migliore” Draghi è riuscito a non stupirci rivendicando con orgoglio l’amicizia, la stima e la vicinanza ai libici che violano i diritti umani. Ogni volta è stupefacente: negare la realtà di fronte ai microfoni della stampa internazionale deve essere il risultato di un corso speciale che viene inoculato ai nostri rappresentanti. E ogni volta fa schifo.

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi, con quella sua solita soffice postura con cui ripete le stesse cose dei suoi predecessori aggiungendoci un filo di zucchero a velo. Sarebbe curioso chiedere a Draghi cosa si intenda esattamente per “salvataggio” poiché i libici (questo è un fatto accertato a livello internazionale) si occupano principalmente di respingimenti, di riportare uomini e donne nei lager dove continuano le torture, gli stupri e lo schiavismo, poiché i libici sono quelli che il 10 ottobre del 2018 hanno sparato a una motovedetta italiana, poiché i libici sono gli stessi che il 26 ottobre 2019 hanno sparato sulla nave Alan Kurdi per impedire il soccorso dei migranti, poiché i libici sono gli stessi che il 28 luglio dell’anno scorso hanno sparato contro i migranti uccidendone 3. Solo per citare qualche esempio, ovviamente, dato che quel pezzo di mondo e di mare continua a rimanere sguarnito, anche questo per precisa volontà politica.

Caro presidente Draghi, siamo contenti che lei si senta barzotto per questo tipo di salvataggi ma le auguro di non essere mai “salvato” così. Del resto legittimare quella combriccola di assassini che vengono educatamente chiamati Guardia costiera libica è un esercizio retorico che dura da anni: anche su questo il governo dei migliori continua spedito. Considerare la Libia un partner affidabile significa accettare la sistematica violazione dei diritti umani: come si chiamano coloro che elogiano in pubblico un’attività del genere facendola passare per doverosa? Ognuno trovi comodamente la risposta.

E mentre Draghi si è occupato di proteggere gli affari dell’italiana Eni in Libia, di farsi venire l’acquolina in bocca per l’autostrada costiera al confine con Bengasi (che riprende il tragitto della strada inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo), di continuare a foraggiare la Guardia costiera libica per essere il sacchetto dell’umido dell’umanità nel Mediterraneo e di riassestare e ristrutturare la Banca centrale libica, i diritti e i dolori delle persone rimangono sullo sfondo come semplice scenografia dei barili di petrolio per cui i canali sono invece sempre aperti.

Del resto secondo il leader libico Abdul Hamid Dbeibah, Italia e Libia «soffrono e devono affrontare una sfida comune che è l’immigrazione clandestina, un problema che non è solo libico ma internazionale e riguarda tutti, come il terrorismo e il crimine organizzato». Solo che in questo caso sono chiarissimi gli autori di questo “problema”: Libia, Europa, Italia e la nuova spinta di Mario Draghi.

L’eccelso Mario Draghi insomma è il vassoio di cristallo delle solite portate, schifose uguali ma dette con più autorevolezza: avrebbe dovuto essere “il competente” e invece non è riuscito nemmeno a leggere un rapporto dell’Onu prima di andare in gita. E ovviamente non ha nemmeno fatto un giro nei campi di concentramento, non sia mai, si sarebbe sporcato il polsino.

Buon mercoledì.

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