venerdì 20 marzo 2020

GLI ITALIANI UNITI,NELL'ODIO


Rimango senza parole guardando qua e là nei social tutto il fervore d'odio creato da una gran quantità di vendicatori,di giustizieri della notte e del giorno che sono pronti ad accanirsi contro i presunti untori,gente che starebbe bene storicamente e socialmente diciamo seicento anni fa,dove di tiranni ce n'erano a bizzeffe e avere solo in mano un piccolo potere li facevano sentire con la pancia piena.
Anche i recenti appelli del Presidente Mattarella all'unità(a distanza)sembrano parole preconfezionate della categoria delle solite solfe trite e ritrite degli italiani che danni il meglio(!?)di loro stessi nei momenti di difficoltà e altre presunte leggende simili.
Gli italiani sono uniti veramente quando c'è l'odio a fare da collante,quando c'è da puntare il dito contro i più deboli ed indifesi,un bullismo di massa dove il branco più è numeroso e più è spietato,ma c'è da fare un bel distinguo,perché tutto finisce a parole.
Non che questo sia un fatto di poco conto,come si dice a volte la parola ferisce più della spada,ma l'italiano standardizzato abbaia tanto e tendenzialmente non morde,è la caricatura di se stesso e in un periodo dove chi fa la sua corsetta e porta fuori il cane e se ne sta a distanza più che di sicurezza dagli altri è un bersaglio fin troppo facile.
Un giorno è l'immigrato,l'altro l'omosessuale e una altro ancora chi ha un cane o vuole fare jogging,e lo schema squadrista è sempre lo stesso sia che l'attacco sia di violenza fisica che verbale,ed in un tempo dove la gente non sa letteralmente cosa fare,si annoia,ecco che l'ignoranza e la cattiveria diventano virali(vedi:madn verso-il-coprifuoco ).
Gli italiani,popolo di naviganti,poeti e santi,ma anche di delatori e belatori(pecore),tutti dietro ad un leit motiv che è quello dello stanare il presunto trasgressore,il possibile untore scegliendo la strada più breve e non attaccando la politica ed il giornalismo che su questo càmpano distogliendo verso la vera attenzione di questo periodo,l'incubo contagio,il terrore di questo che continuerà ad espandersi se non si chiuderanno le fabbriche,e di conseguenza gli spostamenti di massa di milioni di persone.
Nell'articolo di Contropiano(per apprezzare le tabelle in dettaglio suggerisco il collegamento al link lipocrisia-borghese-nella-crisi-sanitaria e anche l'esplicativo coronavirus-troppa-gente-in-giro )si mostrano i nessi tra l'apertura voluta da Confindustria di volere proseguire con la produzione e l'espandersi del virus in modo sistematico nelle aree più industrializzate d'Italia.
Perché ancora una volta il vero nemico da combattere è il capitalismo ed il padronato e non chi va in giro da solo magari in campagna a portare fuori il cane e a correre:come diceva Sciascia ne"Il giorno della civetta"nel colloquio tra il mafioso Mariano e il capitano Bellodi:"Io,proseguì poi Don Mariano,ho una certa pratica del mondo;e quella che diciamo l'umanità,e ci riempiamo la bocca a dire umanità,bella parola piena di vento,la divido in cinque categorie:gli uomini,i mezz'uomini,gli ominicchi,i(con rispetto parlando)pigliainculo e i quaquaraquà.Pochissimi gli uomini;i mezz'uomini pochi,ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini.E invece no,scende ancor più giù,agli ominicchi:che sono come i bambini che si credono grandi,scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.
E ancora più giù: i pigliainculo,che vanno diventando un esercito.E infine i quaquaraquà:che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere,ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre.Lei,anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo,lei è un uomo.»

Fabbriche aperte, parchi chiusi: l’ipocrisia borghese nella crisi sanitaria.

di  Giulio Macilenti
Da qualche giorno, ormai, il leitmotiv di giornalisti e politici sulla crisi sanitaria in corso è l’attacco nei confronti di una percentuale di italiani “irresponsabili”, che non si adeguano alle misure di contenimento proposte. La difficoltà di fermare il virus, ci dicono e ci ripetono, dipenderebbe proprio da questi comportamenti individuali incuranti della salute pubblica. Dalla Gruber a Briatore (Briatore!) il coro è unanime e accalorato, il virus si continua a diffondere perché gli italiani vanno al parco!

Qui non vogliamo assolutamente difendere un diritto “al parco” o ad uscire di casa nel nome di un’idea astratta di libertà individuale. Se l’emergenza impone di chiudersi in casa e non uscire, pensiamo che sia giusto farlo, per tutelare la salute di tutti. Né vogliamo invitare chicchessia ad infrangere i decreti: lo ripetiamo, è giusto stare a casa per tutelare la collettività.

Il punto, però, è la schifosa ipocrisia di un sistema mediatico, economico e politico che fa la voce grossa contro i suoi cittadini e non ha il coraggio di imporre il blocco della produzione alle industrie non essenziali. Opinionisti da due soldi, che trovano sempre il tempo di sbraitare contro il cittadino che fa una corsetta ma che stanno muti di fronte alla colossale ingiustizia insita nel tenere aperte le fabbriche: il profitto di pochi industriali, difeso da Confindustria, vale sempre di più della salute collettiva. Poi, se le cose vanno male, c’è sempre la possibilità di prendersela contro il popolo “irresponsabile”.

Tutto questo ci sembra tanto più sgradevole se ci si rende conto che, a livello scientifico, l’effetto sulla diffusione del virus portato dalle attività produttive potrebbe essere decisamente più grande di quello delle uscite individuali, e che quindi, se si vuole veramente contenere l’epidemia, giornali e politicanti nostrani forse dovrebbero svegliarsi e far valere le ragioni collettive nei confronti di Confindustria.

Proviamo a quantificare, con un modellino idealizzato, l’importanza relativa dei due effetti. Questo chiaramente non è un vero modello della diffusione del virus, ma ci serve semplicemente a confrontare l’importanza relativa di due fattori in termini numerici. Supponiamo che, quando due persone interagiscono a distanza minore di 2 metri per un tempo superiore ai 5 minuti, ci sia una certa probabilità P di contagiarsi. Questa probabilità cresce linearmente con il tempo, quindi se siamo in contatto con una persona per 5 minuti la probabilità di contagio sarà P, per 10 minuti sarà 2P, per 15 minuti 3P e così via.

Bene, vediamo alla luce di questo conto quanto pesa la famigerata corsetta. Immaginiamo che una persona corra per un’ora e, pur mantenendo le distanza, non possa fare a meno di incrociare almeno una persona a distanza minore di 2 metri per cinque minuti (ci sembra già una sovrastima, sia chiaro!). Supponendo che tutte le persone, vadano a fare una corsetta di un’ora, il contributo totale all’infezione in un giorno sarebbe:

Ma, lavorando, ogni persona che è costretta in una fabbrica tendenzialmente deve a stare a contatto minore di 2 metri con almeno una decina di persone. Ed è costretta a farlo per otto ore. Questo senza contare gli spostamenti inevitabili per raggiungere il luogo di lavoro, per i quali molti devono prendere i mezzi pubblici, o della pausa pranzo in mensa. Ora non abbiamo il dato esatto di quanti italiani stiano lavorando non in forma di telelavoro oggi, ma solo gli operai che lavorano nell’industria in senso stretto, sono circa 4,5 milioni, che su una popolazione di 60 milioni significa (approssimando) il 7,5% del totale!

Il rischio dovuto dal tenere aperte le fabbriche è 6 volte più grande rispetto al rischio che si correrebbe se TUTTI gli italiani (vecchi, giovani, malati compresi) corressero per un’ora al giorno.

La conclusione che dovrebbe essere chiara a livello numerico è che misure più dure di quelle che già applichiamo sulla mobilità dei singoli cittadini NON possono avere un effetto serio nell’arginare il virus se non sono accompagnate da una chiusura delle attività produttive non essenziali.

Se ci si vuole preoccupare della diffusione del coronavirus, questo è il dato da cui partire, con buona pace di Confindustria e del mondo del giornalismo e della politica italiana.

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