sabato 30 marzo 2019
L'ACCANIMENTO VERSO I COMBATTENTI ITALIANI SOLIDALI CON I CURDI
Si pensava che dal sacrificio estremo di Lorenzo"Orso"Orsetti avvenuto qualche giorno fa,accomunato a quello di Giovanni Francesco Asperti(vedi:madn lorenzoun-partigiano-dei-nostri-giorni ),ci fosse stato uno sdoganamento(parola brutta soprattutto in questo periodo)verso la causa curda che combatte contro l'Isis,ed invece da Torino arriva la notizia che ha messo nero su bianco l'accusa verso altri cinque reduci di questo conflitto che ce l'hanno fatta a tornare a casa ne è la prova contraria.
Infatti per questi cinque combattenti è stata chiesta la sorveglianza speciale perché la pm Pedrotta ritiene che i mesi passati nelle zone del Rojava siano stati un preludio per portare una"rivoluzione"in Italia,una sorta di minaccia terroristica anche perché tutti hanno partecipato a cortei ed azioni No Tav e non solo.
Una richiesta di una sentenza politica per questa vicenda che ci sarà fra tre mesi,una sorta di atto pubblico di uno Stato retrogrado e reazionario,che colpisce sempre più compagni ed anarchici in barba agli addestramenti che i fascisti nostrani stanno compiendo in Ucraina e che saranno pronti a fare altre stragi come solito compiere in quegli ambiti di fogna.
Ecco il redazionale di Contropiano:la-procura-di-torino-contro-i-combattenti-in-rojava .
La Procura di Torino contro i combattenti in Rojava.
di Redazione Contropiano
Uno Stato reazionario si vede da certe cose.
Sono passati pochi giorni dalla morte in combattimento di Lorenzo “Tekoser” Orsetti in Siria, insieme alle forze curde che stanno finendo di distruggere l’Isis. E per una volta anche le voci dell’establishment avevano in qualche misura condiviso il dolore della famiglia, se non quello dei tanti compagni che l’avevano conosciuto.
Ma si vede che la Procura di Torino non ha gradito troppo questo rispetto, pur fermandosi un attimo per non apparire “eccessiva”. Lunedì si è tenuta l’udienza con cui l’accusa – rappresentata dalla pm Manuela Pedrotta – ha chiesto la “sorveglianza speciale” per cinque compagni che avevano preceduto “Orso” nell’esperienza con le Ypg.
La requisitoria del pm ha avuto momenti di pura ideologia reazionaria: «Non credo che siano andati in Siria per salvare la nostra società da una minaccia terroristica. Uno di loro ha scritto che “dopo l’Isis il nemico numero uno è la società capitalista”. Loro vogliono continuare la lotta in Italia».
La presunta conferma della loro pericolosità starebbe, sempre a parere del magistrato, nella frequentazione che alcuni di loro hanno avuto con il movimento No Tav. «(I cinque) si sono resi responsabili di condotte violente contro le forze dell’ordine in occasione di manifestazioni contro il Tav, le politiche contro l’immigrazione, gli avversari politici all’università».
Quindi, seguendo un sillogismo non formalmente esplicitato (e giuridicamente assurdo), i cinque sarebbero “pericolosi” perché sarebbero andati a combattere in Rojava soltanto per imparare come si fa e poter “fare la rivoluzione” in Italia.
Non staremo qui a ricordare a un pm che “l’addestramento militare” – quella fase in cui si imparano a maneggiare le armi e a muoversi secondo le regole della guerra – si fa in condizioni di sicurezza, praticamente senza rischi, così come avviene per gli allenamenti pre-gara sportiva. Mentre il combattere contro un nemico che ti spara comporta il forte rischio di rimanere uccisi.
Dunque, è manifestamente infondata – e proprio sul piano militare – l’idea che si vada a combattere sul serio solo per “imparare” come si fa e riproporlo altrove… Forse se gli stessi pm si occupassero dei fascisti italiani che vanno a fare addestramento in Ucraina andrebbero un po’ più vicini a un reato come quello che vanno ipotizzando.
I compagni Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Davide Grasso, Fabrizio Maniero e Maria Edgarda Marcucci, invece, hanno corso i loro rischi e sono fortunatamente tornati nel proprio paese, mantenendo ovviamente le proprie opinioni politiche, al contrario di quanto avvenuto per “Orso” e Giovanni Francesco Asperti (“Hiwa Bosco”).
La sentenza ci sarà tra 90 giorni, tempo che al tribunale deve esser sembrato sufficiente a far cadere il definitivo silenzio mediatico sulla vicenda di “Orso” e quindi rendere meno “antipatica” la misura richiesta dalla Procura.
Sta di fatto, però, che così facendo la Procura torinese sintetizza una posizione precisa dello Stato italiano a proposito dei combattenti per l’autodeterminazione e la libertà dei popoli: sarete considerati brava gente solo se tornerete morti.
Sarà bene ricordarsene…
venerdì 29 marzo 2019
FAR WEST E MEDIOEVO
Comincia oggi il congresso mondiale della famiglia a Verona,un appuntamento di estremisti cattolici e fascisti che sempre sono andati bene a braccetto e che potrebbe essere foriero di dure contestazioni viste le numerose contromanifestazioni che saranno in programma da qui fino a domenica.
Ieri invece è passata la proposta di legge sulla legittima difesa ampliata a dismisura,altro boccone amaro per i grillini che da gruppo di maggioranza parlamentare vede un altro successo leghista che con Salvini ormai la fa da padrone da mesi.
Negli articoli seguenti(www.nextquotidiano.it/legittima-difesa-armi-facili/ )e(ansa.it/sito/notizie/cronaca )oltre che la pericolosa deriva della giustizia fai da te altri programmi per poter vendere le armi sempre più facilmente nonostante il fatto che i promotori di queste leggi da far west dicano che sia il contrario,con gli ormai cagnolini cinquestelle che da ostili alle lobbies delle armi ormai volenti o nolenti e diventano parte attiva.
Per quanto riguarda il congresso delle famiglie(tradizionali)non ci vogliono menti eccelse per capire che sia stanno calpestando diritti acquisiti negli anni e che il medioevo è sempre più vicino,con i promotori e i partecipanti a questa riunione di cretini che se potessero applicherebbero le regole del Brunei che hanno come pena di morte la soluzione estrema per gli lgbt(vedi anche:madn la-famiglia-perfetta-dei-timorati-di-dio )
Due eventi capitati a distanza di poche ore,due atti liberticidi e che fanno sprofondare questo paese verso l'arretratezza politica,sociale e culturale,passi indietro che faranno aumentare le morti ed i feriti,e l'odio verso chi diverso non è ma che in fondo è molto più degno di rispetto che certe persone proprio non meritano ma che alla fine ci governano.
Ogni mattina Luigi Di Maio si alza e sa che dovrà correre più veloce di Matteo Salvini per dimostrare che è lui a comandare nella coalizione di governo. Il Capo Politico del MoVimento 5 Stelle però non si è accorto che da ieri – grazie al fantastico contratto di governo – la Lega ha un’arma in più: la “nuova” legittima difesa. Ed è in fondo del tutto naturale che ora che il cittadino può difendersi (lo poteva farlo anche prima ma non ditelo in giro) servano le armi per farlo. E così per funzionare lo spot elettorale della legge sulla legittima difesa ha bisogno di un’altra operazione di propaganda: quella per l’acquisto delle armi.
Legittima difesa e vendita di armi vanno di pari passo
Salvini nega che ci sia un collegamento tra le due cose e proprio ieri, commentando l’approvazione al Senato della riforma, aveva detto che con il provvedimento voluto dalla Lega «non si distribuiscono armi e non si legittima il Far West, ma si sta con i cittadini per bene: quindi da oggi i delinquenti sanno che fare i rapinatori in Italia è più difficile: è un mestiere ancora più pericoloso». Eppure a ottobre 2018 la deputata trentina Vanessa Cattoi, assieme ad altri 70 deputati della Lega, aveva presentato una proposta di legge recante Modifiche agli articoli 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, e 11 della legge 21 dicembre 1999, n. 526, in materia di armi comuni da sparo. Oggi la Lega fa sapere che si tratta di «una proposta di iniziativa parlamentare come ce ne sono tante» e che «non è una priorità della Lega» anche perché la proposta è cronologicamente slegata dall’iter per l’approvazione della riforma.
Eppure quello del possesso di armi è un vecchio pallino di Salvini. Ad esempio nel 2017 su Facebook l’allora eurodeputato leghista si scagliava contro la decisione del Parlamento Europeo di approvare una proposta di legge «per rendere più difficile il possesso legittimo delle armi con la scusa (ridicola!) di combattere il terrorismo». Alla faccia della legittima difesa, chiosava Salvini, lasciando intendere che facilitare l’acquisto di armi andava di pari passo con la possibilità di difendersi dai ladri. E ignorando l’esistenza del problema di quei terroristi che le armi le comprano legalmente e poi massacrano 50 persone innocenti.
Cosa dice la proposta di legge di Vanessa Cattoi
Che la questione della legittima difesa sia legata alla possibilità di acquistare armi legalmente è un fatto pacifico. Come è altrettanto evidente che le due questioni sono una la causa dell’altra nella proposta di legge Cattoi. Proposta che inizia così: «Onorevoli Colleghi! Procurarsi un’arma da fuoco, nel nostro Paese, non è un’operazione molto semplice, almeno per chi vuole farlo nel rispetto delle norme vigenti» e continua «le licenze concesse per la detenzione di armi in casa sono poco più di 5 milioni, il che significa che un italiano su dieci è in condizioni di utilizzare un’arma, anche se il numero delle licenze che consentono a coloro che le acquistano di portarle con sé è largamente inferiore». Il problema non riguarda tanto il tiro sportivo o la caccia quanto la difesa personale. Troppo difficile ottenere la licenza in questo caso.
Si legge nella proposta Cattoi che «È invece molto complesso ottenere il permesso per difesa personale. In questo caso solo un ristretto numero di persone può ricevere il placet per portare con sé un’arma. Le procedure sono molto lunghe, bisogna dimostrare di saper maneggiare correttamente l’arma, ma soprattutto di essere in uno stato psico-fisico pressoché perfetto». Ma visto che la Lega ha approvato una legge con cui modifica la formulazione dell’eccesso colposo di legittima difesa. Che non viene eliminato (significa che è ancora previsto dal codice penale) ma che viene escluso se la persona «ha agito in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto». Ci si stupisce che chi chiede il porto d’armi per difesa personale debba essere in uno stato psico-fisico “pressoché perfetto”? Forse perché usare una pistola non è semplicemente saper premere il grilletto.
«Chi fa la vita reale sa che occorre avere un’arma»
Sul Messaggero oggi la Cattoi si difende e spiega che la sua proposta, che andrebbe ad aumentare da 7,5 a 15 joule «la potenza delle comuni armi da sparo al di sopra della quale è necessario avere il porto d’armi» non darà via al Far West perché «Con una potenza di 15 joule non uccidi nessuno, ma non devi stare addosso al ladro per proteggerti, non sei costretto ad avvicinarti a lui. Chi fa la vita reale sa che occorre un’arma per difendere la propria famiglia, basta guardare i telegiornali per capire cosa succede».
Ed è vero che con 15 joule non si uccide nessuno (ad esempio una cartuccia 9mm “parabellum” ha un’energia cinetica allo sparo di circa 500 joules) ma molto dipende poi dalle circostanze, perché se la persona cade ed ha un trauma cranico le cose si complicano. E se non è letale ed è appena più potente di un’arma da tiro a segno c’è da chiedersi quanto effettiva possa essere nella difesa. C’è anche da dire che nella vita reale generalmente – come ha ricordato ieri Gianrico Carofiglio a Otto e Mezzo – le persone si affidano alle forze dell’ordine per la salvaguardia della propria sicurezza.
Non servono più cittadini armati. Non serve una legge sulla legittima difesa (i procedimenti giudiziari di questo tipo si contano sulle dita di una mano negli ultimi 5 anni) che consenta di sparare “sempre” in maniera legittima. Delegare la gestione della sicurezza ai cittadini, persone non preparate ad affrontare un aggressore, rischia di generare altri problemi. Al solito è un altro spot della Lega. E il MoVimento 5 Stelle è costretto nuovamente a ribadire con Luigi Di Maio che l’Italia non ha bisogno di più armi in circolazione. Anche perché, come spiegava Di Battista sotto un’analogo post di tre anni fa: «il dramma è sempre lo stesso, lo strapotere delle lobbies delle armi, anche quelle da fuoco». Dibba ci aveva quasi visto giusto, il dramma per Di Maio è sempre lo stesso: lo strapotere della Lega nel governo in cui il M5S è maggioranza.
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Al via il discusso Congresso Mondiale delle Famiglie. Spadafora: "I temi di Verona mai nell'agenda di governo".
Zaia: gli estremismi non portano da nessuna parte. Ci sarà Forza Nuova. La Traviata colonna sonora. M5S lavora a contro-kermesse.
Si è aperto il discusso Congresso mondiale delle famiglie a Verona. "Mi sembra necessario che si capisca che gli estremismi non ci portano da nessuna parte", ha affermato il presidente del Veneto, Luca Zaia, intervenendo in apertura. "Se da un lato - ha aggiunto - per difendere il sacrosanto diritto di fare le scelte sessuali e sentimentali che più aggradano non è necessario finanziare un gay pride, dall'altro è fondamentale dire che per parlare di famiglia non serve essere in odore di santità".
"Io mi sento di poter dire, come rappresentante del governo, che quello di cui si discuterà lì (a Verona ndr) non sarà mai nell'agenda di questo governo". Così Vincenzo Spadafora, parlamentare del M5S e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle Pari Opportunità ed ai Giovani, ad Agorà Rai Tre sul Congresso Mondiale della famiglia di Verona.
Una tre giorni accompagnata da polemiche politiche e non solo, fino all'ultimo momento: le accuse di chi contro-manifesterà sabato parlano di evento medioevale, di una visione che tende a sminuire il ruolo della donna. I promotori, da parte loro, assicurano che si tratta di un Congresso in cui trionferà il modello della famiglia tradizionale, quella composta cioè da un uomo e una donna, tutto "in linea con i principi della Costituzione". Ma i Cinquestelle lavorano a una "risposta" che andrà in contemporanea con la kermesse veronese e riunirà a Roma, negli studi di Cinecittà, circa 600 giovani: sul palco, il vicepremier Luigi Di Maio e il ministro alle Pari Opportunità Vincenzo Spadafora; tema, i giovani e il futuro.
Il Congresso di Verona, del resto, ha visto spaccarsi nettamente su due posizioni contrapposte le due anime del governo, il M5s, contrario e che sarà assente dai lavori, e la Lega che a Verona andrà in forze con ben tre ministri. Con una battaglia che è proseguita fino a qualche giorno fa e che ha visto alla fine la vittoria di chi ha preteso che venisse tolto il patrocinio di Palazzo Chigi, ovvero il M5s e il premier Giuseppe Conte. Il leader grillino Di Maio non ha mai nascosto la sua disapprovazione per il Congresso: "Per me la famiglia è sacra, ma lì si parla della donna come quella che se ne deve stare a casa a fare i servizi, della donna come essere inferiore all'uomo". Ma l'altro vicepremier Matteo Salvini che ha sempre tirato dritto ribadendo: "Io vado a Verona per difendere la famiglia composta da mamma e papà. Finché campo difendo il diritto del bambino ad avere una mamma e un papà e a essere adottato dove ci sono una mamma e un papà". Insieme a lui, tra i relatori, anche i ministri della Famiglia Lorenzo Fontana e della Scuola Marco Bussetti.
Ad alimentare le polemiche anche la presenza all'evento di alcuni congressisti dai profili controversi, come Silvana De Mari, medico e scrittrice di libri fantasy condannata per diffamazione per aver "offeso in più occasioni l'onore e la reputazione delle persone con tendenza omosessuale" e sostenitrice di una relazione tra omosessualità e satanismo. Ma anche Lucy Akello, la parlamentare ugandese accusata di essere contro gli omosessuali, o Dimitri Smirnov, esponente della Chiesa ortodossa russa "tenacemente" antiabortista, come si definisce lui stesso: "Aspettarsi un matrimonio prosperoso o qualche tipo di vita gioiosa dopo l'infanticidio è semplicemente ridicolo - ebbe a dire - Una persona non può trovare nessun tipo di felicità se è un assassino dei propri figli".
Ed è di ieri l'annuncio della partecipazione al Congresso e alla marcia di domenica a favore della famiglia di Forza Nuova. Intanto il presidente dell'Istat Giancarlo Blangiardo ha comunicato di aver rinunciato a partecipare ai lavori del Congresso, travolto dalle polemiche. Rinuncia così motivata: Evitare che una decisione del tutto personale possa essere interpretata come una decisione del presidente dell'Istat".
Tra le curiosità, i colori della manifestazione saranno il rosa e il celeste. Solo musica classica per l'evento, con un coro che intonerà arie come La Traviata, la Carmen, La donna è mobile. Nel loggiato al primo piano ci saranno invece immagini di eroi della famiglia, come Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta, Omero, Aristotele, Tolkien. E la scritta: "L'eroe è chi accende la speranza nel mondo, e il mondo ha bisogno di eroi".
C'E' POI IL TEMA DELL'ABORTO - Sull'aborto "c'è una legge nazionale che va applicata, e spero che venga applicata completamente, soprattutto nella prima parte". Lo ha affermato a Verona il sen. Simone Pillon (Lega) a margine del Congresso delle famiglie. "A me interessa - ha aggiunto - che venga applicata tutta la legge 194, che parla di tutela della donna e della gravidanza soprattutto nella prima parte. Credo che si debba applicare anche quella".
"In Italia, dal 1978 a oggi, sono stati uccisi sei milioni di bambini e ne sono stati salvati 200mila. Li ha salvati ad esempio il Movimento per la vita. Ecco lo Stato ha tradito se stesso. ". Lo ha detto Massimo Gandolfini, leader del Family day, a margine del Congresso internazionale delle Famiglie di Verona, parlando dell'aborto.
Quella sul Congresso sulla famiglia di Verona è una "polemica costruita sul nulla dalla sinistra", secondo il ministro dell'Interno Matteo Salvini. "Andrò a ribadire la libertà di scelta di tutti e per tutti - ha detto al suo arrivo in prefettura a Milano -: le conquiste sociali non si toccano, non si discute sulla revisione dell' aborto del divorzio, della libertà di scelta per donne e uomini". "Si ragiona su come aiutare le famiglie italiane: mamme e papà, coi bimbi e coi nonni e uscire da una situazione di povertà che a volte, dopo la nascita di un figlio, ti entra in casa", ha concluso Salvini.
giovedì 28 marzo 2019
SCIACALLAGGIO ELETTORALE
Per l'ennesima volta Salvini è il bue che da del cornuto all'asino,il ministro di tutto afferma che la questione del bus dirottato da Crema e fermato prima di San Donato è stata usata a scopi politici(eccome)solo che lui è stato uno di quelli che di più ci hanno marciato e tentato di lucrarci sopra.
Nell'articolo dell'Huffington Post(il-bus-dirottato-qualche-neo-politico )alcuni spunti di una maleducazione politica in perenne campagna elettorale che sfrutta il coraggio di alcuni ragazzini e che apre nuovamente la questione sulla ius soli(vedi:madn eutanasia-di-una-legislatura )oltre che alcuni parametri di sicurezza allegramente omessi,per non parlare dell'immigrato buono e di quello cattivo.
"Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi"diceva giustamente Bertolt Brecht,e di cianfrusaglie televisive dove la parole eroe è stata abusata a dismisura,da Vespa a Fazio due marchettari dell'italico teleschermo,ci hanno foraggiato quotidianamente ed ostinatamente,mentre la guerra sui social tra chi ha commentato i fatti del pullman è stata ridicola se non per minacce che avranno il loro iter giudiziario perché hanno attaccato persone al di fuori del contesto.
Il bus dirottato: qualche neo politico su una bella pagina.
By Franco Monaco
Come non gioire per il positivo epilogo di una vicenda che poteva risolversi in una immane tragedia? Come non apprezzare la concessione della cittadinanza a ragazzi che si sono segnalati per "meriti speciali"? E tuttavia non la politica tout court, ma certi politici sono riusciti a offuscare un rara e bella pagina della nostra cronaca recente.
In primo luogo, esagerando nell'enfasi. Per esprimere plauso a quei ragazzi non era necessario scomodare la cifra dell'eroismo. Essi hanno dato prova di essere svegli e coraggiosi, scongiurando così una orribile strage. Non è poco. E' più che sufficiente per manifestare loro tutto il nostro apprezzamento e per meritare che sia conferito loro il riconoscimento della cittadinanza. E' vero: la legge contempla tale fattispecie, la cittadinanza "premiale". E tuttavia come non osservare che essa sia appunto concessa, solo dopo incertezze e qualche polemica, da un governo che ama rimarcare la circostanza che sia appunto conferita ad personam. Un governo che si rifiuta al dovere di mettere a tema la questione a monte e di principio e cioè quella di ripensare le basi giuridiche della cittadinanza per tutti i "nuovi italiani"? Che è la vera, ineludibile questione che interpella i politici e il legislatore nella loro precipua responsabilità. Ecco perché il sovrappiù di enfasi nel rimarcare l'eroismo di Rami e di Adam può rappresentare un escamotage esorcistico. Può suscitare l'interrogativo che loro stessi, con la loro giovanile spontaneità, hanno formulato: perché non anche ai nostri amici e compagni, italiani come noi? Dopo un paio di giorni di esitazione, Salvini ha sciolto la riserva evocando la somiglianza con i propri figli ("potrebbe essere mio figlio"). Ottimo paragone se si applicasse in via generale ai "nuovi italiani" e se non concorresse semmai a sottolineare il carattere personale più che istituzionale delle motivazioni della sua decisione.
A imprimere un altro neo su una bella pagina ha provveduto la contesa interna a questo bizzarro governo bipolare. Alludo alla ricorsa a intestarsi il merito di quella graziosa concessione dall'alto della cittadinanza. Alla patetica ansia di Di Maio nel proclamare di essere stato lui a convincere un incerto Salvini. Una rivendicazione che avvalora due circostanze non esattamente virtuose e, a ben vedere, tra loro contraddittorie: 1) che quel riconoscimento sia entrato nella quotidiana, stucchevole partita politico-elettorale tra i due partner-competitori che reggono il governo; 2) che comunque ultimamente si trattasse di una decisione discrezionale e personale di Salvini.
Profili minori, se si vuole, e tuttavia rivelatori di una prassi politica decisamente al di sotto della portata dei drammi (penso al terrorismo), ma anche, per converso, della naturale bellezza dei sentimenti e dei comportamenti dei ragazzi, a dio piacendo totalmente estranei agli angusti calcoli di certa politica.
martedì 26 marzo 2019
UN RITORNO TARDIVO
Dopo i risultati elettorali della Basilicata il crollo di diverse parti politiche e l'aumento di altre,in una terra dove fino a pochi anni fa era blasfemia pensare solamente di votare la Lega,il Pd torna a cavalcare i cavalli di battaglia di un recente passato quando il Pci è morto,l'antifascismo e l'ambientalismo,certo di facciata e certo di un partito che è la brutta copia della Democrazia Cristiana.
L'articolo di Contropiano(pd-il-poliziotto-buono )parla di questo ritorno ad una parvenza di ideali di sinistra,ovviamente tacendo su welfare e patrimoniale,con un'arroganza ed un'ignoranza degna di un gruppo alla frutta,e mentre ci sia riempie la bocca di slogan antirazzisti loro hanno costruito i lager in
Libia e con quelli ambientalisti propongono politiche di consumo di suolo e vanno avanti con la Tav.
Zingaretti(Renzi travestito da Bersani)è ancora un faro anche per i politici di Leu e Sinistra Italiana locali,in un loro comunicato dopo l'uscita dalla maggioranza in comune a Crema,personaggi che si sono accaniti sui compagni e sugli anarchici che hanno manifestato a Cremona(madn il-gusto-acre-della-battaglia )contro l'apertura di Cagapovnd,che hanno aiutato a sdoganare assieme ai grillini.
Pd, il “poliziotto buono” che si finge ambientalista e antifascista.
di Dante Barontini
Il rilancio di un’immagine “di sinistra” del Pd viaggia su due sole argomentazioni retoriche: antifascismo/antirazzismo e ambientalismo.
Parliamo di argomentazioni retoriche, non di sostanza politica, perché il Pd ha più volte, in più territori e in più occasioni “flirtato” con la destra estrema, in particolare con Casapound (la lussuosa sede romana fu loro concessa da Walter Veltroni, allora sindaco della Capitale). Che ha creato i lager per i migranti in Libia e venduto navi al Niger (!) per “aiutarli a casa loro”. Così come ha sostenuto – stando al governo, ma anche oggi dall’”opposizione” – le peggiori iniziative contro l’ambiente. Basterebbe pensare al Tav in Val Susa, che distingue nettamente tra ambientalisti veri e “partito del Pil”.
Due argomentazioni retoriche che però rischiano di far presa su un’opinione pubblica preoccupata per la crescita dalla Lega fasciorazzista, accompagnata e sostenuta dal revanscismo culturale oscurantista, bigotto, teocratico contro la libertà delle donne, come nell’ormai prossimo convegno di Verona.
Anche perché esiste ed è sempre fortissimo un potere mediatico mainstream che si presenta come “democratico”, ma esercita una censura micidiale, enfatizzando oltre ogni misura le iniziative “accettabili” perché “compatibiliste” con l’attuale assetto di potere economico e ignorando (o mostrificando) tutte le iniziative che invece – magari solo “oggettivamente”, per la radicalità delle proposte – mettono in discussione quegli assetti e dunque anche le forze politiche che debbono rappresentarli.
Lo abbiamo visto questo sabato. A Prato circa 5.000 persone hanno contestato la presenza in piazza del Mercato Nuovo di un centinaio di fascisti di Forza Nuova che inneggiavano a “dio, patria e famiglia”. Una contestazione ovviamente giustissima e sacrosanta, cui ha partecipato una pluralità di soggetti davvero sconfinata (dai centri sociali a Rosy Bindi, per dire…) e “benedetta” anche dal Pd e zone limitrofe.
A Roma, alla stessa ora, stavano manifestando oltre 100.000 persone solidali con tutte le lotte dei comitati cittadini e ambientalisti (No Tav, No Tap, No Muos, No autostrada Roma-Latina, ecc) contro le grandi opere inutili.
Il trattamento mediatico “democratico” è stato esemplare. Si è parlato molto – e giustamente – di Prato, nulla o quasi per il fiume in piena di Roma.
Una settimana fa, sul tema “ambiente”, c’erano state invece le mobilitazioni convocate intorno alla “protesta di Greta Thunberg”, cui era stata data una copertura eccezionale prima, durante e dopo le manifestazioni. Il tema ambientale, in quel caso, era però declinato in modo molto generico, senza particolari colpevolizzazioni del “sistema” produttivo capitalistico. Intere scolaresche erano state portate in piazza dai professori, a testimonianza della piena “compatibilità” di quell’impostazione data al problema del cambiamento climatico.
Che si sostanzia, in estrema sintesi, in un “appello ai grandi del mondo” perché facciano qualcosa di più – visto che gli scienziati ci concedono appena una decina di anni prima che i cambiamenti climatici superino il punto dell’irreversibilità – e nella maggiore “responsabilizzazione individuale” riguardo all’utilizzo delle migliaia di merci che hanno conseguenze negative sull’ambiente (dalle emissioni delle automobili al packaging dei cibi, ecc).
Volendo ridurla a slogan, è la lettura che colpevolizza “l’uomo” (ognuno di noi) invece che “il modello produttivo e di vita”. Come se ognuno di noi potesse davvero “far molto” per cambiare le dimensioni quantitative dei materiali inquinanti con cui ogni giorno abbiamo a che fare. Insomma, come se potessimo davvero scegliere un’automobile “pulita” (ammesso e non concesso che ne esista una…) invece che, banalmente, quella che ci possiamo permettere in base al reddito. Come se potessimo davvero scegliere, stando ore al supermercato, le confezioni che utilizzano meno plastica o similari, invece che – brutalmente – quelle con il prezzo più abbordabile.
Ovvio che si può e si deve fare, per esempio, raccolta differenziata dei rifiuti, collaborando ache individualmente alla migliore percentuale possibile. Ma la dimensione totale delle plastiche e microplastiche in circolazione non è riducibile in modo significativo “invitando al consumo responsabile”. Bisognerebbe invece intervenire a monte, ossia sul momento della produzione, vietando alle aziende di spargere in giro inquinanti non facilmente smaltibili, così come fanno quando sversano liquami chimici di scarto nei fiumi e nei mari. Ma “la libertà d’impresa” non si può toccare, quindi…
L’”ambientalismo compatibile” è quello che per esempio si limita a vietare quasi soltanto la vendita dei cotton fioc (peraltro sconsigliati da decenni da tutti gli otorinolaringoiatri); ovvero un materiale plastico il cui consumo annuale individuale è probabilmente minore del quantitativo di plastica che ci portiamo a casa con una sola spesa al supermercato.
Non parliamo poi dell’antifascismo… Su questo sappiamo per esperienza che ogni tentativo di sbarrare davvero la strada ai neofascisti viene represso militarmente da polizie e magistratura, come sempre molto “permissive” con certi figuri. Ma se volete esprimere preoccupazione per il “risorgere del pericolo fascista” potete tranquillamente delegare il ruolo a qualche protagonista di talk show…
Possiamo fermarci qui, per ora. Il problema dei prossimi mesi è chiaro. Su ambientalismo e antifascismo/antirazzismo da educande, da delegare direttamente al Pd e consoci, ci sarà un battage mediatico infernale, con automatico oscuramento-cancellazione di ogni diversa declinazione degli stessi temi.
Naturalmente non si tratta di “abbandonare al nemico” due tematiche costitutive di ogni identità antagonista e popolare. Si tratta e si tratterà, invece, di mobilitarsi in completa autonomia, contrastando nella cultura politica e nelle piazze questi zombie incaricati di fare la parte del “poliziotto buono” a guardia del profitto.
Tra loro e il “poliziotto cattivo” – che sia Salvini, come oggi, o un altro (do you remember Minniti?) – non c’è davvero una sostanziale differenza. Cambia solo la retorica…
mercoledì 20 marzo 2019
ONESTA' E CASTA
E alla fine tutto è finito come si era ampiamente pronosticato con gli onesti del Movimento 5 stelle che hanno salvato il ministro di tutto Salvini sulla questione della nave Diciotto,attenzione,proprio non gli hanno voluto fare un processo regolare,non è che l'autorizzazione richiesta dava il merdone fascioleghista già condannato.
Un fatto ancor più grave perché la casta è stata salvata da chi da anni ci ha rincoglionito con gli slogan del tutti sono uguali davanti alla legge,nessuno è al di sopra delle regole e altri parole fritte gettate nel vento.
L'articolo di Left(il-senato-salva-salvini )ripropone quello che è accaduto la scorsa estate nei nostri mari,da difendere contro queste orde barbariche(no africane)a tutti i costi soprattutto calpestando parecchi diritti internazionali(vedi anche:madn il-dietrofront-del-ministro-di-tutto sul suo processo ).
Il Senato salva Salvini sul caso Diciotti. E il M5s avalla le politiche contro Ong e migranti.
di Checchino Antonini
Il Senato ha salvato Salvini. Anzi l’ha salvato il voto decisivo del Movimento 5 stelle in una giornata particolarmente infausta (visto anche l’arresto del capogruppo romano Marcello De Vito, accusato di tangenti per facilitare il megastadio della Roma) per chi col mantra “Onestà/Onestà!” ha costruito una credibilità tale da diventare il partito di maggioranza relativo. Erano da poco passate le 13 quando Gasparri ha annunciato che i No all’autorizzazione a procedere per Salvini (accusato di sequestro di persona aggravato) erano già 232 con sei ore di anticipo rispetto al regolamento del voto assembleare che prevede che i seggi rimangano aperti fino alle 19 (era necessaria la maggioranza assoluta, pari a 161 per acconsentire alla non autorizzazione a procedere proposta dalla Giunta). In dichiarazione di voto Fi e Fdi hanno annunciato la loro contrarietà a procedere nei confronti del ministro dell’Interno. Il calcolo delle posizioni espresse in base a quanto dichiarato dai gruppi indica pertanto in 242 la somma dei voti contrari all’autorizzazione. Dai banchi della maggioranza le senatrici M5S Paola Nugnes ed Elena Fattori si sono tuttavia espresse in dissenso con il proprio gruppo e si sono quindi dichiarate favorevoli al processo nei confronti di Salvini. Ma a loro potrebbe aggiungersi anche quello di Virginia La Mura che, negli ultimi mesi, ha spesso condiviso, in tema di migranti, le posizioni delle due colleghe dissidenti. Prima di votare, un suo post su fb mostrava un’immagine, priva di didascalie, di due mani, una di colore e l’altra bianca, che si intrecciano. «Sarò deferita ai probiviri, come giustamente vuole il codice di comportamento Cinque stelle. Ma io questo processo lo affronterò con la testa alta e la schiena dritta», ha dichiarato Elena Fattori intervenendo in dissenso dal suo gruppo e sottolineando «a differenza del ministro Salvini affronterò un processo per questa mia scelta consapevole e coerente». Poi aggiunge «Avrei ben preferito affrontare un processo vero piuttosto che correre il pericolo di vedermi allontanata dalla magnifica comunità Cinque stelle. Mi consola che le persone come me le cinque stelle le hanno tatuate sul cuore». «Il voto al Senato sul caso-Diciotti ha confermato due cose: il Movimento 5 stelle è sempre più piegato ai voleri del loro vero capo, Matteo Salvini, e il ministro dell’Interno agisce con disprezzo verso i più basilari principi umani, oltre che normativi. Le politiche di questo governo, al contrario di quanto sostiene Salvini, sono disumane: rischiano di aumentare i morti in mare, perché le Ong vengono criminalizzate, e fanno aumentare le torture nei campi libici», hanno detto Giuseppe Civati e Andrea Maestri di Possibile, commentando il voto a Palazzo Madama per cui è stato già raggiunto il quorum necessario a respingere l’autorizzazione a procedere chiesta verso Salvini. «I 5Stelle oggi voteranno l’immunità a Salvini e questo fa capire definitivamente come la pensano sulla casta, sulla politica e sul salvare solo la poltrona – ha spiegato anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris – se votassero per il sì a procedere significherebbe probabilmente la crisi del contratto di governo che invece è cementato proprio sulla voglia di casta e di potere». Intanto è stata «congelata» per ragioni di opportunità, in considerazione del voto di oggi, la pratica del Csm sui giudici del tribunale dei ministri di Catania. Non se ne discuterà nemmeno domani, ma tra una decina di giorni, perchè la prossima settimana è «bianca», cioè non ci sono nè riunioni del plenum nè delle Commissioni. Il caso potrebbe finire all’ordine del giorno della riunione del primo aprile della Prima Commissione, che dovrà anche valutare se discuterlo assieme ad altre vicende analoghe, come le esternazioni di Matteo Renzi sui giudici di Firenze che indagano sui suoi genitori. Secondo la maggioranza dei consiglieri togati (dall’iniziativa si dissociò solo il gruppo di Magistratura Indipendente), i giudici di Salvini sono stati oggetto di una «violenta campagna di delegittimazione» partita dopo che il ministro dell’Interno, durante una diretta Facebook, aprì e commentò il provvedimento che gli era stato appena notificato, «facendo ripetutamente i nomi dei componenti del collegio»: sul profilo del vicepremier vennero postati una serie di commenti dal contenuto non solo «offensivo e denigratorio» nei confronti dei componenti del collegio ma anche «espressamente minaccioso». «Ancora più grave», secondo i consiglieri, la successiva «violenta campagna denigratoria» sui giornali con ricostruzioni tali da indurre i lettori a credere che la decisione assunta dal tribunale dei ministri fosse stata adottata «non per ragioni giuridiche ma squisitamente politiche legate all’asserita connotazione ideologica» dei giudici, senza fare «alcun cenno alle argomentazioni giuridiche poste alla base del provvedimento».
Di cosa parliamo quando parliamo della Diciotti.
Il caso Diciotti è scoppiato alla vigilia di Ferragosto quando la capitaneria di porto italiana fu informata che un barcone con decine di persone a bordo era sfuggito alla Guardia costiera libica ed era arrivato nella zona maltese Sar, l’area di mare in cui gli Stati costieri si impegnano a mantenere attivo un servizio di ricerca e salvataggio.
Il giorno dopo, i migranti a bordo contattarono la capitaneria italiana chiedendo aiuto. L’Italia rimpallò ai colleghi maltesi che si rifiutarono di intervenire. Secondo la ricostruzione del tribunale dei ministri, alle 3.07 del 16 agosto, dopo una ulteriore richiesta di aiuto dei migranti a bordo, la capitaneria di porto italiana decise di intervenire, per rispetto delle numerose leggi nazionali e internazionali che impongono di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà in mare (anche al di fuori della propria zona Sar, secondo la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979).
Le operazioni di soccorso avvennero a poche miglia da Lampedusa alle 4 del mattino con due motovedette della Guardia costiera che li trasferirono sulla nave militare italiana Diciotti. L’Italia accusò Malta di non aver voluto intervenire per non assumersi le responsabilità successive, cioè lo sbarco di migranti sul proprio territorio, mentre Malta sostenne che l’Italia avesse soccorso il barcone in acque Sar maltesi per costringere Malta a occuparsene.
Il 20 agosto la capitaneria italiana ordinò alla Diciotti – che nel frattempo aveva sbarcato 13 migranti in condizioni gravi a Lampedusa – di dirigersi verso la Sicilia, per lo sbarco definitivo delle 177 persone a bordo. E iniziò lo stallo al centro del caso. La Diciotti arrivò nel porto di Catania alle 23.49 del 20 agosto, ma la capitaneria di porto ordinò al comandante della nave di «non calare la passerella e lo scalandrone». L’ordine era arrivato direttamente dal Viminale sebbene le condizioni delle persone sulla nave fossero molto precarie. Chi salì a bordo raccontò di persone ridotte a “scheletrini”, di situazioni molto gravi dal punto di vista psicologico nel quadro di una sostanziale inadeguatezza della nave Diciotti. Il Tribunale dei minori di Catania ordinò di sbarcare i minorenni, il resto delle persone rimase a bordo fino alle prime ore del 26 agosto.
Allo Stato che interviene spetta anche individuare un place of safety, cioè un porto sicuro dove siano rispettati sia i bisogni fondamentali sia i diritti umani. Secondo la legge italiana, individuare il porto sicuro spetta al ministero dell’Interno. Per questo a Salvini sarebbe stato contestato il sequestro di persona secondo i giudici del tribunale dei ministri di Catania perché avrebbe posto «arbitrariamente il proprio veto all’indicazione del place of safety (…) così determinando la forzosa permanenza dei migranti a bordo dell’unità navale U. Diciotti, con conseguente illegittima privazione della loro libertà personale». Con due aggravanti: il fatto che sia stato compiuto da un pubblico ufficiale, e che abbia danneggiato anche dei minorenni. Se ci fosse stato un processo Salvini avrebbe rischiato fino a 12 anni di carcere.
A fine agosto, Salvini disse: «Niente immunità. Se il tribunale dirà che devo essere processato, andrò davanti ai magistrati a spiegare che non sono un sequestratore. Voglio proprio vedere come va a finire». Poi ha cambiato idea, e ha chiesto apertamente al Senato di respingere l’autorizzazione a procedere chiesta dal tribunale dei ministri di Catania invocando l’articolo 7 del codice del processo amministrativo: «Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico». Salvini scrisse sul Corsera che «il contrasto all’immigrazione clandestina corrisponde a un preminente interesse pubblico» ma lo sbarco immediato non avrebbe comportato alcun pericolo per la sicurezza nazionale e Salvini non avrebbe potuto spuntarla in tribunale. «In secondo luogo, ma non per questo meno importante, ci sono precise considerazioni politiche. Il governo italiano, quindi non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i Paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti», scrisse sempre Salvini ammettendo, di fatto, di aver preso 177 ostaggi per negoziare con l’Unione Europea spalleggiato su questo da Conte, Di Maio e gli altri ministri. Tutti a rivendicare l’«atto politico».
Carmelo Zuccaro, il procuratore capo di Catania, quello che ha cercato spesso e inutilmente di dimostrare un legame tra ong e trafficanti e che disse che l’esistenza di questi legami gli risultava «da internet» per due volte ha chiesto l’archiviazione del caso ma il tribunale dei ministri di Catania non gli è andato appresso sull’ipotesi che che la decisione di Salvini sulla Diciotti «costituisce esercizio di un potere politico o quantomeno di alta amministrazione a lui attribuito dall’ordinamento». Salvini avrebbe deciso di «rinviare l’assegnazione del place of safety all’esito della riunione della Commissione Europea del 24 agosto», cosa che a Zuccaro «appare esercizio di una scelta politica». Secondo chi ne chiedeva il rinvio a giudizio gli atti politici non ledono un gruppo di persone specifiche come pure la Suprema corte «in diverse circostanze ha avuto modo di evidenziare che la discrezionalità nella gestione dei fenomeni migratori incontra chiari limiti (…) nella ragionevolezza, nelle norme di trattati internazionali che vincolano gli Stati contraenti, e soprattutto, nel diritto inviolabile della libertà personale». Tradotto vuol dire che gli atti politici in materia di immigrazione non possono esimere dal rispetto dei diritti individuali.
Il 21 febbraio, intanto, un ricorso d’urgenza – per chiedere il risarcimento dei danni per privazione della libertà personale – è stato presentato al tribunale civile di Roma, per difendere le ragioni di 41 immigrati (compreso il figlio minore di una coppia) che si trovavano a bordo della Diciotti. Di questi, 16 risultano nati il primo gennaio. Gli stranieri si erano poi rifugiati da Baobab Experience. I ricorrenti chiedono al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro dell’Interno Matteo Salvini, una cifra a titolo di risarcimento che oscilla tra i 42 mila e i 71 mila euro.
martedì 19 marzo 2019
LORENZO,UN PARTIGIANO DEI NOSTRI GIORNI
Un altro combattente italiano ha dato la sua vita per combattere nelle milizie curde dell'Ypg contro gli estremisti islamici dell'Isis,il fiorentino Lorenzo Orsetti,conosciuto come Orso o Heval Tekoşer"il lottatore",con questa notizia che ha avito un alto interesse mediatico e con una notizia positiva,quella che vede i curdi come protagonisti positivi in questa guerra che per ora non vede fine anche se Daesh ha perso numerose battaglie.
Ma non è ancora finita,negli articoli di Contropiano(lorenzo-orsetti-e-caduto )e Infoaut(a-lorenzo-partigiano-ucciso-dallo-stato-islamico )si spiegano i motivi che hanno portato questo ragazzo trentatreenne a unirsi ai combattenti curdi per la libertà e la democrazia,per difendere i suoi ideali e anche,purtroppo come si è avverato,pronto per dare il sacrificio estremo.
Un uomo,un anarchico che ha lasciato un messaggio postumo che dev'essere speranza e azione,che per forza di cose dev'essere costante e quotidiana,un monito per combattere(non necessariamente armandosi come ha fatto lui)contro i soprusi e contro le ingiustizie tutte.
Ricordo anche il combattente Giovanni Francesco Asperti che in situazioni simili ha perso la vita qualche mese fa:madn muore-miliziano-italiano-dellypg in rojava .
Lorenzo Orsetti è caduto combattendo in Siria, contro l’Isis.
di Redazione Contropiano
E’ caduto combattendo contro l’Isis, a Baghouz, in Siria al confine con l’Iraq, Lorenzo Orsetti.
Fiorentino, 33 anni, si definiva anarchico e ha lasciato, partendo, questo sintetico messaggio: “Mi chiamo Lorenzo, ho 32 anni, sono nato e cresciuto a Firenze. Ho lavorato per 13 anni nell’alta ristorazione: ho fatto il cameriere, il sommelier, il cuoco. Mi sono avvicinato alla causa curda perché mi convincevano gli ideali che la ispirano, vogliono costruire una società più giusta più equa. L’emancipazione della donna, la cooperazione sociale, l’ecologia sociale e, naturalmente, la democrazia. Per questi ideali sarei stato pronto a combattere anche altrove, in altri contesti. Poi è scoppiato il caos a Afrin e ho deciso di venire qui per aiutare la popolazione civile a difendersi”.
Nome di battaglia, Heval Tekosher, il “lottatore”. Qui una sua testimonianza: https://www.facebook.com/orso.dellatullo.1/videos/584167505432628/?hc_location=ufi.
Daesh ha diffuso foto e documenti su Instagram, accompagnando con l’ultimo insulto possibile per un compagno: «il crociato italiano è stato ucciso negli scontri nella località di Baghuz». Ma non si può pretendere che degli integralisti di qualsiasi religione capiscano l’ateismo…
Si era unito alle milizie curdo-siriane Ypg, e da un anno e mezzo era impegnato nelle operazioni contro le ultime sacche del califfato islamico intorno a Baghouz. Come altri in precedenza…
Non si nascondeva affatto, com’è giusto che sia per chi combatte per una causa giusta. Tant’è vero che lo aveva raggiunto una volta l’inviato del Corriere della Sera, Giulio Giri, cui aveva consegnato poche scarne frasi.
«Io non ho nessuna remora morale, sto facendo la cosa giusta, sono a posto con la mia coscienza. Siamo qua e qua resteremo fino all’ultimo. Un po’ perché non c’è nient’altro da fare, un po’ perché è la cosa giusta da fare. Combattiamo».
E’ impossibile spiegare lo stato d’animo dei combattenti a chi non condivide neanche un pelo della loro esperienza umana. Dunque è inevitabile ridurre le parole al minimo, scartare le tentazioni dell’autocelebrazione, le fisime dell’individuo asservito ai culti del consumo e dell’individualismo, guardare in faccia la nuda realtà e accettare le conseguenze delle proprie scelte. Serenamente e con grande determinazione.
Aveva conosciuto altri compagni italiani impegnati nello stesso fronte – e solo i compagni combattono contro l’Isis, chissà come mai… – gli stessi che vengono “attenzionati” da polizia e magistratura una volta rientrati in Italia. Strano, non vi sembra? Eppure si sono battuti e si battono contro un nemico del “nostro” Stato, ufficialmente…
Col tempo, era stato raggiunto al fronte persino da Fausto Biloslavo, sedicente giornalista di guerra, di matrice fascista (iniziò nel Il fronte della gioventù, organizzazione giovanile missina, a Trieste), poi arrestato (e prosciolto) per falsa testimonianza nelle indagini sulla strage di Bologna, inviato in Libano, corrispondente per testate di destra italiane e in “forte odore di Cia”, stando a corrispondenti di guerra di lungo corso. Un autentico nemico che finge di esserti amico…
Non a caso la breve intervista che Lorenzo gli concede parte proprio da una domanda sugli altri compagni combattenti in Siria.
Eccola qui:
Altri cinque volontari rientrati in Italia sono finiti nel mirino della Digos. Cosa ne pensi?
“Le misure di sorveglianza speciale per cinque compagni italiani Paolo, Jack, Eddy, Davide e Jacopo sono profondamente ingiuste. Chi ha imparato ad usare le armi contro l’Isis è stato considerato socialmente pericoloso”.
Nessuno è venuto in Siria per poi combattere anche in Italia?
“Alcuni di questi compagni non avevano nemmeno imbracciato le armi. In Italia sono legati al movimento No Tav, ma questo non li trasforma in terroristi a prescindere”.
Anche tu temi di avere problemi?
“Al momento non prevedo di rientrare, ma se dovessero accusarmi di qualcosa rispondo che sono fiero di quello che sto facendo in Siria. Sono pronto ad assumermi le eventuali conseguenze”.
Come è stata la guerra, quasi vinta, contro lo Stato islamico?
“Dura. Un paio di volte sono quasi riusciti ad accerchiarci. Nel deserto hanno contrattaccato e travolto le nostre postazioni. Quando iniziano a morirti i tuoi compagni accanto, soprattutto per le mine e cecchini, non lo dimentichi. Adesso molti miliziani stranieri si arrendono, ma spesso si sono fatti saltare in aria quando non avevano vie di scampo. Lo Stato islamico è un male assoluto. Questa è una battaglia di civiltà”.
Vi state preparando al prossimo conflitto con i turchi?
“Ad Afrin (l’ultima battaglia in gennaio nda) ho visto i caccia e i droni turchi fare terra bruciata, i corpi carbonizzati dei miei compagni ed i civili sotto le macerie. Non è importante essere di destra o di sinistra per capire che la Turchia continua ad appoggiare le frange estremiste ed è una minaccia per l’intero Medio Oriente”.
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A Lorenzo, partigiano ucciso dallo Stato Islamico.
Con tanta rabbia questa mattina abbiamo appreso che il combattente YPG italiano Heval Tekoşer, Lorenzo Orsetti, è stato ucciso dai macellai di ISIS sul fronte di Baghouz, nella Siria del Nord-Est.
Orso era partito un anno e mezzo fa da Firenze, deciso ad unirsi alle YPG, a schierarsi dalla parte dei popoli che in Siria del Nord stanno portando avanti una rivoluzione. Deciso a difendere in prima linea le popolazioni civili della Siria e tutti quanti noi dalla barbarie dello Stato Islamico. Nel corso di questo anno e mezzo, Orso ha combattuto anche contro un altro nemico: il secondo esercito più grande della Nato, quello turco. Il boia Erdogan, oltre ad aver reso la Turchia corridoio di fuga per decine e decine di jihadisti nel corso di questi anni, ha schierato tutte le sue truppe all’attacco della rivoluzione del Rojava, bombardando civili in tutto il territorio del Kurdistan, dall’Iraq alla Siria, invadendo la città di Afrin e gettandola in pasto a milizie jihadiste che hanno saccheggiato villaggi, violentato e schiavizzato donne e uomini. E Orso, anche ad Afrin, ha combattuto in prima linea.
Orso è andato incontro a testa alta a una scelta difficile e grande, la scelta più grande: essere disposti a dare la vita per una causa giusta. Orso ha dato la vita per la libertà dei popoli della Siria, per una rivoluzione che parla a tutto il mondo di un’altra società possibile, che mette al centro le persone, che valorizza le differenze, che fa della lotta delle donne e dell’ecologia i suoi presupposti.
È grazie al coraggio di una scelta come la sua, che tantissime altre donne e uomini hanno fatto in questi ultimi anni, che questa rivoluzione e le sue forze di difesa, le YPJ e le YPG, sono riuscite a resistere al secondo esercito della Nato, quello turco e a costringere lo Stato Islamico nella sua ultima roccaforte, Baghouz. Proprio lì, a un passo dall’annientamento di questi barbari tagliagole, Orso è caduto martire.
Orso era un ragazzo, come tante e tanti di noi. E il messaggio che ci manda ci dice una cosa molto semplice, ma la più vera: abbiamo la responsabilità di schierarci. Abbiamo la responsabilità di tracciare una linea tra noi e loro, tra la possibilità di una società giusta e la barbarie dell’oggi. Perché “ogni tempesta comincia con una sola goccia”, e insieme possiamo scatenare una tempesta addosso ai nostri nemici. Non può esistere libertà finché non saremo tutte e tutti liberi, non può esistere giustizia finché, insieme, non costruiremo un mondo più giusto, costi quel che costi. E la scelta di Orso ci insegna questo. Per questo lo ringraziamo.
Tutti noi abbiamo la responsabilità di portare avanti il suo esempio e la sua memoria, insieme a quella di Heval Hiwa Bosco, Giovanni Francesco Asperti, caduto lo scorso dicembre e quella di tutti i caduti della rivoluzione. Abbiamo la responsabilità di difendere il loro esempio e la loro memoria dagli sciacalli e dall’ipocrisia di chi alle nostre latitudini criminalizza coloro che hanno il coraggio di combattere dalla parte giusta.
Ciao Lorenzo, Orso, Heval Tekoşer Piling - partigiano dell’oggi.
La rivoluzione è un fiore che non muore. I martiri non muoiono mai.
Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli, e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.
Quindi, nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo, e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo.
Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza.
Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza; mai!
Neppure per un attimo.
Anche quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni.
E’ proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve.
E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate di essere voi
quella goccia.
Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin!
Orso,
Tekoşer,
Lorenzo.
venerdì 15 marzo 2019
UNA SPERANZA C'E'
Le centinaia di migliaia di persone,nella maggioranza dei casi studenti di tutte le età che sono scese per le strade di tutto il mondo per porre l'attenzione sui cambiamenti climatici,è di buon auspicio per il futuro dell'umanità e della nostra terra.
Che sta soffrendo sempre più mentre i politicanti che in barba a trattati firmati e poi disattesi fanno tanta propaganda senza nessun atto concreto per ridurre l'inquinamento e proporre l'utilizzo di fonti d'energia rinnovabili e pulite,schiavi delle lobbies del petrolio e dei produttori di energia che saccheggia la natura.
L'articolo di Infoaut(il-clima-c-e )tira le orecchie a questi usurpatori in giacca e cravatta che traggono guadagno sulla salute delle persone e annientando giorno dopo giorno migliaia di specie animali e vegetali dalla faccia della terra.
I dati che i giorni scorsi sono stati forniti sulle percentuali delle morti causate dall'inquinamento sono sempre più gravi ed in alcune zone più che allarmanti,ma i governi tutti hanno sempre meno attenzione alle problematiche ambientali aumentando il consumo di suolo a tutti i livelli di gestione territoriale usurpando sempre più la natura anche con piccoli gesti(qui quello accaduto a Crema:www.cremaonline.it Via+Bacchetta ).
Il clima c'è.
In Italia infine si fa un gran parlare di ambiente. I giornali dedicano a questo tema prime pagine e approfondimenti, i politici fanno a gara ad intestarsi la lotta contro il cambiamento climatico per rifarsi una verginità. Peccato che spesso questi siano gli stessi che per anni hanno contribuito ad inquinare il paese nel nome dello sviluppo e della crescita.
Questa gara spudorata è spia di una consapevolezza che, con un certo ritardo tocca ammettere, sta arrivando anche in Italia: i cambiamenti climatici porteranno a una catastrofe prima ambientale, poi economica e infine sociale e di civiltà.
Una consapevolezza che coinvolge soprattutto i giovanissimi, cioè coloro che pagheranno direttamente le scelte sconsiderate del passato. Proprio per questo fa paura alla politica e produce opportunismo.
Di lotte ambientali in Italia ve ne sono state fin dagli anni '60, '70 e sarebbe utile riannodare i fili con questa storia: prima contro le nocività sui posti di lavoro e nei quartieri popolari, poi sul tema del nucleare e della tutela del territorio e infine contro le grandi opere inutili. Quest'ultime in particolare, e soprattutto il TAV in Val di Susa, sono scottanti tematiche di attualità. Il balletto dell'informazione mainstream e dei partiti su questa questione la rende indigesta persino a chi ha lo stomaco forte e l'abitudine a questi trattamenti. Ma perché la questione del TAV e delle grandi opere inutili è stata ed è così centrale?
Perché materializza su dei territori generalmente più poveri della media e già martoriati la violenza del modello di sviluppo esistente nel nostro paese. Un modello di sviluppo in cui un'imprenditoria parassitaria viene mantenuta in vita artificialmente attraverso iniezioni di denaro e finanziamenti statali che ricambia volentieri elargendo donazioni ai partiti. Questi predatori fanno un gran parlare di crescita e sviluppo, ma la crescita che agognano è solo quella dei loro portafogli. È palese che ormai la crescita, intesa come aumento del PIL, è completamente sganciata dai salari e dai posti di lavoro. Gran parte degli investimenti finiscono dalle parti della finanza e non c'è nessun ritorno per i settori popolari del nostro paese di un'ulteriore sfruttamento dei territori. Lo dimostrano i salari sempre più compressi e il potere d'acquisto delle famiglie sempre più basso, ben prima della crisi.
La questione ecologica irrompe con prepotenza portando inevitabilmente con sé proprio questo tema: la domanda vera è cosa si intende per sviluppo? Si intende anche qui la crescita esponenziale dei profitti o lo sviluppo come società umana verso un futuro migliore?
Molti di quelli interessati a mantenere lo Status quo obbietteranno, ma cosa centrano le grandi opere con il cambiamento climatico? Altri più subdolamente sosterranno che opporsi all'alta velocità vuol dire essere a favore del trasporto su gomma, come se già non esistesse un treno che attraversa la Val Susa e che è decisamente sotto utilizzato.
Per rispondere a questi tocca introdurre un concetto urgente di cui si parla pochissimo e cioè quello del debito ecologico. Con debito ecologico si intende lo spreco di risorse, di carburanti fossili, di energia e si dovrebbe aggiungere di lavoro umano che la costruzione di un dato oggetto, di un'opera o l'elargizione di un servizio comporta. Quasi ogni attività umana oggi produce questo debito, che è immenso, ma alcune attività sono in grado di ripagarlo, mentre altre no. Dunque per tentare di evitare la catastrofe del cambiamento climatico sarà necessario rivedere l’intera sfera della produzione e in alcuni casi per produzioni particolarmente insostenibili dismetterla.
Un debito ecologico che parlando delle opere inutili si affianca a un debito economico e sociale salatissimo. Miliardi di euro sprecati che potrebbero essere investiti in altro, compresa la transizione ecologica e un maggiore welfare. Migliaia di persone subiranno le nocività della costruzione di queste opere senza spesso poterne nemmeno usufruire. Il climatologi parlano chiaro. Abbiamo solo pochi anni, è tempo di ridurre non certo di aumentare.
Il fatto profondo che è necessario cogliere è che oggi non ci si può dire ambientalisti, non si può lottare contro i cambiamenti climatici senza essere contro la mercificazione imperante dei territori, degli oggetti e dei corpi delle persone. O si mette una fine all'accumulazione spietata dei profitti di pochi capitalisti e si redistribuisce la ricchezza, l'accesso alle risorse e il potere di decidere a chi vive i territori oppure si marcia intruppati verso la catastrofe. A niente serve la green economy se questo vuol dire solo altra privatizzazione e sfruttamento delle risorse, altri magazzini pieni di merce stoccata, altro aumento dei flussi, altro accesso differenziale all'energia, altro consumo del territorio.
Questo è quello che non ammetteranno mai i media, i politici, le madamine SI TAV e gli imprenditori. Essi utilizzano la questione del TAV come leva per non interrompere il flusso dei profitti. Lotta di classe dall'alto, miope e idiota, come quella di chi non si rende conto che la tempesta sta arrivando.
Due date importanti nei prossimi giorni potranno essere un primo momento per mettersi in gioco: il 15 marzo con lo sciopero globale per il clima a fianco dei molti studenti e studentesse che in tutto il mondo daranno vita a iniziative contro il cambiamento climatico e il 23 marzo con la marcia nazionale per il clima e contro le grandi opere inutili e la devastazione ambientale a Roma.
Tocca a chi ha a cuore il futuro ribaltare questa leva, riprendere in mano da protagonista il proprio destino e il potere di decidere. Il clima c’è.
venerdì 8 marzo 2019
L'OMBRA DI STALIN NELLE POLITICHE DI PUTIN
Nei giorni scorsi in concomitanza dell'anniversario del decesso di Stalin ci sono stati servizi e immagini sull'immensità della folla a Mosca nella piazza Rossa che hanno reso omaggio allo statista sovietico che dopo gli anni novanta sta riscuotendo sempre più simpatia associata ad una nostalgia dei risultati ottenuti quando era lui al potere.
Perché nell'articolo di Contropiano(internazionale russia )si parte dal consenso sempre meno forte del Presidente Putin,con una Russia legata ad un arricchimento di pochi ed all'impoverimento di molti,in una situazione non molto distante dai paesi occidentali Italia compresa.
Un senso di corruzione sempre più opprimente,politiche sociali e lavorative al ribasso dei salari e dei diritti,un aumento dei disoccupati e dei poveri che nelle percentuali è tra i primi posti al mondo fanno delle scelte di Putin un arretramento della popolazione russa sotto tutti gli aspetti.
Russia: chissà perché Stalin riscuote più consensi di Putin.
di Fabrizio Poggi
Capita a volte di pensare allo smarrimento dei putiniani a ogni costo di casa nostra, messi di fronte alle accuse che il PCFR, non certo un partito rivoluzionario, rivolge alla leadership del Cremlino. Accuse che riguardano non singole scelte, ma il carattere di classe dell’orientamento governativo. I seguaci di Gennadij Zjuganov, attaccando il governo Medvedev e plaudendo agli obiettivi dichiarati da Vladimir Putin, lo fanno generalmente in termini di “potenza statale” della Russia nello scacchiere internazionale. Ma, nella sostanza, il loro attacco è rivolto alla caratterizzazione di classe di una leadership che non solo esalta le figure più tristi del periodo eltsiniano – Gajdar, Čubajs, ecc. – ma ne continua la strada.
Nei giorni scorsi il Presidium del CC del PCFR ha lanciato un atto di accusa contro la politica economica del governo russo, in cui si stigmatizza anche la persecuzione ai danni di rappresentanti del partito: “La repressione del potere contro le forze patriottiche è un segno di paura di fronte al popolo” – è il titolo della dichiarazione.
Dunque, constata il leader del PCFR, Gennadij Zjuganov, si approfondisce la crisi dell’economia russa; continua a calare il “tenore di vita della maggioranza assoluta dei cittadini; continuano le chiusure di fabbriche e industrie; cala la produzione di beni e servizi. Con accordi dietro le quinte, interi settori passano sotto il controllo del capitale straniero”. In costante aumento il numero di “disoccupati, senzatetto, malati e poveri”. Si inasprisce la pressione fiscale, aumentano “tasse, multe e tariffe delle utenze, arretrati salariali, prezzi per cibo, medicinali e benzina”, mentre si innalzerà l’età pensionabile. E’ così che precipita il “livello di consenso per “Russia Unita”, per governo e presidente. Oggi, solo gli oligarchi, nonostante le sanzioni, continuano ad arricchirsi favolosamente. A garanzia della loro “prosperità c’è la politica economica perseguita secondo il legato delle “terapie shock” degli anni ’90. Gli estremisti liberali nel governo, l’amministrazione presidenziale e altre strutture di potere stanno esacerbando la situazione. Si è scelta la strada della persecuzione” di coloro che sono sgraditi: dal Governatore di Irkutsk, Levčenko, all’altro nostro compagno Bessonov. Nel Territorio di Perm, si è attentato alla vita del deputato Kuzmin. Per tutto questo si “utilizzano fondi amministrativi, corruzione, intimidazione, bugie e insinuazioni. Lo abbiamo visto in Khakasia e Primore, dove, con le abituali manipolazioni, si è tentato di impedire la vittoria dei nostri compagni alle elezioni governatoriali”. Pavel Grudinin è stato dapprima “sollevato dalla carica di Presidente del Consiglio comunale di Vidnoe, nella Regione di Mosca, e poi è stato privato anche del mandato di consigliere. Il rating del presidente e del governo, precipitato al minimo storico, conferma la necessità di prendere urgentemente congedo dalla pratica del saccheggio di mercato. Il sabotaggio economico, il terrorismo sociale, la persecuzione del dissenso, l’antisovietismo, sono anelli di una stessa catena”.
Quali sono i problemi socio-economici di cui parla il PCFR? Nel 2018, le sanzioni imposte da UE, USA, Ucraina e altri, con 159 misure restrittive diverse, hanno pesato sull’economia russa per 6,3 miliardi di dollari. Ma non sono solo le sanzioni che attanagliano la Russia. Secondo il Ministero del lavoro, le differenze salariali all’interno di stessi comparti industriali si aggirano sulle 14 volte e salgono a 19 nel settore scientifico. E la cosa riguarda solo il personale dipendente. Impossibile calcolare gli introiti di manager e alti dirigenti. Il tutto, nota ROTFront, “grazie” alla crescente produttività del lavoro e ai salari fermi ai livelli di trent’anni fa. La ricchezza dello strato di quelli che vengono definiti “oligarchi”, invece, non fa che accrescersi a dismisura, condivisa in parte con settori di vertice dell’apparato statale; una ricchezza che si tende a trasferire all’estero in una quantità che, secondo iarex.ru, è di due volte e mezzo maggiore dei depositi bancari in Russia.
Ma ecco che il Ministro delle finanze, Anton Siluanov lamenta che la politica del governo non trovi sostegno tra i russi, mentre gli “esperti” occidentali giudicano efficace la linea del gabinetto Medvedev, di accelerata riduzione dello stato sociale, basata sulla dottrina del famigerato “Washington consensus” del FMI. Così, ciò che la UNCTAD denuncia a livello mondiale – l’alto livello di concentrazione finanziaria e industriale che detta le regole politiche – vale anche per il corso liberale del governo russo. Ed è perciò che, con lo sprone dell’ex Ministro delle finanze, Aleksej Kudrin – oggi presiede la Corte dei conti – Governo e Banca centrale sottostanno alle esigenze del capitale finanziario internazionale. Mentre il Ministero delle finanze, nota iarex.ru, “eleva tasse e accise … gli introiti da tutto l’export energetico, invece di progetti nazionali, prendono la strada dell’estero, e i miseri redditi dei lavoratori sono lontani dal favorire la domanda interna: non rimane dunque che rivolgersi ai soliti “investitori internazionali”. Una storia ben nota: più bassi salari (una media tra i 37 e i 27mila rubli; ma più di frequente dai 25 ai 17mila rubli: dai 380 ai 250 $), meno diritti sui luoghi di lavoro; è così che si attraggono gli investimenti esteri!
I redditi
Negli ultimi 36 anni, i redditi reali globali sono aumentati in Russia del 34% (media mondiale: 60%; ma 831% in Cina, 221% in India); ma, per la metà più povera dei russi sono in realtà calati del 26% e sono cresciuti appena del 5% per un altro 40% di popolazione: col risultato che per il 90% di cittadini più poveri i redditi sono scesi più o meno del 15%. Rimane l’altro 10% di russi, per i quali i redditi sono davvero cresciuti del 190%; sono aumentati di 8 volte per l’1% della crema; di 26 volte per l’0,1%; di 80 volte per circa diecimila russi (0,01% della popolazione) e di 250 volte per lo 0,001%.
Ed è in tale situazione, con una fuga all’estero tra i 50 e i 100mila giovani tecnici e laureati all’anno, che il Ministero della sanità si preoccupa del “girovita” dei russi e pensa, sul modello giapponese, di sanzionare chi non lo ridurrà. Ma il consumo di latticini, nota con tristezza Jurij Afonin, del Presidium del PCFR, è una volta e mezza inferiore al 1990, mentre si consumano più pane e farinacei: cioè gran parte della popolazione consuma troppi carboidrati, troppo olio di palma e troppo poche proteine, soprattutto animali, e questa è la strada maestra all’aumento di peso. Se il primo ministro Medvedev propone di disegnare il ritratto del “russo povero”, afferma Anton Čablin, è molto semplice: è quello col girovita ampio.
Sergej Obukhov, anch’egli del Presidium del PCFR, ha dichiarato che l’unico passo concreto che il Governo Medvedev dovrebbe intraprendere per lottare, come sostiene, contro la povertà, causata dalle sanzioni americane, sarebbe quello di dimettersi, perché non sono quelle il male peggiore dell’economia russa. Molte industrie sarebbero in effetti estremamente vulnerabili alle sanzioni: così, il settore dell’aviazione civile, con il 99% di tecnologia occidentale, o quello informatico e dei media (95%) o delle macchine utensili (95%). Già da questi numeri, osserva Obukhov, è chiaro che se l’Occidente avesse veramente l’obiettivo di fare pressione con le sanzioni, ce la vedremmo brutta: parlare di “impatto devastante delle sanzioni è semplicemente ridicolo. La Banca Mondiale ha valutato il loro effetto sull’economia russa come trascurabile: meno del 1% del PIL”. E se Dmitrij Medvedev si duole che le persone non avvertano il “successo” strombazzato dalle statistiche economiche, ecco che Obukhov constata come, invece, “alcune persone percepiscano molto bene tali successi. In seguito ai risultati del 2018, i membri dei consiglii d’amministrazione di Gazprom, Rosneft e Sberbank si sono intascati in totale quasi 12mila miliardi di rubli. E ora confrontiamo le cifre: il l programma statale per lo sviluppo delle estrazioni offshore è di appena 6,6 miliardi di rubli; quello per lo sviluppo dell’elettronica, 9,9 miliardi; il programma per lo sviluppo farmaceutico, 9,8 miliardi”.
Di contro, si parla di un esercito di quasi 20 milioni di russi classificati come poveri. Vero è che Aleksandr Zapolskis constata come varie stime parlino di un fatturato dell’economia sommersa, in cui sarebbe impiegato il 23-25% della popolazione, attorno al 20% del PIL e, disquisendo sulla categoria della “povertà”, la definisce come “quella condizione in cui il reddito non è sufficiente per il minimo di cibo necessario”. Il minimo di sussistenza è oggi in media di 10.444 rubli al mese e, secondo le statistiche ufficiali, il numero di poveri nel paese, cioè chi ha un reddito pari o inferiore al minimo di sussistenza, è di 19 milioni, pari al 12,7% della popolazione.
Secondo la Banca Mondiale, un reddito inferiore a 1,90 $ al giorno significa povertà estrema; ma, è considerato povero chi ha meno di 3,20 $ al giorno in paesi a reddito medio-basso e 5,50 $ al giorno in paesi a reddito medio-alto. Per quanto riguarda, ad esempio, gli Stati Uniti, la soglia di povertà è di 25.100 $ l’anno per una famiglia di quattro persone: sotto quella cifra, non ci si può permettere affitto, cibo o altri bisogni di base; per un individuo singolo, la soglia è di 12.140 $, cioè 33,26 $ al giorno e, secondo i dati del 2017, il 12,3% della popolazione (39,7 milioni) si trovava in tale situazione. Per la Russia, i dati pubblicati dall’Istituto presidenziale di analisi sociale, relativi al 2018, danno una “zona di povertà” del 22% e una “zona rischio” del 35,6%. Ricadono nella prima coloro che dichiarano di avere un reddito insufficiente all’acquisto di prodotti alimentari di base; nella zona a rischio, coloro per i quali l’acquisto di merci durevoli è causa di difficoltà estreme. Ma, nota Zapolskis, la percentuale ufficiale russa dovrebbe essere aumentata di una volta e mezzo o due, perché bisogna considerare non solo i redditi, ma le reali opportunità di ricevere un’istruzione, comprare medicine, andare in vacanza; si scoprirebbe che i poveri non sono 19 milioni, ma circa 35, e questo è già il 23,4%!
È facile vedere, continua Zapolskis, che alla base della piramide ci sono gli occupati nell’agricoltura o nei settori a basso reddito e scarsa qualifica; e poi gli addetti a strutture ricettive e ristorazione – ufficialmente solo 1,8 milioni, ma di fatto quasi 5 milioni: non a caso il Rosstat ha ammesso di non sapere dove e come sia occupato oltre il 35% della popolazione in età lavorativa – custodi, personale delle pulizie. Ci sono 1,3 milioni di occupati nell’educazione prescolare, con un salario medio di 22mila rubli; insegnanti, personale paramedico e medico; lavoratori dell’industria leggera, con stipendi medi di 21mila rubli; personale domestico a 16mila rubli, ecc. Ed è chiaro che 25mila rubli al mese sono più che normali, ad esempio, nelle aree del Mar Nero, ma non sono assolutamente nulla a Mosca o Piter.
Anton Čablin ricorda come la classifica delle regioni per qualità della vita, sviluppo economico e infrastrutturale, occupazione, demografia, salute, ecc., veda per il settimo anno consecutivo ai primi tre posti Mosca, Piter e Regione di Mosca. Agli ultimi posti ci sono alternativamente Territorio del Transbajkal, Karachaevo-Čerkessia, Repubblica di Tyva, Inguscetija o Kalmykja. Espressa la differenza genericamente in punti, per dire, negli anni la Repubblica di Tyva oscilla tra i 13 e i 16 punti, mentre Mosca tra 76 e 78. Nessuna meraviglia, considerato che l’area di Mosca e Piter e le regioni gas-petrolifere (ad esempio i Circondari autonomi di Khanty-Mansi e di Jamalo-Nenets, l’area della Siberia occidentale e dell’estremo oriente) assorbano insieme oltre il 30% degli investimenti federali.
In conclusione: qualcuno si stupisce, o rabbrividisce di sdegno, se, secondo i sondaggi del Centro Levada, il 40% dei russi guarda a Stalin con “ammirazione” e “simpatia” e solo il 12% (percentuale costante dagli anni 2000) nutre “ostilità” e “paura”? Nel sondaggio condotto un mese fa da Svobodnaja Pressa su “Quale sia il leader che ha dato il maggior contributo allo sviluppo del paese negli ultimi 100 anni”, tra i ventimila rispondenti, il 63% ha citato Stalin; al secondo posto, Putin, ma con appena il 12%. Questa è la Russia uscita dai “malvagi anni ’90”.
mercoledì 6 marzo 2019
SPARA TU CHE SPARO IO
E' risaputo che la legge passata oggi in Camera dei deputati e che tornerà per la terza lettura in Senato probabilmente entro la fine del mese sia stata spinta da un rincoglionimento massmediatico pressante e martellante.
Un continuo bisogno di sicurezza dettato da notizie pompate a dismisura con esempi di chi ha reagito alla violenza con la violenza anche se in parecchi casi non era necessaria causando un'iperbole di fatti criminosi di rimando,argomento di certo non partito con questo esecutivo(vedi anche:madn altro-decreto-di-centrodestracon-molti punti di domanda ).
Non è certo con questa legge che i cittadini possano dormire tranquilli,le rapine,i furti e gli atti di delinquenza contro le persone o le proprietà continueranno ma stavolta con metodi da far west che di certo faranno aumentare gli omicidi sia tra i ladri che le loro vittime,con i primi che non ci penseranno due volte ad usare una violenza estrema.
L'articolo di Contropiano(legittima-difesa-una-legge-da-stato-minimo )parla dell'ennesimo contentino che Lega e 5 stelle si scambiano,stavolta a favore di Salvini nello stesso giorno dell'inizio del reddito di cittadinanza,e mentre venerdì con la questione Tav ci sarà la resa dei conti.
Legittima difesa. Una legge da “Stato minimo”.
di Federico Rucco
Nel paese che ha il numero di poliziotti procapite tra i più alti al mondo – l’Italia – la “protezione” dei cittadini viene affidata a loro stessi e, sulla base della legge in via di approvazione, con un nuovo e margine di arbitrio. Sulla legittima difesa si sta realizzando lo stesso processo di altri ambiti. Il patto tra Stato e cittadini prevede uno scambio tra il pagamento delle tasse e la restituzione in servizi. Ma se lo Stato dichiara di non avere le risorse, i cittadini pagano le tasse ma poi devono curarsi a spese loro, devono studiare o predisporsi la pensione a spese loro etc. Lo Stato ormai assicura solo il minimo, e se possibile anche meno. Il fatto che in Italia ci siano più poliziotti per numero di abitanti di ogni altro paese europeo, non assicura che la “protezione” (servizio dello Stato pagato con le tasse dei cittadini) arrivi fin nelle case. Ragione per cui ognuno le difende con armi proprie e faccia fuoco sui soggetti ritenuti ostili senza troppi patemi.
La Camera dei deputati si appresta ad approvare la legge sulla “legittima difesa” fortemente voluta dalla Lega, ma la cosa sta provocando – e meno male – contraddizioni e resistenze tra i parlamentari del M5S. Alcuni deputati del Movimento 5 Stelle stanno cercando di ostacolare l’approvazione della legge sulla legittima difesa. Ieri, durante il dibattito alla Camera sul provvedimento fortemente voluto dalla Lega, ci sono stati quindicina di franchi tiratori – quasi certamente tutti grillini – hanno sostenuto nel voto a scrutinio segreto l’ emendamento del Pd che puntava a eliminare dal testo la parola “sempre”, che di fatto avrebbe bloccato la modifica cardine dell’ articolo 52 del codice penale, secondo cui in base alla legge in via di approvazione “sussiste sempre il rapporto di proporzione” tra offesa e difesa.
Ma la maggioranza, come prevedibile, non ha incontrato problemi: i voti contrari all’ emendamento sono stati 366, quelli favorevoli 125. Ma osservando nel dettaglio i tabulati della votazione, si rileva che 92 voti favorevoli sono stati del Pd, 12 di Leu e 6 (molto probabilmente) del gruppo misto: il totale fa 110, a cui vanno aggiunti 15 dissidenti, che evidentemente non appartengono alla Lega. Inoltre ci sono stati 25 deputati M5S che non hanno preso parte al voto, e nessuno di questi risultava “in missione”. Salvini si è detto sicuro che il provvedimento verrà approvato oggi dalla Camera. La legittima difesa “è sicuramente una legge della Lega” ma “è nel contratto di governo. Io sono leale al contratto e si porta avanti e si vota. Non è che ci sia tutto questo entusiasmo nel M5s” ha affermato Luigi Di Maio, a Rtl, sottolineando che allo stesso modo “non c’era tutto questo entusiasmo della Lega quando abbiamo votato la legge anticorruzione”.
A creare però altre contraddizioni tra gli alleati di governo c’è un dossier interno dei 5 Stelle, reso noto dall’ agenzia AdnKronos e attribuito al deputato Rina De Lorenzo, che giudica la legge sulla legittima difesa incostituzionale. In esso viene contestato l’ articolo 1 del provvedimento, quello che considera sempre sussistente il rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa. L’ articolo contestato nel tardo pomeriggio ha però ricevuto l’ ok dalla Camera. Via libera anche all’ articolo 2, che inserisce tra le cause di non punibilità chi si è difeso “in stato di grave turbamento”. Tra i punti approvati anche l’ aumento delle pene per i furti in casa e per rapina.
La legge, ha già ricevuto il via libera dal Senato, ma il testo dovrà tornare a Palazzo Madama per la terza e ultima lettura dopo una modifica dovuta a una dimenticanza sulle coperture finanziarie. L’ aula si riunirà per discuterne probabilmente tra il 26 e il 28 marzo.
martedì 5 marzo 2019
PD:IL"NUOVO"CHE AVANZA,LA FINE CHE SI AVVICINA
L'elezione di quello che potrebbe essere l'ultimo segretario nazionale del Pd ha voluto sì che Zingaretti,governatore del Lazio,abbia avuto la meglio sugli sfidanti Martina e Giachetti,mai così uniti e contenti per una sconfitta interna al partito in quello che rimane comunque un buon processo democratico anche se ci sono state ancora delle polemiche sul numero effettivo dei votanti e su quante volte si sia effettivamente votato.
Gli articoli che parlano giustamente di una"svolta"rimanendo fermi(contropiano.org/news/politica )e di un cane morto(www.infoaut.org/editoriale),un soggetto politico nato già senza respirare e che probabilmente prenderà una batosta che ne decreterà la fine alle prossime europee,a vantaggio di partiti politici e movimenti di destra,ma viste gli andazzi contro i lavoratori,gli studenti e i malati del governo Pd la strada era già spianata.
Non si può che un partito che si ritiene anche solo di centrosinistra abbia tre candidati che la pensino alla stessa maniera sul tav,sul non usare lo strumento della patrimoniale,nessuno che vuole fare un passo indietro sul welfare e sull'articolo 18,sulla politica estera(vedi Venezuela)e sulla Costituzione che avevano cercato di calpestare.
Insomma,la notizia andava data ma questo spero che sia l'ultimo atto di una farsa che è già durata troppo tempo.
Il Pd “svolta” rimanendo fermo.
di Dante Barontini
Habemus secretarium! Il popolo del centrosinistra ritrova “la ditta” anche sul piano politico, dopo l’ascesa di Maurizio Landini al trono della Cgil.
Il fratello di Montalbano sorride felice, forte di una percentuale oscillante tra il 60 e il 70% su una platea di votanti dichiarata intorno al milione e 700mila persone.
Non ci metteremo qui a discutere sella serietà democratica di “primarie aperte” (che il segretario di un partito venga scelto da chiunque passi per strada, magari anche iscritto o simpatizzante di tutt’altra formazione, resta per noi un’assurdità). Né delle procedure disinvolte, della possibilità di votare più volte, ecc.
Il dato che va assunto è politico, e non c’è stupidaggine di dettaglio – ce ne sarebbero molte – che possa cambiare il dato di fatto: il Pd torna in mano all’establishment del centrosinistra di sempre, ovviamente in nome del “cambiamento”.
Il fatto che con questa scelta venga sepolto il “renzismo” è quasi secondario. L’establishment ha visto che il “vuoto a sinistra” era gigantesco; che lo scenario al centro era superaffollato; che la destra presenta venature fascistoidi tranquillamente sopportate nella vita sociale quotidiana, ma controproducenti se diventano leggi dello Stato; che il grillismo è entrato in una crisi probabilmente irreversibile (la conferma viene dal voto di ieri: “l’affluenza è stata omogenea in tutto il territorio nazionale, con un leggero picco al centro-sud, in particolare nel Lazio e in Campania”, le regioni in cui l’avanzata Cinque Stelle era apparsa inarrestabile). E quindi era necessaria una “correzione di sinistra” per riverniciare come “nuovo” un carrozzone neoliberista, senza alcuna modifica sostanziale rispetto alla stagione di Matteo Renzi.
Boria a parte, infatti, tutto il resto resta intatto.
Il Tav in Valsusa? Si deve fare… Anzi: “La mia prima mossa: visiterò i cantieri Tav”. Tanto per fare capire che “il partito del Pil” può contare su di lui.
Ripristinare l’articolo 18? Non se ne parla proprio… (vedi il punto sul Tav).
Sul Venezuela? Siamo con Trump, ci mancherebbe…
Sanità pubblica? Ma se ho privatizzato quasi quanto Formigoni…
Una Patrimoniale? Ma quando mai, perderemmo anche ai Parioli e via Montenapoleone…
Difesa della Costituzione? Sul referendum contro-costituzionale erano tutti allineati per il “sì”, fortunatamente stracciato nelle urne.
Potremmo andare avanti per ore. La “riverniciata di sinistra” (una “romanella”, si dice dalle nostre parti, per indicare una passata di vernice alle pareti, senza ristrutturare neanche un po’…) passa giusto per un po’ di retorica sugli immigrati (il “terzo settore”, in effetti, ha ricevuto qualche colpo duro da Salvini e Cinque Stelle, perdendo finanziamenti, appalti e occupazione), ma senza mettere in discussione i lager in Libia creati sotto la regia di Marco Minniti; un po’ di antifascismo parlato (ricordiamo che la lussuosa sede di Casapound a Roma fu un regalo di Walter Veltroni) ma niente affatto praticato; un po’ di libertà civili (gioco facile, quando hai davanti un Pillon o un Fontana, che straparlano come manco Savonarola ai tempi suoi).
Neoliberismo laico, insomma. “Ma anche” attento a non distUrbare il Vaticano, che di questi tempi appare addirittura molto più “di sinistra” sui temi sociali classici (povertà, casa, welfare, ecc).
Che tutto ciò possa passare per “qualcosa di sinistra” è veramente la misura di quanto sia degradata la coscienza civile di questo paese e soprattutto di quella parte che si pensa “di sinistra”. Come scriveva il saggio, oggi “Lo spirito si mostra così povero che, come il viandante nel deserto desidera un semplice sorso d’acqua, così anch’esso sembra anelare, per il suo ristoro, al mero sentimento del divino in generale: da ciò di cui lo spirito si accontenta, si può misurare la grandezza della sua perdita”.
Detto questo, però, non c’è dubbio che il ticket Landini-Zingaretti rinverdisce in salsa rosè spenta l’antica “cinghia di trasmissione” tra partito politico e sindacato, stimolando l’illusione che si possa “rifare” qualcosa che è andato definitivamente perduto sotto la spinta delle “riforme” imposte dall’Unione Europea e dall’austerità che stanno distruggendo la forza produttiva di questo paese, oltre che – in primo luogo – le condizioni di vita della sua popolazione di fascia medio-bassa.
A questo servivano, del resto, anche le due grandi manifestazioni, di CgilCislUil a Roma e quella di Milano sabato scorso.
Vedremo nelle prossime settimane, senza grande sorpresa, una migrazione semi-biblica di figure sinistresi verso il “campo largo” che Zingaretti indica come blocco elettorale per le europee di fine maggio.
Una migrazione guidata dal “tavolo Cofferati” – quello parallelo cui sedevano molti degli stessi attori che facevano “flanella” al “tavolo De Magistris” – per ricondurre nell’alveo del rassicurante “europeismo progressista” ogni conato di alternativa antagonista.
L’elezione di Zingaretti, insomma, può e deve essere irrisa sul piano dei “contenuti” – niente affatto diversi da quelli della stagione renziana – ma non va sottovalutata per la negatività dei “flussi emotivi” suscitati in un “popolo di sinistra” che ormai si accontenta di narrazioni sbiadite.
Noi non ci caschiamo. Ci vediamo nelle strade…
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Un cane morto chiamato PD.
La studiata combinazione che ha visto inseguirsi lo scorso weekend la manifestazione milanese antirazzista e lo spettacolino delle primarie ha riportato l'attenzione sul Partito Democratico. La nomina di Zingaretti a segretario è stata narrata come la svolta progressista di un partito intenzionato a riportare nel suo alveo i delusi dal regno renziano.
Ma alcune evidenze ci dicono che il nuovo PD è nato già morto. E non solo perché di fatto è un ritorno al 2013, al centrosinistra, a Bersani e alle sue elezioni vinte e perse insieme. A un'era andata, e finita molto male. Ma perché credere nel PD di Zingaretti è credere in una (sinistra) sinistra che dietro il tema della difesa di un inesistente interesse generale della società, nasconde in realtà la promozione dei desiderata di una classe particolare, ovvero la classe padronale.
Vuol dire credere in una prospettiva antiquata e rivolta al passato, in una dirigenza che nel mentre finge di rinnovarsi non ha imparato e non vuole imparare la lezione, che non riesce a cogliere il senso profondo di una fase storica che la sta travolgendo in tutto il mondo occidentale. Che non coglie che la divisione tra popolo ed elite, tra basso e alto, tra sfruttati e sfruttatori, agita in senso reazionario dai sovranisti di ogni risma, non è aggirabile ma solo rideclinabile.
È una dirigenza che insieme a sindacati impegnati unicamente nella propria riproduzione burocratica continua a parlare di lavoro come dignità. Quando il suo essere sfruttamento e devastazione territoriale è verità sempre più evidente. Una visione fuori tempo massimo, anche rispetto ai suoi teorici referenti internazionali. Se persino negli USA infatti si riaffaccia qua e là il tema di classe, della distribuzione del reddito, anche a partire dalla polarizzazione dovuta a Trump, qui si sfrutta l'antipatia di alcuni settori sociali nei confronti di Salvini solo per ribadire un sostanziale neoliberismo, arrossato qua e là da un ammiccare a qualche diritto civile in stile Cirinnà. Senza però guardare alle contraddizioni di fondo di un modello di sviluppo insostenibile fondato dalla diseguaglianza e dalle porte in faccia soprattutto ai giovani.
L'unica speranza del PD di Zingaretti sembra quella di giocare al meno peggio, che poi in realtà è da anni l'unica strategia di un partito impegnato nel permettere lo spostamento in senso reazionario dell'opinione pubblica per poter apparire "migliore". Una strategia vecchia, oggi pensabile solo e soltanto grazie al suicidio dei 5s, ma che al suo interno ha troppe irrisolvibili contraddizioni per poter durare.
Come si può essere sitav e per l'ambiente? Come si può dedicare la vittoria alle primarie a Greta Thurnberg e poi subito rivolgersi alle energie del mondo imprenditoriale? Come si può voler ripartire dai delusi e come prima mossa andare a trovare Chiamparino? Come si può continuare a ragionare di capi, comunità, leader, partiti quando la realtà da affrontare sarebbe più che altro quella di una impostazione ideologica ormai morta e fallita in tutto l'occidente? Come si può pensare di crearsi una identità solo per giustapposizione, di fronte ad un sovranismo nativista che offre una risposta più immediata e promette anch'egli le stesse briciole? Si può quando si è di fronte alla volontà di una svolta puramente posticcia.
La manifestazione di Milano dello scorso sabato è ciò che aspetta chi porterà alcuna speranza in questo finto rinnovamento. Si prepari cioè, oltre ogni genuina voglia di cambiamento, a marciare con alla testa un nemico. L'antirazzismo di Sala, e già basterebbe chiuderla qui, afferma il suo "prima le persone" (quali? con quali risorse a disposizione? con quali precise idee su migranti, ambiente, sviluppo?) nel momento in cui intende affermare la negazione del conflitto di classe che si cela dietro il processo migratorio.
Questo, in quanto fatto sociale all'interno di rapporti capitalistici globali, riflette una attenzione ai diritti di cittadinanza che non può essere slegata dalla questione della redistribuzione del reddito e da prospettive di uguaglianza reale oltre la linea della razza. Fare scendere i migranti dalla Diciotti per poterli poi sfruttare non è antirazzismo. È solo la faccia più presentabile ma ugualmente omicida del neoliberismo.
La cittadinanza, criterio anch'esso assai discutibile, non è un dato solo formale, ma anche sostanziale. E parlare di cittadinanza senza discutere realmente di giustizia sociale, probabilmente non farà che rinforzare il campo opposto. Che forse, tutto sommato, è quello che serve allo stesso Zingaretti per darsi un senso, di riflesso..
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