L'elezione di quello che potrebbe essere l'ultimo segretario nazionale del Pd ha voluto sì che Zingaretti,governatore del Lazio,abbia avuto la meglio sugli sfidanti Martina e Giachetti,mai così uniti e contenti per una sconfitta interna al partito in quello che rimane comunque un buon processo democratico anche se ci sono state ancora delle polemiche sul numero effettivo dei votanti e su quante volte si sia effettivamente votato.
Gli articoli che parlano giustamente di una"svolta"rimanendo fermi(contropiano.org/news/politica )e di un cane morto(www.infoaut.org/editoriale),un soggetto politico nato già senza respirare e che probabilmente prenderà una batosta che ne decreterà la fine alle prossime europee,a vantaggio di partiti politici e movimenti di destra,ma viste gli andazzi contro i lavoratori,gli studenti e i malati del governo Pd la strada era già spianata.
Non si può che un partito che si ritiene anche solo di centrosinistra abbia tre candidati che la pensino alla stessa maniera sul tav,sul non usare lo strumento della patrimoniale,nessuno che vuole fare un passo indietro sul welfare e sull'articolo 18,sulla politica estera(vedi Venezuela)e sulla Costituzione che avevano cercato di calpestare.
Insomma,la notizia andava data ma questo spero che sia l'ultimo atto di una farsa che è già durata troppo tempo.
Il Pd “svolta” rimanendo fermo.
di Dante Barontini
Habemus secretarium! Il popolo del centrosinistra ritrova “la ditta” anche sul piano politico, dopo l’ascesa di Maurizio Landini al trono della Cgil.
Il fratello di Montalbano sorride felice, forte di una percentuale oscillante tra il 60 e il 70% su una platea di votanti dichiarata intorno al milione e 700mila persone.
Non ci metteremo qui a discutere sella serietà democratica di “primarie aperte” (che il segretario di un partito venga scelto da chiunque passi per strada, magari anche iscritto o simpatizzante di tutt’altra formazione, resta per noi un’assurdità). Né delle procedure disinvolte, della possibilità di votare più volte, ecc.
Il dato che va assunto è politico, e non c’è stupidaggine di dettaglio – ce ne sarebbero molte – che possa cambiare il dato di fatto: il Pd torna in mano all’establishment del centrosinistra di sempre, ovviamente in nome del “cambiamento”.
Il fatto che con questa scelta venga sepolto il “renzismo” è quasi secondario. L’establishment ha visto che il “vuoto a sinistra” era gigantesco; che lo scenario al centro era superaffollato; che la destra presenta venature fascistoidi tranquillamente sopportate nella vita sociale quotidiana, ma controproducenti se diventano leggi dello Stato; che il grillismo è entrato in una crisi probabilmente irreversibile (la conferma viene dal voto di ieri: “l’affluenza è stata omogenea in tutto il territorio nazionale, con un leggero picco al centro-sud, in particolare nel Lazio e in Campania”, le regioni in cui l’avanzata Cinque Stelle era apparsa inarrestabile). E quindi era necessaria una “correzione di sinistra” per riverniciare come “nuovo” un carrozzone neoliberista, senza alcuna modifica sostanziale rispetto alla stagione di Matteo Renzi.
Boria a parte, infatti, tutto il resto resta intatto.
Il Tav in Valsusa? Si deve fare… Anzi: “La mia prima mossa: visiterò i cantieri Tav”. Tanto per fare capire che “il partito del Pil” può contare su di lui.
Ripristinare l’articolo 18? Non se ne parla proprio… (vedi il punto sul Tav).
Sul Venezuela? Siamo con Trump, ci mancherebbe…
Sanità pubblica? Ma se ho privatizzato quasi quanto Formigoni…
Una Patrimoniale? Ma quando mai, perderemmo anche ai Parioli e via Montenapoleone…
Difesa della Costituzione? Sul referendum contro-costituzionale erano tutti allineati per il “sì”, fortunatamente stracciato nelle urne.
Potremmo andare avanti per ore. La “riverniciata di sinistra” (una “romanella”, si dice dalle nostre parti, per indicare una passata di vernice alle pareti, senza ristrutturare neanche un po’…) passa giusto per un po’ di retorica sugli immigrati (il “terzo settore”, in effetti, ha ricevuto qualche colpo duro da Salvini e Cinque Stelle, perdendo finanziamenti, appalti e occupazione), ma senza mettere in discussione i lager in Libia creati sotto la regia di Marco Minniti; un po’ di antifascismo parlato (ricordiamo che la lussuosa sede di Casapound a Roma fu un regalo di Walter Veltroni) ma niente affatto praticato; un po’ di libertà civili (gioco facile, quando hai davanti un Pillon o un Fontana, che straparlano come manco Savonarola ai tempi suoi).
Neoliberismo laico, insomma. “Ma anche” attento a non distUrbare il Vaticano, che di questi tempi appare addirittura molto più “di sinistra” sui temi sociali classici (povertà, casa, welfare, ecc).
Che tutto ciò possa passare per “qualcosa di sinistra” è veramente la misura di quanto sia degradata la coscienza civile di questo paese e soprattutto di quella parte che si pensa “di sinistra”. Come scriveva il saggio, oggi “Lo spirito si mostra così povero che, come il viandante nel deserto desidera un semplice sorso d’acqua, così anch’esso sembra anelare, per il suo ristoro, al mero sentimento del divino in generale: da ciò di cui lo spirito si accontenta, si può misurare la grandezza della sua perdita”.
Detto questo, però, non c’è dubbio che il ticket Landini-Zingaretti rinverdisce in salsa rosè spenta l’antica “cinghia di trasmissione” tra partito politico e sindacato, stimolando l’illusione che si possa “rifare” qualcosa che è andato definitivamente perduto sotto la spinta delle “riforme” imposte dall’Unione Europea e dall’austerità che stanno distruggendo la forza produttiva di questo paese, oltre che – in primo luogo – le condizioni di vita della sua popolazione di fascia medio-bassa.
A questo servivano, del resto, anche le due grandi manifestazioni, di CgilCislUil a Roma e quella di Milano sabato scorso.
Vedremo nelle prossime settimane, senza grande sorpresa, una migrazione semi-biblica di figure sinistresi verso il “campo largo” che Zingaretti indica come blocco elettorale per le europee di fine maggio.
Una migrazione guidata dal “tavolo Cofferati” – quello parallelo cui sedevano molti degli stessi attori che facevano “flanella” al “tavolo De Magistris” – per ricondurre nell’alveo del rassicurante “europeismo progressista” ogni conato di alternativa antagonista.
L’elezione di Zingaretti, insomma, può e deve essere irrisa sul piano dei “contenuti” – niente affatto diversi da quelli della stagione renziana – ma non va sottovalutata per la negatività dei “flussi emotivi” suscitati in un “popolo di sinistra” che ormai si accontenta di narrazioni sbiadite.
Noi non ci caschiamo. Ci vediamo nelle strade…
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Un cane morto chiamato PD.
La studiata combinazione che ha visto inseguirsi lo scorso weekend la manifestazione milanese antirazzista e lo spettacolino delle primarie ha riportato l'attenzione sul Partito Democratico. La nomina di Zingaretti a segretario è stata narrata come la svolta progressista di un partito intenzionato a riportare nel suo alveo i delusi dal regno renziano.
Ma alcune evidenze ci dicono che il nuovo PD è nato già morto. E non solo perché di fatto è un ritorno al 2013, al centrosinistra, a Bersani e alle sue elezioni vinte e perse insieme. A un'era andata, e finita molto male. Ma perché credere nel PD di Zingaretti è credere in una (sinistra) sinistra che dietro il tema della difesa di un inesistente interesse generale della società, nasconde in realtà la promozione dei desiderata di una classe particolare, ovvero la classe padronale.
Vuol dire credere in una prospettiva antiquata e rivolta al passato, in una dirigenza che nel mentre finge di rinnovarsi non ha imparato e non vuole imparare la lezione, che non riesce a cogliere il senso profondo di una fase storica che la sta travolgendo in tutto il mondo occidentale. Che non coglie che la divisione tra popolo ed elite, tra basso e alto, tra sfruttati e sfruttatori, agita in senso reazionario dai sovranisti di ogni risma, non è aggirabile ma solo rideclinabile.
È una dirigenza che insieme a sindacati impegnati unicamente nella propria riproduzione burocratica continua a parlare di lavoro come dignità. Quando il suo essere sfruttamento e devastazione territoriale è verità sempre più evidente. Una visione fuori tempo massimo, anche rispetto ai suoi teorici referenti internazionali. Se persino negli USA infatti si riaffaccia qua e là il tema di classe, della distribuzione del reddito, anche a partire dalla polarizzazione dovuta a Trump, qui si sfrutta l'antipatia di alcuni settori sociali nei confronti di Salvini solo per ribadire un sostanziale neoliberismo, arrossato qua e là da un ammiccare a qualche diritto civile in stile Cirinnà. Senza però guardare alle contraddizioni di fondo di un modello di sviluppo insostenibile fondato dalla diseguaglianza e dalle porte in faccia soprattutto ai giovani.
L'unica speranza del PD di Zingaretti sembra quella di giocare al meno peggio, che poi in realtà è da anni l'unica strategia di un partito impegnato nel permettere lo spostamento in senso reazionario dell'opinione pubblica per poter apparire "migliore". Una strategia vecchia, oggi pensabile solo e soltanto grazie al suicidio dei 5s, ma che al suo interno ha troppe irrisolvibili contraddizioni per poter durare.
Come si può essere sitav e per l'ambiente? Come si può dedicare la vittoria alle primarie a Greta Thurnberg e poi subito rivolgersi alle energie del mondo imprenditoriale? Come si può voler ripartire dai delusi e come prima mossa andare a trovare Chiamparino? Come si può continuare a ragionare di capi, comunità, leader, partiti quando la realtà da affrontare sarebbe più che altro quella di una impostazione ideologica ormai morta e fallita in tutto l'occidente? Come si può pensare di crearsi una identità solo per giustapposizione, di fronte ad un sovranismo nativista che offre una risposta più immediata e promette anch'egli le stesse briciole? Si può quando si è di fronte alla volontà di una svolta puramente posticcia.
La manifestazione di Milano dello scorso sabato è ciò che aspetta chi porterà alcuna speranza in questo finto rinnovamento. Si prepari cioè, oltre ogni genuina voglia di cambiamento, a marciare con alla testa un nemico. L'antirazzismo di Sala, e già basterebbe chiuderla qui, afferma il suo "prima le persone" (quali? con quali risorse a disposizione? con quali precise idee su migranti, ambiente, sviluppo?) nel momento in cui intende affermare la negazione del conflitto di classe che si cela dietro il processo migratorio.
Questo, in quanto fatto sociale all'interno di rapporti capitalistici globali, riflette una attenzione ai diritti di cittadinanza che non può essere slegata dalla questione della redistribuzione del reddito e da prospettive di uguaglianza reale oltre la linea della razza. Fare scendere i migranti dalla Diciotti per poterli poi sfruttare non è antirazzismo. È solo la faccia più presentabile ma ugualmente omicida del neoliberismo.
La cittadinanza, criterio anch'esso assai discutibile, non è un dato solo formale, ma anche sostanziale. E parlare di cittadinanza senza discutere realmente di giustizia sociale, probabilmente non farà che rinforzare il campo opposto. Che forse, tutto sommato, è quello che serve allo stesso Zingaretti per darsi un senso, di riflesso..
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