martedì 18 settembre 2018

ANCORA PROVOCAZIONI SU FEDERICO ALDROVANDI


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Mancano pochi giorni all'anniversario della morte di Federico Aldrovandi per le botte ricevute da quattro sbirri infami che lo hanno tempestato di calci e pugni su tutto il corpo,testa compresa,dopo essere stato immobilizzato(ricordiamo i loro nomi:Paolo Forlani,Monica Segatto,Enzo Pontani e Luca Pollastri)e alla polizia brucia ancora molto il culo perché se ne continua a parlare grazie soprattutto alla madre.
Anche il film su Cucchi sta facendo incazzare le forze del disordine,perché se in Italia non ci arriva la giustizia(aspettando quella del popolo)sono i film a spiegare come lo Stato possa arrivare ad uccidere invece che proteggere e servire.
E da qualche tempo hanno pure un'arma in più,il taser(madn un-pericolo-in-piu-nelle-mani-dei.macellai ),e molto hanno fatto discutere le parole dell'allora capo della polizia di Ferrara ora questore di Reggio Emilia Sbordone,che non ha perso l'occasione di stare zitto tornando sulla vicenda dicendo che Federico sarebbe stato ancora vivo se i poliziotti in questione(ammettendo l'uso della violenza)avessero avuto taser e non manganelli,ma aggiungerei anche mani e piedi e il loro cervello di bestie feroci.
La risposta migliore a questa provocazione è stata quella di Lino,il padre di Federico che testualmente ha dichiarato:"Mi viene da pensare che quella maledetta mattina il taser non sarebbe stato da usare su Federico,ma su chi lo stava uccidendo senza una ragione".
Articoli di Infoaut e Left:metropoli/taser-aldrovandi e parole-come-taser .

Taser-Aldrovandi: sarebbe meglio tacere...

C'è chi non perde mai occasione di stare zitto.

Mentre in tutta Italia le proiezioni del film sugli ultimi 7 giorni di vita di Stefano Cucchi fanno discutere della prassi omicida poliziesca, le parole del Questore di Reggio Emilia Sbordone su un'altra vicenda tragica, quella della morte di Federico Aldrovandi, sembrano delineare ulteriormente gli schieramenti che compongono l'odierna guerra ai poveri istituzionale.

"Se gli agenti avessero avuto in dotazione il Taser Aldrovandi non sarebbe morto", dice Sbordone, ai tempi capo della polizia di Ferrara ed oggi in brodo di giuggiole sulla sua poltrona per l'arma messa in dotazione ai suoi uomini. Una frase che non solo toglie ogni dubbio rispetto alla morte violenta di Federico, già chiara al di là delle aule di tribunale.

Ma che rende chiaro come per la polizia sia del tutto normale uccidere anche in condizione di assoluto non pericolo. E poi si parla di fiducia nello Stato.

Mentre si dichiaravano umiliati e offesi dal film sul geometra romano, le forze dell'ordine per via di Sbordone hanno ben pensato di andare all'attacco su una vicenda che anche le istituzioni della loro legalità hanno definito di piena colpevolezza.

Del resto, ricordiamo bene come già anni addietro andarono a manifestare sotto la finestra dell'ufficio della madre di Aldro, a dimostrare quanta infamia si possa dimostrare tutta insieme e il grande rispetto che hanno per le loro vittime.

La vicenda Aldrovandi, come quella Cucchi, è emblema della reale attitudine delle forze dell'ordine. Nei secoli fedeli sì, al potere e alla stabilità omicida. A volte sarebbe meglio tacere...

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Parole come Taser.

di Giulio Cavalli 
Dice l’ex questore di Ferrara, ora a Reggio Emilia, Antonio Sbordone, in un’intervista a Il Resto del Carlino che “col taser sarebbe ancora vivo Federico Aldrovandi” poiché “per fermare “un giovane alto un metro e 90 agitatissimo – che era Federico – hanno dovuto usare anche i manganelli”. Federico, per chi non conoscesse la sua storia, invece è morto  perché la mattina del 25 settembre del 2005 ha incrociato i quattro poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri che sono stati chiamati per “un ragazzo in stato di agitazione” e sono riusciti a trasformare un semplice controllo in un pestaggio mortale. Restituendo Federico alla famiglia da cadavere e impegnandosi (come spesso succede in questi casi) a nascondere prove e depistare le indagini.

In sostanza, com’è abitudine di questi tempi, si prende un reato (i quattro poliziotti sono stati condannati fino all’ultimo grado di giudizio) e lo si propone come esempio per giustificare l’introduzione di un nuovo armamento. Se non fossimo in tempi tossici e piuttosto sdraiati il giornalista a colloquio con il questore avrebbe potuto chiedergli: “quindi ci sta dicendo che dobbiamo essere rassicurati dal fatto che degli assassini ora hanno un’arma in più?” e lì si sarebbe chiuso il discorso. Pensateci bene.

Ci sono tra le forze dell’ordine moltissimi uomini che ogni giorno sacrificano i propri affetti, la propria vita e il proprio impegno per fare onestamente il proprio lavoro in un Paese che è disordinato per natura. In questi stessi giorni, grazie a un film, si ritorna a parlare dell’incredibile vicenda di Stefano Cucchi e dell’inedia istituzionale (oltre alle botte) che l’hanno restituito (anche lui) da morto alla famiglia.

Forse il questore Sbordone non sa che Aldrovandi è morto perché massacrato di calci e di pugni (anche in testa) quando era già immobilizzato. Forse Sbordone non sa che quando il padre Lino ha visto il corpo del figlio ha pensato che fosse stato investito da un camion per come era ridotto e forse non sa nemmeno che si provò a ripulire e fare sparire i manganelli per disarticolare l’inchiesta. E forse non ricorda, glielo ricordiamo noi, che i poliziotti condannati sono stati calorosamente applauditi da un sindacato di Polizia che ha portato il suo massimo esponente come sceriffo in Parlamento agli ordini di Salvini.

O forse questi continuano a non capire, a non voler sapere, che la sicurezza è questione di modi, di rispetto delle regole, di Costituzione e di parole che andrebbero misurate per le vittime collaterali che un Paese democratico non si dovrebbe permettere. Ma di questi tempi, la misura nelle parole, è una responsabilità che non si prendono al ministero, figurati come si sentono liberi anche quelli più in basso. Finché non capiterà a un nostro figlio.

Buon lunedì.

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