martedì 27 dicembre 2016

RISOLUZIONE ONU INDIGESTA

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Il casino tirato in piedi dal primo ministro israeliano Netanyahu è di una arroganza allarmante e di un isterismo proprio del suo essere che è anche quello del suo Stato che semplicemente,a detta della maggioranza della gente che ci vive,il migliore di tutti.
Innegabile il primato di occupazioni coloniche,di stragi nei territori palestinesi,nell'essere al di sopra di tutte le leggi e le risoluzioni come nel caso dell'ultima dell'Onu proprio sulle colonie e votata da 14 Stati su 15 con gli Usa che si sono incredibilmente astenuti e proprio questo volta faccia degli eterni alleati ha fatto montare tutta la furia dell'instabile mentalmente Netanyahu.
Che come un folle ha subito richiamato gli ambasciatori rei di aver votato la sacrosanta risoluzione che impedisce ad Israele di continuare a costruire colonie nei territori palestinesi con la solita scusa dell'antisemitismo che da sempre viene portata come schermo da lui e da altri politicanti israeliani.
Il medley di articoli è proposto da Senza Soste(sulle-colonie-israeliane )approfondisce bene tutta la questione nata alla vigilia di Natale e che sta continuando con la scelta di continuare a costruire case nella zona di Gerusalemme est e di portare avanti progetti di realizzazione di colonie in barba a quanto deciso dall'Onu e contro tutte le convenzioni stipulate.

Sulle colonie israeliane nei territori palestinesi: risoluzioni, articoli e reazioni.

Una raccolta di articoli su cosa sta accadendo in seguito alla risoluzione ONU che condanna la strategia dello stato di Israele di occupazione di territori palestinesi.

PALESTINA/ISRAELE. Il testo della risoluzione Onu sulle colonie.

tratto da Nena News traduzione di Amedeo Rossi seguire il testo della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 23 dicembre. Hanno votato a favore 14 Stati membri su 15, gli Stati Uniti si sono astenuti.
New York, 27 dicembre 2016, Nena News – Il Consiglio di Sicurezza, riconfermando le sue risoluzioni sull’argomento, comprese le 242 (1967), 338 (1973), 446 (1979), 452 (1979), 465 (1980), 476 (1980), 478 (1980), 1397 (2002), 1515 (2003 e 1850 (2008), guidato dalle intenzioni e dai principi della Carta delle Nazioni Unite e
riaffermando, tra le altre cose, l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la forza, riconfermando l’obbligo di Israele, potenza occupante, di attenersi scrupolosamente ai suoi obblighi legali ed alle sue responsabilità in base alla Quarta Convenzione di Ginevra riguardanti la protezione dei civili in tempo di guerra, del 12 agosto 1949, e ricordando il parere consuntivo reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 9 luglio 2004,
condannando ogni misura intesa ad alterare la composizione demografica, le caratteristiche e lo status dei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme est, riguardante, tra gli altri: la costruzione ed espansione di colonie, il trasferimento di coloni israeliani, la confisca di terre, la demolizione di case e lo spostamento di civili palestinesi, in violazione delle leggi umanitarie internazionali e importanti risoluzioni,
esprimendo grave preoccupazione per il fatto che le continue attività di colonizzazione israeliane stanno mettendo pericolosamente in pericolo la possibilità di una soluzione dei due Stati in base ai confini del 1967,
ricordando gli obblighi in base alla Roadmap del Quartetto, appoggiata dalla sua risoluzione 1515 (2003), per il congelamento da parte di Israele di tutte le attività di colonizzazione, compresa la “crescita naturale”, e lo smantellamento di tutti gli avamposti dei coloni costruiti dal marzo 2001,
ricordando anche l’obbligo, in base alla Roadmap del Quartetto, delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese di mantenere operazioni concrete intese a prendere misure contro tutti coloro che sono impegnati in azioni terroristiche e a smantellare gli strumenti terroristici, compresa la confisca di armi illegali,
condannando ogni atto di violenza contro i civili, comprese le azioni terroristiche, così come ogni atto di provocazione, incitamento e distruzione,
riprendendo la propria visione di una regione in cui due Stati democratici, Israele e Palestina, vivano uno di fianco all’altro in pace all’interno di frontiere sicure e riconosciute,
sottolineando che lo status quo non è accettabile e che passi significativi, coerenti con la transizione prevista nei precedenti accordi, sono urgentemente necessari per (i) stabilizzare la situazione e ribaltare le tendenze negative sul terreno, che stanno costantemente erodendo la soluzione dei due Stati e rafforzando una realtà dello Stato unico, e (ii) creare le condizioni di efficaci negoziati sullo status definitivo e per il progresso della soluzione dei due Stati attraverso questi negoziati e sul terreno,
1. riafferma che la costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e un gravissimo ostacolo per il raggiungimento di una soluzione dei due Stati e di una pace, definitiva e complessiva;
2. insiste con la richiesta che Israele interrompa immediatamente e completamente ogni attività di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, e che rispetti totalmente tutti i propri obblighi a questo proposito;
3. ribadisce che non riconoscerà alcuna modifica dei confini del 1967, comprese quelle riguardanti Gerusalemme, se non quelle concordate dalle parti con i negoziati;
4. sottolinea che la cessazione di ogni attività di colonizzazione da parte di Israele è indispendabile per salvaguardare la soluzione dei due Stati e invoca che vengano intrapresi immediatamente passi positivi per invertire le tendenze in senso opposto sul terreno che stanno impedendo la soluzione dei due Stati;
5. chiede a tutti gli Stati, tenendo presente il paragrafo 1 di questa risoluzione, di distinguere, nei loro contatti importanti, tra il territorio dello Stato di Israele e i territori occupati dal 1967;
6. chiede passi immediati per evitare ogni atto di violenza contro i civili, compresi atti di terrorismo, così come ogni azione di provocazione e distruzione, chiede che a questo proposito i responsabili vengano chiamati a risponderne, e invoca il rispetto degli obblighi in base alle leggi internazionali per rafforzare i continui sforzi di combattere il terrorismo, anche attraverso l’attuale coordinamento per la sicurezza, e la condanna esplicita di ogni atto di terrorismo;
7. chiede ad entrambe le parti di agire sulla base delle leggi internazionali, comprese le leggi umanitarie internazionali, e dei precedenti accordi ed obblighi, di mantenere la calma e la moderazione e di evitare azioni di provocazione, di incitamento e di retorica incendiaria, con il proposito, tra le altre cose, di attenuare l’aggravamento della situazione sul terreno, di ricostituire la fiducia, dimostrando attraverso politiche e azioni concrete un effettivo impegno a favore della soluzione dei due Stati, creando le condizioni necessarie alla promozione della pace;
8. chiede alle parti di continuare, nell’interesse della promozione della pace e della sicurezza, di esercitare sforzi congiunti per lanciare negoziati credibili sulle questioni riguardanti lo status finale nel processo di pace del Medio Oriente e nei tempi definiti dal Quartetto nella sua dichiarazione del 21 settembre 2010;
9. invita a questo proposito ad intensificare ed accelerare gli sforzi e il sostegno ai tentativi diplomatici internazionali e regionali che intendono raggiungere senza ulteriori ritardi una pace complessiva, giusta e definitiva in Medio Oriente sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, dei parametri di Madrid, compreso il principio di terra in cambio di pace, dell’iniziativa araba di pace e della Roadmap del Quartetto e una fine dell’occupazione israeliana iniziata nel 1967; sottolinea a questo proposito l’importanza dei continui sforzi di promuovere l’iniziativa di pace araba, della Francia per la convocazione di una conferenza di pace internazionale, i recenti tentativi del Quartetto, così come quelli dell’Egitto e della Federazione Russa;
10. conferma la propria determinazione ad appoggiare le parti attraverso i negoziati e nella messa in pratica di un accordo;
11. riafferma la propria determinazione ad esaminare mezzi e modi per garantire la completa applicazione delle sue risoluzioni a questo proposito;
12. chiede al segretario generale di informare il Consiglio ogni tre mesi sull’attuazione delle decisioni della presente risoluzione;
13. decide di seguire attivamente la questione.

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Un Netanyahu furibondo convoca ambasciatori il giorno di Natale

tratto da Contropiano
Un Netanyahu furibondo per la sconfitta in sede di Nazioni Unite nella risoluzione che chiede lo stop alla ulteriore colonizzazione israeliana sui Territori Palestinesi, ha convocato per il giorno di Natale tutti gli ambasciatori degli Stati che hanno votato a favore della risoluzione Onu contro le colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e per manifestare loro, uno alla volta, il forte disappunto di Israele. Netanyahu ha convocato anche l’ambasciatore Usa in Israele Daniel Shapiro.
L’astensione storica degli Usa all’Onu ha infatti consentito al Consiglio di sicurezza di approvare la risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.
I media israeliani hanno dato grande risalto alla notizia, in particolare per il giorno scelto per la convocazione degli ambasciatori. Un anonimo diplomatico occidentale, citato da Haaretz, ha mostrato sorpresa per la convocazione nel giorno di Natale: “Cosa avrebbero detto a Gerusalemme – ha osservato – se un ambasciatore israeliano fosse stato convocato nel giorno di Kippur?”.
Netanyahu ha poi informato i propri ministri che cancellerà un imminente incontro con il premier inglese Theresa May. Non ci sono per ora conferme da fonte ufficiale. La Gran Bretagna è tra i 14 paesi che hanno votato a favore della Risoluzione contro le colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme est.
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OPINIONE. Anche la legge evidenzia il colonialismo di Israele

tratto da Nena News di Oren Yiftachel (insegnante di geografia politica e giuridica nel Negev ed ex copresidente di B’tselem)
Sia che si tratti di terra coltivata (Negev) che incolta (Cisgiordania), si troverà uno stratagemma legale per trasferirla da mani arabe a mani ebraiche.
Durante il periodo coloniale il concetto giuridico di terra nullius è stato utilizzato per definire terre senza diritti di sovranità o proprietà come terre di nessuno. Ciò per centinaia di anni ha fornito agli europei una giustificazione legale per strappare il controllo di territori e persone ai quattro angoli della terra. Questo concetto, reso ora nullo, affermava tra le altre cose, che le terre dei popoli nativi di America, Africa, Asia ed Australia, che non erano formalmente accatastate o gestite in modo “moderno”, erano da considerarsi “prive” di diritti legali.
Questo approccio ha avuto varie versioni, a seconda di chi comandava, ma la sostanza era la stessa: tutto ciò che aveva preceduto l’invasione europea -storia, cultura, agricoltura e leggi tradizionali – era cancellato. Il principale strumento che permetteva agli europei di esercitare il controllo, oltre alla violenza, era la legge. L’invasore, che era anche il legislatore, garantiva che l’accaparramento delle terre a danno dei nativi sarebbe sempre rimasto coperto da un ingannevole e mistificatorio velo di “legalità”.
[Il concetto di] terra nullius, come un modo di pensare e una “categoria” di sistemi legali, ha operato nel mondo fino a XX° secolo inoltrato, quando è emersa una legislazione opposta, che sostiene i diritti umani e riconosce quelli dei popoli indigeni. La nuova tendenza ha gradualmente ammesso che anche le culture e i popoli colonizzati hanno i propri legittimi sistemi di leggi, di proprietà e di governo.
Nel caso “Mabo” del 1992, la Corte Suprema australiana ha formalmente ribaltato il concetto giuridico di terra nullius, e molti altri Paesi hanno fatto altrettanto. La dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007 delinea le nuove norme internazionali, che rispettano le leggi consuetudinarie e proibiscono l’appropriazione di terre e risorse dei nativi o il trasferimento forzato di comunità autoctone.
La scorsa settimana il controverso disegno di legge israeliano noto come “Legge per la Regolarizzazione”, che intende legalizzare insediamenti ebraici (“avamposti”) non autorizzati in Cisgiordania ha superato la prima lettura. Questo disegno di legge può a buon diritto far parte della legislazione globale sulla terra nullius. Può darsi che sia in ritardo di un secolo, ma, in nome dell’occupazione e dell’insediamento coloniale -in questo caso, ebraico -, questa legge cancellerà la validità dei precedenti sistemi di proprietà in vigore da secoli. Come hanno ribadito i dirigenti dei coloni (“Smettiamola di chiedere scusa!”), nessuno gli impedirà di violare le leggi internazionali e ignorare etica e giustizia.
E’ una classica posizione colonialista. Proprio come i colonizzatori che hanno importato le loro leggi dalle capitali europee, gli abitanti di Amona (tutti coloni ebrei, naturalmente) mirano a importare le loro leggi dallo Stato occupante. Bisogna sottolineare che, secondo le norme internazionali, nessuno Stato ha l’autorità di emanare leggi riguardanti territori al di fuori dei propri confini nazionali o dichiarare proprietà di quello Stato terreni di questi territori.
Naturalmente ciò non significa che non ci siano milioni di ettari di terre ebraiche e israeliane che sono stati acquisiti o registrati in modo corretto, o che il diritto degli ebrei all’autodeterminazione sia minacciato. Per niente. Questa consapevolezza mette in una luce più chiara l’ingiustizia dell’appropriazione di terre attraverso inganni legali, mentre un tale furto non è per niente necessario allo Stato ebraico.
Comunque è altresì importante non esagerare l’importanza della legge attualmente in discussione, in quanto aggiunge solo un ulteriore, ancora più brutale livello al sistema che è iniziato 70 anni fa, attraverso il quale le terre palestinesi sono state trasferite agli ebrei con mezzi che “legalizzano” l’esproprio da parte dello Stato.
La messa in pratica dell’approccio della terra nullius è iniziata nel 1948 e si è aggravata dopo il 1967 – quando l’esproprio a danno di singoli individui ha riguardato le collettività, impedendo la realizzazione di uno Stato palestinese. E’ importante ricordare nell’attuale polemica che lo Stato per 70 anni ha cancellato, attraverso iniziative legali contorte e riguardanti la sicurezza, la maggior parte dei precedenti diritti legittimi dei palestinesi.
Stando così le cose, il cosiddetto “forte dissenso”, di cui si parla, tra persone che sarebbero a favore della “certezza del diritto”- Isaac Herzog [del partito Laburista. Ndtr.], Benny Begin [del Likud. Ndtr.] e Avichai Mendelblit [capo della procura militare. Ndtr.]– e “trasgressori della legge”, come Naftali Bennett e Uri Ariel [ministri e dirigenti del partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.], può essere visto come una mossa di facciata. La nuova legislazione nella sua essenza non è nuova. Cambierà semplicemente i tempi: invece di dichiarare che le terre in apparenza erano di proprietà dello Stato ebraico fin da prima dell’insediamento dei coloni, la legge permetterà di dichiarare che lo sono dopo anni di insediamento delle colonie.
Ogni arabo che vive nelle Galilee, nel Triangolo [zona centro-settentrionale di Israele a maggioranza palestinese. Ndtr.] e soprattutto nel Negev può testimoniare che metodi simili sono stati utilizzati anche là per svuotare il sistema autoctono dei diritti di proprietà. In quelle regioni lo Stato ha spesso dichiarato terre arabe “vuote” o “abbandonate”, “morte” o “necessarie per finalità pubbliche (ebraiche)”, ed ha trasferito la proprietà a ebrei.
I metodi per trasformare in ebraiche terre palestinesi in Cisgiordania sono dettagliati in un nuovo rapporto di B’tselem, sotto il titolo “Espellere e sfruttare”. Questo rapporto documenta nei particolari la recente storia di terreni attorno a tre località palestinesi nei pressi di Nablus: Azmut, Deir al-Khatab e Salem. Il quadro generale è noto e inquietante: vasti appezzamenti di terre dei villaggi sono stati progressivamente trasferiti a ebrei attraverso varie misure che hanno incluso la creazione di aree di sicurezza, strade asfaltate ad accesso limitato, costituzione di avamposti illegali, registrazione come proprietà abbandonate e destinazione di territori a riserve naturali.
Il rapporto completa un ampio studio di B’tselem del 2012 intitolato “Sotto le mentite spoglie della legalità”, che ha documentato i modi in cui Israele ha manipolato le leggi ottomane ed inglesi per trasferire terre private palestinesi in mani israeliane ed ebraiche. Il rapporto ha dimostrato per la prima volta che Israele non solo ha gravemente violato le leggi internazionali, ma anche quelle nazionali, stravolgendo le norme fondiarie ottomane e britanniche. Ciò nonostante l’obbligo per lo Stato di conservare ogni norma legale già esistente nelle regioni occupate.
Il processo distorto in Cisgiordania si basa sul fatto di dichiarare che terre incolte nelle zone agricole dei villaggi possono essere dichiarate terre statali – benché, secondo il diritto ottomano, ognuna di tali terre non coltivate debba essere prima offerta ai precedenti proprietari, poi al villaggio di appartenenza o essere venduta con un’asta pubblica.
Israele ha ignorato le clausole più scomode del diritto ottomano e le ha sostituite con ordinanze del Mandato [inglese sugli ex territori dell’impero ottomano. Ndtr.], che erano concepite per delimitare le terre pubbliche in un contesto completamente diverso. Questa distorsione ha fornito le basi di una massiccia ed illegale “israelificazione” delle terre palestinesi. Inutile dire che i governanti ottomani e inglesi che hanno emanato queste leggi non hanno mai espropriato terre palestinesi (o ebraiche) in questo modo.
Fin dal 1970 Israele ha utilizzato una simile manipolazione della legge nel Negev, dichiarando terre non formalmente registrate in due momenti storici diversi – nel 1858 e nel 1921 – come “mewat”, ossia “terre morte”. Queste sono presumibilmente terre incolte, non occupate, abbandonate e periferiche, senza proprietario e pertanto terre statali. Israele ha fatto tutto ciò nonostante l’appartenenza storica delle terre ai beduini, molte delle quali erano coltivate e occupate, secondo le leggi tradizionali e riconosciute dagli ottomani e dagli inglesi.
Tutti lo sapevano, comprese le istituzioni sioniste che pagarono a caro prezzo vasti terreni dei beduini, con l’approvazione delle autorità britanniche. Tuttavia anche qui lo Stato ignora le parti scomode della storia e della legge, classificando in seguito queste terre come “morte”. In casi giudiziari recenti lo Stato sta fondamentalmente dicendo ai beduini: “I vostri padri e nonni non lo sapevano, ma vi stiamo dicendo che erano occupanti abusivi, e le terre che avete ereditato o comprato sono dello Stato.”
I tribunali hanno approvato questa interpretazione soprattutto in base alla precedente cultura giuridica in vigore in Israele, che si basa su vecchie sentenze. Queste vennero emesse in un periodo in cui i proprietari di terre arabi erano privi di potere e non avevano le risorse per sfidare l’espropriazione mascherata di legalità.
Il confronto tra la Cisgiordania e il Negev pone in evidenza il persistente e continuo processo di giudeizzazione sotto il regime israeliano. Che la terra sia coltivata (Negev) o incolta (Cisgiordania), sarà trovato un escamotage legale per trasferirla da mani arabe a ebraiche, rendendola quindi “terra nullius” – terra svuotata dei diritti originari.
Alla luce di questa lunga e distorta storia giuridica, è forse preferibile per chi desidera pace e giustizia che la legge per la legalizzazione sia totalmente accolta, e non respinta dalla Knesset o dall’Alta Corte di Giustizia. Ciò ci risparmierà le false distinzioni tra l’attuale legislazione e le precedenti discutibili leggi per l’espropriazione, e spazzerà via le differenze tra Amona e Ofra [colonia israeliana legittima secondo le leggi israeliane. Ndtr.] o tra Salem e ‘Araqib [rispettivamente un villaggio palestinese della Cisgiordania e uno beduino nel Negev israeliano. Ndtr.]. La legge metterà chiaramente in evidenza quello che Israele ha fatto per anni di nascosto: prendere il controllo colonialista delle terre palestinesi mettendo in atto la propria versione della dottrina della terra nullius, annullata e invalidata dalle leggi internazionali.
Se approvata, la nuova legislazione metterà l’approccio israeliano nel posto che gli compete, come parte di un oscuro periodo coloniale i cui tempi sono passati. Forse ciò scatenerà un processo di trasformazione e decolonizzazione ad ampio raggio, così urgentemente necessario nella nostra terra lacerata.
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Netanyahu: “Israele non porge l’altra guancia”…subito nuove colonie

tratto da Nena News di Michele Giorgio
Dopo l’approvazione della risoluzione dell’Onu 2334, il premier israeliano cerca di impedire nuove mosse di Obama al Palazzo di Vetro. Il ministro della difesa Lieberman paragona la conferenza di pace di Parigi del 15 gennaio al Processo Dreyfus.
Roma, 27 dicembre 2016, Nena News – Israele continua a dare sportellate all’Amministrazione Obama e alle Nazioni Unite. E valuta le conseguenze concrete della risoluzione  2334 approvata la scorsa settimana dal Consiglio di Sicurezza grazie alla “storica” astensione degli Stati Uniti che hanno rinunciato, per la prima volta da diversi anni  a questa parte, ad usare il diritto di veto a difesa di Israele.
Non ci sono più freni. L’attacco che il premier Netanyahu e il suo governo portano al presidente americano uscente è frontale, aperto, esplicito. Ripetono che Obama ha messo in atto un «complotto», una vendetta – che Washington invece nega – e avvertono che il presidente Usa potrebbe avere altre «sorprese in serbo» dopo aver aperto la strada all’approvazione della risoluzione che riafferma lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e la illegalità delle colonie israeliane.
«Presenteremo le prove alla nuova Amministrazione (Trump) tramite i canali appropriati. Se vorranno condividerle con il popolo americano, potranno farlo», ha annunciato con tono minaccioso l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, in un’intervista alla Cnn.  Due giorni fa, nel giorno di Natale, Netanyahu – in qualità di ministro degli esteri – aveva convocato e rimproverato gli ambasciatori, presenti nel Paese, degli Stati che hanno votato a favore della risoluzione – Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Egitto, Giappone, Ucraina, Angola e Uruguay  – e messo in chiaro che Israele comunque non la rispetterà. Ieri il primo ministro ha proclamato che Israele «non porgerà l’altra guancia».
 Picchia duro il ministro della difesa e leader dell’ultradestra Avigdor Lieberman che ieri è arrivato al punto da descrivere la conferenza multilaterale di pace di Parigi del prossimo 15 gennaio – organizzata da Hollande per rilanciare i negoziati ma alla quale Israele non intende partecipare – ad un incontro di antisemiti. Quella conferenza è «Un tribunale contro Israele», ha tuonato Lieberman. «Non è una Conferenza di pace – ha incalzato – ma qualcosa il cui scopo è danneggiare la sicurezza di Israele e la sua reputazione».
Infine Lieberman ha paragonato l’iniziativa francese al Processo Dreyfus: «Con una differenza: invece di un solo ebreo oggi (sul banco degli imputati) c’è l’intero Stato ebraico». Quindi è arrivato l’annuncio. Il Comune di Gerusalemme domani con ogni probabilità darà il via a un progetto per la costruzione di 618 case per coloni. Il nuovo piano è stato deciso in passato ma la municipalità è decisa a portarlo avanti in questo momento per ribadire il controllo di Israele su tutta Gerusalemme, incluso il settore palestinese occupato nel 1967.
L’altro giorno il quotidiano Israel HaYom, megafono del primo ministro, aveva anticipato che saranno tirati fuori dal cassetto progetti edilizi per 5.600 appartamenti da realizzare a Gerusalemme Est nelle colonie israeliane, definite da tanti media, anche italiani, “rioni” o “quartieri”  sebbene siano insediamenti coloniali per la legge internazionale.
La cortina di fumo che il premier Netanyahu e il suo governo hanno sollevato intorno all’accaduto, ha lo scopo di prevenire un nuovo colpo di coda di Obama. I quotidiani israeliani scrivono che John Kerry presto pronuncerà il suo ultimo discorso da segretario di stato. In quella occasione potrebbe esporre la visione dell’Amministrazione uscente per la questione palestinese in modo da condizionare le scelte future di Donald Trump, in particolare su Gerusalemme. Sono soltanto voci. Netanyahu però, dopo l’astensione Usa all’Onu, le prende molto sul serio. Non è escluso che Washington possa (indirettamente) facilitare l’intervento della Corte Penale Internazionale che sino ad oggi ha svolto solo indagini preliminari nei Territori occupati sulle denunce di crimini di guerra rivolte dai palestinesi allo Stato ebraico.
Tuttavia si deve tenere conto che Israele non ha rispettato diverse risoluzioni del CdS contro la colonizzazione senza pagare alcuna conseguenza, grazie alla protezione garantita dagli Usa. Inoltre, notava ieri l’analista Yonah Jeremy Bob,  la risoluzione 2334 non è stata approvata nel contesto del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite che avrebbe aperto la strada a un dibattito su eventuali sanzioni economiche contro Israele.
Il danno perciò è limitato. Netanyahu in ogni caso alza la voce e batte i pugni sul tavolo perché il CdS da lungo tempo non riaffermava la illegalità delle colonie e dell’occupazione e questo mette in pericolo i progetti, cari al ministro ultrazionalista Naftali Bennett, volti a mettere in soffitta la soluzione dei Due Stati (Israele e Palestina) e ad annettere subito a Israele le porzioni della Cisgiordania con le maggiori concentrazioni di colonie israeliane. In poche parole è rispontato fuori il diritto internazionale quando il governo Netanyahu pensava di averlo affossato.

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