venerdì 2 dicembre 2016

ED INFINE PRODI,GOLDMAN SACHS E GLI ITALIANI ALL'ESTERO

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Mancano poche ore al voto e le notizie degli ultimi accasamenti al parere del Si e del NO si susseguono febbrili riesumando mummie che parevano destinate solo ai musei egizi ed ecco che il nuovo,il rinnovamento tanto mercificato da parte del Pd ha portato Prodi ad essere usato e riciclato perché possibile mediatore tra il governo e Goldman Sachs.
Che punta forte sulla vittoria del Si come si evince dal primo articolo preso da Senza Soste(mortadella )con Prodi già advisor di una delle più potenti banche d'affari al mondo(non che le altre come la JP Morgan siano per il No,sia chiaro!)e creatore nel 1996 del bene privato molto prima degli esecutivi Bersani e Renzi che hanno solo proseguito sulla via tracciata dall'ex premier salumiere.
L'articolo successivo,anche se si parla di ipotesi e si va nel campo della speculazione,è tratto da Contropiano(brogli-certi )e racconta dello strano dato che riguarda l'affluenza al voto degli italiani all'estero che si discostano di ben 10 punti percentuali da quello preventivato dallo stesso governo(dal 30 al 40%).
Considerato che i rumors danno i due terzi di votanti favorevoli alla riforma si parla di 500 mila voti che potrebbero essere decisivi nella computa finale.


Scrivere di Prodi è prima di tutto un problema di disagio morale. E’ ormai quasi scomparsa la memoria del disastro della Kater-I-Rades, che provocò circa 100 morti, frutto della sciagurata politica italiana di contenimento dei barconi albanesi. Politica operata dal governo Prodi, nel tentativo maldestro di fermare una marea umana, allora in fuga dall’Albania, dopo la crisi delle finanziarie del paese delle aquile. In primavera saranno passati vent’anni esatti dalla strage, già ampiamente rimossa nel decennale (che vedeva Prodi, ironia della sorte, di nuovo presidente del consiglio).
Eppure, quando riemerge il nome di Prodi, il disagio di questo ricordo appare di nuovo. Il problema è che il popolare “mortadella”, soprannome nato durante le strategie di accreditamento di Prodi come personaggio per famiglie nel periodo del primo confronto con Berlusconi, è stato persino etichettato come qualcosa di compatibile a sinistra. Non solo, grazie al disastro politico a sinistra contemporaneo all’ascesa di Berlusconi, Prodi della sinistra istituzionale, e di quella “radicale”, è stato il leader riconosciuto. Leader di una coalizione, quella contro Berlusconi, che pur operando in un sottinteso antifascista, quello che voleva le destre berlusconiane come anticamera di un piu’ robusto rischio autoritario, dell’antifascismo non aveva nessuno dei vantaggi. Ad esempio, ne citiamo uno, era assente quella tutela dei beni pubblici, e dei servizi sociali, nonchè delle politiche a tutela della libertà di espressione e del salario, tipiche di ogni accordo antifascista. Fu invece presente un processo di privatizzazioni, a partire dal 1996, che poco, per non dire nulla, aveva a che vedere con la costituzione antifascista (che prevede il primato del pubblico nell’intervento economico). Ma il pittoresco politicismo dei Bertinotti, e le necessità di posizionamento di tanto ceto politico, riuscirono nel miracolo di rendere appetibile a sinistra il governo Prodi. La stessa persona che, commissario di una Ue allineata con il FMI, fu di nuovo scelta da tanta sinistra noglobal, quella che a Genova contestava quelle stesse istituzioni, come leader della colizione del 2006.
E fu così che Prodi, protagonista in prima persona dello smantellamento dei beni pubblici nell’industria, nell’innovazione e nella ricerca, già come presidente dell’Iri, divenne il frontman di molta sinistra per tutto un decennio. Come è andato a finire questo (interessato) equivoco lo sappiamo: fine della sinistra istituzionale post ’89 e pensionamento politico di Prodi. Con una coda velenosa, la mancata elezione di Prodi a Presidente della Repubblica dopo anni di binario politicamente morto, che ha aggiunto quella corona di spine necessaria nella descrizione del martirio politico di una sconfitta. Già perché Prodi, ottimo nelle relazioni politiche tanto da farsi nominare due volte leader di una coalizione e commissario Ue, politicamente parlando le ha perse tutte. Tanto da farsi disarcionare, una volta al comando, dalla sua stessa coalizione. Per non parlare dello sputtanamento finale con la candidatura a presidente della Repubblica. Capita a un ceto politico convinto di saper giocare sulla scacchiera giusta per imporre comando e privatizzazioni. Dal punto di vista di una politica istituzionale cinica e opportunista: passi per le privatizzazioni, alla fine anche la sinistra si adegua, ma non per il comando. Quello richiede altre doti. Prodi, pur riconosciuto da tutti come una tigre nelle stanze del potere, ha sempre mancato degli strumenti essenziali per essere un capobastone anche in politica, oltre che nel mondo accademico: una macchina di voti propria, e organizzata, un dispostivo dei media popolare. E, ça va sans dire, una strategia politica che non sia semplicemente provare a mettere d’accordo una rete fatta di finanza amica, banche e rami alti dell’amministrazione dello stato.
Oggi Prodi riemerge con una, sotto sotto, rancorosa dichiarazione di voto. Come mai? Evidentemente tutto questo somiglia molto all’ultima occasione per rientrare nei giochi politici. O comunque nei giochi che contano. Insomma, un ex presidente del consiglio, commissario Ue, ambasciatore delle politiche di impresa del mondo, già advisor di Goldman Sachs che cerca collocazione. Già, perchè il rapporto con Goldman Sachs, da parte di Prodi, non è episodico. Non solo per il ruolo di advisor ricoperto da Prodi. Affonda negli anni ’80 e ’90, in affari che Prodi ha fatto fare a Goldman, che ad esempio fece da player finanziario alla privatizzazione della Bertolli. Affonda, ovviamente, nella consulenza di Prodi a Goldman tra il ’90 e il ’93. Non molto prima di essere abbracciato da Bertinottiinsomma (e viene davvero da ridere a pensare a tutta la vicenda). Inutile andare a cercare gli uomini Goldman dentro i governi Prodi, piuttosto c’è da chiedersi una cosa, seguendo questa pista. Goldman Sachs si è già piazzata nel NO, con Mario Monti, e dispone la propria rete di relazioni nello schieramento del SI, via Romano Prodi?
Del resto già durante l’estate circolava un rapporto sull’Italia di Goldman Sachs che si schierava a favore del Si e di Renzi. Non certo per le conseguenze sostanzialmente nulle nel caso dei titoli di Stato grazie al quantitative easing della Bce. Ma proprio per gli effetti molto pesanti su MontePaschi e sul sistema bancario. Si badi bene, effetti per Goldman, che si vede incapace stare, finanziariamente parlando, nelle conseguenze di un crollo di MPS e delle banche italiane senza Renzi. Comunque vada quindi Prodi, tornato in campo, potrebbe garantire, il condizionale è d’obbligo in una situazione del genere, quella capacità di mediazione, in caso di crisi, sulla vicenda bancaria. Una capacità di mediazione che faccia comodo a Goldman Sachs e a Renzi. E c’è un dettaglio da non trascurare. Le previsioni di aumento dell’inflazione e dei bond Usa, se confermate, finiranno per alzare i tassi anche in Europa. Allargando il debito pubblico italiano. E quindi, di conseguenza, estendendo il mercato delle obbligazioni. Ecco un altro buon motivo perchè Goldman Sachs resti dove vuol restare: accanto al presidente del consiglio. Dove il debito pubblico si allarga, pardon il mercato obbligazionario c’è Goldman Sachs.
Senza entrare nel complottismo, che è veleno cognitivo, non ci vuole molto a capire che una banca d’affari deve provare a differenziare l’investimento: se Prodi non andrà bene in un campo, magari si proverà con Monti in un altro. Ora è il momento della roulette del voto. Uno dei più sinistri di sempre. Con una campagna elettorale a reti unificate, ossessiva da parte di un uomo solo. Resta da capire se il conglomerato media, confindustria, sindacati (intervenuti con preaccordi sui contratti opportuni in termini di propaganda renziana) visibilmente in accordo col presidente del consiglio saprà reggere alle conseguenze del dopo 4 novembre. Ma domani, si sa, è un altro giorno per tutti.

redazione, 2 dicembre 2016

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Referendum. Boom di voti degli italiani all’estero. Brogli certi?

di Redazione Contropiano 
I dati sulle percentuali di italiani all'estero che si sarebbero già pronunciati sul referendum del 4 dicembre, sollevano obiettivamente il sospetto di brogli. Gli elettori italiani negli altri paesi riconosciuti come tali sono 4-032.902. Secondo le stime del governo su questo referendum avrebbero votato circa 1,6 milioni, una percentuale del 40%, superiore di ben 8 punti al 32% delle elezioni politiche del 2013 o di 21 punti rispetto al 19% di quelli che hanno votato solo sette mesi fa al referendum sulle trivellazioni. Se non fosse che la percentuale è di molto superiore a quella stessa attesa dal governo e dai sostenitori del Si (era il 30%) e della mobilitazione senza esclusioni di colpi degli apparati di potere e dei mass media, ci si potrebbe rallegrare del senso civico degli emigrati italiani. Sappiamo tutti però che non si tratta di questo.
 
Secondo le rilevazioni fatte, due su tre dei voti degli italiani all'estero sarebbero a favore della controriforma costituzionale. Una differenza di 500mila in più al Si che potrebbe rivelarsi decisiva per far vincere il referendum a Renzi e alla sua corte.
 
La straordinaria mobilitazione di risorse economiche e mass media da parte del governo e del Pd renziano, presenta scenari inquietanti. Sembra di essere nella Russia di Eltsin dove oligarchi, ong straniere e governi della Nato avevano messo a disposizione finanziamenti enormi per mantenere al governo il “loro figlio di puttana”.
 
Si pone un problema di serissima emergenza democratica nel nostro paese. Qualora i voti dall'estero diventassero decisivi (magari scrutinandoli a tarda notte qualora le prime proiezioni indicassero una vittoria del No), lo scenario di brogli diventerebbe palese. Ma occorrerebbe trarne anche le dovute conclusioni e, purtroppo, il fronte del NO non sembra (o non vuole essere) in grado di affrontare la sfida a questo livello. Gridare al regime quando il regime ha vinto servirebbe a poco.

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