lunedì 12 dicembre 2016

IL POPOLO PIGRO

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Mentre mancano pochi minuti alle 17.30,ora in cui il Presidente della Repubblica italiana Mattarella riceverà il neo incaricato Gentiloni per formare un nuovo governo,ci si chiede a ragione se questa non sia l'ennesima presa per il culo al popolo italiano.
Perché dopo Monti,Letta e Renzi ancora non si è arrivati ad un premier eletto dalla gente,e se Napolitano ne aveva nominati tre durante il suo mandato monarchico ecco che pure Mattarella vuole cominciare il suo intervento tirannico.
Ed i nomi dei vari ministri fanno già discutere anche se non sono stati ancora svelati,e da nomi già presenti nell'esecutivo Renzi come Pinotti e Del Rio spunta un Alfano all'estero e altri nomi legati ancora allo squallido giglio fiorentino ed al sistema nepotista Pd,un altro governo copia incolla che sembrerebbe molto simile a quello caduto la scorsa domenica vista l'importanza notevole che gli italiani hanno dato al quesito referendario.
Il ricco contributo di articoli posti qui sotto partono con due apporti di Senza Soste(renzi-bis-si-chiama-gentiloni e prestanome-capanna-renzi-tutti-prestiti-gentiloni )col primo che è la cronaca delle ultime ore ed il secondo che lascia una descrizione del neo premier non ancora ufficiale che riassume in se tutte le caratteristiche dell'ormai ex rappresentante del tipico appartenente alla sinistra radical chic,quella da salotto borghese(madn la-sinistra-dei-salotti ).
D'altronde la mia idea su Gentiloni da sempre soprannominato"l'inutile"che già fu stato ministro alle comunicazioni con il governo Prodi bis,quindi un già riciclato della politica italiana e poi ministro degli esteri dopo che la Mogherini è andata a far carriera in Europa,più attento ai marò e ad essere amico dell'Arabia Saudita che alla guerra Isis,ai fenomeni migratori e all'Ucraina(vedi:madn anche-bruxelles-si-sono-accorti e relativi links).
L'ultimo contributo è invece un auspicio che già è stato disatteso con il fatto che Renzi politico debba essere cancellato totalmente dalla scena politica italiana senza venire sostituito da altri boy scout o ex democristiani attenti a fare affari con banche a favore personale e dei famigliari(infoaut editoriali cancellare-renzi ).
Nel giorno della strage di Piazza Fontana dopo anni di berlusconismo, renzismo, montismo, bertinottismo, alfanismo, casinismo, bossismo ,finismo, bersanismo, dalemanismo, veltronismo e chi più ne ha più ne metta,ci hanno svuotato talmente tanto i coglioni senza nemmeno trombare che in fondo ci meritiamo tutta questa merda e continueremo a fare proclami da tastiera ed avremo al tempo stesso le strade e le piazze vuote.

Il Renzi-bis si chiama Gentiloni.

tratto da Contropiano
Era ampiamente previsto ed è accaduto. Sergio Mattarella ha convocato Paolo Gentiloni al Quirinale per le 12.30, per conferirgli l’incarico di formare il nuovo governo.
Se ne parlava da giorni e il nome era già stato anticipato da tutte le fonti di stampa possibili, che avevano potuto assistere alle “consultazioni parallele” che avvenivano a Palazzo Chigi mentre il Presidente della Repubblica conduceva quelle “istituzionali”. In pratica, Renzi ha voluto far sapere a tutti che anche il nuovo governo è il “suo”, e che dunque non molla affatto le mani sul potere. Messaggio per addetti ai lavori, mentre – sempre dagli stessi giornali di regime – si fa fotografare in quel di Pontassieve (residenza privata) con tanto di titoli “torno a casa davvero”.
Sciocchezze e “scortesie” istituzionali che poco cambiano nel quadro generale. Paolo Gentiloni, ex rutelliano, ex Margherita, ministro degli esteri solo dopo che Federica Mogherini era stata lanciata sulla poltrona di “Lady Pesc” (ministro degli esteri dell’Unione Europea), è forse il più incolore tra i molti papabili dell’entourage stretto di Matteo Renzi.
Nella sua lunga carriera può vantare una clamorosa sconfitta alle primarie Pd per la candidatura a sindaco di Roma, superato facilmente nientepopodimeno che da Ignazio Marino.
Gentiloni insomma è l’uomo giusto per tenere canda la poltrona, senza troppe pretese di protagonismo, in attesa che “il caro leader” ricostruisca una narrazione credibile per potersi presentare “rinnovato” alle prossime elezioni politiche. L’enfasi sull'”io torno a casa davvero” è un pezzo dello storytelling in fase di costruzione per ricostruirsi e ricostruirgli l’immagne devastata dal risultato del referendum.
Dal punto di vista istituzionale, detto freddamente, non c’erano probabilmente molte altre soluzioni (nome del presidente del consiglio a parte), visto che il Pd controlla la maggioranza assoluta dei deputati alla Camera e un terzo ei senatori. Quind qualsiasi governo senza il Pd era semplicemente impossibile, a meno di una clamorosa spaccatura in quel partito. Che è, sì, dilaniato dalle ambizioni personali e/o di corrente dopo il disastro nel referendum, ma pur sempre popolato da vecchi o nuovi marpioni del potere che non hanno alcuna intenzione di suicidarsi separandosi in questo momento.
Bisogna infatti ricordare che in questo momento non c’è una legge elettorale utilizzabile per rinnovare il Parlamento. E’ uno dei risultati del “genio” di Rignano sull’Arno, che ha imposto l’Italicum per la sola Camera a colpi di maggioranza, senza metter mano a una legge “omogenea” per il Senato, nella convinzione ottusa che al referendum avrebbe vinto e che, quindi, non sarebbe servita.
Di fatto, l’Italia geneticamente modificata da Renzi e Napolitano è l’unico paese del mondo che non più più neanche andare a nuove elezioni. O, perlomeno, che possa andarci con la ragionevole speranza di eleggere comunque un governo (Camera e Senato avrebbe al momento certamente delle maggioranze differenti, impedendo di fatto qualsiasi esecutivo durevole).
Di questo disastro, ovviamente, ben pochi osservatori fanno cenno; o lo addebitano chiaramente al “duo malefico” che negli ultimi tre anni ha spinto questo paese sulla via disegnata dalla Troika, mentre la fanfara della “narrazione” creava fondali di cartone con su scritto “crescita”, “occupazione”, “semplificazione”, “efficienza”, “merito”, ecc.
Renzi dunque resta una carta da giocare nel breve termine per continuare questo gioco. Ma il risultato del referendum la rende assai meno efficace di prima; la straordinaria maggioranza della popolazione (non solo periferie, giovani, precari, mezzogiorno, ma anche laureati, professionisti, partite Iva) ha infatti bocciato clamorosamente l’intera politica del governo appena dimesso.
Vedremo dalla lista dei ministri quanto il Renzi-bis chiamato Gentiloni sarà una fotocopia dell’originale o una “discontinuità” anche solo minima.
Di certo, le scadenze internazionali che attendono il nuovo “esecutivo del sì” (sarà sostenuto apetamente solo dai gruppi parlamentari che hanno perso la scommessa referendaria) non saranno agevoli. O perlomeno non permetteranno di continuare a raccontare la favoletta delle “politiche espansive, per la crescita e l’occupazione”.
Come ricordava ieri Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera

La legge di Bilancio, che contiene finalmente misure importanti di stimolo agli investimenti oltre ai provvedimenti per la ricostruzione e l’emergenza immigrati, non è priva di spese dirette a conquistare (con scarsa fortuna) il consenso. Il prossimo governo dovrà trattare con Bruxelles modifiche non banali.

A marzo, insomma, bisognerà mettere in cantiere una “manovra correttiva” che cancellerà tutte le promesse infilate nella legge di stabilità appena approvata, e che dovevano servire a comprare consenso referendario.
Anche Renzi, e soprattutto Pier Carlo Padoan, lo sapevano benissimo, perché Bruxelles non aveva affatto nascosto le sue – diciamo così – “perplessità davanti a spese una tantum per pensioni minime, bonus vari, “80 euro” buttai qui e là, ecc. Ma pensavano o speravano di poter affrontare la correzione da una posizione di forza ormai acquisita. La vittoria del “sì” avrebbe infatti fossilizzato un assetto costituzionale tutto sbilanciato a favore dell’esecutivo. Anche protestare, insomma, sarebbe diventato più difficile, tendenzialmente “illegale”. Come avevano provato a spiegare, le “zone rosse” dichiarate dal governo sarebbero state allargate fino alla porta della vostra (e nostra) casa.
Ma con questa crisi e il cambio di premier, comunque, si rompe pesantemente anche la “narrazione” che aveva precariamente gestito il rapporto tra establishment e popolazione negli ultimi tre anni. Quel pasticcio molto berlusconiano tra tagli alla spesa e “riforme” contro il lavoro (Jobs act, “buona scuola”, pubblica amministrazione, ecc), tra sottrazione di diritti esigibili e piccole regalie temporanee, non può più andare avanti. E non solo perché – per tutto il tempo che ci separa dalle prossime elezioni – mancherà l’apporto del “grande attore” che ha dominato gli schermi televisivi negli ultimi tre anni.
Non c’è però una “narrazione di riserva”. E dovranno rispolverare il lettian-montiano “lo vuole l’Europa”. Che da parte sua farà sentire nuovamente la mano dura, anziché quella temporaneamente tollerante.
Un’opposizione sociale e politica seria, antagonista e di sinistra effettiva, come quella messasi in moto per il NO al refrendum, ha largo spazio per attivare il “blocco sociale”. Che ha già fatto il suo votando per impedire la controriforma reazionaria e golpista, ma che chiaramente ha bisogno di molto di più.
11 dicembre 2016

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Il prestanome. Da Capanna a Renzi, tutti i prestiti di Gentiloni.

Quando Renzi avrà bisogno di prendersi la scena, Gentiloni, se confermato presidente, potrà tranquillamente farsi da parte.

Sarebbe ingeneroso incedere più di tanto sul (chiamiamolo) passaggio di Paolo Gentiloni nel movimento studentesco di Mario Capanna. Non solo perché il movimento di Capanna, non proprio noto a suo tempo per flessibilità mentale, di sottosegretari, direttori di giornali, economisti e sociologi mainstream ne ha generati parecchi. E nemmeno perché, a tanti anni dall’epoca della contestazione, l’Italia avrebbe, se Gentiloni arrivasse a un positivo voto di fiducia in parlamento, un presidente del consiglio comunque espressione di quella stagione.
C’è piuttosto da puntare l’attenzione sulle successive collocazioni politiche di Gentiloni: presso Guerra e pace, una rivista diretta da Luciana Castellina, e come direttore de La nuova ecologia. Rivista che finisce per lanciare una vera e propria generazione dell’ecologismo compatibile con l’impresa, le privatizzazioni e con il liberismo (Gentiloni, Realacci e Chicco Testa che ha finito per sposare anche il nucleare). Insomma, Gentiloni è testimone della sinistra postideologica, pragmatica, etica che, una volta smessi i panni dell’ “estremismo” (Chicco Testa entrò nel mondo delle professioni laureandosi con una tesi su Marx) ha accompagnato, per poi dirigere direttamente, tutti i processi di privatizzazione e di impoverimento del paese. Gentiloni appartiene quindi ad una sorta di romanzo generazionale che non rappresenta affatto tutti gli anni ’70 ma sicuramente quella parte, significativa ma minoritaria, che ha speso le competenze politiche  formatesi in quegli anni. Ma a servizio di processi che erano, e sono, quelli che venivano ferocemente, almeno a parole, contestati in età giovanile.
Di famiglia nobile, già nella politica che conta agli inizi del ’900, di sicuro Gentiloni, ogni tanto, alimenterà tutti i luoghi comuni sulla sinistra radical chic, che si vuole rivoluzionaria da giovane e reazionaria in età matura, senza che si faccia caso a una cosa. Ovvero che chi alimenta questi luoghi comuni è sempre stato un reazionario sterile e non ha mai visssuto cambiamenti positivi. Oppure è Giampiero Mughini che accetta queste metamorfosi, questi luoghi comuni, compiaciuto facendole sue. Ma che tipo di presidente del consiglio si avvia ad essere, se confermato dalle camere, Gentiloni?
Di sicuro Gentiloni ha la caratteristica di essere il miglior prestanome del renzismo senza appartenere al giglio magico. Ha saputo scommettere su Renzi al momento giusto, affiliandosi alla congregazione dell’ex sindaco di Firenze quando molti nicchiavano, ha saputo rendersi affidabile per l’attuale ancora segretario del Pd. Come lo ha fatto, a suo tempo, con Prodi da ministro delle comunicazioni. Doveva governare senza creare grossi problemi a Mediaset e ce la fece. La persona giusta, insomma per navigare in acque pericolose facendo leva sul senso della diplomazia e su una immagine di mediazione.
Del resto una lunga carriera di prestanome di prestigio -per Rutelli, per la pax televisiva Prodi-Berlusconi, per la visione renziana del mondo come ministro degli esteri- lo ha portato alle soglie della presidenza del consiglio. Una vita di prestiti culturali ricevuti, dall’organizzazione che dette vita ai Katanga, al pacifismo, all’ecologia a Prodi ha abbastanza esperienza alla quale attingere. La persona e la figura non sono poi di quelle che fanno ombra a Renzi. Quando l’attuale segretario del Pd avrà bisogno di prendersi la scena, Gentiloni, se confermato presidente, potrà tranquillamente ritirarsi nelle sue provvisorie stanze di palazzo Chigi. Del resto lo stesso Renzi, con l’invenzione delle consultazioni di Palazzo Chigi parallele a quelle del presidente della Repubblica, ha fatto capire fino dalla notte del referendum che il protagonista, la prima pagina, la news che spacca sono tutti fenomeni che devono coincidere con la stessa persona che abita, come sanno ormai in tutto il mondo, a Pontassieve.
Insomma, tutto bene? Ci si sta avviando verso un governo del prestanome come è avvenuto nella Russia di Putin o avviene, quando la colorazione della maggioranza coincide con quella del presidente, nella Francia del doppio turno? Tutto si prepara per una rivincita di Renzi sul campo?
I nodi da sciogliere di un eventuale governo Gentiloni non saranno comunque pochi: dalle differenti esigenze della maggioranza (legate alla durata del governo) a quelle del Pd, dove la maggioranza renziana può logorarsi, a quelle del mondo estero: banche, economia, debito pubblico, emergenze di ogni genere. E poi la bomba Renzi nella politica italiana pronta, prima o poi,  a deflaglare. Cosa accadrà quando, tra una rincorsa alle nuove primarie e una alle nuove elezioni, sarà chiaro che Renzi non ha una maggioranza politica duratura nelle istituzioni e non è egemone nel paese?
Di una cosa si può stare sicuri. Gentiloni, il prestanome saprà come cavarsela. Certo non tirerà fuori il repertorio del prestanome di Martin Ritt interpretato da Woody Allen. Film dove un allibratore qualunque, Woody Allen, fa il prestanome di uno sceneggiatore di film di Hollywood che non poteva più firmare il propri lavori perchè inibito dalla Commissione Attività Antiamericane in pieno maccartismo. Woody Allen, di fronte alla commissione, stanco delle solite domande capzione, banali, velenose (come se fosse stato di fronte a un Salvini o a uno Zanda qualsiasi), ad un certo punto si comporta come il suo prestante nome, comunista, e manda tutti a quel paese. Ma non sono questi colpi da Gentiloni che ha passato la gioventù formalmente per promuovere la libertà e, di fatto, per rendere questo paese una galera per giovani e meno giovani
redazione, 11 dicembre 2016

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Cancellare Renzi.

Per analizzare l'esito del referendum con lo sguardo a quello che verrà non possiamo non partire dall'assunzione che con la sconfitta di Renzi crolla - speriamo per sempre! - l'opzione politica dei modelli che hanno ispirato il fu-premier: i Blair, i Clinton, gli Schroeder che tra i venti e i quindici anni fa diedero via alla sinistra della "terza via".
Quella sinistra, fondata sulla base dell'adorazione del suo nuovo dio, ovvero il mercato, e testimone storica del crollo del socialismo in seguito alla fine della Guerra Fredda, si gettò totalmente nelle braccia grondanti di sangue del neoliberismo reaganiano, divenendone in poco tempo una versione migliorata.
Questo upgrade fu dovuto al fatto che alla durezza dello sfruttamento deregolato, si poteva contemporaneamente anche assicurare il sostegno alla stabilità sociale di milioni di elettori fidelizzati in tempi storici differenti. Eppure oggi, nel giro di pochi mesi, gli ultimi suoi esponenti sono stati travolti dal progredire di quella stessa storia a cui avevano abdicato; prima di Renzi, anche Killary Clinton e Hollande hanno dovuto infatti farsi da parte.
Lo stesso Renzi, che tenta in queste ore un ritorno in cattedra, non potrà farlo senza modificare almeno in parte la sua comunicazione pubblica. Presentarsi come il garante della stabilità dello sfruttamento, per quanto mascherandosi dietro false retoriche del cambiamento, non ha pagato e non potrà pagare neanche nel prossimo futuro.
La vittoria del No, la sua rilevanza numerica e politica, è infatti pienamente inseribile nella tendenza dell'ondata di protesta che ha travolto le opinioni pubbliche e i corpi elettorali delle democrazie liberali occidentali, come testimoniato prima dalla Brexit e poi dalle elezioni Usa, a partire dalla strutturalità della crisi dei loro processi di riproduzione sociale e sistemica. Proprio per questo, difficilmente verrà recuperato dalle opzioni partitiche, neanche da quelle che più hanno avversato in questi mesi il Partito del Sì in termini di comunicazione pubblica.
Ciò non avverrà proprio perchè queste non possono farlo, a meno di decretare la morte definitiva di un modello di sviluppo che sembra riprodursi sempre più con una lunga agonia e solamente poichè in assenza di un nuovo abbastanza forte da poterlo sfidare. Senza concedere qualcosa, il rifiuto non farà che approfondirsi; ma concedere anche un minimo riduce i profitti cosi tanto da non essere sostenibile.
Fa così sorridere chi si diletta a parlare di "grande esercizio di democrazia" quando si è votato solamente per mettere ulteriormente alla berlina le sue forme odierne! Il voto di domenica non assegna maggioranze o consensi ad alcun partito: esprime soltanto la volontà di ribaltare il tavolo, di urlare "così non si deve andare avanti!", di respingere anche se senza, per adesso, andare all'attacco.
L'odio diffuso alla retorica renziana e ad un mondo che soltanto il boy scout poteva immaginare così liscio (si Matteo, ti odiavamo tutti così tanto!) non si combina infatti ancora ad una partecipazione diffusa nei conflitti; ma ha agito come un cecchino alla prima occasione di far fuori chi rappresentava il potere. Renzi ha cercato di incarnare un sogno svanito, novello yuppie in un tempo nel quale la stessa possibilità di mettere insieme le parole "giovane" e "rampante" nello stesso contesto suona come una barzelletta, quando sono i voucher e le tutele fintamente crescenti a farla da padrone.
Renzi, in fin dei conti, ha vissuto la sua guida del paese come in una bolla, dove lo stuolo adorante dei suoi leccapiedi lo ha fatto convincere di poter sfidare in maniera arrogante tutto ciò che a quella bolla stava all'esterno: la bolla si è sgonfiata, e ciò che stava fuori ha scandito in coro il suo #ciaone. Gli esiti elettorali di luoghi chiave come Amatrice, Norcia, la Val di Susa, Taranto e il voto complessivo del sud dimostrano che il paese reale, quello che Renzi nei suoi mille giorni ha falcidiato con ogni mezzo necessario, non credono più alle sue bugie e difficilmente cambieranno rotta.
Nemmeno la televisione è riuscita a salvare il Partito del Sì, in un trend che ormai sembra essere quello per il quale più una causa è appoggiata ossessivamente dai media unidirezionali (tv, giornali cartacei)e quindi con il potere di turno, più questa verrà sconfitta. Soltanto le fasce di età più avanzata della popolazione hanno dato la maggioranza a Renzi, chiudendo definitivamente le porte all'era in cui il possesso di alcuni media rendeva quasi automatica la vittoria; mentre i più giovani hanno en passant anche decretato come ridicolo il disperato tentativo finale del Partito del Sì di virare sul gentismo sfrenato su Facebook. La telecrazia è finita, e le campagne mediatiche su tragedie messianiche e bibliche che accompagnerebbero la scelta non suggerita a reti unificate non tengono semplicemente più.
E ora, che si fa? Quello che ci si apre è una sfida decisamente più stimolante rispetto al recente passato; parte dal mantenimento della frattura, di classe, incarnata dal Sì e dal No per cercare di volare ad altitudini maggiori. E' la sfida che consiste nel dare rappresentazione politica ai milioni di uomini e donne che hanno detto No riconoscendosi in una prospettiva che non è quella di chi aspira a succedere a Renzi, bensì quella di strappare nuovi diritti evitando di mettere sull'altare la propria dignità.
La scommessa vinta del 27 Novembre, perchè di una scommessa vinta si deve parlare visto il risultato delle urne della settimana dopo, dev'essere pronta a trasformarsi in qualcosa di adatto ai tempi a venire; non ci interessano tanto le questioni istituzionali, il governo tecnico o il governo di scopo, poichè entrambe le forme, nella loro differenza, non dovranno fare altro che ricreare delle nuove condizioni di stabilità istituzionale, rassicurando i mercati e la finanza. Ciò che conta a farsi trovare preparati in ogni scenario, essendo in grado di dettare l'agenda e di incidere in maniera forte sul dibattito pubblico a partire dal nostro soggetto di riferimento, che è sempre colui che emerge dalla sua condizione di sfruttamento per provare a trasformare l'esistente suo e quello collettivo.
La battaglia che allora ci si apre davanti è ancora più stimolante e decisiva di quella appena conclusa, perchè ne è logica conseguenza: cancellare Renzi e le sue politiche dalla cartina politica del paese. JobsAct, Sblocca Italia, Piano Casa, Buona Scuola: se queste sono le riforme che più di tutte hanno simboleggiato il renzismo, spingendo fino all'80% dei giovani del nostro paese a votare NO, è il momento di essere conseguenti e prenderci le piazze ogni giorno con l'obiettivo di eliminare il fetore ammorbante che esercitano ogni giorno sulle nostre vite.
L'apertura di un percorso di attacco a queste politiche ci permette di non farci oscurare dalla campagna elettorale in arrivo, che come tutte le campagne elettorali cercherà di parlare sopra le nostre teste cancellando i soggetti su cui si andranno a sperimentare nuove forme di controllo ed impoverimento. Non subire la campagna elettorale è possibile soltanto a partire dall'apertura di un fronte capace di dominarla rappresentando con determinazione l'opposizione al permanere del lascito renziano nel corpus giuridico, confidando nel fatto che ciò possa racchiudere il vasto consenso da parte di chi da anni non votava e che questa volta l'ha fatto unicamente per cacciare via il ducetto fiorentino.
Di fronte abbiamo una composizione giovanile che dai 18 ai 34 anni ha votato No: su questo dobbiamo aprire una riflessione, capace di tenere insieme la forza sempre maggiore delle politiche di disciplinamento agite soprattutto nel comparto della formazione e allo stesso tempo un diffuso rifiuto a sottostare alla gabbia della stabilità che finora ha preso le forme di quel cinismo nichilista di cui abbiamo altre volte parlato. Ma nel farlo dobbiamo riflettere a partire dagli enormi numeri di persone di cui si sta parlando, e iniziare con lucidità a delineare percorsi e forme adeguate di organizzazione, ripartendo dai percorsi conflittuali e dalle lotte che hanno contribuito alla vittoria del No e che possono, devono, osare un nuovo passo in avanti.

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