martedì 9 febbraio 2016

ANCORA SUL GOVERNO DEGLI INCENERITORI

Grazie a due contributi presi da Senza Soste un altro capitolo della saga degli inceneritori in Italia che vengono chiamati termovalorizzatori piuttosto che termoutilizzatori che fa ancora più chic ma che alla resa dei conti contribuiscono a rendere l'aria che respiriamo sempre più pericolosa e letale per la salute e per l'ambiente.
Con un occhio di riguardo alle vicende livornesi riguardanti Aamps ricordo che a Crema grazie a politiche di partito che guardano ad avere un piccolo bottino nelle mani mandando per aria decenni di lavoro ecco che le nostre aziende partecipate che confluivano in Lgh,cui i comuni del cremasco e di una gran fetta della Lombardia avevano quote,sono state fagocitate da A2a colosso delle multiutility per la gestione dei rifiuti e dei servizi.
Un modo di fare che prende in giro centinaia di migliaia di persone e una città,Cremona,che nell'ultima campagna elettorale per l'elezione del sindaco Galimberti aveva fatto della chiusura dell'inceneritore cremonese il suo cavallo di battaglia rimangiandosi tutto dopo la sua vittoria annunciando negli scorsi giorni una chiusura nel 2024 che è del tutto subordinata ora agli interessi di altri.

Renzi, l’inceneritore
Renzi, contrariamente alle indicazioni sullo smaltimento dei rifiuti che giungono a livello europeo e mondiale, punta tutto sugli inceneritori, anche in Toscana. E la situazione di Aamps mette Livorno in condizione di debolezza, sia per il quadro nazionale sia per le scelte cervellotiche dell’Amministrazione, a partire dal concordato. 
 
«A partire dalla rivoluzione industriale lo sviluppo delle nostre economie è avvenuto all'insegna del "prendi, produci, usa e getta", secondo un modello di crescita lineare fondato sul presupposto che le risorse sono abbondanti, disponibili, accessibili ed eliminabili a basso costo. È opinione sempre più diffusa che questo modello compromette la competitività dell'Europa. La transizione verso un'economia più circolare è al centro dell'agenda per l'efficienza delle risorse stabilita nell'ambito della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Utilizzare le risorse in modo più efficiente e garantire la continuità di tale efficienza non solo è possibile, ma può apportare importanti benefici economici. Nei sistemi di economia circolare i prodotti mantengono il loro valore aggiunto il più a lungo possibile e non ci sono rifiuti.»
Sono le parole di qualche visionario o di qualche sognatore additato da quelli che la sanno lunga come il solito illuso che chiacchiera senza cavare mai un ragno da un buco? No, è una comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo dal titolo “Verso un'economia circolare: programma per un'Europa a zero rifiuti”. In un mondo con 8 miliardi di persone e con risorse sempre più scarse, anche chi ci comanda e ci rende la vita sempre peggiore in cambio dei loro profitti, si è accorto che la cultura dell'usa, getta (discarica) o brucia (inceneritore) non è più sostenibile dal punto di vista sia economico che ambientale, salute compresa. Anzi, i rifiuti sono diventati una cosiddetta miniera urbana visto che si sta sempre più sviluppando (lentamente perché non sostenuto da politiche economiche incentivanti) un mercato delle materie prime-seconde, cioè derivate dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti. La vera sfida del futuro sarà però una politica per la riduzione dei rifiuti, a partire dagli imballaggi.
Renzi in controtendenza. Mentre a Parigi al Cop21 si parla di ambiente, a Roma gira una bozza dei decreti attuativi del famigerato “Sblocca Italia” dove si parla di 9 nuovi inceneritori in 8 regioni. A luglio dovevano essere 12, ma Piemonte, Lombardia e Veneto sono stati graziati sia perché territori già altamente inquinati, sia perché hanno raggiunto livelli di raccolta differenziata molto alti, tra cui spicca il Veneto con il 76%. La Toscana secondo gli ultimi dati Arpat è ferma al 45% e avrà un inceneritore in più oltre a quello già in costruzione a Sesto Fiorentino. Ma perché l'Italia continua su questo crinale? Perché rischia la procedura di infrazione Ue per eccesso di rifiuti in discarica e perché il decreto “Sblocca Italia” ha fatto degli inceneritori “infrastrutture strategiche di interesse nazionale” (autorizzazioni più veloci e meno poteri di controllo locale). Renzi unisce quindi l'utile al dilettevole: evita la procedura di infrazione e regala profitti alle multiutilities come Hera, Iren e A2A che gestiscono i principali inceneritori italiani che dopo questo decreto diventeranno 55 (40 in attività, 6 in costruzione e 9 autorizzati). L’Ue, in realtà, ci sanziona non perché mancano inceneritori, ma per il mancato rispetto dell’obbligo di pretrattamento del rifiuto che va in discarica. In 10 anni in Italia i rifiuti bruciati sono aumentati del 34%, ma aumentano anche i tumori: Il Fatto Quotidiano in un articolo sulle bozze di questi decreti svela anche che a giugno lo studio epidemiologico Arpa sull’inceneritore di Vercelli ha dimostrato che, tra la popolazione esposta, la mortalità aumenta del 20% e la comparsa di tumori maligni del 60% (+400% al colon-retto e +180% al polmone). L'Ue considera l'incenerimento come ultima istanza per lo smaltimento dei rifiuti, vale a dire per tutto ciò che non si può riciclare (senza dimenticarsi che gli inceneritori producono tonnellate di ceneri tossiche che poi vanno smaltite). In Italia però non è stato raggiunto il livello del 65% di differenziata entro il 2012, come era previsto e per cui tutti continuiamo a pagare multe. Morale della favola: siccome è stato fatto poco fino ad oggi per un ciclo dei rifiuti virtuosi e siccome lo stesso Ministero ha ribadito che tutto ciò che va in discarica va “pretrattato” e non buttato “tal quale” come prima, i costi di conferimento in discarica sono aumentati e allora, secondo loro, meglio fare tanti inceneritori. Ma gli inceneritori disincentivano la raccolta differenziata perché hanno bisogno di rifiuti da bruciare per produrre energia e incassare per rientrare dei grossi costi di costruzione e gestione. È un cane che si morde la coda, dove però alla fine ci rimettono i cittadini e la salute e ci guadagnano i capitali. Ottimo per Renzi, meno per noi.
Reti Ambiente. In una recente intervista uscita su Il Tirreno l’assessore pisano all’ambiente, Sanzo, ha svelato quale sarà la strategia di Pisa, che ricordiamo è la provincia all’interno dell’Ato Costa (Livorno, Pisa, Massa Carrara, Lucca) che spinge di più per entrare in Reti Ambiente: porta a porta sempre maggiore per ridurre i rifiuti, e differenziarli meglio perché ormai conferire il “tal quale” in discarica non si può più e quindi diventa poco conveniente. Per fare un porta a porta generalizzato chiederanno una Tari un po’ più salata fino al 2018, calcolando che poi con un buon livello di differenziata la bolletta scenderà. Quindi anche i privatizzatori e gli inceneritoristi più convinti sanno che quel sistema di raccolta e differenziazione alla lunga porta vantaggi al portafoglio e alla salute. Ma come fa allora a conciliarsi differenziazione e inceneritori? Si conciliano malissimo, perché come mostrano i dati di Brescia e come può confermare ogni investitore, un inceneritore per avere un equilibrio tra costi e ricavi deve bruciare a pieno regime i rifiuti, prendendoli anche da fuori, e tutto ciò scoraggia investimenti nel porta a porta o in impianti di riciclo. E allora perché vogliono entrare in Reti Ambiente? Per le economie di scala risponde l’assessore. Più grande è l’azienda più si riducono i costi fissi. In Ato Sud (Grosseto, Siena e Arezzo) però, non sembrerebbe così. Infatti con la gara per la gestione unica vinta da Seitoscana Srl, le bollette sono aumentate di oltre il 10% e nel giro di un anno e mezzo le quote pubbliche (60%) sono state mangiate in parte dal privato che ora la fa da padrone. Ma cosa dice il “nostro” Ato Costa sui lavoratori? Dice che, per 5 anni, i circa 1500 lavoratori non potranno essere trasferiti dai territori in cui lavorano. Dopo quel termine invece è tutto buono e un dipendente di Livorno potrà andare a lavorare a Massa se ce ne sarà bisogno. E l’inceneritore del Picchianti? Basta andare al punto 4.5.2.1 del Piano Straordinario dal titolo “Prescrizioni per l'inceneritore di Livorno”: L'impianto è previsto come impianto a regime. La gestione dell'impianto compete al gestore unico. Il Gestore unico realizzerà gli adeguamenti, conversioni e ristrutturazioni necessarie all'esercizio dell'impianto per la durata dell'affidamento. Cosa significa? Che Livorno contribuirà con l’impianto di incenerimento che brucerà quanto ritenuto necessario a mantenere l’equilibrio economico e la chiusura del ciclo dei rifiuti di Ato. Quindi l’inceneritore potrebbe rimanere a regime delle 60/70 mila tonnellate annue oppure essere adeguato, convertito e ristrutturato calibrandolo su altre quantità di rifiuto. Decideranno loro.
Aamps. Su Aamps ci siamo già espressi in modo costante sul nostro sito. La scelta dell’Amministrazione di andare al concordato (se verrà concretizzata, dato che il CdA non ha ancora inoltrato la richiesta) la riteniamo un salto nel buio, o meglio una delega che mette in mano il futuro dell’azienda ed un servizio essenziale (e le scelte che ne comportano) ad un giudice. La questione dei precari è solo un primo assaggio di ciò che comporta aver scelto la via del concordato. Non bisogna mai scordarsi, in ogni modo, che i punti nodali per garantire un servizio come quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani sono due: l’individuazione del ciclo dei rifiuti che si vuole intraprendere (con calcolo delle tonnellate di rifiuti prodotti e costi) e l’individuazione delle risorse finanziarie per gli investimenti a sostegno del ciclo che si è scelto (elemento difficilissimo in questa fase visto che i soldi della bolletta coprono a mala pena il servizio ma non gli investimenti). L’ex sindaco Cosimi, come ha ribadito in sede di commissione di inchiesta, aveva individuato questi due punti nel raddoppio dell’inceneritore del Picchianti e nel conferimento dell’azienda in Reti Ambiente. A noi quella scelta non piaceva, e ci siamo opposti insieme a tanti altri in questa città. Per contrastare quel sistema però ne serve uno alternativo. E non bisogna mai scordarsi che i due punti nodali sono ineludibili. L’Amministrazione sul ciclo dei rifiuti e su Aamps si gioca una larga fetta di credibilità e quindi non c’è da fare troppa retorica o politiche dell’annuncio ma trovare soluzioni concrete percorribili. Mandare tutto a rotoli o eludere i due punti nodali significherebbe far sì che in una situazione di vuoto e di emergenza emergerebbe il più forte (banche e capitali privati). E il più forte solitamente è anche il più pericoloso. Basti vedere che depredano territori e risorse pubbliche dall’alto per poi presentarsi come risolutori.
Pubblicato sul numero 111 (gennaio 2016) dell'edizione cartacea di Senza Soste

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Acqua e rifiuti: iniziano le grandi manovre dei capitali finanziari .

Il nostro editoriale di ieri aveva anticipato ciò che il sindaco di Piombino ha confermato oggi sulle colonne de La Nazione: Iren è interessata all'acquisto del 51% delle azioni di Asa, la società partecipata al 60% dai comuni della provincia di Livorno e al 40% dalla stessa Iren Spa (società a capitale misto pubblico privato quotata in borsa che fa capo ai comuni di Genova e Torino e in misura inferiore a quelli emiliani come Parma e Reggio Emilia). Il 40% privato di Asa è per la precisione in mano ad Aga spa dove Iren Acqua Gas è il socio di maggioranza. Iren negli ultimi mesi si sta muovendo su molti territori.
Qui l'esempio di Vercelli
Ma perché è venuto fuori il nome di Iren? Ci sono vari motivi. Il primo è che possiede già il 40% delle azioni di Asa, il secondo è che il presidente di Asa, Del Nista, sopravvissuto dopo la caduta del Pd a Livorno, ex democristiano e uomo di riferimento per le banche del territorio, Mps in testa, ha visto in questa operazione una possibile soluzione per il caso Aamps, oltre che un affare per i suoi poteri di riferimento.
Perché? Perché con i soldi incassati dalla vendita delle quote Asa, il Comune potrebbe avere la liquidità per ricapitalizzare Aamps. E perché per le multiutilities è un affare.
Da tempo le cosiddette multiutilities (alcune delle quale ex municipalizzate nel settore acqua, energia e rifiuti) e le banche che le partecipano, hanno visto nei servizi pubblici locali uno sbocco per valorizzare i propri capitali. Giganteschi mercati di beni primari, in regime di monopolio, e 60 milioni di utenti (il popolo italiano) in una fase in cui le finanze locali sono prosciugate dalle decisioni dei tecnocrati dell'Unione Europea e dal governo.
A molti forse non sarà sfuggito che lo scorso ottobre il governo ha varato questo decreto:
che introduce due novità:
1. i proventi delle dismissioni dei Comuni sono svincolati dal patto di stabilità 
2. è possibile anche prolungare le concessioni in caso di fusione tra le municipalizzate (una delle proposte avanzate da Buongiorno Livorno e Rifondazione anche se non è stato dettagliato con quali soldi)
Quindi, nel primo caso, i soldi delle dismissioni che entrano nelle casse dei Comuni posso essere spesi subito senza vincoli.
L'articolo parla chiaramente:
"Secondo Banca Imi, le nuove norme potrebbero condurre a una riduzione dell'80-90% del numero delle multiutility con Hera, Acea, Iren e A2a che giocheranno il ruolo di aggregatori. Per gli analisti la meglio posizionata in questo scenario è Hera."
E gli azionisti festeggiano
"E in Borsa, infatti, brillano le utility sui listini azionari beneficiando del rimbalzo generalizzato degli indici ma anche delle norme inserite nella manovra finanziaria per il 2015 che dovrebbero dare una spinta per il consolidamento nel comparto. In effetti a fronte di un rialzo complessivo dell'EuroStoxx600 di settore dell'1,3%, i titoli delle municipalizzate italiane si mostrano molto più' vivaci: +2,4% A2a, +2,7% Hera, +1,7% Acea, +1,3% Iren."
Insomma, dopo mesi di schermaglie politiche e rinvii su Aamps, appena la situazione precipita e i fiumi di parole dei Consigli Comunali scemano, si iniziano a muovere i capitali che lavorano nell'ombra.
Nel nostro articolo di apertura del Senza Soste cartaceo n. 108 (ottobre 2015) scrivemmo che:
Livorno è un mondo a parte. Una dimensione che alimenta progetti gonfiati, programmi improbabili, prospettive incredibili e dibattiti surreali. Ma che viene puntualmente demolita quando il mondo esterno finisce per fare capolino: Darsena Europa, Asa, Aamps e ospedale sono solo alcuni esempi. Mentre il governo privatizza, centralizza e taglia a Livorno il dibattito politico vive in un mondo a parte
Ed a proposito di Asa scrivemmo:
"Il combinato Sblocca Italia- politiche delle Regioni -legge di stabilità precedente prevede: a) gestione centralizzata delle Ato (Sblocca Italia); b) tentativo di costituzione di una singola Ato regionale per il solo scopo di essere appetibile per grandi investimenti (con alto costo per il cittadino come già avvenuto ovunque in Europa); c) incentivo alle privatizzazioni (legge di stabilità precedente) tanto che chi privatizza può spendere i fondi ricavati fuori dal patto di stabilità (quello che strangola i comuni). Ma non basta: mentre il mondo a parte dibatte, nel mondo esterno emergono ipotesi sulla stampa nazionale che metterebbero in discussione sia l'esistenza di Asa pubblica ma anche del grande malato delle partecipate livornesi: Aamps."
E poi:
Tra legge di stabilità 2015 e 2016, politiche delle regioni, norme dello sblocca Italia allora cosa sta succedendo per l'acqua? Ce lo dice lo stesso Sole 24 ore che, in un articolo cerimoniale ha già delineato la strategia (denunciata anche da Marco Bersani di Attac sul Manifesto): quattro giganti dell'acqua privata già pronti (A2A, Iren, Hera e Acea), leva finanziaria pronta (Cassa Depositi e Prestiti, attraverso il fondo strategico italiano che così finanzia la privatizzazione dei beni pubblici), quadro normativo, con la nuova legge di stabilità, già pronto. Stupisce solo che dai territori non si alzino voci e strategie di resistenza. Altro che mondo a parte, visto anche che la riforma dei porti rischia di far dirigere lo scalo livornese, di fatto, a Roma. Asa e Aamps, e con loro la politica locale pubblica di acqua e rifiuti, potrebbero anche loro essere governate grazie alle decisioni di Roma.
A distanza di soli due mesi il mondo esterno ha fatto capolino e la città è impreparata. È finito il tempo delle campagne elettorali. Ora è il momento di capire che fine faranno servizi essenziali e beni comuni come acqua, energia e rifiuti e vedere se la classe dirigente locale (politica e tecnico-amministrativa) è in grado di proporre un'alternativa. Oppure se l'unica soluzione è abdicare alle spa e ai capitali misti pubblico-privati quotati in borsa, lontani dai cittadini e lontani dalle decisioni dei Consigli Comunali.
Redazione, 19 dicembre 2015
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