mercoledì 9 giugno 2021

IL PERU' HA UN PRESIDENTE SOCIALISTA

Ora che le gioie ci arrivano fortunatamente ancora da tutti gli angoli del mondo,un altro paese ha virato verso il socialismo non di facciata con l'elezione avvenuta sul filo di lana del nuovo Presidente del Perù Pedro Castillo.
Una manciata di voti lo ha fatto prevalere sulla rivale Keiko Fujimoti,la figlia dell'ex presidente Alberto condannato anni a 25 anni di carcere per vari reati tra cui rapimento ed omicidio(vedi:madn da-cajamarca-lima che parla di storie più recenti con Merino ma ci sono altri link)e per via di questo piccolo scarto nei prossimi giorni ci saranno tentativi poco ortodossi per eliminare Castillo.
Il Perù come gli altri Stati sudamericani da anni è soggiogato agli Stati Uniti che hanno sempre foraggiato politici fantoccio nelle loro mani e succubi di multinazionali che sfruttano le ricchezze dei paesi andini.
Gli articoli di Contropiano(peru-pedro-castillo-e-il-nuovo-presidente e mai-piu-poveri-in-un-paese-ricco )parlano della vittoria dei socialisti di Perù Libre a scapito dei conservatori di destra di Fuerza Popular che a lungo dopo i primi spogli sembrava avere ottenuto una vittoria con un certo scarto ma che dopo le schede delle campagne ha visto prevalere Castillo.

Perù. Pedro Castillo è il nuovo presidente. L’oligarchia grida ai brogli.

di  Carlos Aznarez*   

Il candidato di “Perù Libre”, il maestro popolare Pedro Castillo ha respinto le accuse di brogli alle elezioni peruviane ed ha incoraggiato i suoi sostenitori a difendere il voto in una “veglia storica”.

La veglia che lunedì sera ha mostrato le strade del centro di Lima piene di sostenitori del professor Castillo, che sventolando bandiere e cantando “il popolo unito non sarà mai sconfitto” ha dato un esempio di disciplina esemplare e impegno per il nuovo Perù che sta arrivando.

D’altra parte, la candidata narco-corrotta Keiko Fujimori, nella sua disperazione per una sconfitta che diventa inevitabile con il passare delle ore, lunedì sera ha denunciato qualcosa che nemmeno il più fanatico dei suoi sostenitori crederebbe – una “frode sistematica” – per la quale non ha fornito alcuna prova consistente.

Ad ogni modo, nelle file della sinistra peruviana che oggi ha investito su Castillo, si è accesa la spia dell’allarme poiché conoscono i trucchi della signora K, che non agisce da sola ma ha dietro tutta l’impalcatura dell’ultradestra, maccartista e politica, che ha controllato il governo del Perù per decenni.

Castillo, con buon senso, ha insistito sul fatto che i voti siano difesi nelle strade ed ha insistito che i suoi rappresentanti abbiano cura che “i registri elettorali non siano travisati o trafugati” come fa di solito la mafia conservatrice.

È chiaro che la denuncia della signora K coincide con l’estensione del vantaggio finora ottenuto da Pedro Castillo, secondo i dati dell’esame ufficiale diffuso dall’Ufficio nazionale dei processi elettorali (ONPE). Castillo ha raggiunto il 50,3% dei voti, contro il 49,7% di Fujimori, differenza che si traduce in meno di 100.000 voti, secondo l’ultimo aggiornamento.

L’ONPE insiste nel chiedere pazienza, di fronte a controlli che possono durare diversi giorni. Il conteggio riflette già il 99% dei voti espressi in Perù, ma gran parte del voto straniero deve ancora essere contato.

Un capitolo a parte nell’attuazione di una frode per impedire la sicura vittoria di Castillo è l’ONPE, guidato da un personaggio di nome Piero Corvetto Salinas, che era un membro del famigerato SIN (Servizio di intelligence nazionale) quando questa struttura repressiva era guidata dall’ormai incarcerato Vladimir Montesinos.

In altre parole, il Fujimorismo ha una pedina importante nell’ONPE e da qui i ritardi nello scrutinio e la novità che con i voti dall’estero “il risultato finale si allungherà di diversi giorni”, come confessa Corvetto.

Tuttavia, migliaia di persone per le strade, in tutte le città e paesi sanno che Castillo ha vinto, che niente e nessuno potrà togliergli la vittoria, da qui le continue veglie e manifestazioni che pretendono il risultato finale. Come accade in tutto il continente in circostanze difficili, in questo momento lo slogan che gira di bocca in bocca in tutte le mobilitazioni colpisce nel segno di ciò che pensano le maggioranze che hanno votato Castillo: Solo il popolo salverà il popolo. E nessuno ha dubbi che la grande festa si avvicina.

*direttore di Resumen Latinoamericano

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“Mai più poveri in un Paese ricco!” Il Perù cambia corso politico.

di  Rete dei Comunisti   

Nel mentre scriviamo si sta completando lo spoglio delle schede elettorali del Paese Latino Americano.

Per una manciata di voti è in testa Pedro Castillo, candidato presidenziale per Peru Libre sulla sfidante Keiko Fujimori. Entrambi hanno superato gli otto milioni e mezzo di voto, in un Paese con poco più di 24 milioni di abitanti.

Insegnante di una regione andina nel nord del Paese nella provincia di Cajamarca, “El Profe” è un leader sindacale che ha guidato lo sciopero dei docenti nel 2017 e che ha bypassato i tradizionali partiti peruviani. 

Contro di lui non solo si è mobilitata l’élite economica peruviana e gli organi di informazione monopolizzati dalla destra politica “golpista” latino-americana e dalle oligarchie statunitensi. 

Un mese prima del primo turno delle elezioni l’11 Aprile, il nome di Castillo non compariva nemmeno nei sondaggi sui sei possibili presidenti, rendendo il suo risultato un vero e proprio exploit.

Al primo turno è risultato il più votato, incassando il 18,9% davanti alla seconda arrivata, con il 13,4%, la figlia dell’ex dittatore peruviano Alberto, la cui figura politica ha dominato gli Anni Novanta del Paese. 

Nel frammentato paesaggio politico peruviano, che ha espresso ben 18 contendenti al primo turno, in un contesto di crisi politica permanente in cui si sono alternati cinque presidenti in cinque anni, la figura del docente e il suo ambizioso programma di riforme radicali, nella formazione con a capo Vladimir Cerrón, sono emersi con forza.

Il Paese che è il secondo produttore mondiale di rame, ed uno dei maggiori produttori di zinco e di altri materiali preziosi (come argento e oro), nonché ricco di petrolio e gas, ha un circa un terzo della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà.

Si calcola che dall’inizio della pandemia, gestita in maniera catastrofica dalla élite al potere, i poveri siano aumentati di ben 10%.

Il Perù ha avuto il peggiore tasso di mortalità a livello mondiale con 170,9 morti su 100.000 abitanti. Un risultato disastroso dovuto al combinato disposto di una politica sanitaria insufficiente per larga parte della popolazione e dalla necessità di continuare a lavorare anche in condizioni sanitarie precarie per quella parte di popolazione che vive nell’economia informale, a causa della mancanza di aiuti sufficienti anche durante i lockdown. 

L’estrema polarizzazione sociale acuitasi in quest’anno e mezzo di pandemia ha avuto come sbocco una accentuata polarizzazione politica. 

Il PIL del Paese è precipitato l’anno scorso (-11%), segnando uno dei peggiori record negativi tra i paesi emergenti.

L’economia peruviana, che è stata spesso dipinta come “una storia di successo” dall’ortodossia neo-liberale a causa di alcuni suoi indicatori economici – una media di un +5,9% l’anno nel decennio precedente alla pandemia – si è dimostrata strutturalmente fragile.

“Una storia di successo”, quindi, solo per il capitalismo occidentale ed una borghesia che ha fatto gli interessi del neo-colonialismo statunitense ed europeo. 

Le classi dirigenti – già al momento del primo turno,  ad aprile – erano terrorizzate dalla possibilità dell’elezione di Castillo, considerato il vasto programma di nazionalizzazione dei settori strategici, tassazione alle imprese e paventata possibilità di un cambio della Costituzione, ancora quella dell’epoca Fujimori-padre.

È precipitato il valore della moneta nazionale – il Sol – rispetto al dollaro, ed è incominciata una fuga di capitali, mentre due terzi delle aziende peruviane hanno congelato i propri investimenti in attesa dell’esito elettorale, prefigurando una sorta di “boicottaggio economico” a seconda del possibile esito delle urne.

Il viscerale anti-comunismo delle classi dirigenti, legate a doppio filo ai circuiti economico-finanziari statunitensi ed europei, hanno puntato tutto su una sfidante screditata e invisa alla popolazione – figlia di un dittatore ora in carcere, il quale oltre alla corruzione, ha commesso vero e propri crimini contro l’umanità – nel tentativo di contrastare l’astro nascente della politica peruviana ed il suo progetto di ridistribuzione della ricchezza del Paese. 

Le classi popolari si sono unite al grido di “Urgente, Urgente, Pedro Presidente!”, vedendo nell’insegnante proveniente da una delle regioni più povere del Paese un possibile attore del loro riscatto. 

Le lenti deformanti dei media liberal occidentali vedono una sorta di “scontro tra opposti e estremismi” dove invece è chiara la politicizzazione delle contraddizioni del Paese Andino. 

Il Presidente ed i due vice-presidenti dovrebbero entrare in carica il 28 giugno, ma le fasi finali dello spoglio hanno già visto l’accusa di “frode elettorale”, formulata dalla Fujimori, piombare in un clima di incertezza in cui non sono mancate le ingerenze esterne.

Dopo le elezioni in Argentina, Cile, Venezuela e Bolivia, l’onda progressista – che ha subito una battuta d’arresto soltanto in Ecuador – sembra incontenibile. Infatti, oltre alle scadenze elettorali, ampi movimenti di massa si sono sviluppati in altri Paesi, pur incontrando una repressione feroce, come in Paraguay e da un oltre un mese in Colombia, 

Movimenti contro le politiche neo-liberiste e l’imperialismo nord-americano, che ha sempre considerato il resto del continente americano il proprio “cortile di casa”. 

Insieme alle mobilitazioni riprese ora anche in Brasile, sembra che il continente all’Alba sia ora teatro di una nuova “primavera latino-americana”, indesiderata negli Usa e una boccata d’ossigeno per i governi socialisti di Cuba, Nicaragua e Venezuela; una speranza per tutti i popoli del Tricontinente ed una spina nel fianco per Usa ed Unione Europea.

Come Rete dei Comunisti salutiamo l’affermazione di Castillo, qualunque sia l’esito elettorale finale e chiamiamo alla massima attenzione e vigilanza affinché il Paese non venga destabilizzato da quella bestia ferita, ma non meno pericolosa, che è l’imperialismo, con una ingombrante presenza militare nell’area ed una storia nefasta fatta di golpe e tentativi di sovvertimento della volontà popolare. 

Ancora una volta l’America Latina si sta dimostrando la tomba del neo-liberismo, come dimostra anche il felice slogan di Castillo: “mai più poveri in un Paese Ricco”

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