giovedì 10 giugno 2021

LA CLASSE "PRENDITORIALE" ED I SALARI DA FAME

Le interviste televisive che si susseguono nei notiziari e che riguardano un ritorno d'interesse degli imprenditori verso l'assunzione di un discreto numero di lavoratori nel breve periodo,si vocifera di circa mezzo milione di persone,contrasta col numero dei disoccupati e con le scuse che molti di questi"prenditori"avanzano sul fatto che si riesca a faticare a trovare manodopera in alcune categorie di lavoro.
Lasciando stare delle leggende urbane riguardo al fatto che i giovani italiani non vogliano più lavorare in certi settori bisogna affrontare la realtà che le proposte lavorative sono corredate da salari da fame con orari flessibili(essere disposti a lavorare durante tutto l'arco del giorno anche con preavviso zero)e ovviamente in condizioni di sicurezza precarie(vedi:madn quando-il-profitto-e-tuttoe-subito ).
Mentre tutta la politica al governo a braccetto dei sindacati confederali che parlano ma non giungono a risultati tangibili(ormai da più di un decennio)sono dalla parte degli imprenditori foraggiandone le attività sia con incentivi che con sgravi fiscali,il lavoratore o chi cerca lavoro sono in condizioni,a parità di mansioni e carriera,di ricevere in proporzione meno di quello che percepiva trent'anni fa.
E questo non perché come sollevato da molti padroni abbondantemente aiutati da un certo tipo di giornalismo nato per far loro da cassa di risonanza è più comodo starsene a casa col reddito di cittadinanza o con la cassa integrazione,ma perché loro sono quelli che vedono la voce lavoro come quella più ingrata nel conto del proprio profitto e non si fanno remore a pagare sempre meno.
E' finito il tempo dove si era disposto a tutto pur di portare a casa qualcosa,ma con le paghe che certi lavoratori si ritrovano a fine mese conviene loro o di stare a casa e vivere di sussidi e/o in aggiunta lavorare in meno proprio dagli stessi imprenditori che piangono lacrime di coccodrillo:articolo di Contropiano(salari-da-fame-ultima-idea-per-crescita ).

Salari da fame, l’ultima idea per la “crescita”.

di  Dante Barontini   

Non se ne può sinceramente più. Siamo abituati alla menzogna sistematica da parte degli organi di informazione di regime, ma sta diventando tutto molto ridicolo.

L’effetto “Grande Fratello”, romanzo orwelliano in cui il ministero della Difesa veniva per esempio chiamato “della Pace”, è quasi raggiunto. In qualche caso superato.

I sedicenti “democratici” di Repubblica dimostrano di essere autentici monarchici, a busta paga della famiglia Agnelli. Oggi per esempio titolano a tutta prima pagina: “Alla ripresa servono cinquecentomila lavoratori”.

Come se tra i milioni di disoccupati mancassero “le competenze” giuste per coprire posti da “addetti al turismo, informatici, ingegneri, saldatori”.

Ma quando devono provare a spiegare perché i disoccupati non si presentano ai cancelli delle aziende, il velo cade immediatamente: “I posti ci sono, mancano i lavoratori. Chi si sente sfruttato rinuncia. Gli imprenditori: troppi assistiti”.

E giù con “l’analisi comportamentale”, ovviamente criminalizzante: “Tanti lavoratori preferiscono incassare reddito di cittadinanza o cassa integrazione, e intanto lavorare in nero”.

Neanche si accorgono di dire una cazzata mostruosa o di “svelare” un piccolo segreto indicibile: se milioni di lavoratori si prestano a lavorare in nero – avendo, oppure no, un altro reddito “assistenziale” – è perché ci sono centinaia di miglia di “imprenditori” che offrono soltanto posti in nero e/o salari da fame.

In quel caso “la domanda si incrocia con l’offerta”, mentre le aziende che offrono un salario da fame “in chiaro” fanno ovviamente più fatica (il lavoratore dovrebbe rinunciare a mezzo reddito e lavorare a tempo pieno per avere l’altro mezzo).

Comunque la si rigiri, insomma, il vero problema dell’occupazione in questo paese è che abbiamo una classe imprenditoriale stracciona, che punta a ricavare un guadagno anche minimo lucrando solo sui salari (l’unica “merce”, in fondo, che ha un prezzo diverso da paese a paese).

Ed è una classe di “prenditori” più che di imprenditori, che controlla pienamente sia il sistema dei media, i singoli “giornalisti”, il governo del paese.

Le grandi imprese, che pure potrebbero tranquillamente prosperare anche pagando salari decenti (sufficienti per vivere, almeno), lasciano fare perché – come dicono – del “lavoratore trattato come un maiale non si butta via niente”. Anche quei pochi euro risparmiati sul salario fanno cassa…

Il sistema dei partiti politici è stato completamente arruolato a questo schema e a quegli interessi. Impossibile distinguere, su questo, il Pd e la Lega. Persino la finta opposizione della Meloni pretende di “destinare le risorse del reddito di cittadinanza a favore delle imprese”!

Inutile attendersi qualcosa dai sindacati complici. Cisl e Uil hanno già fatto sapere di accettare la fine del blocco dei licenziamenti. E Landini, della Cgil, ha incontrato Draghi senza ricavarne nulla. Ma la parola “sciopero” non gli esce lo stesso di bocca…

In cima alla catena del meccanismo che strangola i lavoratori dipendenti (e anche le false partite Iva “monocommittente”) stanno ovviamente Mario Draghi e l’Unione Europea, che non perde occasione per dare una mano alle imprese di ogni livello e dimensione. Oggi ordinando di cancellare subito il blocco dei licenziamenti, tutti i giorni tuonando contro il “debito cattivo” (i vari ammortizzatori sociali da fame messi su per limitare i danni e la rabbia sociale).

E’ lì, sui grandi numeri, il vero cancro del nostro paese. Mentre i grandi competitori internazionali – Cina e Stati Uniti – hanno reagito allo shock economico della pandemia investendo valanghe di soldi pubblici (6.000 miliardi di dollari soltanto l’amministrazione Biden), puntando ad incrementare la domanda interna con aumenti salariali (Usa) e/o costruendo la sanità pubblica (Cina), gli strozzini alla guida dell’Unione Europea hanno scelto una via praticamente opposta.

Il Recovery Fund è dimensionalmente penoso – 750 miliardi in sei anni – e gravato di “condizionalità” che ne limitano grandemente la portata. Non paghi, stanno già premendo per il “ritorno all’austerità”. Ovvero a tagliare la spesa pubblica “cattiva”, quella che porta qualcosa in tasca – in termini di servizi o sussidi – a chi ha ben poco.

Questa è la situazione. Davvero qualcuno può credere che se ne uscirà trovando chi è disposto a lavorare 10 ore per un salario da 500 euro?

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