Biden in Europa. Una settimana di scenari inquietanti.
di Sergio Cararo
Da oggi a domenica in Gran Bretagna si riunisce il vertice del G7, il prossimo 14 giugno i capi di Stato e di governo dei Paesi Nato si riuniranno a Bruxelles per il primo vertice con la presenza fisica di Joe Biden. Infine, quest’ultimo avrà il suo primo faccia a faccia con l’Unione Europea e poi a Ginevra con Vladimir Putin. Insomma una settimana piuttosto impegnativa e inquietante per le sorti del mondo in cui ci è toccato di vivere.
Il doppio vertice delle potenze del mondo euroatlantico e gli incontri bilaterali Usa/Ue e Us/Russia, serviranno soprattutto a verificare i punti di convergenza e quelli di dissonanza, in particolare tra Stati Uniti e i paesi aderenti all’Unione Europea. Pieno di tensioni e incognite è invece l’incontro con Putin che, piuttosto paradossalmente, solo pochi mesi prima di questo incontro, sleeping Joe Biden ha definito “un assassino”.
Gli Usa dovranno fare a meno di una delle carte che hanno sistematicamente usato per anni per interferire nella politica europea: la Gran Bretagna del dopo Brexit. Si dovranno dunque giocare l’altra carta – la Nato – per tentare di mantenere il loro status di primus inter pares nel blocco occidentale, mentre gli europei puntano a stabilire un nuovo equilibrio che li renda meno subalterni all’egemonia statunitense.
Gli Usa hanno solo un modo per cercare di mantenere le cose come in passato. Alzare la tensione contro i nemici – Russia e Cina – e portare gli europei allo scontro frontale insieme a loro. Il problema è che l’economia parla un altro linguaggio, e qui le divergenze di interessi tra Stati Uniti e Unione Europea sono diventate macroscopiche (dal gasdotto Nord Stream ai rapporti economici con la Cina, dal suicidio delle sanzioni adottate in questi anni contro molti paesi ai dazi sui prodotti industriali).
Il vertice della Nato approndirà l’elaborazione di un nuovo Concetto Strategico. Il Concetto Strategico in vigore è del 2010, ma è ormai evidente che nei dieci anni trascorsi il mondo e i rapporti di forza internazionali siano mutati significativamente. Secondo la newsletter Affari Internazionali, il documento del 2010 rifletteva all’epoca un ventennio di ambiziose operazioni di gestione delle crisi e stabilizzazione, dai Balcani all’Afghanistan, stabilendo tre core tasks: deterrenza e difesa, crisis management operations, e sicurezza cooperativa con un occhio ad allargamento, partenariati, e attività di controllo degli armamenti e non proliferazione.
Ma molte cose in questo mondo sono cambiate e tale scopo nel 2019 è stata lanciata l’iniziativa Nato2030, elaborata da un gruppo di esperti nominati dal segretario generale Jens Stoltenberg. La deterrenza nei confronti della Russia dal 2014 è diventata la priorità numero uno della Nato.
Poi dal 2019 si è aggiunta all’agenda Nato la nuova priorità della Cina, ritenuta apertamente dall’establishment statunitense – democratico come repubblicano – come la principale potenza rivale mondiale. Si è dunque rivelato l’incubo che i neocons statunitensi cercano di impedire dal 1992, cioè la rinascita di una potenza strategica rivale.
In perfetta continuità con i neocons,l’amministrazione Biden intende arrivare allo scontro con la Cina ma sa che gli Usa non possono farcela da soli. I costi di quaranta anni di Guerra Fredda con l’Urss, hanno spompato anche gli Stati Uniti. Da qui il progetto di serrare i ranghi dell’Occidente anche con l’Unione Europea, intorno a quelle che ormai vengono definite – e gestite – come “guerre ibride”.
La Nato deve quindi prepararsi ad ad agire sul piano cibernetico e spaziale dove è diventata più forte e dirompente la competizione tecnologica. Secondo Affari Internazionali nel cyberspace vi è ormai da anni un continuo e crescente attrito attacco-difesa, parte di una più generale conflittualità sottotraccia e insidiosa – una sorta di guerra in tempo di pace.
Appare più irto di interrogativi che di soluzioni l’incontro previsto tra Biden e Putin a Ginevra. Secondo un analista come Stefano Silvestri non sembra che Biden voglia tentare “una molto improbabile manovra di distacco di Mosca da Pechino o altre manovre di riavvicinamento ad un leader che ha qualificato come “assassino”. Certamente affronterà il tema del controllo degli armamenti nucleari e forse anche quello, su cui Russia e Usa sono in largo accordo, della non proliferazione nucleare (e quindi anche dell’Iran e della Corea del Nord). Ma sul piano politico più generale, dall’Ucraina al Caucaso, dalla Siria alla Libia, cosa si diranno? Quali che siano le loro posizioni, le conseguenze dovranno essere gestite dall’Europa”.
E qui arriva a caduta il punto che ci riguarda direttamente. Qualsiasi sarà la linea con cui gli Usa intendono affrontare la crescente competizione globale sul piano geopolitico, economico, tecnologico, militare, sarà l’Europa la prima linea e il terreno sacrificabile.
Tale consapevolezza, che suggerirebbe alla Ue di separare i suoi destini dai bellicosi sogni di rivalsa di Washington, non sembra brillare nella testa e nelle scelte dell’establishment europeo.
Sul piano dei governi l’unica che ha provato a segnalarlo è stata la Francia di Macròn prontamente contrastata dalla Germania. L’Italia risulta non pervenuta se non in termini di arlecchinesco servilismo a due padroni (Usa e Ue).
Ma se questi discutono già come gestire le “guerre ibride” e come prepararsi a quelle totali, possiamo lasciarli fare? Che cominci a disseminarsi e crescere un movimento popolare contro la guerra nel nostro e negli altri paesi sta diventando una urgente priorità. Se non ora, quando?
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