venerdì 4 giugno 2021

QUANDO IL PROFITTO E' TUTTO(E SUBITO)

Da qui alla fine del mese potrebbe avverarsi un cambio epocale e radicale in Italia,ovviamente in peggio perché ormai da decenni le decisioni che hanno realmente cambiato la vita degli italiani si possono contare sulle dita di una mano.
L'aiuto garantito dallo Stato attraverso il recovery plan ed il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR)è nato come un patto con Confindustria in cui i lavoratori per inciso saranno le vittime sacrificali e le aziende e l'imprenditoria quelle che beneficeranno di molto denaro pubblico o portato in dote dall'Ue.
L'autoproclamato governo dei migliori darà sfoggio della propria indissolubile lealtà con i poteri forti attraverso milioni di licenziamenti avallati dalla decisione che dal primo luglio ci sarà lo sblocco delle cessazioni del lavoro nonostante le stesse aziende che hanno beneficiato di cassa integrazioni ordinarie e straordinarie abbiano ricevuto bel il 74% dei capitali investiti per l'emergenza,la solita privatizzazione dei guadagni col denaro della collettività.
Per chi avrà ancora un posto di lavoro le semplificazioni per gli appalti e lo snellimento burocratico aumenteranno i rischi sul posto di lavoro mettendo in pericolo sia i lavoratori che la clientela di parecchie attività soprattutto legate ai trasposti,in un paese vecchio non solo anagraficamente ma pieno di strutture obsolete e in mancanza perenne di manutenzione adeguata.
I temi riportati negli articoli sottostanti sono scritti da un politico(left o-il-profitto-o-la-vita )che da un gruppo di economisti(contropiano semplificare-la-vita-a-sfruttatori-e-profittatori ),in questo caso delle mosche bianche che giungono alle stesse conclusioni partendo da approcci differenti.

O il profitto o la vita.

di Francesco Laforgia

Sblocco dei licenziamenti e liberalizzazione dei subappalti, in nome del profitto e in ossequio a Confindustria. Due milioni di lavoratori rischiano il posto e si “risparmia” sulla sicurezza, sebbene le imprese abbiano ricevuto il 74% dei soldi pubblici stanziati per l’emergenza. E i morti sul lavoro aumentano. Sarebbe questa la ripartenza?

È una strage. Solo nei primi quattro mesi di quest’anno sono stati trecentosei gli infortuni mortali sul lavoro. Trecentosei lavoratrici e lavoratori che non hanno mai fatto ritorno alle proprie famiglie.

Trecentosei vite spezzate da errori nelle procedure di sicurezza, dall’insufficienza dei controlli, dalla mancanza di manutenzione, dal mancato rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, dalla stanchezza dovuta ai turni estenuanti.

Tutte morti che potevano essere evitate già in fase di valutazione dei rischi e con adeguate misure di carattere organizzativo. Ma se l’organizzazione non funziona è perché la produzione risponde male all’esigenza di aumento della produttività, che viene ricercata sempre di più nell’intensificazione dei ritmi di lavoro e nella deroga agli standard di sicurezza.

C’è qualcosa di profondamente ideologico in tutto ciò: ritroviamo in queste vicende le cause di una visione del mondo che guarda più all’accumulazione di profitto che alla salvaguardia della vita, nei casi di infortuni mortali sul lavoro così come nelle tragedie come quella del Mottarone.

Il problema è un intero sistema. Siamo un Paese con infrastrutture obsolete e gravi limiti manutentivi, in cui tantissime persone si muovono su mezzi vecchi e inadeguati, ogni giorno, sottoponendosi a un rischio altissimo.

Tracce di questa riflessione si trovano anche nella discussione di questi giorni sul blocco dei licenziamenti e la liberalizzazione dei subappalti. Ad esempio, un po’ sorprende la pretesa di Confindustria di sbloccare i licenziamenti già dal primo luglio. A ben vedere, però, di sorprendente non c’è nulla. Mutuando un’espressione dell’ex presidente di Confindustria Macerata, che recita «se qualcuno morirà, pazienza», si potrebbe dire “se qualcuno perderà il lavoro, pazienza”.

L’importante è il profitto. Il rischio di lasciare a casa fino a due milioni di lavoratrici e lavoratori, dopo aver ricevuto il 74% delle risorse pubbliche stanziate nell’anno del Covid, non ha alcuna importanza.

La battaglia sulla proroga del blocco dei licenziamenti è ancora aperta e intendiamo farla fino in fondo. Bisogna mettere in campo soluzioni per contrastare la disoccupazione crescente (solo nell’ultimo anno un milione di posti di lavoro in meno), per garantire la riqualifica professionale ed accompagnare la transizione economica di chi subirà lo sblocco con una seria riforma degli ammortizzatori sociali.

Senza la chiarezza necessaria su queste misure, non può esistere discussione sul tema licenziamenti. Altro fronte su cui ci troviamo è quello dei subappalti e del principio del massimo ribasso, che ha reso centrale il dibattito sul decreto Semplificazioni.

L’intento di velocizzare le opere infrastrutturali non può essere un mezzo per tornare alla giungla dei cantieri, all’apertura agli illeciti, al cottimo, alla liberalizzazione criminogena che fa comodo alle mafie.

In questo modo, non solo si negano i diritti fondamentali dei lavoratori, ma si dà man forte a quello stato di insicurezza sul lavoro che ci siamo ripromessi di combattere, nella Commissione d’inchiesta sul lavoro in Italia, con il contrasto alle esternalizzazioni selvagge.

Per questo è positivo aver espunto il principio del massimo ribasso.

Ora bisognerà tenere il punto sulle liberalizzazioni. Davanti a margini di profitto troppo bassi qualcuno vorrebbe poter ricorrere a sfruttamento e sottrazione di diritti, a scapito della sicurezza di chi lavora. Anche qui, ci troveranno pronti.

*L’autore: Francesco Laforgia è docente universitario, senatore Leu e fondatore di èViva

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Semplificare la vita a sfruttatori e profittatori.

di  Coniare Rivolta *   

C’è una parola, un concetto che meglio di ogni altro descrive il funzionamento del cosiddetto Recovery Fund: la condizionalità. 

È un termine che è sempre stato al centro delle nostre analisi, un principio che torna e riemerge ad ogni occasione, e che ci permette di contrastare la favola di un’Europa solidale, pronta a riversare fiumi di milioni sul nostro Paese. 

Condizionalità vuol dire che ogni euro concesso è subordinato all’adempimento di una serie di obblighi, all’attuazione di riforme stabilite dalle istituzioni europee e all’adesione al progetto politico dell’austerità, in maniera tale che a fronte dell’euro ricevuto oggi si paghi un prezzo, politico ed economico, ben più caro nei prossimi anni in termini di ulteriore austerità.

Nelle prime occasioni in cui si è parlato di Recovery Fund, sulla scia del mito dell’Europa del progresso, la condizionalità poteva apparire un concetto astratto, difficile da mettere a fuoco. Ma oggi, il Governo Draghi ha iniziato a dargli forma e sostanza con il Decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, noto anche come Decreto Semplificazioni. 

Nelle settimane che hanno preceduto l’approvazione, avvenuta la sera del 28 maggio, a fronte di partiti della coalizione di Governo che cercavano di mettere bocca e avanzare obiezioni o proposte di modifiche, la risposta immutabile di Draghi è stata sempre la stessa: abbiamo un impegno esplicito con l’Europa ad approvare, entro la fine di maggio, interventi di semplificazione legislativa e delle procedure per i lavori pubblici, oltre che a definire la ‘governance’ legata al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR). 

O lo facciamo in fretta, o non riceveremo la prima tranche di aiuti del Recovery Plan.

Come dicevamo, il Decreto Semplificazioni si occupa di due aspetti distinti.

◦Il primo riguarda una feroce deregolamentazione, che nella neolingua in voga nel Governo viene presentata eufemisticamente come una semplificazione, delle procedure di conferimento e assegnazione degli appalti per lavori pubblici. L’impronta ideologica è esplicita nella sua sfacciataggine. Vengono prorogate fino al 30 giugno 2023 una serie di deroghe al Codice degli Appalti che erano state approvate nei mesi della pandemia con lo scopo, almeno quello dichiarato, di poter intervenire con rapidità e urgenza nel pieno dell’emergenza: in particolare viene alzato l’importo massimo sotto al quale si possono assegnare lavori pubblici senza fare nessuna gara, ma procedendo con un’assegnazione diretta o con una snella ‘procedura negoziata’, condotta in privato tra la centrale pubblica appaltante e una cerchia ristretta di ditte; oltre a questo, si prolunga anche la validità delle deroghe che mettono al riparo il padrone vincitore di un appalto da accuse di danno erariale ed abuso d’ufficio. Nonostante la tanto sbandierata rivoluzione verde e sostenibile, i tempi concessi alle autorità preposte per effettuare una Valutazione di Impatto Ambientale, prerequisito necessario per valutare se una determinata opera pubblica devasta la natura circostante o meno, vengono dimezzati con l’accetta; inoltre, si predispone un binario blindatissimo e di fatto al di sopra di ogni controllo per otto grandi opere, tra cui linee di alta velocità e interventi sulle infrastrutture portuali. Ciliegina sulla torta, si liberalizza, di fatto incentivandolo, il ricorso al sub-appalto. Con tale nome si intende la procedura per la quale l’azienda X, che risulta vincitrice di un appalto per un lavoro pubblico, affida una parte delle proprie incombenze e dei lavori da svolgere all’azienda Y, scelta dall’azienda X in sostanziale libertà. Il sub-appalto – una pratica che storicamente ha permesso ad aziende dalla trasparenza discutibile e spesso con connessioni con il mondo criminale di mettere le mani su porzioni sostanziose di finanziamenti pubblici – è anche uno strumento grazie al quale le imprese risparmiano sui costi, attraverso peggiori condizioni per i lavoratori coinvolti e una minore qualità nei lavori realizzati. La percentuale massima di lavoro che può essere sub-appaltata aumenterà gradualmente fino al 1° novembre, quando cesserà di esistere del tutto. Ciò implica che non esisterà più alcun vincolo per le imprese a ricorrere all’opaca pratica del sub-appalto.

◦Il secondo pilastro del Decreto Semplificazioni riguarda la gestione e l’attuazione del PNNR, con la definizione esplicita di chi dovrà fare cosa. L’elemento cardine è l’accentramento dei poteri decisionali presso la Presidenza del Consiglio, che avrà la facoltà di sostituirsi e commissariare le amministrazioni che ritardano nell’applicazione delle misure previste dal PNRR o che si rifiutano per ragioni di dissenso sui contenuti. Si prevede inoltre la creazione di una Segreteria Tecnica, con funzioni di supporto alla cabina di regia deputata all’attuazione del PNRR, che rimarrà in carica anche dopo la fine della legislatura, fino al 2026. In altri termini, questo organo vigilerà sui prossimi governi per evitare che l’esecutivo di turno faccia scelte diverse da quelle intraprese dall’attuale governo.

Il legame evidente e rivendicato tra il Decreto ‘semplificazioni’ e il Recovery Fund mostra in maniera evidente quali siano i veri scopi degli ‘aiuti’ europei. Si parte ora con le semplificazioni, si continuerà domani con la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, come abbiamo più volte mostrato. 

Infatti, a fronte di un ammontare di risorse assolutamente insufficiente per la ripresa economica, il Recovery Fund rappresenta un fortissimo strumento di pressione e di ricatto, una clava che viene usata per dare l’assalto ai residui di protezione sociale e regolamentazione del mercato presenti in Italia.

Il Governo Draghi, in questo scenario, svolge in maniera estremamente efficiente e competente il ruolo che gli è stato ritagliato addosso fin dal momento del suo insediamento. 

Imbevuto di una visione economica fortemente liberista, in virtù della quale l’intervento pubblico si deve limitare a rimuovere tutti i vincoli all’operato delle fantomatiche forze di mercato, l’esecutivo continua metodicamente, un provvedimento dopo l’altro, a curare meticolosamente gli interessi di una piccola minoranza di privilegiati, mentre i molti soccombono, tra pandemia e crisi economica.

* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/

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