Esplosioni sociali e rivolte popolari.
di Raúl Zibechi
Il Fondo Monetario Internazionale ha elaborato un indice del malessere sociale basato sull’analisi di milioni di articoli, pubblicati dal 1985 in 130 paesi, che esaminano 11mila eventi capaci di causare esplosioni sociali. Questa facoltosa ricerca gli consente di anticipare che, entro la metà del 2022, inizierà un’ondata di proteste, che si tenta già di prevenire e controllare. Un rapporto pubblicato in gennaio dallo stesso FMI conferma la probabilità delle proteste e dice ai governi e al grande capitale che il periodo che si apre può essere pericoloso per i loro interessi e che essi devono farsi trovare preparati, ma si premura di aggiungere che cinque anni dopo gli effetti delle esplosioni saranno residuali e non influenzeranno più l’economia. Lo rivela in questo articolo Raúl Zibechi che non manca di sottolineare un dettaglio significativo: lo studio non si preoccupa affatto di citare i risultati di possibili elezioni come rischi per il capitale, forse perché, al di là di chi vince, sanno che i governi che escono dalle urne non sono mai riusciti a intaccare il potere del capitale. Poi Zibechi prende in esame due tipi di grandi proteste per analizzarne soprattutto le diversità sul piano delle conseguenze per il potere delle classi dominanti e per l’organizzazione dei movimenti anticapitalisti: le esplosioni sociali di grande impatto anche mediatico ma di breve durata e i levantamientos, le sollevazioni popolari che rafforzano i movimenti e sono in grado di dare continuità in altre forme alle rivolte, come è accaduto per esempio in Cile e in Ecuador poco prima dell’inizio della pandemia. Naturalmente, una suddivisione così schematica è puramente esplicativa, ma aiuta molto a leggere quel che accade e accadrà, soprattutto in paesi lontani come quelli dell’América latina, al di là della consueta rappresentazione dei grandi media che scelgono immagini e linguaggi solo sulla base dell’impatto “spettacolare” dello scontro di piazza.
Un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) rivela che le classi dominanti, quelle al cui servizio agisce il FMI, si aspettano esplosioni sociali in tutto il mondo in conseguenza della pandemia. Il lavoro Ripercussioni sociali della pandemia, pubblicato a gennaio, afferma che la storia è una guida che permette di aspettarsi esplosioni che mettono in evidenza fratture già esistenti nella società: mancanza di protezione sociale, sfiducia nelle istituzioni, percezione di incompetenza o corruzione dei governi.
Grazie alle sue ingenti risorse, il FMI ha elaborato un indice del malessere sociale basato sull’analisi di milioni di articoli di stampa pubblicati dal 1985 in 130 paesi che esaminano 11mila eventi in grado di causare esplosioni sociali. Questo gli consente di anticipare che entro la metà del 2022 inizierà un’ondata di proteste, che si tenta di prevenire e controllare.
L’importante è che l’organizzazione dice ai governi e al grande capitale che il periodo che si apre nei 14 mesi successivi all’inizio della pandemia può essere pericoloso per i loro interessi e che essi devono farsi trovare preparati, ma aggiunge che cinque anni dopo gli effetti delle esplosioni saranno residuali e non influenzeranno più l’economia.
L’equazione sembra chiara: le classi dominanti si aspettano esplosioni, si preparano ad affrontarle e neutralizzarle, perché per un certo periodo possono destabilizzare il loro dominio.
Un dettaglio: lo studio non cita nemmeno i risultati di possibili elezioni come rischi per il capitale, forse perché al di là di chi vince, sanno che i governi che escono dalle urne non sono mai riusciti a intaccare il potere del capitale.
Noi dei movimenti anticapitalisti dobbiamo prendere buona nota delle previsioni del sistema, in modo da non ripetere errori e evitarci azioni che, nel lungo periodo, ci logorano senza produrre cambiamenti. Propongo dunque di differenziare le esplosioni sociali dalle sollevazioni popolari, per mostrare quelle che non sono utili, i levantamientos (le sollevazioni) possono esserlo qualora siano il frutto di una solida organizzazione collettiva.
Le esplosioni sociali sono reazioni quasi immediate alle ingiustizie e ai torti subiti, come ad esempio i crimini della polizia; generano un’enorme e furiosa energia sociale che però svanisce in pochi giorni. Tra le esplosioni possiamo collocare, per citarne solo una, quella avvenuta a Bogotà, nei tre giorni di settembre dello scorso anno, in occasione dell’omicidio da parte della polizia di un giovane avvocato con nove fratture del cranio.
La repressione ha causato la morte di oltre 10 manifestanti e 500 feriti, circa 70 di essi colpiti da proiettili. La giusta rabbia si concentrò nei Centri di Pronto Intervento, sedi della polizia nelle periferie, 50 delle quali furono distrutte o bruciate. Dopo tre giorni, però, la protesta è svanita e perfino nei quartieri più colpiti dalla violenza statale non è rimasto alcun gruppo organizzato.
Ci sono molti esempi di questo tipo, ma mi interessa sottolineare che gli Stati hanno imparato ad affrontarli. Esaltano la portata della violenza nei media, creano gruppi di studio sulle ingiustizie sociali e tavoli di mediazione per simulare interesse. Possono arrivare persino a sospendere alcuni graduati dai loro compiti per inviarli altrove.
Ciò che accade con maggior frequenza è che i governi ammettano che vi siano ingiustizie, in generale, e che attribuiscano la violenza delle esplosioni alla precarietà del lavoro giovanile e ad altre conseguenze del sistema, senza naturalmente affrontarne le cause profonde.
Il levantamiento, la sollevazione, è qualcosa di diverso. Un gruppo organizzato ne decide l’inizio, traccia gli obiettivi e le modalità, i punti di concentrazione e di ripiego e decide, attraverso un dialogo collettivo, quando deve aver termine. L’esempio migliore è il levantamiento indigeno e popolare dell’ottobre del 2019 in Ecuador. È durato 11 giorni, venne deciso dalle basi della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador e vi parteciparono sindacati e giovani delle periferie urbane.
La violenza venne contenuta dal servizio d’ordine delle organizzazioni, che impedì anche i saccheggi provocati dagli agenti di polizia infiltrati. Venne deciso di porvi fine in enormi assemblee tenute a Quito, dopo che il governo di Lenín Moreno aveva annullato il pacchetto di misure neoliberiste che avevano causato la mobilitazione. Il parlamento indigeno e dei movimenti sociali creato alcuni giorni dopo fu incaricato di dare continuità al movimento.
Una sollevazione può rafforzare l’organizzazione popolare. In Cile, dove preferiscono dire rivolta e non esplosione della protesta, più di 200 assemblee territoriali sono nate durante le proteste in quasi tutti i quartieri popolari.
L’azione collettiva massiccia e contundente deve rafforzare l’organizzazione, perché è l’unica cosa che può dargli continuità nel tempo lungo. Le classi dominanti hanno imparato già da tempo a superare le esplosioni, perché sanno che sono effimere. Se ci organizziamo, le cose possono cambiare, ma non raggiungeremo nulla se ci ostiniamo a credere che il sistema cadrà con un solo colpo.
Fonte originale: Estallidos o Levantamientos
Traduzione a cura di camminar domandando
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