venerdì 11 ottobre 2019

L'ECUADOR IN RIVOLTA


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Benché al momento la situazione siriana scavalchi le proteste di Hong Kong,supportati dai media mondiali in quanto la Cina non è che sia molto simpatica,rischia di passare in sottofondo la protesta degli equatoriani contro le politiche sempre più liberali e contro il popolo del Presidente Lenin Moreno(madn lenin+moreno )successore di Correa e socialista come lui.
Ma subito dopo le elezioni del 2017 le cose sono cambiate e precipitate in quanto Moreno fin da subito ha coinvolto la destra conservatrice nelle azioni di governo di fatto riducendo nettamente la spesa pubblica liberalizzando il commercio per non parlare delle leggi che hanno affossato i diritti dei lavoratori.
Insomma in pochi mesi l'Ecuador è passato da fiore all'occhiello del Sud America ad una nazione mediocre se non pessima riguardo i diritti della popolazione,soprattutto verso gli indigeni che nelle ultime settimane si sono ribellati costringendo addirittura il Presidente a fuggire temporaneamente nell'enclave di destra di Guayaquil.
L'articolo di Infoaut(ecuador-la-rivolta-dei fannulloni )parla di queste proteste iniziate per l'aumento spropositato dei prezzi del carburante che si somma a tutto quello detto sopra,con scontri violenti tra i manifestanti e la polizia nella capitale Quito dove si hanno notizie di morti e feriti.

Ecuador, la "rivolta dei fannulloni" occupa il Parlamento, duri scontri con la polizia.

In Ecuador continua la mobilitazione popolare contro le politiche del governo di Lenin Moreno. Sotto esame è il “paquetazo” di riforme economiche approvato dal governo, che porta l'ispirazione del Fondo Monetario Internazionale, nella più classica delle storie latinoamericane ai tempi della globalizzazione capitalista degli ultimi 50 anni.

Martedì scorso l'esecutivo infatti aveva annunciato nuove riforme "definitive" di taglio fortemente anti-operaio, togliendo i sussidi governativi alla benzina e aumentandone così il prezzo. Un costo che si ripercuote direttamente sui lavoratori, che necessitano di mezzi personali per spostarsi, raggiungere i luoghi di lavoro o le loro abitazioni.

 Ogni presidente che in passato ha provato a varare questo tipo di misure restrittive non ha però resistito alla piazza, e anche questa volta si ripropone la stessa situazione. E anche questa volta per il governo non sembra mettersi bene. In difficoltà di fronte alla pressione esercitata da migliaia di manifestanti, in grandissima parte indigeni, il governo si è ritirato a Guayaquil, principale porto del paese e governato da più di venti anni dalla destra populista, lasciando la capitale Quito alla gestione della polizia.

 Polizia che spara, e uccide. In particolare nel parco El Arbolito, preso dai manifestanti come base logistica e organizzativa, con ospedali da campo e cucine popolari a sostenere la mobilitazione di quella che è stata ribattezzata “La Comune di Quito”. Il parco, usuale punto di ritrovo delle comunità indigene quando raggiungono la capitale per manifestare, si trova a poca distanza dalla Casa della Cultura e dal parlamento ecuadoriano, l'Assemblea Nazionale. Questa è stata ieri oggetto di un tentativo di occupazione da parte dei manifestanti. Un gruppo di persone è riuscito a entrare nell'edificio (per quanto vuoto da lunedi), rompendo il dispositivo poliziesco a base di gas lacrimogeni ma anche di veri spari una volta calata la notte.

 E' ancora incerto il bilancio delle vittime, ma è evidente che la reazione del governo a una sorta di riedizione del que se vayan todos ( nelle piazze si grida "né Moreno, né Lasso, né Nebot, né Bucaram, né Correa", ovvero si manifesta l'opposizione ad ogni profilo politico della storia istituzionale recente del paese) è quella di una fuga precipitosa dalle proprie responsabilità e dell'affidamento ad una gestione militare, tramite anche la convocazione dello stato di emergenza, della questione politica posta dalla piazza.

 Così come in Venezuela, le contraddizioni di un modello di sviluppo iper-estrattivista si risolvono in uno scontro istituzioni-cittadini che sicuramente è visto con positività anche da interessi di potenze straniere, ma che non si può leggere in alcun modo in una eterodirezione. I problemi esistono, e sono pure grossi. Le assemblee popolari non a caso cresciute sin da subito per forza e intensità sin dall'annuncio del “paquetazo”, con l'obiettivo dichiarato di lottare fino all'annullamento delle riforme.

 Il presidente ecuadoriano Moreno ha chiamato i manifestanti delinquenti e fannulloni, e la mobilitazione stessa è stata ribattezzata “la rivolta dei fannulloni” dagli uomini e dalle donne in lotta per i propri diritti. Contro Moreno si è in seguito scagliata la CONAIE - Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador - che ha definito “criminale” il governo e la sua gestione delle proteste di piazza.

 Migliaia e migliaia di appartenenti alle comunità indigene del paese stanno ancora raggiungendo in queste ore la capitale, ed è probabile che anche oggi ci saranno ulteriori mobilitazioni. Proprio l'ingresso delle comunità indigene nella capitale è stata altra occasione di scontro negli scorsi giorni, con mezzi cingolati dell'esercito dati alle fiamme e reparti della polizia stessa tenuti sotto scacco dai movimenti urbani cittadini, con lo scopo di togliere alle forze repressive uomini e mezzi impegnati nell'impedire alle comunità di raggiungere il paese.

 La pacificazione dei movimenti sociali attuata negli ultimi anni dal governo di Rafael Correa ora sembra saltare sull'onda della crisi economica. Seguiranno aggiornamenti...

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