mercoledì 19 dicembre 2018
ORBAN,IL POPULISTA SENZA POPOLO
Il nazionalpopulista Orban,primo ministro ungherese,continuando nelle sue politiche xenofobe e sovraniste alla fine ha tirato troppo la corda ed il popolo si riversa nelle strade per protestare contro le nuove decisioni del suo esecutivo.
In una nazione dove la televisione pubblica è accondiscendente e prona ai governanti e ai potenti,le migliaia di persone hanno manifestato in massa lo hanno fatto proprio sotto la sede della tv di Stato,e le immagini ed i servizi giornalistici hanno fatto il giro del continente.
L'articolo di Left(in-ungheria-il-populismo-non-ha-piu-il-popolo )parla della nuova legge che innalza a 400 ore il tetto delle ore straordinarie che i lavoratori sono costretti a fare,avvantaggiando i padroni che possono pagare tali lavori extra in tre anni.
Ci sono anche altre tematiche importanti come la giustizia che fanno preoccupare gli ungheresi,divisi tra un'estrema destra e quella di Orban,anch'essa comunque razzista come si è visto nella campagna contro gli immigrati supportata anche da altri personaggi come il ministro del tutto Salvini(vedi:madn i-nuovi-mostri ).
In Ungheria il populismo non ha più il popolo.
di Giulio Cavalli
Ne parlano poco perché si sa, Viktor Orban dovrebbe essere il modello di autorevolezza a cui qualcuno dalle nostre parti aspira, l’uomo che respinge i migranti senza se e senza ma, colui che secondo alcuni assicura l’ordine nonostante “l’ordine” sia solo il sinonimo marcio della perdita della libertà.
Bene: in Ungheria da giorni protestano lavoratori e sindacati per una legge che alza a 400 ore il tetto di straordinari e che spalmano il pagamento delle ore in più in tre comodi anni per il datore di lavoro. Una legge “del più forte” che è un favore a chi, da imprenditore, può tenere sotto scacco i lavoratori con un ritorno agli anni 60 in tema di diritti. Stupisce? No, per niente.
Tra le riforme contestate tra l’altro c’è anche quella che riguarda la giustizia (ma va?) e che affida al governo il controllo su materie come le gare d’appalto pubbliche e i contenziosi elettorali. Sì, avete letto bene, i contenziosi elettorali.
Sotto l’occhio della protesta sono finiti anche i media pubblici, accusati di essere supini alla volontà di Orban e del suo governo. Anche in questo caso stupisce che ci si stupisca: la libertà di stampa da quelle parti è considerata come libertà di scegliere come assoggettarsi al potere. Nient’altro.
Nei giorni scorsi due deputati del partito d’opposizione LMP, Ákos Hadházy e Bernadett Szél, hanno provato ad entrare nella sede della televisione pubblica per leggere un appello e sono stati buttati fuori dall’edificio con la minaccia di una condanna “a 10 anni”.
Il governo che si vanta di avere chiuso le frontiere ha perso dal 2010 (anno di insediamento di Orban) qualcosa come seicento mila ungheresi espatriati all’estero, in particolare i più istruiti. Le aziende ungheresi intanto (tra cui anche quelle italiane che hanno delocalizzato in nome di un sovranismo che non vale evidentemente dal punto di vista fiscale) hanno seri problemi di manodopera: così il populista Orban ha deciso bene di spremere i lavoratori rimasti. Alla grande, direi.
La vicenda però racconta perfettamente un concetto essenziale: Orban è riuscito a erodere i diritti e le libertà finché i suoi ungheresi potevano avere la tranquillità di un reddito e di un lavoro, tranquilli nella propria quotidianità e addirittura soddisfatta del respingimento dei diritti degli altri, ma alla fine la lenta erosione della libertà arriva inevitabilmente per tutti, sempre. E quando ci si accorge che sta accadendo è quasi sempre già troppo tardi.
Historia magistra vitae, dicevano i latini. Già.
Buon mercoledì.
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