lunedì 5 novembre 2018
LA GESTIONE AMBIENTALE ITALIANA
La lunga sequela di eventi catastrofici avvenuti in Italia e frutto delle precipitazioni che hanno colpito tutto lo Stato è figlia di una situazione di cattiva gestione e programmazione ambientale che ancora non ha trovato soluzione e che nonostante appelli di studiosi in materia e la diretta visione dei danni provocati non rientra nelle proposte politiche dei partiti al governo(e anche di molti altri).
In un periodo dove i verdi in Europa stanno ottenendo risultati positivi l'Italia è rimasta al palo come coscienza ecologica e i risultati li abbiamo tutti sotto gli occhi,con devastazioni annunciate ed altre frutto di abusivismo e del continuo sfruttamento del suolo e di una manutenzione dell'ambiente praticamente ridotta allo zero.
Mentre il Ministro dell'ambiente Costa critica aspramente Salvini che come al solito parla a vanvera di cose che non conosce(tutto fondamentalmente),del suo"ambientalismo da salotto"e di non avere ancora una visione strategica proiettata al futuro ma solo all'oggi,tamponando qua e la e non proponendo dei piani a lungo termine.
Articolo un poco pippotto di Contropiano:piove-governo-ladro .
Piove governo ladro, sicuramente. Ma il tema vero è l’alternativa di società!
di Michele Franco*
La realtà sociale della natura, la scienza umana della natura, la scienza naturale dell’uomo sono espressioni equivalenti!
Karl Marx, Manoscritti economici e filosofici, 1844
Piove, governo ladro è sempre stato un efficace adagio popolare che ha saputo rappresentare i dolori ed i lutti, particolarmente dei ceti sociali subalterni, a fronte delle avversità della natura, dei guasti e dei danni provocati da cataclismi e tragedie ascrivibili, a vario titolo, ai meccanismi di funzionamento dell’eco/sistema climatico e naturale.
Prima la saggezza contadina e, successivamente, l’insieme dei ceti popolari hanno sempre riconosciuto in questa puntuale affermazione la maledizione adatta da scagliare contro i re, i potenti e i governi in ogni latitudine del pianeta.
La recente ondata di maltempo abbattutasi sull’Italia e le rovinose conseguenze che sta provocando sia sul versante della perdite di vite umane e sia su quello dell’ulteriore manomissione dell’assetto idrogeologico ed ambientale dei territori non sfugge a questa sacrosanta invettiva e conferma – tragicamente – come le scellerate politiche degli ultimi decenni hanno contribuito a rendere la vita umana e l’equilibrio ambientale più esposto e precario a fronte delle dinamiche della natura.
Bene – quindi – fanno tutti coloro che imputano alle varie filosifie dell’austerity la matrice vera dell’insieme dei disservizi e delle diversificate scelte in materia di urbanistica, di ambiente e di politiche territoriali che hanno – di fatto – creato quelle condizioni materiali in cui lo scatenamento di una ondata di maltempo stagionale (tutto sommato normale e sicuramente prevedibile nell’abituale passaggio dall’autunno all’inverno) comporta, automaticamente, morte, distruzione di intere zone del paese e danni per miliardi di Euro.
Non ci stancheremo mai – anche solo per onorare i morti di queste ore – di imputare ai governi nazionali, ai perversi dispositivi della governance europea ed al sapiente intreccio tra affarismo e speculazione le cause principali da cui dipendono l’incuria delle montagne, dei corsi d’acqua, delle aree urbane ed il progressivo smantellamento/privatizzazione di tutti i servizi di prevenzione e tutela territoriale.
Non ci stancheremo mai di protestare contro il ridimensionamento del corpo dei Vigili del Fuoco, contro la gestione privatistica e clientelare della Protezione Civile, contro i tagli alle spese ambientali e mai smetteremo di mobilitarci per rivendicare verità e giustizia per i tanti “disastri” che si sono succeduti nel nostro paese e che, spesso – troppo spesso – vengono classificati e poi derubricati come “fenomeni naturali ed imprevedibili”.
Ma gli avvenimenti di questi giorni e di queste ore devono sollecitarci ad una riflessione più ampia – oltre la comprensibile emotività – che sappia indurci ad un ragionemento sistemico e di prospettiva.
Sempre più su tutto l’arco delle contraddizioni sociali ed, ancora di più, su temi e questioni che riguardano il complesso rapporto tra Capitale e Natura dobbiamo essere in grado di svolgere una duplice funzione: da un lato l’instancabile denuncia dell’insieme dei fattori immediati e strutturali che sono la prima causa dei disastri e delle negative conseguenze derivanti dall’impatto di questi avvenimenti ma, dall’altro, dobbiamo iniziare a prospettare una alternativa di modello di società e di relazioni umane la quale è, necessariamente, in antitesi con gli attuali rapporti sociali vigenti.
Sono questi i momenti topici in cui una soggettività comunista agente deve far valere, e verificare praticamente, la propria concezione del mondo e la funzione storica (e non solo immediata) che vuole interpretare. Un urgente compito pratico in grado di aprire quei varchi ideali e di possibile, quanto praticabile, rottura con l’ordine sociale dominante, con le sue leggi di funzionamento e con le sue antistoriche leggi e normative.
Viviamo (male) in un mondo in cui i fenomeni di distruzione ad opera del capitale di ogni forma di legame con la natura, con l’uomo e con le compatibilità sociali sono sempre più immanenti e pervasivi. Spesso ci annoiamo persino a leggere le cronache di questi disastri a dimostrazione dell’opacizzazione delle nostre coscienze e dei fenomeni di narcotizzazione e persuasione dell’opinione pubblica da parte degli opion maker della comunicazione deviante.
La crescita economica quantitativa senza sviluppo sociale equilibrato – con buona pace di tutta la mistificazione ambientalistica che fa da formale cornice alla dominante narrazione capitalistica – è sempre più la linea di condotta di un Modo di Produzione che, al Nord come al Sud del mondo (fatto salvo le diverse accentuazioni e particolarità con cui si manifesta nelle diverse aree del pianeta), scandisce i tempi e le forme del dominio del capitale.
La parossistica ed antisociale corsa al massimo profitto (in un oggettivo contesto globale che resta irrimediabilmente segnato da una crisi sistemica del capitale e da un costante calo del saggio di profitto, come affermano gli stessi indicatori statistici borghesi) sta stressando e facendo saltare tutti i correttivi e le “camere di compensazione” che gli strateghi del capitale avevano elaborato nel corso del tempo per controllare/governare/funzionalizzare tale dinamica.
Il corso generale della crisi, le sue convulsioni finanziarie (ma anche quelle che attengono alla cosiddetta sovra/struttura) si sono, prepotentemente, messe in moto con una velocità sorprendente (se paragonata a quella di qualche decennio fa) e stanno facendo addensare avvenimenti e processi materiali sempre meno affrontabili e risolvibili dall’armamentario teorico e politico del riformismo, del compatibilismo e delle scelte politiche di pacifica conciliazione tra “interessi diversi”.
Infatti – per restare al tema – lo stesso pensiero ambientalista (pur declinato nelle varie forme) è irrimediabilmente in crisi perché, pur individuando i fenomeni che intende criticare e la loro innegabile pericolosità, non è poi in grado di delineare una alternativa possibile ed una efficace controtendenza sociale che superi l’aspetto dell’impotente quanto generica denuncia.
In tale sfrenato gorgo – tipico della competizione globale tra capitali e potenze imperialistiche – nulla sfugge a questa dinamica di accelerazione temporale e concettuale. Tanto meno possono sfuggire ambiti e contesti che sono riconducibili all’intrigato rapporto tra lo sviluppo delle forze produttive, il loro caotico ingolfamento/ingarbugliamento e le conseguenti ed inevitabili ricadute sul piano dei rapporti tra Capitale ed Ambiente e tra la Natura e la Specie Umana nel suo complesso.
Eppure proprio in una fase storica come quella che viviamo – caratterizzata da un poderoso sviluppo delle conoscenze e dell’evoluzione del lavoro umano e mentale – in cui la qualità della vita ed il benessere degli uomini potrebbero enormemente giovarsene stiamo assistendo alla classica delle distorsioni e delle degenerazioni del capitale che il marxismo ha ampiamente previsto e descritto fin dall’esordio di questa fenomenologia alla fine dell’Ottocento.
La frammentazione e la parcellizzazione delle conoscenze scientifiche, l’appoccio settoriale alle problematiche ed, in primo luogo, la sfrenata ricerca del profitto ad ogni costo stanno – particolarmente attorno ai temi ed agli snodi che afferiscono all’ambiente, al disegno delle città e dei territori e, soprattutto, nella corretta comprensione dei meccanismi di modifica del clima e degli equilibri stagionali – favorendo quell’anarchia del capitale che è sempre stata foriera di lutti e tragedie nella storia dell’umanità degli ultimi secoli.
Ritorna – dunque – il tema, il rompicapo culturale e politico e la vera e propria sfida della nostra contemporaneità: quale alternativa di sistema, quale modello economico, quali strumenti economici e pratici per riequilibrare ed armonizzare il rapporto tra Uomo e Natura e tra sviluppo delle forze produttive e la necessità di nuovi paradigmi economici e sociali per la conservazione della specie umana.
I lutti e le distruzioni di questi giorni nel nostro paese – per restare alla stringente attualità – ma anche le periodiche tragedie che si consumano nel mondo ripropongono un interrogativo da cui non possiamo scansarci e su cui dobbiamo prendere posizione pena lo scivolamento in un “economicismo spicciolo” che minerebbe le ragioni di una politica e di una prospettiva comunista a tutto tondo.
Il futuro dell’umanità, l’affrontamento delle gradi (ed inedite) contraddizioni della nostra epoca non possono essere lasciate nelle mani delle virtù salvifiche del mercato, del profitto, del primato dei dati borsistici o nella impossibile “razionalità capitalistica” a cui si affidano gli apologeti di questo sistema.
Quasi 30 anni di sbornia ultraliberista, decenni di elucubrazioni sulla “fine della storia” ed infinite chiacchiere sull’esaurimento delle “nefaste utopie del Novecento” hanno provocato un deserto culturale che fa il paio con le politiche di massacro sociale, di degrado generalizzato e di imbarbarimento dei rapporti sociali e/o naturali.
Occorre – da parte dei comunisti e del variegato arco di forze che si richiamano all’opposizione al capitalismo – riprendere ed attualizzare dibattiti e ricerche su temi cruciali, come quello della Pianificazione Economica e Sociale e della critica allo Sviluppismo a tutti i costi, utili a porre rimedio all’attuale stadio di gravità delle situazioni climatiche, ambientali e di funzionamento organico delle nostre, complesse, società.
Non si tratta di una boutade propagandistica o, peggio ancora, ideologistica ma – mai come in simili contesti sociali e storici – occorre riaffermare, riqualificare e praticare una serrata decostruzione ai fondamentali del capitalismo che nel consumarsi di queste tragedie mostra la sua essenza criminale e criminogena.
Un esercizio necessario non solo per tutelare, veramente, l’ambiente, il lavoro e le forme di vita ma anche per consolidare l’idea/forza di una alternativa di sistema che per quanto ci riguarda non può essere che il Socialismo.
*Rete dei Comunisti
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