giovedì 30 novembre 2017

LEILA KHALED NON POTRA' VENIRE IN ITALIA


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L'altro giorno l'Italia si è ritrovata ancora nella sporca posizione di vietare l'ingesso sul proprio suolo della dirigente del Fplp(Fronte popolare per la liberazione della Palestina)Leila Khaled dopo una soffiata della deputata Carfagna di Forza Italia che aveva fatto pressioni al Viminale per impedirne i suoi incontri già programmati da tempo tra cui uno a Napoli e uno a Roma che avrebbe avuto tenersi questo sabato invitata dall'Udap(Unione democratica arabo-palestinese)sul cinquantesimo anniversario della fondazione del Fpl.
Il ministro Minniti ha subito provvisto per il fermo costringendo a Fiumicino la Khaled ad imbarcarsi per la Giordania,lo sbirro del Pd protagonista dei decreti liberticidi(madn minnitiluomo-del-manganello-e-dellolio.di ricino )e responsabile della carneficina di profughi che si sta compiendo in Libia assieme ad Orlando,dopo che la combattente palestinese era stata sia in Spagna che in Belgio dove ha anche tenuto una conferenza al Parlamento europeo.
Il primo articolo(popoff minniti-blocca-alla-frontiera-leila-khaled )parla della cronaca e della campagna filosionista che ha costretto alla rinuncia imposta dallo Stato italiano all'ingresso nel nostro paese alla Khaled,oltre che la sua storia a cavallo tra gli anni sessanta e settanta dove per far valere la libertà del suo popolo e della sua terra allora era di"moda"dirottare aerei con intenzioni di non uccidere nessuno per sollevare l'opinione pubblica sulla questione palestinese.
Il secondo contributo(contropiano sbirro-da-sempre )racconta l'aneddoto di un compagno svizzero,Norberto Crivelli,che nel 1991 fu intimidito dall'allora giovane funzionario del Pci Minniti per aver promosso una raccolta firme per un appello contro la nascente guerra Usa verso l'Iraq durante l'ultimo congresso del partito.

Minniti blocca alla frontiera Leila Khaled.

Pressioni sioniste sul Viminale. Leila Khaled, dirigente Fplp, respinta a Fiumicino: «E’ sulla lista nera del terrorismo».

di Checchino Antonini
Vietato l’ingresso in Italia a Leila Khaled, 73 anni, dirigente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, fermata e respinta all’aeroporto di Fiumicino, costretta ad imbarcarsi sul volo successivo per Amman. Khaled era invitata in Italia dall’Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP) per un’iniziativa in calendario a Roma per sabato 2 dicembre “Cinquant’anni di Resistenza”, in occasione dell’anniversario della fondazione di Fplp, che comunque è stata confermata e Khaled interverrà grazie a un collegamento. Resta, inquietante, la gravità di un respingimento nei confronti di una persona che aveva ottenuto un visto per l’Unione Europea che si è vista revocare qui, a Roma, allo sbarco. Meno di un mese e mezzo fa è stata accolta in Spagna (dove pure penderebbe un’ordine di cattura per lei) e in Belgio, dove ha tenuto una conferenza al Parlamento Europeo.

«Questo grave episodio ha avuto luogo dopo i reiterati attacchi mediatici e a seguito di forti pressioni da parte della lobby sionista in Italia – ricorda l’Udap – nei giorni precedenti al suo arrivo numerosi quotidiani hanno pubblicato articoli sensazionalistici e diffamanti dimostrando, nella migliore delle ipotesi, accondiscendenza, nella peggiore, complicità. Il rimpatrio della compagna Leila Khaled non è che la dimostrazione dell’impotenza delle istituzioni italiane e la loro incapacità di sottrarsi al ricatto sionista: è palese quanto la sua voce, libera e coerente, continui a far paura ancora oggi. atto Nonostante le pressioni, le diffamazioni e le provocazioni, nonostante il rimpatrio imposto alla compagna dalle autorità italiane, l’Unione Democratica-Arabo Palestinese decide di confermare l’iniziativa di sabato 2 dicembre».

Chi non vuole Leila

A guidare la campagna filosionista in Italia è la nota statista Mara Carfagna, portavoce dei deputati di Forza Italia e consigliera comunale a Napoli dove Leila Khaled era attesa per una conferenza all’asilo: l’ex soubrette di Magalli, prestata alla politica, ritiene «sbagliato e pericoloso che una dirigente di una organizzazione inserita nell’elenco delle associazioni terroristiche dall’Unione europea, possa partecipare ad iniziative pubbliche senza che vi sia un controllo, che possa fare proseliti in luoghi pubblici o addirittura di proprietà comunale. Chi le ha concesso il visto per entrare in Italia?». Musica per le orecchie di Minniti, ministro di polizia del Pd, autore di sanguinosi accordi con le autorità libiche perché impediscano la libertà di circolazione ai profughi delle guerre globali, firmatario, con il collega Guardasigilli, Orlando, del pacchetto di provvedimenti liberticidi che, tra l’altro, ha sancito il daspo urbano e il foglio di via preventivo per attivisti sociali e sindacali. E non valgono le ragionevoli obiezioni sulla infame lista di proscrizione che colpisce soprattutto movimenti di liberazione o il semplice fatto che Leila non ha mai ammazzato nessuno. Figuriamoci se un ministro del Pd possa considerare l’idea che l’occupazione israeliana sia essa stessa una forma di terrorismo!

Chi è Leila Khaled

Il 29 agosto 1969 la Khaled prese parte assieme al pugile Salim Issaoui al dirottamento di un Boeing 707 della compagnia statunitense TWA. Il volo TW 840, in servizio fra Los Angeles e Tel Aviv, prevedeva due scali tecnici, a Roma e ad Atene. Montati a bordo durante il primo, la coppia prese controllo dell’aeromobile appena dopo il decollo, facendolo dirigere verso Damasco. Ella racconta di aver ordinato al pilota di sorvolare simbolicamente Haifa, città natale di entrambi i dirottatori, in modo da poterle far vedere dall’alto i luoghi della sua prima infanzia, che non avrebbero più potuto rivedere[1]. Nell’episodio non vi furono morti o feriti, ma l’aeromobile venne fatto saltare in aria dopo aver fatto sbarcare le 116 persone presenti a bordo. Secondo alcune fonti, la dirigenza del FPLP si aspettavano che a bordo vi fosse Yitzhak Rabin, all’epoca ambasciatore di Israele negli Stati Uniti d’America, anche se tale circostanza è stata smentita dalla stessa Khaled. Dopo questo episodio, divenuta una celebrità grazie ad una fotografia di Eddie Adam molto pubblicizzata (scattata nel 1970 in un campo profughi palestinese in Libano, che la ritraeva con un AK-47 ed in testa una kefiah), la Khaled si sottopose a sei interventi di chirurgia plastica al naso e al mento per cambiare l’estetica del volto, rendendosi meno riconoscibile per permetterle di partecipare ad eventuali altri dirottamenti aerei, e non vestire più i panni di una icona.

Il 6 settembre 1970, Leila Khaled, assieme al giovane statunitense di origine nicaraguense, Patrick Argüello, un sandinista simpatizzante per la causa palestinese, cercò di dirottare il volo LY 219 della El Al, in servizio fra Amsterdam e New York. Si trattava di una parte del piano coordinato dei dirottamenti di Dawson’s Field, una serie di azioni quasi simultanee portate a termine dal FPLP. Pare che i due costituissero solo una parte del commando incaricato dell’operazione, che avrebbe dovuto essere condotta da quattro elementi. L’attacco fu sventato dall’intervento di un agente delle forze di sicurezza israeliane presente a bordo dell’aereo, il quale uccise Arguello prima di riuscire a sopraffare la Khaled[6]. Sebbene avesse con sé due granate a mano, la Khaled sostenne di aver ricevuto rigide istruzioni di non mettere in pericolo i passeggeri dell’aereo civile.

Il pilota diresse il velivolo sull’aeroporto londinese di Heathrow, dove Khaled fu trasferita alla stazione di polizia di Ealing. Il 1º ottobre il governo britannico la rilasciò nel quadro di uno scambio di prigionieri. L’anno seguente il FPLP abbandonò la tattica dei dirottamenti aerei.

Khaled nell’immaginario pop

Il brano “Like Leila Khaled Said”, incluso nell’album “Wilder” composto nel 1981 dai The Teardrop Explodes è una canzone d’amore dedicata alla Khaled. Sempre grazie a Julian Cope, nel 2009, con i Black Sheep, Leila è nuovamente al centro dell’attenzione con la canzone “Leila Khaled”, a fianco di altri due pezzi intitolati “Ernesto” e “Che”. Infine, nel 2012, il doppio album “Psychedelic Revolution”, il disco più politico che Julian Cope abbia mai concepito, è ancora incentrato sulle figure di Che Guevara e Leila Khaled, simboli delle rivoluzioni popolari occorse nel ventesimo secolo. Si ritiene che il personaggio di Leela, la guerriera selvaggia della serie televisiva Doctor Who, sia stato ispirato proprio da Leila Khaled. Anche il gruppo musicale danese Magtens Korridorer scrisse una canzone intitolata “Leila Khaled” e, nel 2005, la militante palestinese è stata il soggetto del film Leila Khaled, Hijacker (Leila Khaled, dirottatrice), diretto dalla regista palestinese Lina Makboul e proiettato in anteprima all’International Documentary Film Festival di Amsterdam.

In questo periodo, Khaled, membro dell’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi si sta battendo contro il cosiddetto processo di normalizzazione in assenza di una pace giusta: «La marcia di normalizzazione organizzata dalle forze sioniste insieme alla cosiddetta “commissione per la comunicazione con la società israeliana” è in contraddizione fondamentale con la posizione e la lotta del popolo palestinese e la rivendicazione dei loro diritti nazionali. Questa iniziativa ha lo scopo di distorcere e mistificare gli obiettivi della lotta di liberazione palestinese e la lotta delle donne palestinesi e arabe. Questo è un altro tentativo fraudolento, nonché ripetitivo, di celarsi dietro lo slogan della “pace” per ingannare il popolo palestinese, quello arabo le persone libere del mondo. Il Fronte Popolare starà con il nostro popolo e la sua nazione, sosterrà tutti i movimenti e i comitati per il boicottaggio dell’occupazione per contrastare tutte le forme di normalizzazione politica, culturale ed economica dello stato sionista a prescindere dalla bandiera, gli slogan o le frasi scelte».

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Sbirro da sempre.

di  Giorgio Cremaschi 
Ho conosciuto Norberto Crivelli a Bellinzona, in un incontro del Partito Operaio Popolare del Canton Ticino per ricordare i 100 anni della Rivoluzione d’Ottobre. Crivelli è una figura storica del movimento operaio svizzero, un militante comunista con una vita di lotte nel Partito del Lavoro. Per questo nel corso dei decenni ha svolto anche una intensa attività internazionale.

Così Crivelli mi ha raccontato un fatto di 26 anni fa, quando come rappresentante del suo partito partecipò al ventesimo congresso del PCI, l’ultimo, quello che a cambiò il nome e l’identità del partito secondo la svolta di Achille Occhetto.

Era l’inizio di febbraio del 1991 e mentre il PCI finiva, cominciava quella guerra che è continuata fino ad oggi, sempre più vasta, distruttiva, insensata. George Bush padre si preparava, con una coalizione armata di cui faceva parte anche l’Italia, a bombardare ed invadere l’Iraq. Tutto il mondo era percorso da manifestazioni e pronunciamenti contro la guerra e le 120 delegazioni estere presenti al congresso sentivano gli echi di quella mobilitazione.

Crivelli pensò allora di usare tutte quelle presenze ad un congresso di per sé triste e depressivo, per organizzare un pronunciamento internazionale contro la guerra. Su un breve testo cominciò a raccogliere le firme di partiti comunisti, di sinistra, progressisti. Ricorda ancora con particolare orgoglio di aver ricevuto l’adesione di un sindacalista brasiliano appena entrato in politica, già molto conosciuto e presente al congresso: Lula.

Il PCI in via di scioglimento, sulla guerra che iniziava era diviso tra tre posizioni. Quella di Napolitano naturalmente guerrafondaia, quella di Ingrao altrettanto naturalmente pacifista e quella di Occhetto e D’Alema che si barcamenava tra le due. Questo si sapeva, così Crivelli, quando fu avvisato di recarsi immediatamente presso la presidenza del congresso, pensò con soddisfazione di aver contribuito a far esprimere un no alla guerra da parte di tutto il PCI. La sua iniziativa aveva avuto un grosso successo, quasi tutte le delegazioni estere avevano firmato il suo appello o si preparavano a farlo. Per questo quando incontrò un giovane funzionario della segreteria del partito, Crivelli pensò di ricevere elogi. Invece raccolse un ultimatum.

“So che stai raccogliendo firme su un appello contro la guerra, smettila subito e annulla l’iniziativa. Non puoi fare qui su temi così delicati quello che vuoi, voi siete ospiti e la politica internazionale qui la facciamo noi“.

Questo è il ricordo delle parole di quel funzionario arrogante, ricordo che ancora oggi fa arrabbiare il mio amico e compagno svizzero Norberto Crivelli, che ovviamente per non creare incidenti diplomatici allora rinunciò all’appello per la pace.

Già, ma perché mi ha raccontato oggi quel fatto? Non lo avete capito? Quel funzionario allora non era conosciuto, oggi lo è un po’ di più, perché il suo nome è Marco Minniti.

Gino Strada lo ha definito sbirro. Beh, se è così, lo é da sempre.

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